mercoledì 9 luglio 2014

La colpa e la redenzione: l'ERF


Questo non è il titolo del solito sceneggiato di Canale 5 con Gabriel Garko, ma l'estrema conseguenza della follia economico-ideologica della UEM. Secondo i burocrati dell'Unione Europea siamo dei peccatori, ostinati nel perseverare nella colpa, e l'unica maniera per salvare le nostre anime (solo le anime, perché i corpi, come insegnava la Santa l'Inquisizione, sono dei meri involucri sacrificabili: chiedere alla Grecia per delucidazioni...) è sottometterci a dei sacrifici purificatori, per ottenere la redenzione, ed il mezzo è l'ERF,  European Redemption Fund.; in effetti il termine inglese "redemption" ha il significato anche di rimborso o riscatto, ma l'uso di "redemption" piuttosto che dei più normali "refund" "reimbursement" o "release" la dice lunga sul valore quasi mistico che l'economia ha assunto. Non dimentichiamoci che in tedesco (e sappiamo quanto la Germania influenzi la UE) "debito" e "colpa" usano lo stesso termine: schuld...

Cos'è l'ERF? Molto sinteticamente si tratta di una "bad company", un Fondo in cui vengono convogliati tutti i debiti pubblici dei Paesi membri dell'Eurozona, per la quota che eccede la soglia del 60% di rapporto debito/PIL, come stabilito dal fiscal compact. Ad esempio se uno Stato ha un rapporto D/PIL del 103% dovrà conferire in questo contenitore il 43% del suo debito misurato sul PIL. Convogliati tutti i debiti in capo alla bad company, secondo un procedimento di "roll in", ovvero di conferimento graduale del debito in rinnovo, che dovrebbe trovare il suo culmine dopo sei anni, questa emetterà man mano dei bond per acquisire la liquidità necessaria al rifinanziamento del debito in scadenza e questi bond saranno garantiti da vincoli di beni reali in garanzia che ciascun Stato sarà obbligato a fornire, in una misura fino al 20% del debito conferito. Nel frattempo ogni Paese dovrà ridurre di un ventesimo il proprio debito gestito dal Fondo, oltre a coprire gli interessi sul rifinanziamento. In pratica si tratta di un mega-mutuo che il Fondo contrae con gli investitori per conto dei singoli Paesi, i quali si impegnano a coprire e chiudere la bad company in un tempo stimato di 25 anni, ovvero poco più del tempo concesso dal fiscal compact per ridurre il debito pubblico ad ogni aderente all'Unione Monetaria. Come si può intuire la "rata del mutuo" per ogni Paese è diversa, a seconda dell'entità del debito pubblico convogliato nel Fondo. Il vantaggio di finanziarsi attraverso il Redemption Fund è quello di scontare tassi di interesse più bassi di quello che i singoli Paesi normalmente otterrebbero dal mercato, avendo queste emissioni di obbligazioni la tripla A, trattandosi di obbligazioni di un soggetto sovranazionale.

Cosa succede se uno Stato non riesce a ridurre il proprio debito della percentuale annuale prevista? Innanzitutto viene sospeso dall'utilizzo del finanziamento tramite bond, poi possono essere applicate delle misure fiscali straordinarie, preventivamente accettate dai Paesi aderenti, atte a recuperare quanto necessario ed infine possono essere utilizzate le garanzie reali prestate, con la vendita od acquisizione degli asset conferiti, al fine di reperire la liquidità mancante. Ma quali sono questi asset? Ecco l'elenco, nell'ordine: 
- asset patrimoniali nazionali (esempio per l'Italia, aziende come Finmeccanica, Eni, Enel),
- riserve auree,
- riserve valutarie,
- gettito fiscale.

Ora questo accanimento sul debito pubblico da abbattere a tutti i costi non può che essere definito furore ideologico, dato che, come sappiamo benissimo, il debito pubblico non è mai stato la causa della crisi, ma eventualmente, un suo effetto e, soprattutto, in Italia non vi è mai stato fino a qualche anno fa un problema di sostenibilità del debito: riporto il grafico esplicativo dello studio effettuato per la Commissione Europea nel 2011:


L'unico Paese fuori dall'area tratteggiata di insostenibilità è l'Italia (ah, sì, c'è anche la Lettonia...) e questo è uno studio pubblicato dalla Commissione Europea, quindi perfettamente a conoscenza dei nostri economisti, Monti in testa. Dico Monti non a caso, perché nel settembre 2012, proprio l'allora Presidente del Consiglio ha firmato per l'Italia l'attuazione dell'ERF, che è stato già approvato dal Parlamento Europeo. Al Parlamento italiano non resterà che ratificare l'accordo quando sarà stato messo a punto il meccanismo.

Perchè mi concentro sul'Italia, se questo è un fondo a cui parteciperanno tutti gli stati dell'Eurozona che non sono "aiutati" dall'EFSF (quindi non la Grecia e Cipro) e che tutti quindi utilizzeranno per ridurre il debito? Beh, innanzitutto perché da italiano mi interessa quello che accadrà al mio Paese, ma soprattutto perché, leggendo le previsioni di conferimento e le ipotizzate condizioni perché il rientro dal debito sia ottenibile, mi è venuto il sinistro sospetto che questo strumento sia stato tarato per noi. E non per il nostro bene.

Per poter rispettare il piano di rientro infatti dovremmo ottenere ogni anno un avanzo primario corrente stimato intorno al 4,2%, mentre attualmente viaggiamo intorno al 2,2%, quindi dovremmo migliorare l'avanzo primario del 2%, il che significa ulteriori tagli o tasse, visto che di crescita non se ne parla (il PIL nel 2013 è calato dello 0,4%, dati ISTAT). Non rispettando questa tabella di marcia automaticamente si applicherebbero le sanzioni sopra previste, quindi manovre fiscali eterodirette straordinarie (stile Grecia per intendersi, dove le leggi fiscali le scrivono ormai direttamente in inglese...) e vendita degli asset conferiti in garanzia, per arrivare all'acquisizione ed utilizzo della quota di fiscalità vincolata. Praticamente, essendo i maggiori conferenti di debito (attualmente stimabile in circa 1170 mld. da convogliare nel Fondo), e già sapendo di non poter reggere al ritmo di rientro imposto dal fiscal compact, la nostra partecipazione servirebbe semplicemente a costringerci a quelle manovre (patrimoniali, haircut conti bancari, ecc.) che gli Stati creditori, Germania in testa, ci hanno sempre amorevolmente consigliato e che finora abbiamo saggiamente evitato, facendoci avvitare ancor più in una spirale di recessione, aumento del debito, tagli, e così via fino alla distruzione (cessione) del nostro patrimonio economico e produttivo. E naturalmente non ci salverebbe più una uscita dalla moneta unica e dai suoi vincoli: l'emissione dei bond dell'ERF infatti, che sostituirebbero il rinnovo dei titoli di debito nazionali, a medio-lungo termine, sarebbe regolata da legge non italiana (presumibilmente inglese), per cui non si applicherebbe a quel debito la lex monetae, ovvero la possibilità di conversione in nuova valuta al tasso di cambio, come abbiamo visto qui.

Ma anche senza considerare questo rischio, e valutando oggettivamente il meccanismo di funzionamento, molti dubbi rimangono: ad esempio che questo ERF crei un pesante vincolo agli Stati partecipanti, con un'ulteriore rilevante cessione di sovranità fiscale (basti pensare alle manovre straordinarie che possono essere unilateralmente ordinate da coloro che vigileranno sull'applicazione della riduzione del debito) e reale (spossessamento di fatto di beni pubblici con possibilità di vendita forzosa) e forti rischi di democraticità lo dicono non i suoi detrattori, quei pochi che sanno della sua esistenza, ma gli stessi membri della commissione di studio che lo ha pensato e proposto: il German Council of Economic Experts, formato dai Prof. Dr. Dr. h.c. mult Wolfgang Franz, Prof. Dr. Peter Bofinger, Prof. Dr. Lars P. Feld, Prof. Dr. Christoph M. Schmidt, Prof. Dr. Beatrice Weder di Mauro, conosciuti anche come "i 5 saggi". Prima che ve ne usciate con "ecco, i soliti tedeschi maniaci dell'austerità e dell'abbattimento del debito ad ogni costo" vi devo avvertire che l'idea non era del tutto nuova: nell'ottobre 2011 con il titolo "L’Europa e la crisi dei debiti sovrani. Una proposta" un altro economista aveva proposto un meccanismo molto simile: Vincenzo Visco. Per il finanziamento dei bond il nostro ex Ministro delle Finanze aveva ipotizzato inizialmente una tassa sulle transazioni finanziarie, ma in caso di difficoltà di applicazione di essa aveva previsto "il finanziamento del servizio degli eurobonds a carico dei singoli Stati in proporzione al debito conferito nel Fondo mediante un esplicito ear-marking (destinazione prioritaria) delle loro entrate di bilancio al servizio del debito comune". I nostri governanti: sempre così in sintonia col pensiero tedesco...

Ecco alcuni passaggi delle conclusioni fornite dal GCEE nel loro studio del 2012:

The DRF/P (ovvero l'ERF) implies a significant transfer of sovereignty during the lifetime of the DRF/P (i.e. depending on the scheme 10 to 25 years), mainly through binding consolidation agreements and associated control powers.
...
To make a joint and several liability viable for highly rated countries the original proposal suggested that collateral to secure service of up to 20% of the transferred debt should be posted. This would however face legal and economic hurdles... Earmarking tax revenues for servicing the debt might also be considered, but this avenue may also raise legal problems (equal treatment; constitutional problems) and the scope for earmarking tax revenues appears modest in the case of some Member States.
...
Introducing a scheme of joint issuance of debt would inevitably pose new challenges for ensuring democratic legitimacy and accountability.
...
Even if legally possible, setting up a scheme of joint issuance of debt through a purely intergovernmental construction would present serious shortcomings and problems in terms of efficiency, democratic legitimacy and accountability. (le conclusioni integrali con lo schema di funzionamento le trovate qui, mentre i dati  e le tabelle aggiornati al 2012 e quindi non più attuali in valore assoluto, ma validi percentualmente sono qui).

Come si può vedere i proponenti, pur trovando auspicabile e positiva l'attuazione di questo fondo e del patto relativo, non nascondono che l'ERF sia un grande sacrificio, sia in termini di cessione di sovranità, che in termini meramente economici, né sottovalutano eventuali problemi, che considerano delle "sfide", riguardo la legittimità democratica e costituzionale di tutto l'impianto, specie se si andasse a toccare il prelievo fiscale, legittimità costituzionale che a mio parere, come per quasi tutte le costruzioni europee, manca infatti totalmente al progetto.

La nostra Carta, come è stato ribadito più volte, permette limitazioni alla sovranità solo ed esclusivamente quando siano "necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni" (art. 11) e mai per semplici scopi economici o a favore di organismi che perseguano scopi diversi da quelli previsti dalla norma. Una limitazione come quella prevista nel fiscal compact e che l'ERF dovrebbe semplicemente garantire ed agevolare, costringerebbe inoltre lo Stato italiano a dei sacrifici economici, i quali, anche se fossero fruttuosi (cosa di cui dubito fortemente...) porterebbero ad una riduzione della spesa pubblica che non permetterebbe all'Amministrazione il perseguimento dei suoi imprescindibili compiti di tutela e sviluppo di cui all'art. 3 comma II, ed esplicitati in numerose norme (artt.4, 9, 31, 32, 34, 38 solo per citarne alcune).

L'ERF è figlio dell'ideologia liberista espressa in tutte le sue azioni dall'Unione Europea, preoccupata solo del rigore dei conti e della stabilità dei prezzi, e come tale è antitetica alla costruzione democratica delle Nazioni europee, in primis dell'Italia. E' bene che questo concetto sia e rimanga sempre ben chiaro, perché deve essere la nostra guida per valutare ogni modifica che ci viene proposta all'assetto economico-istituzionale.

Ho detto che l'ERF è stato però già accettato dai nostri governanti e che manca solo la ratifica: sembra quindi che sia l'ennesima trappola in cui ci siamo (ci hanno i nostri politici, ma visto che li abbiamo scelti noi...) cacciati, ma forse potrà salvarci un aiuto inaspettato: quello della Germania, o meglio, la tirchieria un po' ottusa della sua classe dirigente.

Secondo i calcoli della GCEE infatti, la Germania, insieme all'Olanda, è il Paese che vedrebbe peggiorare il tasso di interesse con cui andrebbe a finanziarsi, aumentando dell'1% il costo del finanziamento: questo evidentemente non piace agli industriali, che già hanno dovuto inghiottire il rospo del salario minimo garantito, ed è difficile da far digerire ai contribuenti tedeschi ai quali è stata sempre raccontata dai suoi politici al potere la favola dei Paesi PIIGS spendaccioni e cicale con i soldi delle formiche del nord. Siccome ogni limitazione del diritto interno deve passare al vaglio del Parlamento e della Corte Costituzionale tedesca, ci sono buone possibilità che sia proprio la Germania a bloccare l'ERF ed a toglierci dal pantano in cui ci siamo ficcati.

Ci tocca proprio tifare per i nostri amati/odiati fratelli germanici...












giovedì 3 luglio 2014

La stronzata che ogni italiano nasce con un debito di 35mila euro..ecco la verità!!

Debito pubblico, debito pubblico, debito pubblico. Siamo a 2.100 miliardi che, rapportati a un Pil di 1.550, porta il rapporto debito/Pil al 132%. Se il Pil (somma di consumi di famiglie, investimenti di imprese, spesa pubblica e bilancia commerciale) crescesse un po’ di più il rapporto ovviamente si ridurrebbe e saremmo tutti più contenti. Ma il punto che vorrei sollevare in questo post non è tanto il motivo per cui l’Italia fa fatica a far crescere il Pil in questa fase (alla domanda manca la benzina, la moneta, il credito bancario ecc.) ma è un (falso) mito sul debito pubblico.

Spesso sentiamo dire che ogni italiano, appena nato, eredita un macigno sulle spalle che varia a seconda dei periodi storici e che in questo momento si attesta intorno a 35mila euro. Il calcolo che viene eseguito è il seguente. Debito pubblico/popolazione. Quindi se dividiamo 2.100.000.000 per 60.000.000 otteniamo 35mila euro. Secondo questo modo di ragionare ciascun italiano ha un debito pubblico di 35mila euro. Una sorta di onta, di peccato originale con cui convivere fino al giorno in cui la società andrà in paradiso e il debito pubblico non ci sarà più.

Questo ragionamento – che va per la maggiore anche in molti dibattiti televisivi – non corrisponde alla realtà. Per due motivi, estremamente intuitivi e paradossalmente (proprio perché così semplici) non presi in considerazione.

1) il debito di uno Stato non deve essere estinto ma deve essere semplicemente sostenibile e far sì che non produca una mole di interessi eccessiva. Lo dimostra il fatto che ad oggi non ci sono Paesi senza un debito pubblico;

2) ogni debito di qualcuno è il credito di qualcun altro. Non si scappa. Se io ho un mutuo, la banca ha un credito nei miei confronti. Se lo Stato ha un debito, chi detiene quei titoli di Stato non ha un debito ma un credito nei confronti dello Stato. Ebbene, in questo momento il Tesoro ci dice che sono in circolazione titoli di Stato per un controvalore di 1.815 miliardi a fronte di un debito pubblico di 2.089 miliardi (aggiornamento al 30 maggio). Questi 1.815 miliardi sono in mano per circa il 50-60% a banche e assicurazioni italiane, per il 10% a risparmiatori italiani e per la quota restante a investitori non residenti.

Questo significa che banche, assicurazioni, risparmiatori italiani, investitori stranieri non sono in una posizione debitoria nei confronti dello Stato italiano ma hanno un credito e incassano cedole dallo Stato italiano. Quindi il fantomatico italiano che dovrebbe dare 35mila euro allo Stato non solo non deve dargli questi soldi ma, qualora rientri in quel 10% di risparmiatori che hanno investito acquistando titoli di Stato, otterrà a scadenza l’importo investito, maggiorato degli interessi (salvo che lo Stato non dichiari default). Quindi deve ricevere, e non dare, dallo Stato.

E allora perché si parla tanto di debito pubblico? Perché questo genera degli interessi da pagare. Interessi che hanno fatto entrare l’Italia in un circolo vizioso. Dagli anni ’80 – quando c’è stato il divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia e la Banca d’Italia non ha più potuto controllare i tassi di interesse, né monetizzare il debito – la quota interessi da pagare è balzata alle stelle (del mercato). Da allora sono stati pagati oltre 3mila miliardi di interessi alla schiera dei creditori del debito pubblico, ben superiori all’attuale mole del debito pubblico. Questo è uno dei principali motivi per cui il debito pubblico negli anni ’80 è decollato, come dimostra questo grafico.

Quindi la storia del neonato italiano che nasce con un peccato originale che oscilla dai 30 ai 35 mila euro non è vera. E’ una storiella. Ciò che è vero è che per pagare gli interessi sul debito pubblico agli investitori (tra 80 e 90 miliardi di euro l’anno) lo Stato – avendo dei vincoli europei sul deficit e quindi sulla capacità massima di spesa – è costretto a reperire le risorse monetarie all’interno della società, prelevandole dai cittadini attraverso un aumento delle tasse o una riduzione della spesa pubblica. L’attuale riduzione dei tassi, e degli interessi nominali da pagare sul nuovo debito, è senz’altro una buona notizia in prospettiva perché dovrebbe consentire allo Stato – qualora decida di rimanere con gli attuali vincoli di bilancio europei senza rinegoziarli – di avere qualche miliardo in più l’anno, o meglio qualche miliardo in meno l’anno da prelevare ai cittadini.

Fonte: http://vitolops.blog.ilsole24ore.com/