mercoledì 25 febbraio 2015

La Grecia è corrotta? Sì, ma...



Ringrazio Francesca Cosentino, una ex manager, oggi in crisi ed esodata, che su Twitter ha dato luogo ad un ampia discussione su corruzione, crescita, crisi economica e situazione italiana e greca con Maurizio Cocucci, che mi segue sul blog ,perché mi hanno fatto venir voglia di scrivere ancora sulla Grecia, dopo il post sugli effetti della crisi.

Sì, possiamo dirlo, la Grecia è una Nazione con un alto tasso di corruzione. Nessuno può negare che nel paese ellenico vi è un perverso intreccio fra oligarchi e politica e che i primi possano usufruire di favori da parte dell'amministrazione pubblica, sia riguardo agli appalti che riguardo alla possibilità di eludere controlli fiscali e farla franca. Era corrotta prima dell'entrata nell'eurozona e lo è ancor più adesso (e prossimamente vedremo perché).

Il punto è però: è questa la causa della crisi? Il crollo del PIL dal 2008 ad oggi, l'alto debito pubblico, l'elevata disoccupazione, la perdita di competitività, la chiusura di aziende, il crollo dei redditi, sono tutti fenomeni spiegabili semplicemente con una corruzione arrivata a livelli insostenibili?

Vediamo intanto qualche dato sulla dinamica economica del Paese:




Gli indicatori sono disastrosi ed il confronto con il resto dell'eurozona, pur in crisi, impietoso: la Grecia risulta avere un andamento ed un livello peggiore in tutti i parametri analizzati e questo lo sapevamo. Ma il secondo grafico ci dice qualcosa di interessante e meno scontato: subito dopo la crisi del 2008 e fino al'inizio del 2010 la situazione delle famiglie era accettabile. I salari avevano tenuto, così come il welfare, ed anche se i consumi ed il reddito disponibile erano in calo la situazione sembrava in linea con quella degli gli altri Paesi periferici. Poi, dal 2010, il crollo verticale di tutti gli indicatori, crollo che si accentua nel 2011 per quanto riguarda salari e prestazioni sociali.

Cosa succede nel 2010 e nel 2011? Succede che, dopo che nel dicembre 2009 l'allora premier Papandreou rivela (!) al mondo che il debito della Grecia è superiore a quanto comunicato dal precedente governo, nel maggio del 2010 l'Unione Europea ed il Fondo Monetario Internazionale approvano un piano di salvataggio di € 110 mld., ma, in cambio, viene stilato un memorandum, dove sono indicati minuziosamente gli interventi da fare.

Gli interventi da attuarsi immediatamente sono:

- Aumento delle aliquote dell'IVA.
- Aumento delle accise su carburante, tabacco ed alcolici.
- Riduzione dei salari pubblici con la riduzione delle gratifiche pasquali, estive e natalizie e delle indennità degli impiegati.
- Eliminazione delle gratifiche pasquali, estive e natalizie per i pensionati, con salvezza di quelli che guadagnano fino a 1900 euro l'anno.
- Cancellazione del fondo per le emergenze .
- Riduzione delle pensioni più elevate.
- Abolizione della maggior parte dei fondi di solidarietà sociale (eccetto una parte del fondo per i poveri).
-_Riduzione degli investimenti pubblici per € 500 mln..
- Approvazione di una legge per l'aumento delle aliquote progressive per tutti i tipi di reddito e per l'introduzione di un'aliquota fissa sui redditi generati da lavoro e patrimoni.
- Approvazione di una legge che elimini ogni esenzione ed inserisca la previsione di una tassazione autonoma (retroattiva a gennaio 2010) per le indennità riconosciute ai lavoratori pubblici.
- Approvazione di una legge che preveda statistiche mensili del bilancio dello Stato.
- Creazione all'interno della Banca di Grecia di un autonomo Fondo per la Stabilità Finanziaria a garanzia di potenziali insolvenze ed a supporto del sistema bancario greco.
- Revisione della legge sul fallimento, secondo le indicazioni della BCE.
- Riforma delle Pubbliche Amministrazioni locali, finalizzata a ridurre i costi di funzionamento ed i salari dei dipendenti.
- Revisione da attuarsi con il confronto con le parti sociali per rivedere il peso dei salari privati e gli accordi contrattuali.

Da attuarsi alla fine del 2010 sono:

- Introduzione del blocco dei turnover al 80%.
- Riduzione dei consumi intermedi della Pubblica Amministrazione per almeno € 300 mln..
- Riforma della PA con l'obiettivo di ridurre i costi nel periodo 2011-2013 di € 1.500 mln. di cui almeno € 500 mln. entro il 2011.
- Congelamento dell'indicizzazione delle pensioni.
- Riduzione degli investimenti finanziati internamente di almeno € 1.000 mln., dando priorità agli investimenti finanziati da fondi EU.
- Introduzione di una "tassa di crisi" temporanea sulle imprese ad alto profitto.
- Incentivazione a sanare abusi edilizi per ottenere almeno € 1.500 mln. nel periodo 2011-2013, con almeno € 500 mln. nel 2011
- Aggravamento della tassazione presuntiva degli autonomi
- Aumento della base imponibile IVA e riconduzione all'aliquota normale di almenno il 30% dei beni che godono aliquota ridotta.
- Introduzione di una "tassa verde" sulle emissioni di CO2.
- Espansione della tassa sugli immobili con la revisione delle aliquote catastali.
- Aumento delle tasse sulle licenze, comprese quelle per i taxi.
- Introduzione di una tassa speciale sull'occupazione abusiva del suolo.
- Aumento delle tasse sui beni di lusso.

Segue un elenco di interventi da farsi legislativamente, come ad esempio, l'allungamento dell'età pensionabile (se avete voglia e pazienza il memorandum completo lo trovate qui).

A questo memorandum ne seguiranno altri, di controllo e modifica secondo i risultati ottenuti, che vi consiglio di leggere perché evidenziano una certa soddisfazione per i successi (!) ottenuti nel consolidamento fiscale e strutturale che stride ferocemente con i drammi sociali da questi causati e del tutto ignorati nei report.

A luglio 2011 un altro memorandum viene presentato a fronte di ulteriori € 50 mld, di aiuti, il quale prevede:

- Riduzione degli impiegati pubblici con l'obiettivo di licenziarne 150.000 o almeno il 20% del totale impiegato entro il 2015.
- Chiusura di Enti e Agenzie statali non essenziali.
- Riduzione dei compensi ai pubblici impiegati, in linea con quanto avvenuto nel settore privato.
- Razionalizzazione e rimodulazione dei servizi sociali, incluso tetto alle pensioni e revisione delle indennità di disoccupazione.
- Riforma delle pensioni.
- Riduzione del numero dei lavoratori con lavori usuranti.
- Revisione del criterio di inabilità per le pensioni dei disabili.
- Taglio del 10% dei bonus forfettari nelle pensioni per i dipendenti pubblici.
- Riforma della sanità con l'introduzione di ulteriori controlli sulla spesa farmaceutica ed ospedaliera
- Eliminazione di esenzioni e regimi speciali di tassazione.
- Inasprimento delle norme tributarie per la riscossione.
- Piano di azione anti evasione fiscale.

I risultati, come abbiamo visto nei grafici non è stato quello che si aspettavano: il debito pubblico non si è ridotto e con il crollo del prodotto interno lordo (sceso nel periodo del 25%) è arrivato al 169% del PIL e la Grecia ha bisogno di altri fondi per andare avanti. Forse la spiegazione è che quei lazzaroni dei greci non hanno fatto quanto si chiedeva loro? Anche in questi giorni si ripete da parte degli organismi europei e dalla Germania che i greci devono fare di più. E' così? Non proprio:


Questo grafico, che l'OCSE ha prima tentato di cancellare e poi, subissato dalle proteste di chi l'aveva già visto, ha modificato e reso meno espressivo, mostra che i più solerti a fare le riforme (parola diventata ormai liturgica in un contesto liberista dal tono economico-religioso...) sono stati proprio i greci, con a ruota i portoghesi ed i spagnoli, ovvero tutt'e tre i Paesi che più hanno sofferto e soffrono per la crisi. Il titolo si può tradurre come "Il saldo delle riforme" ed evidentemente il saldo è totalmente negativo.

Si può dire quindi che la colpa è della corruzione? Se la corruzione esisteva anche prima della crisi e persino prima dell'entrata della Grecia nell'euro, circostanza che non mi pare discutibile, allora si possono fare due ipotesi: la prima è che, dopo il 2001 (data di entrata della Grecia nell'Unione Monetaria) e soprattutto nel 2010 i greci sono diventati TUTTI ignobilmente corrotti e nonostante le riforme draconiane tendenti a portare un po' di sana gestione non è cambiato nulla, oppure proprio le riforme con la loro azione pro-ciclica e quindi, in questo contesto di ciclo economico, depressiva hanno portato a tali risultati drammatici.

Io propendo per questa ultima ipotesi, voi non so.



venerdì 20 febbraio 2015

Quando era la Germania ad essere nelle mani della Commissione...



Riporto per i pochi, ma affezionati lettori di questo blog, l'articolo da me pubblicato su Scenari Economici (www.scenarieconomici.it).

L'esame di questo post di Krugman, tradotto dall'ottimo blog Voci dall'Estero, ed il grafico relativo mi hanno fatto venir voglia di vedere più da vicino quali sono state le condizioni imposte alla Germania dal trattato di Versailles, dopo la I guerra mondiale.

Ho scoperto che:
1- Il Trattato prevedeva un risarcimento di "tutti i danni arrecati alla popolazione civile degli alleati e alle loro proprietà in conseguenza dell'aggressione della Germania per terra, per mare e per aria" (art. 232)
2- Lasciava incerto l'importo del risarcimento che sarebbe dovuto essere determinato da uno speciale organo: la Commissione delle riparazioni.

Poi su la voce "riparazioni di guerra" della Treccani ho trovato questo brano che vi riporto con stralci (grassetto mio):

"Il principio francese delle riparazioni integrali, matematicamente cioè rispondenti ai danni arrecati, si presentò subito di difficile attuazione. Una nuova conferenza, a Londra (29 aprile-5 maggio 1921), fissò il cosiddetto "stato dei pagamenti", che per vari anni rimase il fondamento di discussione col Reich. In virtù sua fu stabilito come ammontare del debito la cifra calcolata dalla Commissione delle riparazioni oltre al rimborso dei prestiti fatti dagli alleati al Belgio.
Il Reich era così tenuto ai seguenti pagamenti annuali: 1. una somma fissa di 2 miliardi di marchi oro; 2. una somma corrispondente al 25% del valore delle esportazioni tedesche in ogni periodo di 12 mesi a partire dal 1° maggio 1921 o eventualmente una somma equivalente da fissarsi in base a un altro indice; 3. una somma supplementare eguale all'1% delle esportazioni o eventualmente una somma equivalente. Le annualità, prendendo come estremi il valore delle esportazioni tedesche nel 1921 (circa 4 miliardi di marchi oro) e il valore prebellico (circa 10 miliardi) potevano quindi variare da 3,04 miliardi a 4,6 miliardi di marchi oro.
Lo "stato dei pagamenti" trovò la Germania concorde nel ritenerlo superiore alla sua capacità e fu accettato come un'imposizione, in seguito all'ultimatum presentato dagli alleati il 5 maggio, accettato dalla Germania il 13. Un primo versamento di un miliardo fu compiuto il 31 agosto 1921. Tale pagamento fu prova evidente dell'incapacità del Reich a sostenere un aggravio sì elevato. Il governo dovette ricorrere alle riserve accumulate dai privati e dagl'istituti di credito e sopperire alle differenze ingenti con crediti esteri. Il cambio risentì sinistramente di questa operazione, e, se i crediti esteri ebbero il potere di arrestare la caduta del marco per breve tempo, non poterono però scongiurarla, ché la raccolta dei fondi da versarsi era alimentata da sempre nuove emissioni. La disastrosa situazione finanziaria, che comportava condizioni gravose per la concessione di prestiti esteri, determinò une sforzo intenso.
Dopo questo pagamento e dopo quello della quota della parte variabile dell'annualità, scadente il 15 novembre, la Germania comunicava il 14 dicembre 1921 di non potere adempiere agli obblighi delle scadenze dei prossimi mesi. Da qui le riunioni di Cannes (6-13 gennaio 1922) e Parigi (8-11 marzo 1922). La Commissione delle riparazioni il 21 marzo comunicava al governo del Reich la concessione di una moratoria parziale per il 1922 e l'ammontare da versarsi entro l'anno.
Alla conferenza economica di Genova (10 aprile-19 maggio 1922) la Francia si oppose a che fosse riposto in discussione il problema delle riparazioni. Il peggiorare della situazione obbligò la Germania a richiedere il 12 luglio una nuova moratoria per i pagamenti in specie sino alla fine del 1924. Tale domanda fu posta in discussione a Londra (7-14 agosto) in una riunione all'uopo convocata. Le conclusioni sue furono però nulle e il problema fu rinviato allo studio della Commissione delle riparazioni, la quale con deliberazione del 31 agosto decise di soprassedere a ogni nuova moratoria, finché fosse ultimato un progetto di riforma delle finanze tedesche, e di accettare provvisoriamente dei buoni semestrali.
Una nuova domanda di moratoria pervenne da parte del Reich il 14 novembre. Oltre alla moratoria, la Germania richiedeva una riduzione della cifra totale e l'appoggio per la conclusione di un prestito per risanare le finanze."

Ho evidenziato i punti che più mi hanno colpito nell'analogia fra Germania post I guerra mondiale e Grecia post crisi economica: se sostituite alla Francia la Germania e alla Germania la Grecia avete esattamente la dinamica del debito, delle richieste e delle concessioni fino ad oggi avutesi in Europa per lo Stato ellenico!

Ma la cosa fantastica è che se andiamo a vedere i poteri della Commissione che a norma del Trattato essa aveva nei confronti della Germania, sembra di leggere quelli attuali della Troika sui Paesi che hanno chiesto aiuto all' EFSF!

Art. 233 ... La Commissione stabilirà le modalità di pagamento con previsione delle epoche, e le modalità di pagamento da parte della Germania dell'intero suo debito entro un periodo di trent'anni...
Art. 234 La commissione delle riparazioni dovrà studiare periodicamente le risorse e le capacità della Germania... ed avrà i poteri per estendere il periodo e modificare le modalità di pagamento....
Art. 240 Il Governo tedesco riconosce la Commissione... riconosce ad essa irrevocabile l'esercizio dei poteri che ad essa conferisce il presente trattato. ...
Art. 241 La Germania si impegna a promulgare, mantenere in vigore e a far pubblicare tutte le leggi, regolamenti e decreti che potranno essere necessarie per assicurare la completa esecuzione degli impegni di cui sopra.

Questa rassomiglianza nei poteri di controllo ed indirizzo, poiché ambedue tolgono di fatto ogni sovranità al Paese sottoposto al loro potere, porta alla logica conclusione che uno Stato che ha dovuto, ricordiamoci, non per sua colpa, chiedere l'aiuto del Fondo Salva Stati è considerato e trattato come uno Stato che ha perso una guerra da esso scatenata.

C'è da meditare...

lunedì 16 febbraio 2015

La sola igiene del mondo


"Noi, popoli delle Nazioni Unite, decisi a salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all'umanità, a riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell'uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nella uguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole." (Preambolo statuto ONU)

"Quando i ricchi si fanno la guerra, sono i poveri che muoiono" (Jean-Paul Sartre)

"Solo i morti hanno visto la fine della guerra" (Platone)
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Ci sono di nuovo venti di guerra che spirano in Occidente: L'Italia “è pronta a combattere, naturalmente nel quadro della legalità internazionale. Non possiamo accettare che a poche ore di navigazione dall'Italia ci sia una minaccia terroristica attiva”, così il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni venerdì scorso, il quale ha parlato di "guerra" vera e propria e non di "missione di pace" o altro simpatico eufemismo. Guerra.

Intanto: può l'Italia legittimamente fare o partecipare ad una guerra all'Isis?

"L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali" (art. 11 Cost.). Secondo l'articolo citato, la nostra Costituzione, e quindi l'Italia, ripudia ogni conflitto, anche non da essa scatenato, pur se utilizzato per risolvere una controversia internazionale già in atto. Cosa si intende per controversia internazionale? Secondo la Treccani "Una controversia internazionale sorge quando si verifica tra due o più Stati un contrasto di atteggiamenti soggettivi in ordine a un determinato conflitto d’interessi.". Perché si abbia controversia è necessario una posizione chiara delle due parti; se non c’è chiarezza non si parla di controversia, ma al massimo di conflitto. Ci deve essere quindi un disaccordo su un punto di diritto o di fatto, un contrasto di posizioni giuridiche o di interessi.

Paradossalmente un intervento armato contro un gruppo di guerriglieri che si sono impadroniti di una parte di un territorio altrui, dichiarandolo Stato autonomo, e che tengono soggiogata la popolazione locale o comunque senza aver costruito alcun patto sociale, imponendo la Shaaria come legge, sarebbe pertanto a stretto rigore ammissibile, se richiesto ed autorizzato dall'ONU. 1 a 0 per Gentiloni, dunque. Ma il punto fondamentale è però un altro: sarebbe anche utile? Un'intervento sotto egida ONU, libererebbe noi e l'Occidente dalla minaccia jihadista? La risposta è no.

Come ci informa un articolo del fatto Quotidiano dell'agosto scorso "Tra Siria e Iraq lo Stato islamico conta oggi su circa 30.000 uomini, inquadrati in battaglioni da circa 2/3.000 uomini ciascuno. Già forte di armi leggere, lanciagranate e mezzi blindati, nella fulminante offensiva del 10-14 giugno, l’Isis si sarebbe impadronito di pezzi di artiglieria da 122 e 130 mm, mortai, oltre 200 veicoli di vari tipi (tra cui Humvee) e alcuni elicotteri. Sul tipo di armi, scrive Pietro Batacchi, direttore di Rivista italiana difesa, i qaedisti di Baghdadi si servono di “equipaggiamenti pesanti – catturati nelle caserme siriane o in quelle dell’esercito iracheno o agli altri gruppi ribelli siriani con cui Isis e’ in guerra – come carri armati, lanciarazzi multipli, sistemi anticarro”.". Si tratta pertanto di un piccolo esercito, ma ben armato e finanziato, grazie anche al bottino della presa di Mosul, che ha permesso di acquisire alcuni fondi della Banca Centrale irachena e di altri istituti di credito, pari a 425 milioni di dollari e svariati lingotti d'oro.

Quale guerra potrebbe sconfiggerli? Non certo una mera guerra di bombardamenti, come sembrano pensare i governanti europei e Obama: i bombardamenti uccidono prevalentemente i civili, anche perché le attrezzature militari e logistiche che non siano infrastrutture vengono di solito nascoste o poste fra le abitazioni, le fabbriche e gli ospedali come deterrente. Qui non si tratta di bombardare dei campi nel deserto di addestramento militare, ma guerriglieri che stanno su un territorio abitato. E' necessaria quindi, come l'esperienza della guerra del Golfo ha dimostrato, la discesa in campo di truppe. 

Sono i nostri governanti consapevoli di ciò? Sanno che già l'esercito iracheno ha provato a sconfiggerli, senza riuscirci? Come ci informa l'articolo del FQ, "le forze armate irachene sono composte da un esercito formato da ben 14 divisioni (56 brigate), 158 battaglioni ordinati in divisioni, una dozzina di battaglioni di formazione, tre brigate di truppe speciali, per un totale di circa 270.000 uomini. A questo si aggiungono decine di migliaia di potenziali miliziani ausiliari arruolati prevalentemente nelle zone a maggioranza sciita e solidali col governo filo-iraniano di Maliki. Le brigate di fanteria sono equipaggiate con armi leggere, lancia granate, veicoli blindati. Le brigate meccanizzate possiedono circa 300 carri armati americani M1 Abrams, altri carri sovietici T-54/55 e veicoli BMP-1. Il governo di Baghdad conta anche sull’aviazione, forte di due squadroni di velivoli di ricognizione, tre squadroni di elicotteri per il trasporto truppe ed elicotteri da combattimento, per un totale di circa 3.000 uomini". E non li hanno sconfitti, ma solo fatti espandere altrove.

Se vogliamo fare una guerra e vincerla dobbiamo quindi pensare di intervenire massicciamente per distruggere definitivamente la minaccia, con fortissime perdite di civili locali e gravi perdite anche di nostri soldati. Già, perché, qualcuno ricordi a Gentiloni, così preda di spirito guerresco, che in guerra si muore e (fortunatamente) il popolo italiano ed occidentale in genere, ad eccezione degli USA, non è più abituato a sopportare il peso del numero di lutti che provoca un conflitto. Politicamente poi sarebbe un disastro: l'Isis ha raccolto anche consensi locali nelle popolazioni sunnite e nelle tribù al confine dell'Iran che si sono sentiti discriminati dagli sciiti al governo e l'inevitabile uccisione massiccia di civili porterebbe al rafforzamento di un odio verso gli occidentali ed i cristiani, già colpevoli di avere abbandonato la popolazione al caos successivo alla cacciata di Gheddafi.

Vogliamo veramente una guerra? Come dice Waugh "la guerra non è che commercio" ed a livello macroeconomico è un gran motore per l'economia in tempi di crisi prolungate, fornendo una "domanda di beni" (armi, equipaggiamento, vettovagliamento, ecc.) che stimola la ripresa della produzione delle nazioni coinvolte e dell'occupazione. Altre ragioni, più sottili sono spiegate in questo illuminante post di Barra Caracciolo. Ma il risultato di una guerra anche vittoriosa all'Isis sarebbe comunque, come detto, meno sicurezza e più odio radicato, ovvero l'opposto di quanto voluto. Questa è spesso la logica della guerra.

Lo aveva capito Achille Campanile, che ad un circolo di ufficiali, ebbe il coraggio di dire: "Da che mondo è mondo perché si fanno le guerre? Per assicurarsi la pace. È raro che si faccia una guerra per arrivare alla guerra. [...] Se per assicurarsi la pace occorre fare la guerra, non sarebbe meglio rinunziare alla pace? Almeno non si farebbero le guerre. No! Perché se non si fanno le guerre che servono ad evitare le guerre, vengono le guerre."






mercoledì 11 febbraio 2015

Aridatece li sordi!


Dopo il (breve) periodo di solidarietà con Tsipras e la Grecia, appena il neo Ministro delle Finanze greco Varoufakis ha ventilato l'ipotesi di non restituire il debito accumulato dal suo Paese con gli aiuti del Fondo Salva Stati e del MES, un solo grido si è levato dal cuore (?) dei giornalisti, dei commentatori e dei politici di governo italiani: aridatece li sordiiii!!!

E sì, perché la solidarietà politica per chi, pur male e confusamente, si erge, o tenta di farlo, contro il dominio teutonico dell'Europa e contro il suo "bravo" (Troika) è un conto, ma quando si parla di circa 40 miliardi di euro (ma sono meno) che avremmo elargito per il salvataggio dello Stato ellenico e che rischiano di evaporare, allora tutti amici, ma i patti si rispettano, come ha precisato l'ineffabile Renzi.

Ed allora ecco che il povero popolo greco, del quale si piangevano le miserie e la perdita di quasi ogni diritto civile, diventano quelli che "hanno le pezze al culo perché in fondo sono corrotti" come ha mirabilmente sintetizzato Sabina Guzzanti in un tweet. Ma tutti questi indignati fustigatori hanno un idea di chi ha goduto di questi fondi e perché?

Come ormai ben sapete, o dovreste, il meccanismo dell'ESF prima e del MES dopo si basa sul principio della messa a garanzia di una somma, derivante dai versamenti effettuati dai singoli aderenti alla UEM che sono proporzionali alla grandezza del Paese (noi siamo i terzi contributori, dopo Germania e Francia), per emettere titoli di finanziamento a breve con il ricavato dei quali si sostengono con prestiti gli Stati che chiedono l'aiuto del Fondo. Tale aiuto è condizionato al rispetto di un "memorandum", ovvero di direttive precise economiche che il Paese in difficoltà dovrà rispettare per ottenere ulteriori tranches di finanziamenti. Ora, come vengono impiegati questi finanziamenti? I fondi precedenti al MES, come il EFSF (European Financial Stability Facility), dei quali ha usufruito anche la Grecia, sono andati a risanare il settore bancario dei Paesi che avevano visto collassare i loro bilanci per colpa dei troppi prestiti non ripagati dal settore privato, prestiti che erano stati finanziati dalle banche degli Stati del Nord Europa, Germania e Francia in testa, come si può vedere dalla composizione del debito estero greco



Al momento dello scoppio della crisi vi era un'esposizione verso il settore bancario francese di circa 56 mld e verso quello tedesco di circa 30 mld, poi in ordine di importanza vi erano gli inglesi e gli olandesi. Il settore bancario italiano era esposto per poco meno di 5 mld. Dopo la tranche di aiuti del 2011 il debito francese, che già si era ridotto, praticamente scompare e quello tedesco si riduce a pochi miliardi. In altre parole il settore bancario privato francese e tedesco, grazie agli aiuti elargiti da tutti gli Stati facente parte dell'Unione Monetaria, rientrano delle loro esposizioni con la Grecia. E' vero che i contribuenti tedeschi e francesi hanno dovuto versare la quota maggiore di contributi al EFSF, ma ciò che sfugge, e che i loro governanti si guardano bene dal rammentare, è che questi contributi sono serviti a salvare il loro settore bancario che si era pericolosamente ed imprudentemente esposto finanziando quello greco, di fatto quindi risparmiando notevolmente sui sussidi che sarebbero stati costretti a versare se avessero dovuto fare da soli. Il calcolo è che complessivamente i francesi abbiano risparmiato il 50% di spesa, mentre i tedeschi il 33% circa (considerando l'utilizzo dell'escamotage Target2, qui perfettamente illustrato).

Volete indietro i soldi? Allora telefonate a Holland e la Merkel e protestate vivamente: sono certo che saranno comprensivi...