martedì 23 luglio 2013

L’Euro Versa Sangue Italiano

Riporto qui il manifesto che spiega le ragioni dello striscione fatto volare domenica mattina sulle spiagge italiane dal coraggioso e battagliero Giuseppe Trucco, con cui ho avuto l'onore di collaborare come correttrice di bozze. Una voce che si leva sull'Italia e si fa sentire con tutti i mezzi: diffondiamola






Una bellissima immagine di Marco Cacciatore.



Oggi, domenica 21 luglio, un velivolo farà volare questo slogan (“l’euro versa sangue italiano”) su di uno striscione sui litorali di Marche, Romagna e Veneto.



Per chi ha cercato lo slogan su un motore di ricerca e ha trovato questo articolo, spiego qui le ragioni della mia iniziativa, dedicata al ricordo di Marco Cacciatore di Meda, un giovane di 26 anni disoccupato che si è sparato alla testa per la disperazione. Si fa presto a spiegare le mie ragioni: quando si assiste ad un reato è un dovere morale denunciare chi lo ha commesso, io credo di poter denunciare l’euro come colpevole di induzione al suicidio di Marco Cacciatore, cui è dedicata questa iniziativa, e di molti altri disoccupati.



Cercherò anche di dimostrare la “mia” tesi, secondo cui esiste un legame tra l’adozione dell’euro in Italia e l’aumento della disoccupazione, oltre che il fallimento di tante imprese. Fattori, questi ultimi, che portano alla disperazione di molti lavoratori disoccupati e imprenditori falliti. Purtroppo le statistiche ci dicono che alcune di queste vittime innocenti non riescono a superare questo trauma e si tolgono la vita, come ha fatto Marco. Per questo ho parlato di sangue versato, del sangue di italiani innocenti indotti al suicidio. Ma non è solo quello dei suicidi il sangue, è anche quello dei bambini che non possono nascere. Chi riesce a sopravvivere alla disoccupazione o al fallimento della sua azienda, avrà comunque la vita distrutta (fino a che non riesce a trovare un nuovo lavoro o avviare una nuova attività), la disoccupazione giovanile impedisce a persone che potrebbero farsi una famiglia, di diventare genitori mettendo al mondo dei figli. Anche perché se in una coppia di giovani pure c’è uno che lavora, per effetto della deflazione dei salari unita alla precarietà dovuta alle “riforme del lavoro” tese a far diventare il Paese più competitivo, queste giovani coppie non possono neppure ottenere un mutuo per comprare la prima casa, figurarsi programmare la nascita di figli. Non solo l’euro è responsabile di quanto già è accaduto sino ad oggi, ma la situazione continuerà a peggiorare sino a livelli per noi inimmaginabili: Grecia e Spagna, che si trovano già ora nella situazione cui noi saremo condannati a trovarci in futuro, se non saremo usciti dall’euro, hanno raggiunto il 60% di disoccupazione giovanile! Per fortuna la soluzione a questo problema è possibile: occorre uscire dall’unione monetaria (non dall’Europa, solo dall’euro). Chi cerca di farci credere che questo epilogo sia impossibile, chi fa del terrorismo su questo scenario, chi rema a favore di un prolungamento della sesta fase del ciclo di Frenkel in Italia, ha una gravissima responsabilità, si sta macchiando del sangue di tanti italiani innocenti. Dopo tutto l’euro non è una persona, è solo uno strumento di morte, è chi ha la paternità politica della sua adozione e del suo mantenimento il vero assassino, ma per evitare querele è meglio che io mi fermi qui.

Se la prossima raccolta di fondi per far volare nuovamente lo striscione ad agosto avrà buon esito (tornate sul sito nei prossimi giorni per ricevere informazioni oppure scrivetemi all’indirizzo info@truccofinanza.it per esprimere sin da ora la vostra disponibilità a sostenere l’iniziativa con una donazione), ripeterò il volo a ferragosto, data in cui era originariamente programmato (poi, per via di una promozione imperdibile, ho scelto di anticipare anche a luglio, benché non avessi ancora pronto il “manifesto” anti-euro definitivo). Potete sostenere questa battaglia anche senza donare, semplicemente aiutando a divulgare questa denuncia segnalandola a quante più persone possibile.



Per comprendere bene il rapporto di causalità tra moneta unica e declino della nostra economia, da cui deriva il drastico aumento della disoccupazione, sarebbe meglio per voi se vi documentaste bene leggendo un libro dedicato all’argomento quale “Il tramonto dell’euro” del professor Bagnai, economista italiano che sta dedicando tutte le sue energie a combattere questa battaglia, anche attraverso un blog dai contenuti gratuiti. Nella speranza che lo facciate, mi voglio comunque cimentare in un articolo divulgativo rivolto a tutti per cercare di spiegare in breve questa tremenda crisi in cui ci troviamo. Spero di essere chiaro.


Non vorrei annoiarvi troppo con delle nozioni di economia, purtroppo però è necessario. Ma cercherò di farla breve. Per capire come stanno le cose vi debbo parlare del ciclo di Frenkel (trovate le spiegazioni di questo ciclo su internet e ne “Il tramonto dell’euro“, pag 134-164, io la farò esageratamente breve, perché questo non è un trattato di economia). Ogniqualvolta nella storia una nazione in via di sviluppo ha agganciato la sua moneta a quella di una nazione con una economia più forte, e nel contempo ha liberalizzato la circolazione dei capitali, tutte le volte si è verificata una concatenazione di eventi che va sotto il nome di ciclo di Frenkel, dal nome dell’economista che l’ha teorizzata, che ha portato a spiacevoli conseguenze per il Paese che si è agganciato alla valuta forte. Adottando l’euro, la cui emissione è centralizzata e sottratta alla iniziativa nazionale, “l’Italia e gli altri Paesi PIIGS si sono ridotti al rango di paesi emergenti che devono prendere in prestito una moneta straniera” (citazione dal Nobel Krugman), ed il ciclo di Frenkel si è applica dunque anche a noi. Con una aggravante: che il meccanismo della moneta unica rallenta il processo o addirittura lo blocca nella fase sei, la fase deleteria, come vedremo tra poco. Ma andiamo con ordine. Un Paese che aderisce al cambio fisso con una valuta piùforte della propria, liberalizza i mercati finanziari interni ed i flussi di capitali dall’estero, sta entrando in un ciclo di Frenkel. Se al cambio fisso sostituiamo la moneta unica, erede diretta del marco tedesco, moneta più forte della nostra lira, il discorso non cambia di molto (se non per la maggiore difficoltà a uscire dalla fase sei).




Nelle fasi iniziali del ciclo ha luogo un’enorme flusso di capitali esteri dai paesi più forti (ove i tassi sono più bassi) verso i paesi più deboli (a inflazione e tassi leggermente superiori quindi più remunerativi), determinando così un forte indebitamento estero sia pubblico che, soprattutto, privato (frutto di una concessione eccessiva di credito). Questo credito facile favorisce il surriscaldamento dell’economia e l’inflazione nei paesi periferici e determina un aumento delle importazioni che va di pari passo con una riduzione delle esportazioni (perché le loro merci diventano via via meno competitive). Da parte sua la Germania comprime i salari e tiene bassa l’inflazione, realizzando nei fatti una svalutazione competitiva (i suoi prezzi relativi restano più bassi); senza quella correzione che il mercato normalmente realizza con il riallinemento del cambio (in questo caso senza moneta unica si avrebbe avuto un apprezzamento del marco e un deprezzamento delle altre valute) il surplus tedesco ed il deficit dei PIIGS nel saldo dei conti con l’estero diventano strutturali. E così la bolla del debito estero si gonfia sempre di più. Ma a metà del ciclo, quando l’eccessivo gonfiarsi della bolla del debito estero minaccia di scoppiare, di solito un evento catalizzatore provoca un brusco dietro-front (nel nostro caso la crisi dei subprime dagli USA), i creditori esteri ed i mercati che si scoprono all’improvviso troppo esposti iniziano a temere per il rientro dei loro investimenti, e si ha un deflusso netto di capitali. Da qui lo spread che abbiamo imparato a conoscere: il tasso di interesse sui debiti pubblici e privati si incrementa sensibilmente (incorporando i rischi di controparte ma anche di svalutazione, che il mercato è abile a prevedere, intuendo l’insostenibilità del cambio fisso o dell’unione monetaria) e si determina un credit crunch (stretta creditizia), sia dovuta alla sfiducia delle banche straniere a prestare, che alla difficoltà delle banche locali. Qui inizia l’inferno, la diabolica fase sei del ciclo in cui siamo ormai intrappolati da tempo: si entra in recessione e poi in depressione economica, il governo che non sa far di meglio è costretto ad adottare politiche di austerità pro-cicliche che acuiscono la crisi, riducendo la spesa pubblica e quindi anche i redditi privati che ne derivano. I tassi di interesse elevati scoraggiano gli investimenti produttivi, lo stato alza le tasse e magari non paga i debiti verso le imprese, le aziende devono tagliare i costi, alcune chiudono, alcune si trasferiscono, alcune falliscono, fallendo si trascinano dietro anche le aziende e le banche loro creditrici, lo Stato è costretto ad intervenire e subito dopo deve tagliare la spesa e applicare nuove tasse perché non può aumentare il proprio deficit. Ma il calo di consumi e spesa privata fanno comunque crollare le entrate fiscali e quindi il debito pubblico diventa ingestibile e costringe lo stato a nuovi tagli. Ovvie le implicazioni sull’occupazione, che inizia a calare drasticamente e costantemente. I mercati, che sono meno irrazionali di quanto si creda, sono i primi a comprendere che questo circolo vizioso non può che portare all’insolvenza se non si corre subito alla fase sette, e rendono la situazione ancora più insostenibile con la loro azione speculativa che accelera l’aumento dei tassi di interesse. Ma proprio grazie all’azione dei mercati (che fanno velocemente esaurire le riserve di valuta pregiata della banca centrale del paese emergente fino a che questa si ostina a difendere il cambio fisso), per i Paesi a valuta sovrana che si erano agganciati ad un’altra valuta, la fase sei si consuma velocemente e la nazione è costretta ad abbandonare il cambio fisso e svalutare, cioè passare alla settima ed ultima fase dei ciclo di Frenkel (come fece ad esempio l’Italia ai tempi della lira, quando fu costretta ad uscire dallo SME).


Al contrario, la situazione dei paesi PIIGS dentro l’eurozona, ora che non hanno più una loro moneta sovrana, è terribilmente più pericolosa e apparentemente senza uscita. Passare alla fase sette del ciclo di Frenkel, soprattutto per un Paese come l’Italia con fondamentali economici relativamente forti (l’Italia infatti, non dimentichiamolo, è in avanzo primario nei suoi conti pubblici), permetterebbe infatti di avere una forte propulsione grazie alla svalutazione, e riportare velocemente l’economia sulla carreggiata della crescita. L’euro invece crea i presupposti perché una nazione possa incancrenirsi nella depressione economica molto più a lungo (basti pensare alla Grecia), rispetto ad una “normale” fase sei, per varie ragioni, non solo perché priva i mercati finanziari della possibilità di obbligare lo sganciamento del cambio, ma anche perchè è più complicato (ma per fortuna non impossibile), riconquistare la sovranità monetaria e tornare ad una propria moneta nazionale, e poi per via del meccanismo infernale Target 2 con cui in teoria si può alimentare – tramite la BCE – quasi all’infinito, un indebitamento estero illimitato. E allora che succede? Accade che non potendo svalutare le lire (o la dracma, l’escudo, la peseta, la sterlina irlandese) che ormai non esistono più, i mercati svalutano tutte le altre attività finanziarie italiane, a partire ovviamente dai titoli di stato, fino ad arrivare alle azioni delle aziende quotate, che divengono facili prede dei creditori esteri (e tanti “gioielli di famiglia”, se ci si sofferma nella fase sei, passeranno in mani straniere).



Molti dei fattori citati sopra (aziende che chiudono o licenziano, stato che riduce il pubblico impiego) non fanno che abbassare i livelli occupazionali, e questa accresciuta disoccupazione, purtroppo, è funzionale alla strategia suicida di deflazione interna per riconquistare la competitività rimanendo nell’euro, e consente di evitare il più a lungo possibile di passare alla fase sette, ovvero al ripristino del cambio fluttuante e della sovranità monetaria. Livelli elevati di disoccupazione infatti sono utili a far calare i salari (come spiega la curva di Phillips): infatti se aumenta l’offerta di lavoro (per via del maggior numero di disoccupati) scende il suo “prezzo”, cioè il livello dei salari. Questo mentre l’emergenza finaziaria permette di derogare alle regole della democrazia e di smantellare diritti dei lavoratori acquisiti in decenni in poche settimane. Ma può questa strada della “deflazione interna”, per quanto dolorosa, riportare un Paese come l’Italia sul sentiero della crescita? No, serve soltanto a prolungare quasi all’infinito la fase sei del ciclo di Frenkel! Perché se anche fosse che una maggiore disoccupazione e minori salari possano far calare l’inflazione e recuperare competitività verso la Germania (perché è vero anche che la competitività non dipende solo dal costo dal lavoro, ma anche da investimenti in ricerca e sviluppo), al tempo stesso essi contribuiscono, insieme alle politiche di austerità fatte dal Governo (con tasse portate a livelli demenziali come quelle italiane), a far crollare la domanda interna e deprimere l’economia, con l’effetto paradossale di far crescere invece che diminuire il rapporto debito/Pil (sia debito pubblico che privato), che così diventa vieppiù insostenibile. Prova ne è che la situazione di un Paese come la Grecia, da più tempo e con maggior forza avviata su questo sentiero, non fa che peggiorare, con livelli di disoccupazione totale e giovanile, arrivati a livelli del 27% e del 60% rispettivamente! Anche la Lettonia, che ha tentato la strada della “svalutazione interna” (cioè l’abbassamento dei salari) nel 2007, ha avuto come risultato un crollo del PIL superiore al 20%!

La sola soluzione ai problemi dei paesi PIIGS (a meno che l’Europa diventasse una unione fiscale come lo Stato italiano, dove la Germania ed i Paesi del Nord Europa accettassero di redistribuire centinaia di miliardi di euro ai paesi periferici, cosa impensabilee forse nemmeno desiderabile), è quella di sfondare la porta ed uscire dall’euro. Questo scenario, su cui viene fatto un inaccettabile terrorismo, pone problematiche tecniche non indifferenti, ma tutte risolvibili (se ne sono occupati in particolare economisti quali Roger Bootle e Jacques Sapir, oltre ai nostri Alberto Bagnai e Claudio Borghi Aquilini). Qualunque exit strategy certamente ha anche dei costi (uscire dall’euro non sarà indolore come non esserci mai entrati, la scelta intelligente fatta da Gran Bretagna ed altre nazioni europee), ma se vi informerete su questo aspetto, di cui oggi non ho tempo di parlarvi, scoprirete che sono costi di gran lunga inferiori a quello che certi media vorrebbero farvi credere, e di gran lunga meno sanguinosi dei costi della permanenza nella moneta unica, anche ammettendo che sia possibile restare a tempo indeterminato dentro questa unione monetaria.



Il prezzo di non voler vedere questa soluzione e di continuare ancora a lungo a pagare questi costi, è la condanna di molti italiani ad avere la vita distrutta da una depressione economica senza fine.



Il prezzo è la svendita della nostra democrazia rimpiazzata dal regime di viscidi euro-burocrati che nessuno ha mai eletto (e degli economisti prezzolati loro complici), cui lasciare decidere la sorte dei cittadini italiani, un tempo popolo sovrano.



Il prezzo è la distruzione o la svendita all’estero delle imprese italiane, facendo terra bruciata e colonizzata del nostro invidiabile tessuto produttivo e manifatturiero.


Il prezzo è quello di condannare milioni di lavoratori italiani a salari da fame e lavoro precario, e altri milioni alla disoccupazione più odiosa, quella di chi sa che non ha speranza di ritrovare un lavoro, nonché condannare l’Italia ad un vertiginoso calo demografico.

Il prezzo è continuare a versare il sangue di tanti innocenti come Marco Cacciatore, e lasciare che il loro sangue sia stato versato invano.



Se avete letto questa denuncia e la condividete, per favore cercate di divulgarla il più possibile nella vostra cerchia di conoscenze.


Ringraziamenti

Vi rubo solo più pochi istanti per i ringraziamenti. Vorrei ringraziare Marco Cacciatore per avermi dato l’ispirazione (Dio, quanto vorrei che non me la avesse data e che fosse ancora tra noi) ed avermi costretto a ripetere l’iniziativa degli striscioni volanti contro l’euro, benché io sappia che è una forma di lotta molto poco efficace (ma non sapevo cosa altro potevo fare?). Se qualche suo familiare stesse leggendo colgo l’occasione per esprimergli le mie condoglianze. Ringrazio i patrioti che hanno contribuito a finanziare una parte dei costi del volo di oggi e tutti coloro che contribuiranno a finanziare il volo di ferragosto (se siete tra questi scrivetemi a info@truccofinanza.it per esprimere la disponibilità a versare, indicando anche quale cifra), saranno elencati i nomi di chi accetterà di apparire in un futuro articolo, c’è spazio anche per degli sponsor commerciali (scrivere allo stesso indirizzo di sopra per info). Ringrazio gli attivisti che non hanno potuto contribuire per impossibilità di natura economica ma faranno del loro meglio per diffondere questa iniziativa. Ringrazio Carmen Gallus, editrice dell’ottimo sito web Voci dall’estero, per aver sacrificato una domenica di sole a correggere ed ottimizzare la bozza di questo piccolo manifesto anti-euro. Ringrazio i giornalisti o i conduttori di trasmissioni televisive di contenuto politico economico che vorranno intervistarmi (naturalmente gratis, oppure versando un contributo per il prossimo volo, io non voglio che qualcuno possa anche solo pensare che combatto questa battaglia per intascare qualcosa) e darmi la possibilità di diffondere questa denuncia (tra pochi giorni avrò il materiale video del volo che posso mettere a disposizione per la realizzazione di servizi). Ringrazio tutti i politici che vorranno sostenere questa lotta nelle sedi istituzionali e mi metto a a loro disposizione a titolo completamente gratuito per fornire tutte le informazioni che posso (ma sappiate che non sono un economista accademico). Ringrazio la compagnia Aertraining Lavoro Aereo per aver fatto delle condizioni di particolare favore per il servizio. Con l’aiuto di persone come voi e con il vostro impegno in questa battaglia, forse l’Italia ha una speranza.

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