martedì 18 febbraio 2014

Stati Uniti d'Europa: questo è il sogno che si preparano a venderci

USE. Tanto simile ad USA, capace di evocare forza, grandezza, leadership, un sogno di superpotenza con cui cullare gli elettori europei: questo è quello che si preparano a comunicare gli apparati europei, questa è la visione incantatrice, l'arma contro il montare dell'euroscetticismo in tutt'Europa, per contrastare il successo, in Francia, in Olanda ed in Grecia, dei partiti che chiedono l'uscita dall'Unione Europea Monetaria e l'abbandono dell'euro. L'unione politica dopo quella monetaria e bancaria (quest'ultima per la verità ancora da attuare pienamente).

Una visione ritenuta vincente dalla Commissione Europea. Viviane Reding, Vice Presidente della Commissione si spinge già a tratteggiarne il funzionamento: "Abbiamo bisogno di costruire gli Stati Uniti d'Europa con la Commissione come Governo e due Camere, il Parlamento Europeo e un Senato degli Stati Membri." In quest'ottica i Governi ed i Parlamenti nazionali rimarrebbero, ma con un ruolo politico minore, esclusivamente a livello locale, come da noi un Consiglio ed una Giunta regionale, in ogni caso sottoposti al Governo ed al Parlamento federale.

Per sostenere questa costruzione l'EU metterà in campo tutte le armi comunicative e suggestive; un aiuto, secondo Barroso, lo daranno le commemorazioni per il centenario dello scoppio della Prima Guerra Mondiale. Il messaggio, lanciato dal il Presidente della Commissione in un suo discorso ad Atene è stato: "nessun altra costruzione politica ad oggi ha dimostrato di essere migliore nell'organizzare la vita sociale per diminuire la barbarie in questo mondo. ... Noi non dobbiamo mai considerare come garantite pace, democrazia o libertà e questo è soprattutto importante da ricordare a maggio, quando i popoli europei saranno chiamati a partecipare alle elezioni". Una vera e propria "chiamata alle armi" del cittadino europeo per contrastare l'avanzata dei partiti euroscettici, definiti da Barroso di estrema destra e populisti, la cui affermazione potrebbe, secondo il messaggio che farà parte della campagna pro-Europa, condurre di nuovo l'Europa alla guerra.

Tralasciando i toni apocalittici e rimanendo con i piedi per terra, questo sogno di un unione politica ha qualche possibilità di tradursi in realtà? Ci sono le condizioni politiche sociali ed economiche per realizzare gli Stati Uniti d'Europa? Ad oggi la risposta non può essere che negativa.

Quattordici anni di moneta unica, invece di unire le genti e creare un unico mercato armonico di beni e servizi ha ridestato ed acuito le tensioni fra Stati che sembravano sepolte dopo la Seconda Guerra Mondiale. L'unione forzata di economie funzionalmente diverse, con diversi gradi di sviluppo e basate su principi diversi, lasciate libere di competere fra loro, senza quella armonizzazione e cooperazione che lo stesso Trattato di Maastricht considerava come fattori essenziali per il funzionamento e la crescita dell'Unione Europea, ha portato alla creazione di differenziali di inflazione che hanno "messo nell'angolo" le produzioni dei dei paesi più deboli, creando disoccupazione, deindustrializzazione e l'erosione di quel sistema di welfare e tutele che hanno contribuito alla pace sociale dagli anni '90 in poi. Su ciò si è innestata, trovando il terreno ideale, la mai sopita volontà di supremazia tedesca, attuata non più attraverso l'aggressione militare, ma con la conquista economica e l'utilizzo di un consapevole e cinico mercantilismo a danno principalmente dei propri "fratelli" europei.

Nessuno degli strumenti che avrebbero potuto mitigare gli effetti negativi (largamente previsti) di questa unione imperfetta è stato messo in campo: non il sostegno diretto della BCE ai Paesi in difficoltà, vietato espressamente dal Trattato UEM, non i trasferimenti da parte della Banca Centrale, sul modello della FED, di un bilancio europeo (tenuto non a caso al minimo), per ridistribuire risorse, non la possibilità di acquisto dei titoli pubblici dei singoli Stati, come prestatore di ultima istanza, da parte della BCE, per "raffreddare" e tenere bassi gli interessi sul loro debito. L'inesistenza di azioni cooperative si è poi unita alla severità degli interventi sanzionatori in caso di sforamento dei parametri di Maastricht: la Commissione europea, insieme al Fondo Monetario Internazionale ed alla BCE, la famigerata Troika, ha imposto, in cambio di sovvenzioni agli Stati, rigide e spietate politiche di austerità, a base di tagli feroci alla spesa pubblica, dismissioni e flessibilizzazione del mercato del lavoro, sulla base di teorie economiche ultra-liberiste, tanto indifferenti alla sofferenza dei popoli, quanto inefficaci a sanare gli squilibri se non al prezzo della distruzione dei redditi dei cittadini e l'eliminazione dei diritti sociali conquistati negli anni passati.

Sullo sfondo di questo panorama di desolazione suona oltremodo beffardo il monito di Barroso: non solo la pace e la democrazia non sono più garantite adesso di quanto lo erano sessant'anni fa, ma mai come adesso la democrazia corre il pericolo di diventare un vuoto meccanismo di elezione di rappresentanti, senza alcun reale potere, e lo Stato un mero apparato applicativo di norme decise ed approvate altrove, che rinuncia ai propri compiti costituzionali, tradendo il suo scopo e la sua funzione.

In queste condizioni l'unica vera difesa della pace e della libertà è rappresentata dall'azione volta a sciogliersi dall'abbraccio mortale dell'Eurozona, dalla riconquista della sovranità nazionale, semplicemente per poter effettuare quelle politiche necessarie a tutelare i propri cittadini e svolgere i compiti assegnati dalla Costituzione e dal ripudio di quelle politiche economiche che vedono il lavoro sempre più svilito ed i diritti sociali calpestati.

I veri patrioti europei sono gli euroscettici.

lunedì 10 febbraio 2014

Uscire dall’euro: il piano di Geert Wilders per l’Olanda

di Alessandro Guerani - 07/02/2014 - 


Lo studio di Capital Economics discute benefici e problemi dell'addio alla moneta unica per i Paesi Bassi. Mentre il Freedom Party è in testa alle proiezioni per le elezioni europee


Il leader del partito di destra olandese Freedom Party Geert Wilders ha presentato ieri uno studio economico, commissionato alla società di consulenza inglese Capital Economics, che presenta i benefici per l’Olandarivenienti da una sua uscita non solo dall’Eurozona ma dalla Unione Europea, inserendolo dentro al programma per le elezioni europee su cui chiamerà gli elettori olandesi a votare.

USCIRE DALL’EURO: I VANTAGGI – Lo studio di ben 157 pagine affronta i vantaggi di un’uscita dell’Olanda sotto due punti di vista. Il primo riviene dalla maggiore crescita riveniente dal potere decidere politiche commerciali ed industriali, fuori dal quadro regolatorio europeo, e soprattutto dalla ritrovata autonomia monetaria e fiscale che potrebbe essere indirizzata verso le esigenze precipue dell’economia olandese e non essere più un “one size fit all” come obbligatoriamente è quella della BCE e delle regole di Maastricht, rafforzate dai vari Fiscal Compact, Two Pack, Six Pack, eccetera che lo studio stesso ritiene comunque ritagliate solo sulla situazione della Germania. Ricordiamo infatti che l’Olanda ha un pesante problema di debito privato, che sta raggiungendo quasi il 300% del reddito disponibile delle famiglie ed è, includendo anche gli operatori non finanziari, oltre il 220% del PIL, motivo per cui lo Stato ha già dovuto nazionalizzare due delle quattro principali banche olandesi, ABN Amro e SNS Reaal.


È chiaro che una politica monetaria deflazionistica è l’ultima cosa che serve per chi è molto indebitato e già fa fatica a restituire i soldi, quindi capite la presa che anche solo quest’argomento potrà avere sull’elettorato. Infatti lo studio afferma che l’Olanda, che ha visto un drastico calo dei consumi interni dall’inizio della crisi nel

martedì 4 febbraio 2014

FAQ sull'Euroexit, di Jacques Sapir

Ci sono alcune domande, riguardo l'uscita dall'euro, che tornano a ripetersi e a cui è importante dare risposta. Sapir propone sul suo blog un riepilogo delle più frequenti e significative .


di Jaques Sapir

Il dibattito sull'uscita, o sulla dissoluzione dell'Euro, suscita una serie di domande che continuano a ripetersi. Raccogliamone alcune nella nota che segue, al fine di chiarire il dibattito.

1 - Differenza tra deprezzamento e svalutazione della moneta

Questi due termini sono oggi usati come sinonimi. In realtà fanno riferimento a cose leggermente diverse.
Svalutazione è un termine usato quando la valuta ha un regime di cambio fisso, sia esso rispetto a un metallo (l’oro, l’argento o entrambi) o a una moneta (la Sterlina, il Dollaro, etc.). La parità è garantita dallo stato, che si impegna a scambiare una certa quantità della sua moneta contro una certa quantità del riferimento, metallo o un’altra valuta, a un tasso di cambio determinato. Si parla di svalutazione quando questo tasso viene ribassato ufficialmente. La svalutazione veniva praticata nei sistemi monetari a tasso fisso (per esempio Bretton Woods). Per analogia, se un governo si impegna a garantire una parità della propria moneta entro dei margini di oscillazione noti (+ o - 5%) rispetto ad un tasso di cambio, ma poi annuncia che la sua moneta fluttuerà oltre i vecchi limiti, si parla di svalutazione o rivalutazione a seconda della variazione che avviene quando questi limiti vengono superati.
Il deprezzamento è la diminuzione del tasso di cambio della valuta sul mercato dei cambi in assenza di un interventodiretto dello stato o della Banca centrale. Lo stato o la Banca centrale possono, tuttavia, continuare ad intervenire con delle "operazioni di mercato" (acquisto o vendita di altre valute), con interventi sui tassi di interesse, o anche, nel caso della Banca centrale, con la decisione di acquistare grandi quantità di titoli di debito (pubblico o privato).

2 - Il deprezzamento dell’Euro potrebbe essere un'alternativa alla dissoluzione dell'Eurozona, al ritorno alle valute nazionali e al deprezzamento di queste monete? 

Questa domanda si pone regolarmente ogni volta che si accumulano tensioni all’interno dell’eurozona. Consideriamo pure come alternativa alla dissoluzione dell'Euro il suo deprezzamento nei confronti del dollaro. Ma, in questo caso, si tende a dimenticare:
Il fatto che in un processo di deprezzamento dell'Euro, la parità implicita di ogni paese rispetto all'Euro non cambia. Tuttavia, il problema risiede nelle differenze di incrementi annuali di produttività e di inflazione all’interno della zona Euro. Sembra impossibile trovare un tasso di cambio che soddisfi tutti i paesi aderenti, che hanno economie strutturalmente molto diverse.
Il fatto che non tutti i paesi hanno lo stesso grado di integrazione nella zona Euro. La Francia è uno dei meno integrati, mentre il tasso di integrazione della Spagna e dell'Italia è molto più elevato. Se l'Euro si deprezzasse, la Francia quindi se ne avvantaggerebbe molto di più dei suoi due vicini del sud. Sostenere l'idea del deprezzamento dell'euro rispetto al dollaro è, in certo senso, volere la morte dei paesi mediterranei.
Per mettere in atto tale deprezzamento, sarebbe necessario che la Banca Centrale Europea acquistasse massicciamente (tra i 700 e i 1400 miliardi) il debito pubblico emesso dai singoli Stati. Tuttavia, quando questa possibilità (OMT) è stata sollevata da Mario Draghi, è stato per importi molto più piccoli. Non è possibile per la BCE intraprendere una politica che presto sarebbe considerata incostituzionale dal punto di vista della Costituzione tedesca.

3 - Un deprezzamento della moneta sarebbe favorevole all'economia francese?

Va per la maggiore l’idea che, oggi, la concorrenza sul mercato dei prodotti non si fa sul prezzo ma sulla qualità. Questo limiterebbe l’efficacia di un deprezzamento. Un'altra idea molto diffusa sostiene che si possono ottenere gli stessi risultati con una svalutazione interna, ossia una diminuzione dei prezzi e dei salari in un paese considerato. Guardiamo allora ai risultati di queste diverse politiche.
Un deprezzamento della moneta (dell'euro in questo caso) ha effetti positivi sull'economia, come mostrato in un recente studio del CEPII [1]. Diversi studi che sono stati realizzati da centri di ricerca pubblici o privati, indicano che la competitività di prezzo rimane largamente dominante nel caso dei prodotti fabbricati in Francia. Dovremmo notare che questo studio considera un deprezzamento del 10%. È noto che le elasticità variano se si deprezza la moneta del 20% o più. Lo studio CEPII di fatto sottostima l'impatto positivo di un deprezzamento.
Lo studio citato del CEPII indica anche che una svalutazione interna avrebbe risultati equivalenti. Ma indica anche che questi risultati sarebbero molto più lenti nel manifestarsi. Tuttavia, in questo caso, si deve tener conto del calo dei consumi interni del paese.
Infatti, una svalutazione interna non è altro che una politica di deflazione, come venne chiamata negli anni '30, praticata da Ramsay Macdonald in Gran Bretagna, Pierre Laval in Francia e dal cancelliere Brunning in Germania. Data la presenza di varie rigidità nominali nei prezzi [2], e del fatto che i costi finanziari sono costanti in termini nominali, queste politiche si sono tutte rivelate delle catastrofi sociali ed economiche. Queste politiche sono in gran parte responsabili dell'aumento a oltre il 26% del tasso di disoccupazione in Spagna e in Grecia.
Gli esempi recenti della Gran Bretagna e soprattutto del Giappone mostrano tutti i benefici di un deprezzamento della moneta, che nel caso del Giappone è stata consistente.Una svalutazione interna non è un'alternativa ad una politica di deprezzamento della moneta, come mostrato da tutti gli esempi storici.

4 - Il deprezzamento della moneta rende inutili gli sforzi per una politica di riforme strutturali.

Questa è una delle domande più frequenti, che implica che solo lo sforzo, e quindi la sofferenza, paga in economia. Si riconosce qui la base cristiana del ragionamento. Va anche aggiunto che non si dice nulla sul chi debba fare questi sforzi...Nel merito, facciamo le seguenti osservazioni:
E’ necessario chiarire di quali riforme strutturali stiamo parlando. In realtà, sono quasi sempre riforme che conducono ad una diminuzione dei diritti sociali e dello stato sociale. Altre riforme, che riguardano la direzione della politica industriale, gli investimenti in ricerca e formazione, che sono le vere riforme strutturali, sono menzionate solo molto raramente.
Un deprezzamento della moneta, facciamo il caso di un ritorno al Franco accompagnato da un sensibile