venerdì 27 dicembre 2013

Paul De Grauwe "In Europa stessi errori degli anni '30"

Le Interviste de L'AntiDiplomatico: dopo Sapir, Ambrose Evans Pritchard, e il nostro Claudio Borghi, Alessandro Bianchi intervista il grande Paul De Grauwe, Professore di Politica economica alla London School of Economics e autore di "Economia dell'Unione Monetaria"



di Alessandro Bianchi

- In un suo studio recente, Design Failures in the Eurozone: Can they be fixed?, ha dimostrato come l'Unione monetaria europea non sia riuscita ad uniformare le cosiddette dinamiche di espansione e arresto – “boom and busts” - anzi la sua presenza ha di fatto amplificato gli effetti negativi per i singoli paesi membri. Ci può spiegare meglio le ragioni?

Ripeto spesso come la zona euro, al momento della sua creazione, appariva come una bella villa in cui tutti gli europei volevano entrare. Ma era una villa che non aveva un tetto. Quindi, fino a quando il tempo è stato buono, abbiamo continuato a voler restare tutti al suo interno, ma ora che il tempo è pessimo cresce la voglia di scappare.

In quello studio, in particolare, prendevo a riferimento uno dei fallimenti di progettazione, riguardante le dinamiche endogene interne all'Unione delle espansioni – “boom” – ed arresti – “busts” – dimostrando come la partecipazione alla zona euro abbia"spogliato" gli Stati delle vecchie protezioni lasciandoli in balia di effetti molto più ampi dei normali cicli tipici di tutti i sistemi capitalistici.
Nella zona euro le politiche monetarie sono centralizzate, ma il resto delle misure macroeconomiche rimangono nelle mani dei governi nazionali, producendo dinamiche peculiari e senza costrizioni per l'esistenza di una moneta unica. Come risultato, la dinamica dei “booms and bust” non può convergere a livello della zona euro, ma, al contrario, l'esistenza di un'unione monetaria ne amplifica l'ampiezza a livello nazionale, perché il tasso d'interesse è uguale per tutti i paesi membri. Ed è un tasso troppo basso per i paesi che registrano l'espansione e troppo alto per i paesi in recessione: quando Spagna, Irlanda e Grecia hanno incominciato a registrare alti tassi di crescita, anche l'inflazione ha chiaramente seguito il passo. Tuttavia, restando lo stesso il tasso d'interesse nominale deciso dalla Bce, il tasso d'interesse reale era, per quei paesi, eccessivamente basso, aggravando l'arresto e le conseguenze dell'esplosione della bolla creditizia alimentata dall'afflusso dei capitali dal nord Europa. L'opposto è accaduto per i paesi con bassa crescita o in recessione. L'Unione monetaria ed un solo tasso d'interesse, quindi, amplificano questi effetti distorsivi per le economie nazionali. 

- Professore in diversi suoi scritti lei aveva anticipato come l'austerità imposta ad i paesi europei avrebbe peggiorato e non certo migliorato l'andamento del rapporto debito/Pil. Esattamente quello che è successo. Ed ora la zona euro è anche molto vicina ad entrare in una pericolosissima spirale deflattiva. Si può dire che le autorità siano riuscite nell'impresa di commettere esattamente gli stessi errori degli anni '30? 

Dobbiamo essere molto precisi in proposito e differenziare la situazione americana da quella europea. Negli anni '30, gli errori erano stati commessi sia dalle autorità governative che hanno applicato politiche di austerità in una fase depressiva in cui era necessario dare stimolo alla domanda interna; ed anche da quelle monetarie, che hanno frenato l'accesso al credito dell'economia reale, producendo un drammatico circolo

venerdì 20 dicembre 2013

A che servono le tasse?

Le tasse, questo fardello che ci opprime e che ci porta via buona parte dei nostri sudati redditi...

Ci dicono, ci hanno sempre detto che con le tasse finanziamo la spesa dello Stato, i servizi che ci presta, i beni che ci fornisce e tutto l'apparato burocratico che gestisce questi servizi e questi beni. Poi arriva un giornalista convertito all'economia, seguace della Modern Money Theory di Mosler ed in televisione ci dice che le tasse non servono per finanziare l'attività dello Stato, ma servono principalmente a regolare i cicli economici prelevando più o meno risorse al settore privato (famiglie ed imprese), che regolano l'inflazione, drenando liquidità e che, in effetti un Paese ne potrebbe fare a meno, avendo la sovranità monetaria, perché potrebbe semplicemente stampare tutto il denaro che gli serve e spendere a deficit. Ecco ad esempio:




Capirete che una cosa del genere crea un certo disorientamento nell'ascoltatore medio, per cui cerchiamo di capirci qualcosa; iniziamo con un dato normativo: cosa sono le tasse per la nostra Costituzione?

Art. 53.

Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacita' contributiva.

Il sistema tributario e' informato a criteri di progressività.

Secondo la Costituzione, quindi, le tasse sono il concorso di ciascun cittadino alla spesa pubblica in ragione della propria capacità contributiva; in altre parole ognuno di noi, a seconda di quanto guadagna, è tenuto a versare una percentuale del proprio reddito allo Stato e questa percentuale sale più che proporzionalmente, man mano che il reddito personale è più elevato: questo è il concetto di progressività, illustrato nel secondo capoverso. Il risultato è che attraverso il prelievo fiscale si attua una ridistribuzione del reddito nazionale, poiché, a parità di servizio erogato, chi guadagna meno paga meno ciò che lo Stato gli fornisce, così attenuando lo squilibrio fra livelli diversi di reddito.

lunedì 16 dicembre 2013

Sapir: "Bisogna unire le forze a sinistra e destra che hanno capito il pericolo Euro"




L'Intervista esclusiva all'economista francese Jacques Sapir
di Alessandro Bianchi

Jacques Sapir. Economista, direttore del Centre d’Etude des Modes d’Industrialisation (CEMI-EHESS). Autore di "Bisogna uscire dall'euro?" e "La demondialisation". 

- Professore, Lei è stato tra i primi economisti europei ed evidenziare i danni provocati dall'euro ed a chiedere la sua fine. In una delle ultime analisi ha scritto che si tratta di una sorte inevitabile. Secondo Lei, quanto tempo ancora ci vorrà e da quale paese potrà partire l'iniziativa? 

A questo punto bisogna distinguere due problematiche. La prima riguarda l'analisi della situazione economica che l'euro ha creato e delle sue conseguenze. Da ormai quasi tredici anni osserviamo che l'euro non solo non ha prodotto le convergenze macroeconomiche sperate, ma ha invece accentuato le divergenze. L'ho detto a più riprese, e ormai questa mia posizione riscuote consenso tra gli economisti. Constatiamo anche che l'euro rappresenta un enorme freno per la crescita nella maggior parte dei paesi che l'hanno adottato, ad eccezione, ovviamente, della Germania. Per finire, si osserva che l'euro fa aumentare i deficit, tanto interni quanto esteri, e che porta verso un debito sempre più grande dei paesi che sono entrati nell'Unione economica e monetaria. Tutto questo è abbondantemente documentato da numerosi autori. Siccome l'euro può funzionare solo in una spirale di impoverimento per la maggior parte dei paesi, ne deduco che è destinato a fallire.
Ma, qui, abbiamo una seconda problematica: le condizioni che determineranno la fine dell'euro. Tali condizioni possono creare una crisi catastrofica generata sul mercato obbligazionario. Al momento, la situazione resta stabile grazie alla Banca Centrale Europea. Ma la credibilità di quest'ultima sta nel fatto che non è stata messa alla prova. Prima o poi i mercati testeranno la risoluzione della Bce, e allora Mario Draghi si ritroverà fortemente in difficoltà. Queste condizioni potranno anche provenire dalle tensioni politiche crescenti che l'Euro genera sia tra i paesi membri dell'UME, sia all'interno degli stessi, dove le forze anti-europeiste prendono sempre più peso. Queste tensioni potranno ad un certo punto mettere gli attori politici di fronte alla necessità di dissolvere la zona euro o di uscire dalla moneta unica.
Per quanto mi riguarda, ho sovrastimato la rapidità delle evoluzioni finanziarie, sulla base di quello che avevamo conosciuto nel 2008-2009. Ma questo non cambia niente all'analisi di fondo. 

- Sul suo blog RussEurope, ha ipotizzato ad un possibile ritorno allo Sme dopo l'eventuale dissoluzione della zona euro. Qual è secondo Lei la migliore strategia per uscire dall'euro per i paesi dell'Europa meridionale? 

Un ritorno allo Sme implica che ogni paese ritrovi la propria valuta nazionale. La questione della strategia è qui centrale. I paesi dell'Europa del Sud possono scegliere tra prendere la decisione di uscita in modo indipendente o chiedere la dissoluzione della zona euro. Se alcuni paesi, come l'Italia, la Francia, la Spagna dicessero durante un Consiglio Ecofin che sono pronti a lasciare l'euro ma che è preferibile lo scioglimento

domenica 15 dicembre 2013

I “materiaprimisti” come se la passano?


L’euro-pa intera è in stagnazione (per non dire in deflazione), strangolata dalla massa di debiti privati esplosi negli anni del credito facile. Il fenomeno è stato fortemente accentuato dai bassi tassi d’interesse in tutta la zona euro, avuti da quando la moneta unica è stata creata. Questi tassi così bassi hanno innescato la bolla immobiliare in tutti i Paesi che avevano tassi molto più alti. Paesi come la Spagna, la Grecia, il Portogallo e anche la stessa Italia sono passati da saggi d’interesse a doppia cifra a tassi che sono andati per lungo tempo anche vicini al 3%. In queste Nazioni, in troppi hanno voluto approfittare dell’occasione indebitandosi pesantemente, favoriti da un offerta creditizia a dir poco ESAGERATA, ipotecando così i futuri (e MAI CERTI) guadagni. Dopo il crack leman Brothers del 2007, in euro-pa, le cose non hanno fatto che peggiorare. La zona euro, a causa della rigidità del cambio e delle asimmetrieeconomiche tra i vari Paesi membri, ben nascoste sino allo scoppio della crisi dei sub-prime in USA, ha messo a nudo tutta la sua fragilità di sistema non perfetto, dimostrando ancora una volta in più che la UE non è una “area valutaria ottimale”.

Le insolvenze a catena di aziende e famiglie dei PIIGS (ma non solo) hanno appesantito notevolmente i bilanci delle “allegrissime”banche prestatrici che a loro volta hanno chiesto aiuti ai governi, bloccando di fatto il credito a tutti i livelli. A nulla sono serviti gli LTRO(il denaro regalato alle banche all’ 1% da Draghi) all’economia reale: essi sono stati interamente utilizzati per acquistare il debito pubblico. Si è voluto aiutare esclusivamente le banche permettendo loro di fare “cassa” introitando la differenza tra il tasso del prestito ottenuto (1%) e i tassi di rendimenti di BTP, Bonos ecc.

Come abbiamo più volte constatato, nella crisi della EZ il debito pubblico centra come il cavolo a merenda. Nella UE, prima che esplodesse il debito privato, il rapporto debito/PIL (escludendo Grecia ed Italia) era bassissimo dappertutto. Irlanda, Portogallo e Spagna lo avevano addirittura più basso della Germania stessa. Da sempre sostengo che la crisi globale è stata innescata dal RAFFREDDAMENTO dei consumi in UE e nel resto dei Paesi avanzati (che rappresentano il 60% del PIL mondiale), riversandosi a cascata sugli emergenti e sui Paesi in via di sviluppo. Una enorme onda di ridondanza che potrebbe durare per diversi anni ancora.



Vediamo come stanno andando i BRICS, ma anche gli altri Paesi esportatori, soprattutto di materie prime. Tutti stanno rivedendo al ribasso le stime di crescita di PIL. Anche la Cina crescerà notevolmente di meno di quanto pronosticato ad inizio anno.

Brasile: La bilancia Comm. Brasiliana nei primi 11 mesi dell’anno fa registrare un incremento +1,42 miliardi di $; La banca centrale carioca ha fatto ben 20(venti) interventi sul saggio d’interesse dal 01/01/2011 al 06/12/2013. Il picco massimo è stato del 12,5% (07/2011) e il minimo del 7,25% (10/2012). Oggi il tasso d’interesse è al 10%. A partire dal picco minimo del 10/2012 (7,25) è stato un continuo ritoccare all’insù e nell’arco di 15 mesi è aumentato di ben il 2,75%. Il Real si è svalutato del 30% ca, passando da 1,66 a 2,36 per singolo dollaro USA in 25 mesi. Una politica monetaria abbastanza controversa, poiché in periodi di

lunedì 9 dicembre 2013

La moneta, Kaldor e la MMT

So che mi farò dei "nemici" o perderò degli "amici" (i termini vanno presi in modo ovviamente iperbolico), ma oggi voglio spiegare perché il caposaldo della MMT sulla creazione di moneta non ha validità reale, comunque non è applicabile al nostro Paese e, in generale, a nessun Paese che non inizi con U e non finisca con... nated States of America! Cominciamo col chiarire un concetto fondamentale:

LA MONETA NON E' ESOGENA

Molte persone inizieranno a storcere il naso: ecco adesso comincia con gli inutili tecnicismi... Abbiate pazienza, ma i termini "esogeno" ed il suo opposto "endogeno" hanno un senso nel discorso, per cui cerchiamo di definirli in maniera chiara e comprensibile: allora, un fattore si può definire "esogeno" quando è esterno al sistema che influenza o al quale si applica, per cui il sistema non lo influenza o determina. Se pensiamo alla produzione agricola un fattore esogeno è la pioggia, la quale influenza la produzione, ma evidentemente non ne è in alcun modo influenzata o determinata. Al contrario un fattore è "endogeno" quando nasce all'interno del sistema che influenza o al quale si applica, cosicché i fattori interni al sistema lo influenzano. Nell'esempio precedente si può considerare endogeno il numero di addetti alla coltivazione impiegati, un fattore che evidentemente concorre a determinare la produzione agricola, ma ne è anche influenzato e determinato (se voglio una certa produzione ho verosimilmente bisogno di tot addetti). Chiaro, no?

Dire che la moneta non è esogena, e quindi è endogena, significa, in altre parole, che la quantità di moneta che è in circolo nel sistema economico non dipende da quanta ne viene immessa dall'esterno, quanta se ne stampa, ma è determinata da quanta il sistema ne chiede, ne ha bisogno per gli scambi; il corollario di ciò è che la quantità di moneta in circolo in un dato tempo non è conoscibile a priori e quindi non è controllabile. Guardate qui:

fonte: causaeffetto.investire oggi.it

Per chiarire: la BCE, agendo in piena logica monetarista, ha (avrebbe) come compito quello di mantenere la crescita della massa monetaria ad un tasso del 4,5%, considerato ottimale per mantenere il tasso di inflazione al 2%; ciò perché secondo le teorie monetariste la variazione della quantità di moneta in circolazione determina la variazione del livello dei prezzi e quindi il tasso di inflazione, questo per il principio (caro a Boldrin) per cui i prezzi sono calcolati dividendo la massa monetaria per la quantità di beni prodotti e quindi, se i beni rimangono costanti, un aumento della quantità di moneta ha come effetto necessario quello di aumentare i prezzi e quindi portare inflazione.

Bene, questo compito che si presume fondamentale la BCE, come si vede, non è MAI riuscita a compierlo: la massa monetaria (spezzata rossa) allegramente è sempre stata costantemente sopra il target prefissato, arrivando a crescere al tasso dell'11% (scala ordinate a sinistra). Chissà che orribile effetto sui prezzi dei beni! Ebbene no, l'inflazione (spezzata blu), fino all'inizio della crisi ha sempre viaggiato tra l'1,5% e
il 2,5% (scala ordinate a destra), dimostrando la sua regale indifferenza alla quantità di moneta in circolazione; ed infatti le politiche di restrizione monetaria successive alla crisi e poi, con il rischio del crollo bancario, di iniezione di liquidità via LTRO, non hanno avuto alcun effetto sulla crescita dell'inflazione, che ha proceduto in maniera antitetica, seguendo evidentemente altre logiche, tra cui l'andamento della domanda e dell'offerta di beni di consumo e produzione, il calo dell'occupazione (la famosa curva di Phillips la cui insistenza a riaffermarsi nella pratica fa tanto angustiare i liberisti...) ed il crollo dei redditi, anche via tassazione.

giovedì 5 dicembre 2013

Le Cazzate di Udo Gumpel in TV.




Ieri mattina abbiamo avuto modo di analizzare parte dell’uscita domenicali del buon Udo Gumpel nel confronto televisivo con Magdi Cristiano Allam. Oggi analizzeremo un’altra parte del suo intervento, un’ulteriore affermazione pronunciata dal medesimo, sempre nel corso della stessa trasmissione, Omnibus di La7: l’Irlanda oggi non è più un PIGS!

Davvero? E cosa avranno mai fatto per meritarsi la palma di nazione affidabile e rigorista da parte di giornalisti di siffatta natura? Quali passi da gigante avranno mai effettuato per uscire fuori da una delle più colossali crisi che un fragile e minuscolo sistema paese abbia mai vissuto nella sua storia? Cerchiamo di capire chi sono quest’isolani che io adoro forse persino più dei miei compaesani. Uno degli stati da sempre più poveri dell’Europa occidentale (a fine anni 60) che ad un certo punto divenne uno dei più prosperi dell’area sino al punto di guadagnarsi l’appellativo di tigre celtica.

Computer, farmaceutica, tecnologia medica, servizi internazionali, elevate competenze professionali al servizio di questi settori e tanto altro ancora, ad alto valore aggiunto, determinarono l’espansione economica irlandese degli anni ’70. Gli anni ‘80 invece furono anni di inflazione (all’11% annuo circa) e alta disoccupazione giovanile. All’inizio degli anni ’90, invece, elevati tagli alla spesa pubblica e alla tassazione aziendale (che attirò I.D.E.), ad esempio l’imposta sulla produzione fu fissata al 10%, determinarono l’arrivo di numerose multinazionali che, facendone la piattaforma logistica per i mercati europei, determinarono una prima ripresa espansionistica.

Intorno al 2000, oramai la popolazione era in crescita e le sue condizioni economiche erano notevolmente migliorate. L’avvento dell’euro, congiuntamente alla crescita della domanda di beni e servizi, in particolar modo per le abitazioni, scatena una crescita impressionante che porta la nazione ad esser considerata sempre più un modello da seguire. E però, peccato, il problema era che prese il via il boom edilizio. Nel 1990 le case erano 1,2 milioni, in meno di 20 anni raddoppiano di numero. È chiaro che la pressione di una tale domanda di abitazioni in così breve tempo, unita alla grande disponibilità di capitali affluiti dal nord-europa in cerca di impieghi con dumping sui tassi, ne fa salire prezzi e rendite. Il “mattone” inizia a rendere tantissimo, la speculazione edilizia diviene il settore fondamentale dell’economia e, piano piano, prende forma la Irish

Crisi Grecia: offerte di lavoro senza stipendio!!

Da KeepTalkingGreece: La nuova regolamentazione del lavoro raccomandata dalla Trojka in Grecia produce i suoi frutti...che si cominciano a vedere anche da noi.




Nella Grecia della recessione e dei nuovi accordi di finanziamento col FMI la realtà del mercato del lavoro si è trasformata nel nostro peggiore incubo. I datori di lavoro non solo pagano i propri dipendenti con fino a sei mesi di ritardo. Un nuovo fenomeno si è presentato recentemente nel mercato del lavoro greco. Offerte di posti di lavoro su base volontaria. In tempi di debiti, disoccupazione e disperazione, i cittadini europei sono costretti non solo a lavorare per un pezzo di pane in un paese onerato dai debiti con i prezzi al consumo che restano spudoratamente alti. Ora, i dipendenti sono anche invitati a lavorare senza stipendio, a lavorare per niente. Per nessuno stipendio affatto, su base volontaria. L'unico premio per il dipendente disperato è la brillante prospettiva di essere scelto come volontario dell'anno.

Pubblico alcuni esempi dei più recenti sviluppi nel mercato del lavoro greco, nella speranza che qualcuno si rivolga alla Corte europea dei diritti dell'uomo.

Lavorare per niente

Nella Grecia del capitalismo sfrontato e selvaggio, gli interessi privati e il profitto diventano luoghi di sfruttamento selvaggio e di condizioni precarie del mercato del lavoro, mentre allo stesso tempo si asseconda la nobile causa del volontariato, un'attività altruistica per il miglioramento della vita umana e la promozione della buone cause.

Società privata di Atene cerca volontari per il Dipartimento di Marketing, orario di lavoro 09:00-17:00, almeno per quattro giorni al mese.
Conoscenze richieste : lavoro di squadra, voglia di imparare, ecc.
Offerte: esperienza di vita, soddisfazione morale, contatto con altri volontari, certificazione di volontariato,

martedì 3 dicembre 2013

Il prof. Rinaldi: Vi spiego pregi e difetti del piano anti euro di Grillo.





Dal V-Day di Genova, Grillo ha lanciato le sue proposte contro la moneta unica in vista delle Elezioni europee. Idee e slogan che non convincono sino in fondo Antonio Maria Rinaldi, docente di Finanza Aziendale all’Università Gabriele d’Annunzio di Chieti-Pescara e autore del pamphlet “Europa Kaputt – (S)venduti all’euro“, che in una conversazione con Formiche.net spiega aspetti positivi e contraddizioni dell'Europa immaginata dal leader dei pentastellati.

Beppe Grillo ha aperto ufficialmente da Genova la campagna elettorale per le prossime elezioni europee. Nel V-Day il leader dei Cinque Stelle ha abbozzato il programma con cui il Movimento cercherà di portare nel 2014 il maggior numero di deputati a Bruxelles: via il Fiscal compact, un Piano di emergenza di fuoriuscita dalla moneta unica, un’alleanza fra i Paesi mediterranei in chiave anti-tedesca; proposta simile a quella espressa di recente dall’ex presidente del Consiglio Romano Prodi. Idee e slogan che non convincono sino in fondo Antonio Maria Rinaldi, docente di Finanza Aziendale all’Università Gabriele d’Annunzio di Chieti-Pescara e autore del pamphlet “Europa Kaputt – (S)venduti all’euro“, che in una conversazione con Formiche.net spiega pregi e difetti dell’Europa immaginata dal leader dei pentastellati.

Professore, Grillo si è riscoperto anti-euro. Ha letto i suoi libri e quelli di Bagnai, dunque?
Circa venti giorni fa Grillo è stato intervistato da La7 e la videocamera lo ha ripreso mentre aveva il mio libro in mano, quindi direi proprio di sì. A parte queste note di colore, Grillo ha senz’altro il pregio di aver parlato di temi che nel mondo politico si ascoltano poco. Ma la sua proposta da Genova è stata quantomeno contraddittoria. Da un lato vorrebbe indire un referendum per l’abolizione della moneta unica. Dall’altro chiede l’abolizione del Fiscal compact, l’istituzione degli Eurobond, la possibilità di sforare il 3 per cento nel rapporto deficit/Pil. È ovvio che se uscissimo dall’euro le seconde richieste sarebbero inutili. È un punto di vista legittimo, ma molto diverso dal nostro.

Che cosa condivide e che cosa invece non la convince delle proposte di Grillo sull’Europa?
Anche io non sono un anti-europeista, ma credo che l’attuale impianto della moneta unica non possa reggere e che comunque penalizzi nazioni come la nostra. D’altronde ci sono molti Paesi che condividono con soddisfazione il progetto dell’Unione europea senza per questo aderire all’euro; non vedo perché dovrebbe essere un’eresia.

Entriamo nel merito delle proposte di Grillo.
Io ritengo del tutto impraticabile, se non proprio deleteria, l’ipotesi di un referendum. In primo luogo perché l’articolo 75 della nostra Costituzione vieta di usare lo strumento della consultazione popolare su temi come i Trattati internazionali. Per attuarlo bisognerebbe procedere a un lungo percorso di modifica costituzionale

Alberto Bagnai: Eh, ma i tedeschi hanno investito!


Voi l'avete mai sentito un piddino, uno di quelli puri e duri, di quelli che invocano la Wehrmacht, di quelli che farebbero rastrellamenti e decimazioni in tutti i ministeri (tranne quello dove lavorano loro), di quelli che chiuderebbero tutti gli ospedali (tranne quello del loro borgo), di quelli che "Berlusconi è un porco" (ma poi si scopano la vicina del piano di sopra), ecc. (ognuno di voi potrà proseguire questa enumerazione, questo deve essere un post corto)?

L'avete mai sentito?

Fra le tante scemenze che il piddino ci somministra, la più colossale è questa: "Eh, ma i tedeschi sono competitivi perché hanno investito!".

Ah sì? Tu da questo già capisci l'asino, perché il fatto è che siccome nihil ex nihilo, se uno è un esportatore netto, è quasi matematico che avrà investito troppo poco.

Ricordo brevemente perché (è più facile dei logaritmi, tranquilli). Il punto è semplice e deriva dall'uguaglianza fra offerta e domanda. L'offerta aggregata (il Pil) di un paese è Y, e il suo valore coincide con quello dei redditi distribuiti e quindi percepiti. La domanda, cioè la spesa (perché in macroeconomia la domanda non è un desiderio ma un acquisto) è la somma dei consumi delle famiglie, di quelli dello stato, delle spese per investimento degli imprenditori, delle spese che i non residenti fanno nel nostro paese (le nostre esportazioni), alle quali sottraiamo le importazioni, perché sono spese che noi facciamo in altri paesi, e quindi generano reddito in quei paesi, e non nel nostro.

Da qui deriva l'ovvia relazione:

Y = C + G + I + X - M

che si legge: il Pil è uguale alla somma della spesa per consumi (privati e pubblici), investimenti e esportazioni, meno le importazioni.

Bene: ora voi vi ricordate che se porto una cosa dall'altra parte dell'uguale il segno cambia, no? Non mi fate come Uga, vero (che ancora non deve effettuare questo doloroso passaggio, ma io già me lo pregusto: Vorfreude ist die schoenste Freude...).

Ecco, allora portiamo un po' di cosette a sinistra (operazione di questi tempi piuttosto difficile):

Y - C - G - I = X - M

Ora, ricordiamoci di una cosa molto semplice: cos'è il risparmio? Quello che si guadagna, meno quello che si consuma. Succede a noi singolarmente, e ci succede anche collettivamente. In altri termini, in contabilità nazionale il risparmio nazionale è S = Y - C - G. Se sostituiamo questa definizione, abbiamo la formuletta magica che fa capire tante cose:

S - I = X - M

ovvero: lo scarto fra risparmio nazionale e investimento nazionale (il risparmio "netto" di un paese) corrisponde allo scarto fra esportazioni e importazioni (le esportazioni "nette" di un paese, cioè il suo saldo commerciale).

Ne consegue che se in un paese X-M ha un valore abnorme, come accade in Germania con grande gioia di tutti, americani compresi, necessariamente dall'altra parte o il risparmio è altissimo (ma questo significa che il consumi devono essere rasoterra), o, se i consumi sono fisiologici (e quindi è tale anche il risparmio) dovranno essere bassini gli investimenti. Non si scappa: non è nemmeno matematica (che potrebbe essere un'opinione, come i miei amici matematici esperti di congetture sanno): è aritmetica, esiccome i numeri naturali pare li abbia creati Dio, credo che da essi sia più difficile sfuggire che dalla morte.

Infatti:


Qui avete la media sul periodo 1999-2007 (dall'entrata nell'euro allo scoppio della crisi) del rapporto fra investimenti fissi lordi e Pil). Le fonti sono il WEO per gli investimenti totali e AMECO per quelli in fabbricati residenziali (dwellings). Ora, se ci fate caso, la Germania si piazza ultima come rapporto investimenti/Pil sia in termini totali (l'intera barra) sia escludendo gli investimenti residenziali (cioè considerando la sola barra blu). Pensate che in termini di investimenti non residenziali riesce ad essere, se pure di un pelo, sotto alla Grecia. I due paesi con il maggior livello di investimenti non residenziali sono Austria e Portogallo (guarda te)! E, comunque, anche in questa classifica, come in quella della spesapubblicaimproduttiva, stanno peggio dell'Italia solo paesi virtuosi: la Finlandia, l'Olanda, la Francia e la Germania...

Ma non è che c'è qualcosa della virtù che ci sfugge? A noi non so, ai piddini di sicuro.

E la morale della favola qual è? Che da che mondo è mondo, nella maggior parte dei casi non si diventa competitivi "investendo", ma in un modo molto più semplice e che alle élite tedesche viene tanto naturale (come ricorda l'imprescindibile libro di Vladimiro): fottendo il prossimo.

Amen.

lunedì 2 dicembre 2013

Prof. Bruno Amoroso: L'Euro è una attività di rapina dei risparmi dei cittadini


Monete sovrane svalutabili, o sarà la fine: dobbiamo uscire immediatamente dall’euro, per salvare la nostra economia e ripristinare la democrazia in Europa. Lo sostiene l’economista italo-danese Bruno Amoroso: l’euro non è che un dogma smentito dai fatti, mentre in realtà rappresenta un fattore devastante di disgregazione. Prima ha spaccato l’Europa in due, opponendo i 17 paesi dell’Eurozona ai 10 rimasti fuori, e ora ha diviso la stessa Eurozona, scavando un solco incolmabile tra nord e sud. La disastrosa moneta della Bce? Con la sua rigidità «è la causa prima dell’attuale situazione di crisi del progetto europeo». Un piano oligarchico, i cui gestori oggi hanno “gettato la maschera”: il rigore promosso dalla Troika formata da Bce, Fmi e Ue non è altro che l’esecuzione, in Europa, dell’ideologia neoliberista imposta dalla globalizzazione, che comprime i diritti del lavoro e mortifica lo Stato sovrano, disabilitandolo come garante dei cittadini. Fiscal Compact, Patto di Stabilità: sono gli strumenti con cui l’oligarchia finanziaria ha deciso di metterci in crisi.

O ci teniamo l’euro, ripetono gli eurocrati, o precipiteremo in una devastante crisi economica e sociale. E’ ridicolo: «Noi siamo già dentro la più grave crisi economica e sociale del dopoguerra», innescata proprio dalla moneta della Bce. «L’euro è divenuto uno degli strumenti che paralizzano le possibilità di risposta e di politiche economiche diverse», spiega su “Sinistra in rete” il professore dell’università di Roskilde, allievo di Federico Caffè. Attenzione: l’euro-rigore non è frutto di politiche “sbagliate” o di passaggi necessari verso una maggiore efficienza dei mercati e una ripresa dei sistemi economici, ma è «una vera e propria attività di rapina dei risparmi dei cittadini europei e di esproprio dei sistemi produttivi dei paesi del sud». Non errore, ma dolo. Ed è un piano che parte dal lontano, aggiunge Amoroso, citando le indagini ufficiali svolte negli Usa sulla crisi finanziaria del 2008. «Non si è trattato di casi di avidità personale e corruzione, ma del fatto che dagli anni ‘80 sono state rimosse gradualmente tutte le forme di regolamentazione introdotte dopo la crisi degli anni ’30, senza introdurne di nuove».

L’élite finanziaria ha preso il potere, e in Europa lo strumento di questo super-potere si chiama euro: gli Stati costretti ad acquisire la moneta attraverso il sistema bancario, i debiti pubblici controllati da investitori esteri, le agenzie di rating all’improvviso promosse come uniche regolatrici dei nuovi strumenti finanziari, inclusi i titoli tossici. «Al contrario degli Stati Uniti, né l’Italia né l’Unione Europea hanno mai investigato quegli stessi