venerdì 29 marzo 2013

VIDEO incredibile: THE GREAT EURO CRASH (SUB ITA)

Oggi postiamo il magnifico DOCUMENTARIO DELLA BBC SULL'EURO SOTTOTITOLATO IN ITALIANO che ovviamente è stato censurato dai nostri mezzi di informazione.
Per questo fantastico lavoro ringraziamo i ragazzi di twitter sempre sul pezzo @FedericoNero @KappaRar @spud85 che si sono presi la briga di sottotitolarlo in italiano per puro spirito di informazione.
 Grazie di cuore.


giovedì 28 marzo 2013

Dalla Germania: con Cipro inizia la fine dell'Euro

Heiner Flassbeck, grande economista tedesco, in questo periodo scrive molto e interviene sul caso Cipro direttamente dal suo interessantissimo blog "Flassbeck Economics": siamo di fronte all'ennesima decisione sbagliata presa da una Troika a trazione tedesca, è l'inizio della fine. Da Flassbeck Economics


Sul salvataggio di Cipro si è trovato un accordo, ma le modalità scelte per salvare il paese distruggeranno l'unione monetaria. Nella gestione della crisi cipriota gli errori commessi non riguardano solamente il piccolo paese mediterraneo. Sono ormai evidenti tutte le decisioni sbagliate prese in passato, la totale assenza di idee chiare da parte degli Eurosalvatori (stati creditori e Troika formata da EU, BCE e FMI) finalmente viene smascherata.


Per la prima volta dall'introduzione dell'Euro saranno applicati a tempo indeterminato controlli ai movimenti di capitali. Cio' che da molti viene considerato il vantaggio principale di una unione monetaria, e cioe' disporre di una valuta sicura e riconosciuta internazionalmente, per i ciprioti non avrà piu' senso. E lo stesso accadrà alla fiducia riposta in queste stesse caratteristiche della moneta da parte di chi la utilizza. Nessuno dei responsabili sembra aver riflettuto sul fatto che queste misure metteranno in discussione il contraltare della libertà di movimento dei capitali, vale a dire la libertà di movimento delle merci, meglio conosciuto come libero scambio.


Per non parlare dei danni politici permanenti causati dai diktat di risparmio e dal rigorismo imposto dai paesi creditori. E di tutte le sofferenze umane associate alle misure di austerità. Il fatto peggiore è che tutte le promesse fatte - fra un po' la valle di lacrime e di sofferenze sarà terminata e tutto andrà bene - non potranno essere mantenute fino a quando si continuerà ad applicare la "logica dei salvataggi", che invece ci porta sempre piu' a fondo nella crisi. Quanto piu' alle vittime di queste promesse sarà chiara la situazione, tanto piu' crescerà la loro collera nei confronti di chi ha fatto queste promesse, e tanto piu' si allontaneranno dall'idea di integrazione europea.


L'errore di fondo nella gestione della crisi risale all'inizio ed è stato portato avanti con forza dai media e dalle autorità tedesche: la trasformazione di una crisi finanziaria (nata da una crisi dei mercati finanziari) e di una Eurocrisi già iniziata (che era ed ancora è una crisi valutaria) in una crisi di debito pubblico. Questo errore ha aperto la strada ad una lunga serie di decisioni sbagliate arrivate in seguito.


Il seme della crisi cipriota è stato gettato con il fallimento del salvataggio greco. Il pensiero ingenuo secondo cui il taglio del debito in uno stato sovrano (quello applicato in Grecia lo è stato) potesse essere fatto senza danni collaterali, era assurdo fin dall'inizio. Non solo oggi la situazione debitoria in Grecia non è migliorata, ma doveva essere chiaro che non si poteva tagliare il debito di un paese senza avere un impatto significativo sulle banche (che in tutto il mondo insieme alle assicurazioni sono i detentori delle obbligazioni statali).


Dai paesi esclusi dai mercati finanziari si continua a pretendere una politica fiscale restrittiva (Wolf­gang Schäu­ble sul Financial Times del 5-9-2011: L'austerità è l'unica soluzione per l'Eurozona) e il taglio dei salari (di solito ridefinito "aggiustamento strutturale"). Questo tipo di aggiustamento mette in difficoltà il settore finanziario di ogni paese. In ogni recessione e depressione c'è sempre un forte aumento dei crediti incagliati e la minaccia di insolvenza in un settore bancario sottocapitalizzato. E' sempre lo stato a dover intervenire e a rassicurare i risparmiatori sul fatto che saranno tutelati in quanto depositanti.


Proporre un'unione bancaria come risposta a questo problema è stato politicamente ovvio, ma non va a centrare il vero obiettivo. Il problema di fondo della crisi finanziaria del 2008 era nel settore finanziario e nelle banche che svolgevano attività di investment-banking. E su questo non si è fatto molto. I problemi bancari causati da una depressione e dal taglio del debito, non si possono certo risolvere con una unione bancaria. Al massimo li si puo' attenuare se si aiutano i paesi colpiti ad aggiustare gradualmente le loro strutture finanziarie, evitando di farlo in maniera brusca. Anche dopo la crisi del 1997/1998 in tutto l'occidente con una certa arroganza si diceva che le banche asiatiche erano disastrate. In realtà era una sciocchezza: la causa era una crisi valutaria seguita da una forte recessione. Dopo la svalutazione della maggior parte delle valute e una nuova fase di crescita, la crisi bancaria è stata completamente dimenticata.


Naturalmente nella EU sono colpiti dalle "crisi bancarie" soprattutto quei paesi con un settore bancario molto grande. Ce ne sono diversi, e Cipro non è nemmeno il peggiore. Le statistiche della Banca dei regolamenti internazionali mostrano: il rapporto fra depositi bancari complessivi e PIL a Cipro è 3 a 1, in Lussemburgo 9 a 1, (alle Isole Cayman ancora piu' alto). In Gran Bretagna è 1 a 1, e in Francia e Germania è di circa 1 a 2. Qual'è allora un valore sostenibile e non pericoloso per un paese?


Negli anni della grande euforia finanziaria, molti paesi sono stati addirittura invitati a cercarsi uno spazio economico specializzandosi in affari bancari internazionali. Si pensava che anche un piccolo paese potesse rapidamente prosperare. Non bisogna inoltre dimenticare che il settore industriale è presidiato da alcuni paesi agguerriti, e cosi' per i paesi piu piccoli con infrastrutture deboli è difficile ottenere dei risultati.


Quando in una unione monetaria finiscono in crisi solo i i paesi con un deficit nelle partite correnti (lo stato o le banche o le imprese ricevono capitale dall'estero a tassi troppo elevati), la BCE dovrebbe intervenire senza se e senza ma per offrire loro assistenza finanziaria. Questo è il compito di una banca centrale, e la BCE è la banca centrale di Cipro. Che oltre a cio' tutti i paesi, ad eccezione della Germania con il suo settore dell'export, per via della crisi dovranno ristrutturare la loro economia e subire un aggiustamento, è una certezza. Ma questo processo puo' funzionare solo durante una fase espansiva e non durante una recessione. Chi con la sua politica economica produce una recessione, finirà per generare "crisi strutturali" a ritmi da catena di montaggio (fra poche settimane sentiremo parlare della Slovenia, un tempo modello industriale). Che la BCE nel caso di Cipro abbia contribuito a definire la condizionalità del salvataggio e persino minacciato il ritiro della liquidità, è un errore irreparabile.


Imporre le riforme strutturali come "condizionalità" per l'accesso ad un salvataggio, significa spingere un paese in una situazione di disperazione. Perchè cio' potrà accadere solo con conseguenze catastrofiche. Cipro non potrà ridurre il suo settore bancario a un normale livello (quello tedesco o britannico), per lo stesso motivo che impedisce al Lussemburgo di cambiare nottetempo il suo modello di sviluppo economico costruito nel corso degli anni. E' una pretesa assurda, anche se si ritiene che tale modello economico in un mondo in cui la finanza ha perso importanza, non sia sostenibile.


Ma cio' non è sufficiente per fermare la troika a trazione tedesca. Si chiede senza alcuna seria giustificazione una partecipazione di 6 miliardi di Euro, che per un paese con un PIL di 17 miliardi di Euro potrà essere ottenuta solo con conseguenze disastrose. E' come se in Germania si pretendesse un contributo pari a 800 miliardi di Euro, piu' del doppio delle entrate fiscali federali. 


Ma c'era bisogno di un caso esemplare. Non si voleva perdere l'occasione per dare ai depositanti russi a Cipro una bella lezione (quale esattamente?). E di fare pulizia in un piccolo paese, una volta per tutte. La caratteristica piu' importante di una moneta e la ragione per cui viene ritenuta buona, è la fiducia nella moneta stessa. E che questa fiducia sia andata distrutta, non lo capiscono né il governo né la BCE. Purtroppo nemmeno l'opposizione. Sul lato sinistro dello spettro politico troppo spesso si parla in maniera emozionale "delle banche" e dei "riciclatori di soldi russi", come se fosse possibile averne una chiara immagine in mente.


Nel complesso sembra chiaro che l'incapacità dei politici e degli economisti di comprendere in maniera approfondita tali relazioni complesse, sarà la causa del fallimento del sistema Euro. Cipro è stato solo il culmine di una lunga serie di errori sistematici. Da qui in poi si potrà solo continuare a cadere, e probabilmente in maniera molto rapida.

Ancora Austerità!!.. Questi sono coglioni!!



Nell’ultimo Consiglio europeo (14 e 15 marzo 2013), a parte le dichiarazioni di principio sulla necessità di favorire la crescita e l’occupazione, non è stato compiuto nessun passo avanti sostanziale sul terreno della revisione dei rigidi vincoli di bilancio e di finanza pubblica imposti agli Stati membri dal Patto di stabilità. Nella sostanza è stata confermata la linea del rigore sostenuta dai paesi nordici e, segnatamente dai tedeschi, che sul capitolo del consolidamento dei conti pubblici hanno letteralmente puntato i piedi.
La cronaca dei due giorni riferisce di uno scontro tra francesi e tedeschi sul tema dell’austerità, con i primi a sostenere che c’è un “rischio di rigetto dell’Europa in quanto tale” se il risanamento procede “troppo in fretta” ed i secondi a ribadire che l’obiettivo del pareggio di bilancio “non è in contraddizione ma deve essere visto come interdipendente con la crescita“.
A dire il vero nessuna delle due posizioni ha espresso una consapevolezza piena delle difficoltà in cui versano le varie economie nazionali. Ed anche l’atteggiamento dei francesi è apparso del tutto ingabbiato nella logica rigorista assurta a filosofia dominante in ambito Ue. Alla fine a spuntarla è stata però la Cancelliera tedesca, com’è facilmente desumibile da un confronto tra le sue dichiarazioni rese nel corso del vertice e le conclusioni dello stesso trasfuse nel documento ufficiale. Molto chiaro, da questo punto di vista, il punto 3  delle Conclusioni del Consiglio, che tutte le delegazioni hanno sottoscritto: “Nel percorso verso bilanci strutturalmente in pareggio si stanno compiendo progressi sostanziali che devono continuare. Il Consiglio europeo sottolinea in particolare la necessità di un risanamento di bilancio differenziato e favorevole alla crescita, ricordando nel contempo le possibilità offerte dalle norme di bilancio vigenti del patto di stabilità e crescita e del trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance”.[1] Cosa dice questo punto? Che la disciplina del Fiscal Compact sul pareggio di bilancio rimane in piedi e continuerà  a guidare le scelte di finanza pubblica dei paesi membri. E che solo nell’ambito dei vincoli previsti dallo stesso, e dal Patto di Stabilità e Crescita (PSC), si potranno concepire misure dirette a favorire la crescita dell’economia e dell’occupazione. Come a dire: vogliamo la botte piena e la moglie ubriaca! Da un certo punto di vista queste conclusioni rappresentano un vero passo indietro, perché ripropongono una visione “espansiva” dell’austerità che è stata clamorosamente smentita dalla realtà di questi anni. Cosa significa d’altro canto l’espressione “possibilità offerte dalle norme di bilancio vigenti” se non la riproposizione dello schema secondo il quale le politiche di bilancio restrittive possono costituire delle leve per lo sviluppo dell’economia?
Diciamolo chiaramente: i governanti di questa Europa assomigliano sempre più ai passeggeri del Titanic, disinvolti, festanti, su una nave prossima ad inabissarsi. Eppure di segnali preoccupanti in giro per l’Europa ce ne sono tanti, dalla Grecia alla Spagna, passando per la Slovenia, il Portogallo, l’Ungheria, la stessa Italia. Paesi dove la grave crisi economica, indotta dalle misure di austerità, si sta sempre più impastando a una vistosa crisi politica e a una pericolosa deriva della democrazia. Populismo, sfiducia nelle istituzioni, antipolitica, punteggiano sinistramente il panorama politico europeo, mentre masse sempre più grandi sono tagliate fuori dal benessere e risucchiate dal vortice della povertà. Questo il contesto. Ma  i 27 capi di Stato e di governo  che si sono incontrati a Bruxelles dal 14 al 15 marzo scorso hanno ragionato come se di fronte avessero una situazione di relativa “normalità”.
Una dimostrazione è venuta anche dalla posizione espressa da Mario Monti, che è arrivato al vertice in rappresentanza (Si fa per dire) di una Italia sbrindellata, smarrita, in profonda crisi, sia economica che politica. In sostanza il nostro
Presidente del Consiglio ha chiesto, e ottenuto, che il paese possa ricominciare a spendere denaro pubblico per investimenti, a condizione che il deficit strutturale di bilancio si mantenga in un range compreso tra il pareggio e il 3% del Pil. La montagna ha partorito il topolino, verrebbe subito da dire. Intanto perché non è ancora chiara la tipologia degli investimenti produttivi che potrebbero essere scomputati dal calcolo del deficit pubblico e le modalità con cui si andranno a definire le procedure di scorporo saranno stabilite soltanto nei prossimi mesi, in seguito a negoziati con la Commissione, e tra gli Stati membri, che non si annunciano né facili né scontati. Per l’Italia, nondimeno, gioca sfavorevolmente anche l’assenza di una chiara prospettiva di governo, essendo previsto per il prossimo mese di aprile l’avvio dei negoziati, dopo l’approvazione da parte del parlamento del Programma Nazionale di Riforme (PNR) previsto dal Six pack, il pacchetto di regolamenti varato nel 2011 per rafforzare la governance europea in tema di bilanci pubblici.
Poi c’è il merito della questione, che sta racchiuso in questa frase dello stesso Monti:  “Il rigore fiscale resta la priorità”. Certo, perché l’obiettivo del pareggio di bilancio, con quello che ne discende in termini di tagli alla spesa e misure di austerità, rimane praticamente in piedi.
A proposito della tipologia di investimenti da scorporare dal calcolo del deficit si parla, ad esempio, della quota di cofinanziamento dei fondi strutturali europei e dei crediti delle imprese verso le amministrazioni pubbliche. Bene. Ma se non si mette in discussione il folle obiettivo contenuto nel Trattato di Stabilità di ridurre di un ventesimo all’anno la quota del debito che eccede il 60% del Pil, che per l’Italia significherebbe rastrellare circa 50 miliardi all’anno tra tagli alla spesa e nuove tasse, l’effetto sull’economia delle risorse “liberate” verrebbe ad essere immediatamente annullato, neutralizzato, dalle parallele misure di rigore atte a conseguirlo. Delle due l’una: o si applica una moratoria all’abbattimento del debito (c’è chi ha proposto una sua stabilizzazione[2]) e, quindi, si liberano davvero risorse per rilanciare l’economia oppure ogni misura per la crescita sarà solo un palliativo, se non un buco nell’acqua vero e proprio.
L’Europa unita è un vascello in piena tempesta, non comprendere che è arrivato il momento di cambiare a questo punto potrebbe essere davvero un errore esiziale.
[1] EUCO 23/13, Conclusioni del Consiglio europeo (Bruxelles 14 e 15 marzo 2013).
[2] Stabilizzare il debito per arginare l’austerità, di Riccardo Realfonzo, in Economia e Politica, 07.03.2013

Fonte: http://www.economiaepolitica.it

mercoledì 27 marzo 2013

Dalla Germania: Qui rischiamo grosso con i nostri vicini


 di Jakob Augstein

La maggior parte d'Europa, si è stancata della leadership tedesca.

Il dramma di Cipro ha chiarito che la zona euro in crisi si sta trasformando in una lotta per l'egemonia tedesca in Europa. La Merkel e Schäuble sembrano essere al lavoro per stabilizzare l'economia, in realtà stanno legando le altre nazioni con le catene del debito.

Per tutta la crisi di Cipro, il potere tedesco è stato in mostra. La Germania persegue DEGLI OBIETTIVI sbagliati, mostrando come essa è incapace di maneggiare correttamente il suo potere.
I leader ciprioti hanno pensato di rendere i propri risparmiatori responsabili per il fallimento delle banche di piccole dimensioni - con l'approvazione della Germania - perché volevano tenere fede ai loro principi di delitto e castigo.

Tutta l'Europa, anzi il mondo intero, ha preso nota di ciò. Nonostante l'assicurazione dei depositi e le promesse della cancelliera Angela Merkel, alla fine è sempre la gente comune quella che soffre.
Allora il piano è stato ritirato, e modificato in modo che  il peso della sofferenza ricada sulla capoccia dei ricchi russi. 
Cipro ha dimostrato ancora una volta che l'Europa non può essere comandata dai tedeschi.

Fortunatamente l'Eurogruppo ha fatto la mossa giusta . Le persone con piccoli depositi possono sentirsi sicuri, infatti una banca fallisce e un'altra è stata ridimensionata. Ma la teatralità della scorsa settimana si sposa bene con l'immagine che l'Europa sta diffondendo in questo momento per il mondo: i banchieri irresponsabili giocano con i soldi di ricchi riciclatori , i politici cercano di aiutare entrambi i gruppi per salvare se stessi nel miglior modo possibile - a scapito ovviamente della la gente comune, che ormai non ha né le risorse né l'influenza per poter garantire la propria sicurezza. E tutto questo avviene sotto il dominio tedesco.

La cancelliera indulge assieme ai tedeschi nel lusso del guardarsi l'ombelico. La memoria storica è essenzialmente spazzata via, nonostante i fallimenti morali rappresentati nei drammi della seconda guerra mondiale, ricordati anche alla TV con la miniserie recente tedesca "Le nostre madri, i nostri padri."

Proprio come già due volte nella nostra storia recente, i tedeschi stanno cadendo sempre più in conflitto con i loro vicini - a prescindere dal costo che ne pagheranno. E 'un percorso che potrebbe facilmente portare alla paura dell'egemonia tedesca sul continente. In effetti, l'idea della Merkel di integrazione europea è semplicemente che l'Europa dovrebbe piegarsi alla volontà politica della Germania.

Con Cipro, una verità sulla politica tedesca è stata rivelata: Sono caratterizzati da una testardaggine che i tedeschi vedono come attacco ai loro principi. 
Con la sua manovra politica europea, la Merkel ha rotto tutte le tradizioni della Germania occidentale.
Sotto la guida di Angela Merkel, l'Europa degli "Stati Nazionali"e non uniti è stata ripresa - una tendenza contro la quale l'ex cancelliere Helmut Schmidt ha emesso un severo avvertimento. "La Corte costituzionale federale tedesca, la Bundesbank e il Cancelliere Merkel si comportano come il centro d'Europa, portando all'esasperazione dei nostri vicini", ha detto, e una parte dell'opinione pubblica è soggetta a una " visione nazional-egoistica" della Germania . Schmidt, che ha vissuto tutta la Germania nazista e la seconda guerra mondiale, non è avvezzo usare queste parole con leggerezza.

Nikolaus Blome, vice redattore capo del tabloid Bild , ha scritto un editoriale nel quale ha definito i parlamentari ciprioti "Cypr-IDIOTI" perché hanno votato contro il piano UE per depositi bancari fiscali. Ma se abbiamo imparato qualcosa dal "Diario di un Wimpy Kid" best-seller per bambini è che coloro che si vedono circondati da idioti di solito sono loro gli idioti stessi. Da questa crisi dell'euro sta emergendo un conflitto per l'egemonia tedesca in Europa. Sembra essere basato sull'economia, quando in realtà si basa essenzialmente sulla politica del potere.

I tedeschi legano i popoli europei con le catene del debito, un antropologo americano nonchè attivista di Occupy Wall Street David Graeber definisce così:. "Se la storia dimostra qualcosa, è che non c'è modo migliore per giustificare relazioni fondate sulla violenza, rendendo tali rapporti normali a livello morale, che la riformulazione di questi nel linguaggio del debito - soprattutto perché fa sembrare immediatamente la vittima come se fosse lei che sta facendo qualcosa di sbagliato ", tratto dal suo libro 2011" Debito:. The First 5000 Years "


Germania paga (prende) per la (gli Utili della) Crisi


Come in passato, i diseredati oggi vengono ridicolizzati. Chi ha debiti è colpevole del suo stesso crimine.

Questa linea di pensiero lascia spazio anche all'autocommiserazione, come evidenziato dal columnist conservatore Hugo Müller-Vogg. "Senza le garanzie tedesche, non ci sarebbe nessun salvataggio", ha scritto in una colona del Bild la settimana scorsa. "Eppure, noi tedeschi siamo oggetto di critiche, anche addirittura di odio  in questo periodo di crisi, che tormenta i paesi. Il cancelliere viene denigrato e mostrato con i baffi di Hitler, le bandiere tedesche sono fatte a pezzi e noi tedeschi siamo visti come i malvagi da biasimare" 

Questa è tutta una menzogna. Tedeschi non hanno pagato per la crisi, ne hanno anche approfittato .
 I risparmi sulla spesa per interessi, dei quali la Germania ha goduto fin dall'inizio della crisi, sono stati pari a € 10 miliardi l'anno solo l'anno scorso ad esempio. In più ci sono i pagamenti di interessi delle nazioni debitrici. La realtà della crisi dell'euro è questa: I poveri di Atene stanno pagando i ricchi in Germania.

Ricordando che tali esperimenti hanno fallito in passato, e falliranno in futuro perchè gli europei non lo permetteranno. Cosi i tedeschi che continuano a fare il tifo per loro cancelliere, che dovrebbe segnarsi le parole dell'ex capo dell'Eurogruppo Jean-Claude Juncker : "Chiunque crede che la questione eterna della guerra e della pace in Europa sia stata definitivamente sepolta farebbe un errore monumentale. I demoni non sono stati banditi, ma stanno semplicemente dormendo ".

martedì 26 marzo 2013

Cipro: Draghi usa il blocco della liquidità...vergognoso!!

Per Jacques Sapir con quest'atto di forza nei confronti di Cipro la BCE ha gettato la maschera: si cerca l'accordo con la pistola alla tempia. E le conseguenze saranno molto gravi, comunque vada.



di Jacques Sapir

Il "blocco della liquidità" attuato dalla BCE a Cipro è un atto di straordinaria gravità, le cui conseguenze devono essere studiate attentamente. La decisione di Mario Draghi si concentra su due aspetti: prima di tutto la BCE non alimenta più la Banca centrale di Cipro di contante, in secondo luogo interrompe le transazioni tra le banche di Cipro e il resto del sistema bancario dell'area dell'euro. Quest'ultima misura è di gran lunga la più grave. Da un lato, è una condanna a breve termine delle banche Cipriote (ma anche delle società con sede a Cipro, che siano Ciprote o no) perché ormai non possono più fare transazioni con il resto dell'eurozona. D'altra parte, equivale a un "blocco" economico, che in diritto internazionale equivale a un "atto di guerra". Questo per comprendere la gravità della decisione di Mario Draghi, che potrebbe anche essere oggetto di un ricorso dinanzi a un tribunale internazionale. In altre parole, questa responsabilità assunta da Mario Draghi potrebbe, un giorno, farlo comparire davanti a un tribunale, internazionale o meno.

Per l'interruzione dei rapporti tra le banche Cipriote e la zona Euro, l'argomento adottato a giustificarla è il "dubbio" sulla solvibilità di tali banche cipriote. E' ovviamente un pretesto, perché di "dubbi" ce ne sono stati sin dallo scorso mese di giugno. Tutti sanno che come conseguenza dell' "haircut" imposto ai creditori privati della Grecia, le banche di Cipro sono state notevolmente indebolite. La BCE a suo tempo non aveva reagito e non aveva preso in considerazione la questione della ricapitalizzazione delle banche come un problema urgente. Decide di farlo dopo la bocciatura da parte del Parlamento Cipriota del testo dell'accordo imposto a Cipro da parte dell'Eurogruppo e della Troika. Non si poteva essere più chiari. Il messaggio inviato da Mario Draghi è il seguente : O vi piegate a quello che abbiamo deciso o ne subirete le conseguenze. Questo non è solo un messaggio, è un ultimatum, che ci dà la misura del fatto che tutte le dichiarazioni sul "consenso"
o "l'unanimità" che avrebbe presieduto alla decisione dell'Eurogruppo sono solo delle coperture di quello che sembra essere un vero diktat.

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Comunicato della Commissione Europea del 20 Marzo 2013



Dichiarazione della Commissione europea su Cipro

Sin dall’autunno del 2011 le autorità di Cipro e la Commissione europea hanno discusso la possibilità di fornire assistenza al Paese nell’ambito di un programma. 

A luglio 2012 Cipro ha avanzato formalmente una richiesta di aiuto nell’ambito di un programma, richiesta motivata principalmente da problemi del settore bancario, che aveva dimensioni insostenibili per l’economia cipriota. Con il governo precedente non è tuttavia stato possibile raggiungere un accordo in merito. 
Sabato scorso gli Stati membri dell’Eurogruppo, compreso Cipro, hanno finalmente raggiunto un accordo unanime su un programma che rispettava le condizioni stabilite dagli Stati membri, dalla BCE e dal FMI e hanno deciso di prestare a Cipro 10 miliardi di EUR. Tra le condizioni poste figurava anche il raggiungimento di un livello di sostenibilità del debito accettabile e il rispetto dei relativi parametri finanziari. 

Sebbene il programma non corrispondesse pienamente alle proposte e alle preferenze della Commissione, essa ha sentito il dovere di appoggiarlo perché le alternative avanzate erano sia più rischiose che meno efficaci per l'economia di Cipro.

Il parlamento cipriota ha respinto questo programma.

Spetta ora alle autorità del Paese presentare uno scenario alternativo che rispetti i criteri di sostenibilità del debito e i parametri finanziari corrispondenti.

La Commissione ha fatto il possibile per aiutare Cipro e per giungere a una soluzione costruttiva e regolata. Le decisioni, tuttavia, sono prese dagli Stati membri e la loro cooperazione, come quella di Cipro, è indispensabile. La Commissione è pronta a facilitare il raggiungimento di una soluzione e mantiene i contatti con Cipro, con gli altri Stati membri dell’Eurogruppo, con le istituzioni europee e con il FMI.

Per quanto riguarda il prelievo una tantum sui depositi al disotto dei 100.000 EUR, la Commissione ha chiarito in sede di Eurogruppo, prima del voto del parlamento cipriota, che sarebbe stata accettabile anche una soluzione alternativa che rispettasse i parametri finanziari, preferibilmente senza effettuare alcun prelievo sui depositi al disotto dei 100.000 EUR. Le autorità di Cipro non hanno accettato questa alternativa. 


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Ma vi è un messaggio nel messaggio. Con un solo gesto, Mario Draghi ha appena fatto saltare la finzione di una decisione collettiva della BCE, perché il governatore della Banca centrale di Cipro non ha dato il suo consenso. Le regole non sono state rispettate. Quindi, ha appena detto al mondo che le decisioni non sono prese dall'Eurogruppo e dall'Unione europea, ma da lui, e da lui soltanto, funzionario designato e non eletto, irresponsabile nel senso politico del termine. In questo incidente si rileva nel modo più pieno la natura profondamente tirannica delle istituzioni create nel quadro europeo. La retorica della cooperazione e della competenza cedono il passo al freddo rapporto di forze e al senso del potere.



Mette fine all'ipocrisia di un accordo deciso all'unanimità (con la pistola alla tempia). Ne va anche del "rispetto del voto" del Parlamento di Cipro, di cui è chiaro che Mario Draghi si fa beffe. Ora le cose sono chiare, e in un certo senso, tanto meglio. Ma non bisognerà meravigliarsi se i partiti, spesso definiti "populisti", che si oppongono alle istituzioni dell'Unione europea saliranno rapidamente nei sondaggi. Ugualmente non bisognerà sorprendersi se nei paesi più colpiti dalla crisi crescerà rapidamente la violenza contro le istituzioni europee e i loro rappresentanti. Perché è nella natura delle cose che la tirannia chiama la violenza.

Qualunque cosa accada, le conseguenze di questa decisione saranno drammatiche. E' possibile che il Parlamento Cipriota, messo sotto pressione, cambi giudizio. Ma in questo modo entrerà in crisi aperta con il suo popolo. La tradizione di violenza politica a Cipro non deve essere trascurata. E' anche possibile che si arrivi al fondo di questa crisi e che Cipro sia di fatto espulsa dalla zona euro a causa della decisione di Mario Draghi. Il precedente stabilito in questo caso avrà implicazioni profonde per tutti gli altri paesi. Nelle prossime 48 ore saremo informati sul corso degli eventi.

L'Italia esce dall'Euro...cosa accadrà?

PREMESSA
Riprendo quest’articolo fatto 6 mesi fa, e lo riadatto. In Italia sulla questione non se ne parla, ed al piu’ si discute sulla questione del cambio 1 euro pari a 1000 lire nell’acquisto di beni di largo consumo, che e’ un’impostazione un po’ semplicistica.
Ma l’Euro ci conviene?  Da tempo scrivo articoli sul tema, cercando di analizzare l’impatto che la moneta unica ha avuto sul nostro paese e su altre nazioni europee. Direi che e’ arrivato il momento di mettere in fila i birilli, e fare un’articolo di analisi di tutti i PRO e CONTRO di un mantenimento dell’EURO o di un ritorno alla LIRA.

1)       SIMULAZIONE DI COSA ACCADREBBE IN CASO DI DISSOLUZIONE DELL’EURO
Allego la simulazione che scenarieconomici.it ha di recente compiuto, e che sta avendo una grandissima diffusione in termini di lettori:
Riporto qui le conclusioni sintetizzate:
Lo studio dice chiaramente quanto e’ intuitivo da chiunque mastichi di macro-economia: la rottura dell’Euro (non traumatica) e la rivalutazione del Marco penalizzerebbero pesantemente la Germania, ed avvantaggerebbero le economie periferiche, quella Italiana in primis. Le conclusioni sono le stesse di altri studi seri. L’effetto e’ lo stesso gia’ riscontrato nel passato in situazioni similari, e le ragioni sono esattamente quelle opposte a quelle che hanno consentito alla Germania di avvantaggiarsi in questi anni rispetto ai paesi periferici.
Mi rendo conto dei limiti di questo studio, e di svariate altre variabili (anche non economiche, interne o esterne) che potrebbero e dovrebbero rientrare in gioco, ma reputo che a meno di uno scenario distruttivo di default a catena, l’uscita dell’Euro di scena sia un’affare per l’Italia ed altre nazioni periferiche (specialmente quelle che hanno un sistema industriale dignitoso) ed un pessimo affare per la Germania, destinata col Marco ad un futuro Giapponese di deflazione-PIL asfittico-Debito crescente in un quadro demografico da film dell’orrore.
Il vero limite dello studio, sta nel comportamento umano, in particolare delle classi dirigenti dei paesi periferici, tendenzialmente poco responsabili, che potrebbero non approfittare degli evidenti vantaggi del ritorno alla valuta nazionale, facendo danni con decisioni di spesa improduttiva o altre misure tese a gestire il consenso nel breve periodo, e non a consolidare tale vantaggio in qualcosa di permanente. Ovviamente, tale situazione non risolverebbe tutti i problemi dei paesi periferici, ma certamente aiuterebbe ad affrontarli.
Mi auguro che questo post contribuisca ad attivare un serio dibattito sulla questione Euro ed altre analisi sulla questione e simulazioni sull’ipotetica uscita (o non uscita) dall’euro, perche’ comunque una nazione come l’Italia non si puo’ permettere il lusso in futuro di scelta ideologiche. Vi consiglio in conclusione la lettura dei seguenti articoli:

2)      PRODUZIONE INDUSTRIALE:  vince il RITORNO ALLA LIRA in modo netto
C’e’ poco da dire. Negli articoli in premessa sono stati analizzati ampiamente (con dati, numeri, grafici e statistiche di trend) gli andamenti della produzione industriale in 15 paesi Europei negli ultimi 20 anni. Ne’ e’ risultato che l’Euro ha causato un colossale trasferimento di produzione industriale da tutti i paesi periferici verso la Germania, come
conseguenza dell’invariabilita’ dei cambi, che consente al sistema meno inflattivo (quello tedesco) e piu’ efficiente, di sottrarre ampie quote di produzione. Il contesto complessivo (l’Europa nel suo insieme) non ha da lustri una dinamica crescente nella produzione, a causa della concorrenza asiatica, ed al suo interno v’e’ un vincitore e tanti sconfitti.
Per capirsi, dal 2005 ad oggi, l’Italia ha fatto -18% e la Germania +10%: e’ come se in 7 anni, tutte le fabbriche presenti nel Centro Italia avessero chiuso e si fossero trasferite in Germania in blocco: effetti analoghi a quelli di una Guerra Mondiale.
La dinamica in caso di mantenimento dell’EURO e’ prevedibilmente la stessa degli ultimi 10 anni (ed ancora in pieno corso nel 2012), con una Germania che sottrarra’ quote a tutti gli altri. Il trend proseguira’ inevitabilmente, fintanto che la Germania manterra’ un’inflazione minore o uguale ai partners, e potra’ mutare solo quando tale tendenza mutera’ ed in modo duraturo (considero l’ipotesi fantascienza!). Ovviamente gli aumenti di tassazione indiretta in Italia (IVA, accise) e Spagna (IVA), causa prima di sovra-inflazione, promettono che il differenziale inflattivo tra Germania e Sud Europa permarra’ anche nei prossimi 2 anni.
In caso di disgregazione dell’EURO, e ritorno alle valute nazionali, e’ ovvio che accadra’ qualcosa di analogo a quanto accadde nel 1992-95. L’Italia (e gli altri paesi che svalutarono) all’epoca ebbe un’impennata nella Produzione Industriale e la Germania ebbe una bella batosta. E’ cio’ che accade in corrispondenza di ogni riaggiustamento monetario. E’ vero che l’Italia ha minore peso industriale rispetto all’epoca, ma e’ anche vero che l’incidenza dell’Import-Export rispetto alla produzione e’ aumentata molto rispetto a 20 anni fa, per cui e’ prevedibile vi saranno gli stessi effetti.
 Di seguito la simulazione con e senza euro:

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3)      BILANCIA COMMERCIALE E BILANCIA DEI PAGAMENTI:  stra-vince il RITORNO ALLA LIRA in modo netto
Anche in questo caso non c’e’ storia. Negli articoli in premessa sono stati analizzati ampiamente (con dati, numeri, grafici e statistiche di trend) gli andamenti delle bilance commerciali e dei pagamenti di tutti i grandi paesi europei negli ultimi 15 anni.
L’Euro ha consentito alla Germania di ampliare a dismisura i propri attivi commerciali in una misura pari esattamente alla somma della crescita dei passivi in Spagna, Italia, Francia ed altri periferici. 
La dinamica in caso di mantenimento dell’EURO e’ prevedibilmente la stessa degli ultimi 10 anni. E’ ovvio che molto dipendera’ dalla quotazione dell’EURO stesso sul DOLLARO e dalle politiche restrittive imposte all’interno dei singoli paesi. Per dire, nel 2012, l’Italia sta quasi azzerando il passivo commerciale, grazie al calo dell’EURO (fattore su cui l’economia Italiana e’ assai piu’ sensibile di molte altre, ed in particolare di quella tedesca) ed alle politiche restrittive suicide di Monti (che hanno fatto crollare l’import). La tendenza di fondo pluriennale, pero’, restera’ inevitabilmente connessa con la competitivita’ dell’industria, di cui abbiamo ampiamente scritto sopra.
In caso di disgregazione dell’EURO, e ritorno alle valute nazionali, e’ ovvio che accadra’ qualcosa di analogo a quanto accadde nel 1992-95 con un ritorno ad un forte attivo commerciale per l’Italia ed una decisa riduzione dei passivi per gli altri periferici che svaluteranno; il tutto ai danni della Germania.
 Di seguito la simulazione con e senza euro:
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4)      OCCUPAZIONE e PIL:  vince il RITORNO ALLA LIRA  (a meno di uno scenario catastrofico di Default a catena dell’intera Europa)
Anche in questo caso e’ prevedibile che un ritorno alla LIRA rafforzi il PIL e l’occupazione. Negli articoli in premessa sono stati analizzati ampiamente (con dati, numeri, grafici e statistiche di trend) gli andamenti dell’occupazione, della disoccupazione e del PIL dei grandi paesi europei negli ultimi 15 anni.
L’Euro ha consentito alla Germania di riprendere la sua corsa del PIL e dell’occupazione, e cio’ e’ stato fatto ai danni di diversi paesi periferici, in primis dell’Italia, che e’ il secondo paese manifatturiero europeo. La Germania non ebbe immediatamente benefici dall’introduzione dell’Euro e dei cambi fissi. Rammentate che fino al 2000-2005 si diceva che la Germania era il grande malato d’Europa? Era vero, visto che aveva un’andamento del PIL asfittico (come l’Italia, che pero’ era reduce da una corsa per ridurre il deficit dal 10% ed oltre al 3%), peggiore di ogni nazione europea. La Germania ha avuto pazienza, ha anticipato alcune riforme, volte essenzialmente a contenere il costo del lavoro interno (anche favorendo i lavori a bassissimo salario) e l’inflazione; ovviamente ogni anno ha portato a casa un piccolo vantaggio inflattivo sui concorrenti, che col passare degli anni e’ diventato un grosso vantaggio e proprio dal 2005, ha iniziato a vedere andamenti di PIL ed occupazione estremamente favorevoli (ai danni degli altri, come testimoniato dai grafici allegati negli articoli in premessa).
La dinamica in caso di mantenimento dell’EURO e’ prevedibilmente la stessa degli ultimi 7 anni (ancora in pieno corso nel 2012). Tra l’altro, se la Germania manterra’ l’atteggiamento che ha tenuto nei confronti della crisi Europea negli ultimi disastrosi 3 anni e mezzo (e non vedo perche’ debba cambiare linea), e’ ovvio che chiedera’ l’adozione a tutti i periferici di misure sempre piu’ restrittive (leggi Manovra Monti) che inevitabilmente affosseranno sempre piu’ il PIL ed aumenteranno la poverta’ e la disoccupazione. Nel contempo la Germania sara’ impattata dal minore export verso i paesi “canaglia”, e compensera’ in parte la cosa, grazie a tassi di interesse bassissimi ed afflussi copiosi di capitale.
In caso di disgregazione dell’EURO, e ritorno alle valute nazionali, e’ ovvio che la Germania rivalutera’ fortemente, ed i periferici svaluteranno, con impatti seri su produzione ed export tedeschi (e quindi su PIL ed occupazione), mentre ovviamente chi svalutera’ avra’ le conseguenze opposte. E’ ovvio che molto dipendera’ da come avverra’ la disgregazione dell’EURO: se venisse accompagnata da una serie di default di alcune nazioni, l’impatto sarebbe devastante non solo per la Germania ma pure per i paesi sottoposti a default, in tale scenario, nel medio periodo le nazioni sottoposte a default e simultanea svalutazione avrebbero una netta ripresa (come accaduto sempre nel passato in situazioni analoghe), mentre il quadro per la Germania resterebbe fosco sia nel breve che nel medio periodo (a lungo termine le cose potrebbero cambiare). 
Ho visto 3 studi recenti sugli impatti della disgregazione dell’EURO: in uno si diceva che TUTTA l’Europa avrebbe visto il PIL crollare (ed associo questo andamento al caso di default generalizzati di vari paesi), ed in altri 2 studi si prevedeva un forte calo del PIL in Germania ed una ripresa nei paesi periferici (ed associo tale previsione, ad uno scenario piu’ morbido, di abbandono di alcuni paesi dell’area euro, con risoluzione successiva della crisi con svalutazioni ed utilizzo da parte delle banche centrali degli strumenti di flessibilita’ tradizionali, quali QE, tassi, etc).
Ovviamente gli Studi valgono quello che valgono. All’epoca dell’introduzione dell’EURO a fine anni 90, c’erano fior fiore di studi, unanimi nell’affermare che l’EURO avrebbe portato benefici all’economia ed al PIL dell’Eurozona consistenti. Nella realta’ e’ accaduto l’esatto opposto, e l’Eurozona ha vissuto il peggior andamento del PIL da 50 anni a questa parte, sia in termini assoluti, che relativi nel confronto ad USA e resto del mondo.
 Di seguito la simulazione con e senza euro del PIL:
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5)      INFLAZIONE:  vince il RESTARE NELL’EURO; ma con politici e politiche serie, cio’ non sarebbe un problema
Dopo aver visto che per l’economia reale non c’e’ partita a favore della LIRA, passiamo ad analizzare l’inflazione.
Per capire cio’, facciamoci una domanda. Cosa accadde nel 1992-1995 quando la LIRA svaluto’ da 750 a 1100 sul Marco, vale a dire del 50%, all’inflazione? Accadde, come scritto nel relativo articolo richiamato in premessa, che il differenziale di inflazione con la Germania scese dal 3,3% del 1990-92 all’1,6% del 1993-95. Ma come e’ possibile? Semplice: crollo’ il volume dell’import (piu’ caro) e parte di questo venne sostituito da produzione nazionale (piu’ a buon mercato) e cio’ calmiero’ i prezzi. L’impatto piu’ severo fu ovviamente sui beni energetici (che pero’ hanno un’incidenza modesta sul paniere inflattivo complessivo rispetto alla componente del costo del lavoro, che e’ squisitamente un parametro interno). Rammento per la cronaca, che le follie di Monti sulle accise, hanno avuto un’impatto analogo sui prezzi energetici a quello di una classica svalutazione del 25-30% (ove sale il prezzo della materia prima e dell’IVA e restano invariate le accise).
Sono dell’idea, comunque, che una svalutazione un qualche impatto inflattivo lo provochera’, sia diretto (a causa dell’aumento dei prezzi dei prodotti importati) che indiretto (legato al fatto che il PIL sara’ meno asfittico, e cio’ inevitabilmente avra’ qualche ricaduta sui prezzi).
E’ ovvio, comunque, che i vantaggi della svalutazione permarranno nel tempo, solamente se ci sara’ una politica seria di contenimento dell’inflazione, con differenziali sulla Germania che restino nell’alveo della ragionevolezza. Per far cio’ e conservare ed utilizzare al meglio il vantaggio competitivo, serve una classe dirigente seria e responsabile, che adotti riforme serie di liberalizzazione, che incidano pesantemente sui settori distributivi e sui servizi semi-monopolisti, dove sarebbe possibile ottenere tramite maggior efficienza una decisa caduta dei prezzi, e quindi una tenuta della competitivita’ del paese.
 Di seguito la simulazione con e senza euro:
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6)      TASSI DI INTERESSE:  vince nettamente il RESTARE NELL’EURO
Passiamo ad analizzare i tassi di interesse. Rammendiamo a tutti, che il contenimento dei tassi di interesse era,  appunto, il maggior vantaggio per l’Italia nell’ingresso nell’Euro-zona.
Tale vantaggio non si limita al settore pubblico (minori interessi da pagare sul debito pubblico), ma si estende al sistema privato (tassi agevolati sui mutui ed il credito per le famiglie e finanziamenti piu’ convenienti per le imprese).
E’ indubbio che per 10 anni l’Italia ha usufruito di vantaggi enormi su questo fronte, con tassi bassissimi e spread con la Germania ridicoli (ed in parte irrealistici).
E’ altrettanto vero che nel contesto degli anni 80 ed inizio anni 90 i tassi italiani erano stratosferici, anche perche’ il panel complessivo dei tassi mondiali (e dell’inflazione) erano decisamente diversi (tassi nulli erano una chimera anche nelle nazioni di riferimento).
Nel 1992-95, gli spread tra Italia e Germania si mantennero sui 500 punti (con picchi sopra i 700). L’era EURO ha decretato spread di 50-100 punti, ma la recente crisi ha riportato gli spread all’epoca della crisi del 1992-95, sui 400-500 punti.
Allora l’unico vero grosso vantaggio dell’EURO, quello di tassi a buon mercato, e’ svanito?  Onestamente direi di no, almeno attualmente, visto che i tassi sul breve termine restano comunque convenienti e che l’Italia con la neo-LIRA Tassi di sconto all’1% li vedrebbe solo col binocolo.
E’ evidente che passare dall’EURO alla LIRA provochera’ un netto rialzo del TASSO di sconto, nonche’ dei rendimenti dei titoli, soprattutto a breve termine.
E’ altrettanto evidente che se questa crisi non trovera’ sbocco (e non vedo come possa risolversi definitivamente, perlomeno fino a settembre 2013, data delle elezioni federali tedesche), gli spread ed i tassi potrebbero volare nell’iperspazio (ovviamente col solito andamento a dente di sega).
 Di seguito la simulazione con e senza euro:

7)      DEBITO PUBBLICO e conti pubblici:  secondo me vincerebbe la LIRA, ma unicamente nel caso di avere politici decenti (nel caso opposto saremo fottuti comunque sia con EURO che con LIRE)
Qui, farei un ragionamento un po’ semplicistico, ma efficace.
I Fautori dell’EURO sostengono che tornare alla LIRA fara’ riesplodere i Tassi, e che l’introduzione dell’EURO ha consentito di ridurre l’ammontare degli interessi pagato di 60-75 miliardi, pari a 4-5% del PIL (in termini attualizzati). Hanno ragione, ovviamente, ma penso che il ragionamento sia monco. Mi spiego.
L’ingresso nell’EURO (ed ancor prima in un sistema a cambi fissi a 990 sul marco) ha avuto anche altre 2 conseguenze. In primo luogo ha frenato nettamente la dinamica del PIL reale (la cosa l’abbiamo vista negli articoli in premessa), sia per il contenimento inflattivo, sia per le ricadute sull’economia reale (sappiamo che da 15 anni cresciamo dell’1% meno della media UE, differenziale che nel 2012 si avvicinera’ al 2%).  Ebbene, cio’ implica una contrazione del denominatore con cui si misura il debito pubblico (e quindi lo fa aumentare). In secondo luogo, il calo del PIL ha impatti sulle spese (che crescono, specie quelle di tutela) nonche’ sulle entrate (la Manovra Monti ne e’ un’esempio lampante, con entrate nettamente inferiori al preventivato a causa del crollo del PIL, causato dalle stesse misure). Che significa cio?
Che dire, facciamo 2 calcoletti senza pretese. Dal 1995 ad oggi, l’Italia e’ passata da avere un PIL industriale che pesava il 65% di quello tedesco, al 50% attuale (ne abbiamo gia’ discusso). Ipotizzando che l’Italia fosse rimasta al 65%, e che la Germania avesse corso meno (non avrebbe avuto i vantaggi che ha avuto), l’Italia oggi avrebbe avuto un PIL industriale di 60-70 miliardi di Euro in piu’, raddoppiabili con gli impatti su export e servizi. 120-140 miliardi di PIL in piu’ equivalgono a 60-70 miliardi di tasse in piu’, che guarda un po’ sono esattamente il costo dei maggiori interessi. Ovviamente il calcolo ha limiti evidenti, ma da’ un’idea sul fatto che l’EURO ha avuto anche impatti negativi indiretti su Deficit e Debito (legati a minore PIL e minore inflazione), accanto a quelli positivi diretti (minori tassi di interesse).
Conclusioni?
Restare nell’EURO e’ comunque un suicidio. Nel 2012 voleremo al 126% di Debito. Successivamente non credo le cose migliorino. Restare nell’EURO, poi, significa inflazione bassa e quel che e’ peggio PIL nominale con andamento disastroso. E’ evidente che anche nel 2013 il Debito salira’, visto che il denominatore avra’ un’ andamento disastroso, e cio’ avverra’ anche nel caso di riduzione del deficit all’1,5-2,0%. Inoltre, Bruxelles c’ha gia’ fatto sborsare l’equivalente del 3% del PIL di nuovo debito per salvare la Grecia, Portogallo, banche Spagnole ed Irlanda e seguira’ un altro 1% (come minimo; temo assai di piu’). In questo contesto nel 2013, in assenza di privatizzazioni e dismissioni serie, il debito volera’ e se gli spread cresceranno, si avvitera’ sempre piu’ verso l’alto, con conseguenze gia’ viste in Grecia. Se anche a fine 2013, andassero al governo in Germania formazioni a favore degli Eurobond, l’Italia (sempre che non sia fallita prima) si trovera’ comunque con un debito al 130% e con dinamica crescente, per cui realisticamente parlando, la permanenza nell’EURO non promette bene sul fronte del Debito Pubblico.
Passiamo al ritorno alla LIRA ed ipotizziamo avvenga domani. Sappiamo che ci sarebbe un’impatto immediato sul PIL (legato ad una crescita netta dell’export e della produzione, nonche’ a qualche ricaduta inflattiva), eviteremo di dare altre prebende a Grecia e soci (costose), mentre non ci sarebbe un’impatto immediato significativo sugli interessi (se s’alzasse anche del 2-3% la curva dei tassi, l’impatto il primo anno sarebbe solo dello 0,3-0,5%). In sintesi, un ritorno alla LIRA avrebbe certamente nel  primo e secondo anno vantaggi notevoli sull’ammontare del Debito (minori sul fronte del deficit, dove la ripresa economica ed inflattiva, comunque, compenserebbe nettamente la maggior spesa per interessi). E’ ovvio che nel medio e lungo periodo, le spese per interessi avrebbero un’incidenza maggiore. Ecco perche’ reputo essenziale, la gestione di un ritorno alla LIRA con una classe politica decente (non dico eccellente), che sappia contenere e ridurre la spesa pubblica, fare le riforme e le dismissioni, contenere l’inflazione su valori decenti e ridurre tasse e burocrazia sui produttori. In questo caso non c’e’ partita, ed il ritorno alla LIRA sarebbe nettamente vantaggioso rispetto ad una permanenza nell’EURO, come da ragionamento sovrastante (gente seria al governo, con l’EURO e questa crisi in svolgimento, a mio vedere potrebbe fare comunque poco, e le dinamiche di cui sopra potrebbero solo essere attenuate; infatti l’economia reale, con l’EURO e la crisi, non si puo’ far ripartire, a meno di riforme serie ed anni di lavoro….. ma in alcuni anni, saremo gia’ morti e sepolti).
 Di seguito la simulazione con e senza euro:
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8)      FINANZA – STABILITA’ E STRUMENTI DI FLESSIBILITA’ FINANZIARIA:  secondo me vince la LIRA
Eccoci arrivati al secondo vero vantaggio dell’EURO: entrare in un sistema piu’ forte e stabile, dove le nostre debolezze sono compensate dalla forza altrui, e non siamo sottoposti a crisi periodiche.
Questo vantaggio e’ stato indubbio nei fatti nel periodo 1996-2008. Dal 2008 non e’ piu’ vero.
Abbiamo rinunciato a TUTTI gli strumenti di flessibilita’ cui dispone una nazione sovrana: Banca Centrale, possibilita’ autonoma di stampare, fare QE e muovere i tassi. Sono i tradizionali strumenti cui dispone una nazione per gestire l’ordinario e lo straordinario. Tali strumenti vengono prontamente mossi da una nazione nel suo interesse ed al momento opportuno. Ebbene, nel passato, arrivava una sana crisi, si muovevano i tassi, c’era panico, partiva la speculazione, la Banca d’Italia stampava e difendeva la Lira, e poi alla fine svalutava. Tutti gli indicatori oscillavano, e dopo un po’ tutto tornava ad un equilibrio. Sembrava talvolta un film horror, ma aveva una sua logica. Nel caso peggiore avremo fatto default (e solo Dio sa, se cio’ non sarebbe stato meglio o peggio).
Quanto sopra, sacrificato senza uno straccio di referendum all’EURO, moneta STATUS SYMBOL, che ci avrebbe garantito la protezione alle insidie della finanza anglosassone cattiva ed ingiusta.
Ora, qualcuno mi spiega nel 2008-2012 quali protezioni reali abbiamo avuto? Niente QE, niente stampa, polemiche infinite, classi politiche nazionali che si sbranano, la Germania che si rifiuta di garantire per gli altri e chiede misure che manderebbero in recessione pure la tigre Cinese. In sintesi, non solo non siamo protetti, ma siamo pure con le mani legate, completamente privi di strumenti di flessibilita’ per azioni sul breve periodo, destinati alla deindustrializzazione, ad una poverta’ crescente, ad essere cucinati a fuoco lento, e ciliegina sulla torta, pure derisi.
Ebbene, personalmente (e qui lo ripeto: personalmente!), credo che l’EURO e’ una costruzione alle cui spalle abbia una BABELE ed appare evidente anche a persona che di finanza capisce poco (tipo me) che questa crisi si risolvera’ solo in ultima analisi mettendo assieme destini, potere, debiti e quant’altro (ho dubbi che la Germania accettera’ mai, e comunque anche se fosse ci sono ostacoli politici e burocratici non da ridere) o con una disgregazione. Ebbene, ritengo che tornare ad avere tutti gli strumenti di flessibilita’ finanziaria (Banca centrale, Tassi, stampa, QE, etc), dia maggiori garanzia che restare nel Limbo in attesa di qualcosa (la garanzia finanziaria complessiva da parte tedesca ed OK di 17 parlamenti ad una serie di step inevitabili in caso di creazione degli Stati Uniti d’Europa) che difficilmente arrivera’.

9)      DEMOCRAZIA e RESPONSABILITA’: stravince la LIRA
Nell’attuale Unione Europea e Monetaria, non vedo traccia di Democrazia, ne’ di Responsabilita’. Attualmente vedo solo una Babeledove fondamentalmente non si capisce niente e non si comprende realmente come uscirne. I processi sono spesso decisi in barba all’opinione pubblica, da gente mai eletta. A mio vedere il progetto EURO avrebbe senso se l’EUROPA fosse concepita come Stati Uniti d’Europa (non mi prolungo, credo sia chiaro cosa intendo), mentre l’attuale minestrone e’ un non senso in termini, destinato ad un’ovvia implosione. Inoltre, l’attuale crisi si svolge in modo tale che inevitabilmente cresceranno i nazionalismi ed il sentimento di odio tra le varie nazioni.
Tornare alla LIRA significa Responsabilita’ di affrontare i propri problemi con autonomia, con un minimo di parvenza democratica. Meglio ognuno per i fatti suoi, rispettandosi coi vicini.

10)   CONCLUSIONI: direi che e’ meglio tornare alla LIRA, e conviene farlo alla svelta; ovviamente in un contesto internazionale fortemente competitivo e spesso ostile, tale azione ha senso (specie sul medio e lungo periodo) solo se guidata da una classe dirigente decente, che faccia le riforme, riduca le spese e le tasse e riporti il paese ad un minimo di buon senso
In uno degli articoli in calce, mi ero sbilanciata, affermando che l’Italia in caso di svalutazione avrebbe svalutato nell’ordine del 18-25% sulla Germania (ovviamente per cifre assai inferiori su Francia, USA ed UK); l’affermazione vale a meno delle forti oscillazioni iniziali, ed e’ legata al fatto che le svalutazioni normalmente si risolvono in ammontari analoghi al differenziale inflattivo del periodo dalla precedente svalutazione, a meno di differenze imposte iniziali.
In questa crisi, comprendo in parte i Tedeschi (anch’io non vorrei fare la fine della Lombardia in Italia), e li ammiro come popolo: a differenza di altri (che piagnucolano mancie) io sono un po’ incavolata con la Merkel, perche’ non ha un comportamento da Leader; un Leader a mio vedere deve dare l’esempio ed essere onesto, e non tirare avanti per 3 anni in tentennamenti: credo la sappiano pure loro che se ne esce solo o disgregandosi o unendosi del tutto…. le soluzioni intermedie incancreniscono tutto… ebbene, a me spiace di loro questo andreottismo nel non voler decidere… e di fatto lo sanno anche i sassi, che alla fine decideranno loro… troverei che fossero onesti e dicessero: cari amici, cosi’ non si puo’ andare avanti, andiamo ciascuno per la sua strada, ed ognuno se la cavi sa solo….. invece non lo fanno, perche’ su una cosa sono tutti concordi nelle analisi in caso di crollo dell’euro: la Germania ne verra’ fortemente penalizzata.
Detto quanto sopra, all’ITALIA SENZA DUBBIO CONVIENE UN RITORNO ALLA LIRA. La cosa conviene da quasi tutti i punti di vista e la simulazione fatta lo conferma. Ci sono pero’ 2 insidie:
1)      Un ritorno alla LIRA fatto dopo il suono della campanella, in presenza di una serie di default a catena, non darebbe vantaggi all’economia reale, perche’ il contesto complessivo europeo sarebbe di tracollo generalizzato. Tale situazione priverebbe l’Italia di parte dei vantaggi legati alla svalutazione (in contesti di tracollo, l’export verso il resto d’Europa, che assorbe il 60% delle nostre merci, avrebbe problemi) ed un eventuale default troverebbe reazioni feroci in una serie di nazioni declinanti e desiderose di sopravvivere. Il ritorno alla LIRA va fatto quanto prima, mettendo la Germania di fronte alla scelta definitiva, facendo tale azione in compagnia di altre nazioni.
2)      Un ritorno alla LIRA andrebbe gestito da gente con la testa sulle spalle. Inizialmente la svalutazione produrrebbe forti vantaggi su molti fronti economici, ma ci esporrebbe ad attacchi e rappresaglie da parte di nazioni con la spalle piu’ larghe delle nostre. Ovvio che ci vuole una classe dirigente minimamente seria e decisa, e non pagliacci che parlano di “spread a 1200”, o di “culona inchiavabile”, o di “patrimoniali”. Il dopo e’ ancora piu’ tosto: vanno mantenuti i vantaggi competitivi e non scialacquati, facendo riforme serie che consentano all’inflazione di essere tenuta sotto controllo, e facendo politiche di bilancio tese a ridurre spese e sprechi dando vantaggi fiscali ed operativi alle categorie produttive ed alle famiglie. Ovviamente gli attuali barbagianni della classe dirigente italiana sono inadeguati, per cui capisco bene le ritrosie di Funny King ed altri su questo sito, all’ipotesi di ritorno alla LIRA. Personalmente, ritengo pero’, che barbagianni o non barbagianni, se non torniamo rapidamente alla LIRA, presto saremo come paese in coma irreversibile, e non potremo riprenderci come nazione, neanche in decenni.
L’opzione EURO non e’ un’opzione, ma e’ un suicidio. Gli svantaggi sono infiniti. I vantaggi promessi all’origine (tassi, sicurezza) stanno svanendo in questa crisi. Ma quello che e’ peggio, e’ che appare evidente che l’EURO ha alle spalle una costruzione imperfetta, destinata ad un verosimile collasso.
Per cui vale la pena tenere l’EURO solo perche’ e’ uno status symbol chic? Direi proprio di No.

Fonte: www.scenarieconomici.it

lunedì 25 marzo 2013

Esclusiva Analisi: ecco cosa accadrebbe senza EURO.


PREMESSA

Ipotizzare quanto avverra’ a seguito di una disintegrazione dell’Euro e’ un esercizio estremamente complesso e certamente criticabile, in quanto le variabili in gioco sono realmente molte, e non tutte sono economiche.
Una nazione seria quale dovrebbe essere l’Italia, si sarebbe dovuta porre le domanda negli anni 80 se conveniva entrare in un sistema a cambi fissi o quasi (SME) e negli anni 90 se conveniva entrare nell’Euro. Analogamente oggi dovrebbe porsi la domanda di quale futuro ci attende restando nell’Euro e quale se si tornasse a valute nazionali, e se c’e’ convenuto entrare nell’euro.
I dibattiti nostrani, invece, sono da sempre puramente ideologici, e mai analitici e numerici. La domanda comunque, merita una risposta, e scenarieconomici.it e’ a disposizione per migliorare ed arricchire l’analisi che vi presenteremo, ove vi fossero osservazioni numeriche e supportate.

IPOTESI DI PARTENZA
Ben pochi si sono cimentati in studi numerici affrontando la questione degli scenari economici che ci attendono con e senza Euro.
Tra questi segnaliamo lo studio Game theory and euro breakup risk premium – Cause and Effect di  Bank of America e Merrill Lynch e L’impact d’une sortie de l’Euro sur l’économie française di Jacques Sapir. I risultati sono simili, e prevedono chiaramente che in uno scenario di ritorno non traumatico alle valute nazionali, i paesi periferici (in primis l’Italia) avrebbero decisi vantaggi, mentre le nazioni centrali (in primis la Germania) avrebbero decisi svantaggi da tale processo. Il gioco delle variabili economiche sarebbe esattemente l’opposto di quello visto negli ultimi 10 anni.
L’Ipotesi di fondo e’ confrontare 2 scenari nei prossimi 3 anni:
- Mantenimento dell’EURO in uno scenario non traumatico (cioe’ senza considerare l’ipotesi, tra l’altro piu’ che verosimile, che proseguiranno le fortissime tensioni ed i salvataggi di banche e nazioni, ed i contrasti interni)
- Ritorno alle Valute nazionali in ciascun stato dell’Eurozona in modo non traumatico (cioe’ si ipotizza che questo processo avvenga senza un avvitamento a catena, default seriali e guerre commerciali interne)

Il primo esercizio cui cimentarsi e la VALUTAZIONE DEL TASSO DI CAMBIO.
Le ipotesi adottate sono le seguenti:
- a meno di oscillazioni, l’area Euro nel suo insieme resta ad un cambio pari ad 1,30 sul dollaro
- all’interno dell’area euro, i tassi di cambio delle valute nazionali, saranno pari al differenziale di inflazione accumulato negli ultimi 17 anni sommato al 50% dell’entita’ del riallineamento effettuato in occasione della determinazione dei cambi con l’Euro (differenziale valutario tra cambio con EURO-ECU tra 1995 e 1999) ed un fattore correttivo che
considera la differenza del sistema paese tra il 1995 ed il 2013 su una serie di parametri (bilancia pagamenti, andamento PIL, variazione debito pubblico).
Esiste un ampia documentazione storica che dimostra che normalmente le uscite di valute da sistemi di cambi fissi, si risolvono a meno di fenomeni transitori oscillatori in svalutazioni/rivalutazioni delle monete proporzionali ai differenziali di inflazione accumulati durante i regimi di cambi fissi.
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Ne risulterebbe uno scenario di rivatutazione dell’Euro-Marco del 12% su USD, mentre Francia, Italia e Spagna svaluterebbero rispettivamente del 2%, 12% e 16%.

Passo successivo e’ la valutazione del CAMBIO COL DOLLARO delle valute nazionali a seguito della svalutazione delle valute nazionali. Tale determinazione e’ conseguente al calcolo in tabella 1. L’Euromarco andrebbe a 1,48 sul Dollaro, mentre Euro-Lira ed Euro-Peseta andrebbero a 1,16 e 1,13 su USD.
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Passiamo a valutare l’IMPATTO INFLATTIVO . La svalutazione/rivalutazione ha impatti inflattivi diretti, essenzialmente a partire dai beni e servizi importati. Ovviamente i fenomeni inflattivi/deflattivi sui beni importati non sono storicamente mai pari al 100% dell’oscillazione effettuata, ma vengono attenuati da vari fattori, tra cui l’effetto di sostituzione di merci estere con merci nazionali nel caso di una svalutazione. Qui si ipotizza un impatto dell’inflazione importata, proporzionale ovviamente al peso dell’import sul PIL, e pari al 50% dello scostamento monetario il primo anno, poi a calare al 15% ed all’8% il 2 e 3 anno, che e’ un ipotesi criticabile, ma comunque con fondamenta storiche. Si nota un impatto deflattivo per la Germania del 3,9% spalmato in 3 anni, e per esempio un impatto inflattivo del 2,6% spalmato in 3 anni in Italia.
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CONFRONTO TRA SCENARIO 2013-2015 CON MANTENIMENTO EURO E CON RITORNO SU VALUTE NAZIONALI
L’INFLAZIONE: nel caso di mantenimento dell’Euro in tutti i paesi dell’Euro esaminati l’inflazione si manterrebbe tra l’1,4% ed il 2,8% tra il 2013 ed il 2015. Nel caso di rottura dell’Euro, la Germania conoscerebbe una deflazione dell’1,3% il primo anno, ed inflazione allo 0,9% il secondo anno. Il Italia l’inflazione sarebbe del 3,5% il primo anno e poi si assesterebbe sul 2,5% nel 2  e 3 anno.

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L’EVOLUZIONE DEI TASSI DI CAMBIO: la Germania spingerebbe l’EuroMarco a 1,53 su USD al 3 anno, mentre Italia e Spagna spingerebbero le valute nazionali ad 1,13 ed 1,10. Si nota come dopo il grande salto iniziale del primo anno, poi le cose si assesterebbero.
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L’IMPATTI SULL’IMPORT-EXPORT: si ipotizza che la componente estera del pil  abbia una variazione proporzionale al peso dell’import-export sul PIL, e pari all’1% per ogni variazione dell’1% del tasso di cambio (con uno sfasamento temporale di 6 mesi dall’event, per simulare l’inerzia del fenomeno che tutto sommato e’ ipotizzabile in Nazioni come quelle europee che lavorano molto a commessa). In sintesi, la Germania, fortemente dipendente dall’import-export (questi pesano per valori quasi meta’ del PIL) verrebbe penalizzata per circa il 7% del PIL, mentre Italia e Spagna avrebbero vantaggi cumulati in 3 anni pari a circa il 5% del PIL.
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L’IMPATTO SUL CONTO CORRENTE DELLA BILANCIA DEI PAGAMENTI: il calcolo e’ conseguenza di quanto sopra visto. La Germania se si mantenesse l’EURO manterrebbe un saldo positivo del 6-7% sul PIL grazie al vantaggio competitivo accumulato nell’epoca dell’euro, mentre in caso di ritorno alle valute nazionali il saldo verrebbe azzerato nell’arco di 2 anni (cosa gia’ avvenuta a seguito della svalutazione della LIRA e di altre valute nel 1992-95). L’Italia in caso di mantenimento dell’Euro manterrebbe un leggero saldo attivo, mentre in caso di svalutazione costruirebbe un saldo del conto corrente attivo di oltre il 5%.
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L’IMPATTO SUL PIL: il calcolo e’ conseguenza di quanto sopra visto, in particolare dell’andamento della componente estera del PIL.La Germania senza l’Euro avrebbe 2 anni di crollo del PIL a -3% circa mentre le nazioni periferiche avrebbero un rimbalzo fino ad arrivare al secondo anno a PIL maggiori del +2%.
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L’IMPATTO SUL PIL NOMINALE: interessantissima questa componente che e’ anche il denominatore del Debito Pubblico e di tanti indicatori. Ovviamente il PIL Nominale varia in funzione dell’andamento del PIL, e del deflattore del PIL (connesso a sua volta all’inflazione). Col mantenimento dell’EURO la Germania proseguirebbe la lenta corsa a fare meglio degli altri. Nel caso di ritorno alle valute nazionali il PIL Tedesco espresso in Euro-Marchi crollerebbe, mentre il PIL Italiano e Spagnolo crescerebbero in modo metto, grazie al buon andamento del PIL ed ai fenomeni inflattivi sopra descritti.
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L’IMPATTO SUL DEFICIT PUBBLICO: l’esercizio e’ svolto a politiche invariate in ambedue gli scenari (sappiamo che in realta’ il variare delle condizioni tende a far modificare le scelte e le politiche dei governi, ma trascureremo questo aspetto).  Si ipotizza un effetto del nuovo corso monetario pari al 35% del differenziale di PIL (45% per differenziale andamento del PIL e -10% per spese interessi). Col mantenimento dell’EURO la Germania manterrebbe deficit zero, mentre col ritorno al Marco la Germania tornerebbe a deficit sopra il 2% (i vantaggi di un ulteriore calo dei tassi sarebbero di vari ordini di grandezza inferiori al calo di entrate fiscali ed aumento di spese conseguenti al calo del PIL). Situazione opposta per i paesi periferici: l’Italia restando nell’euro resterebbe a deficit sul 3%, uscendo tenderebbe all’1% dopo 3 anni.
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L’IMPATTO SUL DEBITO PUBBLICO: l’esercizio e’ svolto a politiche invariate in ambedue gli scenari (sappiamo che in realta’ il variare delle condizioni tende a far modificare le scelte e le politiche dei governi, ma trascureremo questo aspetto) ed e’ consequenziale ai calcoli di cui sopra (in particolare a quelli sul PIL nominale ed al Deficit). Sia con l’Euro che senza, non abbiamo tenuto conto di impatti di salvataggi. Col mantenimento dell’EURO la Germania migliorerebbe il Debito al 76%, senza andrebbe al 90%. Situazione opposta per l’Italia: con l’Euro siamo sul 130%, senza andremo al 117% e trend calante.
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L’IMPATTO SULLA PRODUZIONE INDUSTRIALE: senza l’Euro le nazioni periferiche avrebbero un grosso vantaggio specialmente il 1 e 2 anno.
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L’IMPATTO SULLA DISOCCUPAZIONE: senza l’Euro le nazioni periferiche ridurrebbero fortemente i disoccupati e la Germania li aumenterebbe, al contrario di quanto sta avvenendo dal 2005 ad oggi.
  
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CONCLUSIONI:
Lo studio dice chiaramente quanto e’ intuitivo da chiunque mastichi di macro-economia: la rottura dell’Euro (non traumatica) e la rivalutazione del Marco penalizzerebbero pesantemente la Germania, ed avvantaggerebbero le economie periferiche, quella Italiana in primis. Le conclusioni sono le stesse di altri studi seri. L’effetto e’ lo stesso gia’ riscontrato nel passato in situazioni similari, e le ragioni sono esattamente quelle opposte a quelle che hanno consentito alla Germania di avvantaggiarsi in questi anni rispetto ai paesi periferici.
Mi rendo conto dei limiti di questo studio, e di svariate altre variabili (anche non economiche, interne o esterne) che potrebbero e dovrebbero rientrare in gioco, ma reputo che a meno di uno scenario distruttivo di default a catena, l’uscita dell’Euro di scena sia un’affare per l’Italia ed altre nazioni periferiche (specialmente quelle che hanno un sistema industriale dignitoso) ed un pessimo affare per la Germania, destinata col Marco ad un futuro Giapponese di deflazione-PIL asfittico-Debito crescente in un quadro demografico da film dell’orrore.
Il vero limite dello studio, sta nel comportamento umano, in particolare delle classi dirigenti dei paesi periferici, tendenzialmente poco responsabili, che potrebbero non approfittare degli evidenti vantaggi del ritorno alla valuta nazionale, facendo danni con decisioni di spesa improduttiva o altre misure tese a gestire il consenso nel breve periodo, e non a consolidare tale vantaggio in qualcosa di permanente. Ovviamente, tale situazione non risolverebbe tutti i problemi dei paesi periferici, ma certamente aiuterebbe ad affrontarli.
Mi auguro che questo post contribuisca ad attivare un serio dibattito sulla questione Euro ed altre analisi sulla questione e simulazioni sull’ipotetica uscita (o non uscita) dall’euro, perche’ comunque una nazione come l’Italia non si puo’ permettere il lusso in futuro di scelta ideologiche.
By GPG Imperatrice