venerdì 26 giugno 2015

LA CORRUZIONE DI "MIO CUGGINO" ED IL DOTTOR LIVORE


Mi ha detto mio cuggino che una volta in discoteca ha conosciuto una tipa che però poi non si ricorda più niente e alla fine si è svegliato in un fosso tutto bagnato che gli mancava un rene, mio cuggino mio cuggino.
Mi ha detto mio cuggino che sa un colpo segreto che se te lo dà dopo tre giorni muori, mio cuggino mio cuggino.
Mi ha detto mio cuggino che da bambino una volta è morto.
 (Elio e Le Storie Tese -Mio Cuggino)
Questo meraviglioso pezzo di Elio mi è tornato in mente oggi, leggendo le domande e le risposte degli intervistati da Eurobarometer per il suo report 2014 sulla corruzione.
Sul problema corruzione, che cosa sia e come influisca o meno sull'economia di un Paese, ho scritto tempo fa questo post che ha avuto un discreto successo e che vi invito a leggere. Oggi voglio integrare quanto detto, anche per approfondire un tema che era rimasto in sottofondo nel post, ovvero cosa in realtà ci dicono i dati raccolti. Cominciamo riguardando due grafici da me utilizzati:
TI_CPI_ITALIA

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Fonte: Global Corruption Barometer
Questi grafici ci descrivono due realtà quasi opposte: nel primo vediamo che il nostro indice di corruzione, già alto per un Paese con un'economia avanzata, tende a peggiorare (0= max corruzione, 10= zero corruzione) e quindi ci si aspetta che il fenomeno aumenti e sia consistente; nel secondo abbiamo la misurazione di un reale fatto corruttivo e, incredibilmente, le persone che si dichiarano vittime di corruzione rientrano percentualmente nella fascia dei Paesi più virtuosi. Come può essere?
Per capirlo dobbiamo chiarire cosa si intende quando si parla di indici di corruzione: il CPI o Corruption Perception Index è, come dice il suo nome, un indice che misura la corruzione percepita dall'intervistato, di solito un imprenditore o un manager di una grande azienda, ovvero la sua sensazione del livello di corruzione che esiste in un Paese, sensazione basata sull'esperienza diretta, ma anche dall'impressione avuta da articoli di stampa, dalla risonanza di fenomeni corruttivi sui media o da esperienze a lui riferite da terzi. Il fatto è che non esiste ad oggi un metodo empirico rigoroso per misurare la corruzione, essendo un fenomeno per sua natura nascosto e non determinabile nell'ammontare.
Andiamo quindi a vedere per quanto riguarda l'Italia le domande e le risposte degli intervistati (1.020 soggetti):
Corruz1
Alle domande generiche sul grado di corruzione che si pensa esista nel nostro Paese il panel di intervistati ha risposto con un plebiscito: il 97% crede che la corruzione sia un fenomeno molto o abbastanza diffuso in Italia, contro il 76% della media UE. Il 74% poi ritiene che il fenomeno sia peggiorato negli ultimi tre anni: ciò è in linea con il trend della CPI registrato dal 2002 al 2011. Il 93% ritiene che essa si annidi nelle istituzioni pubbliche nazionali e l'87% in quelle locali.  Neanche l'Unione Europea ne esce bene, visto che 3/4 degli intervistati la ritengono corrotta.
Un quadro desolante. Andiamo a vedere però nel dettaglio e già vengono fuori delle strane incongruenze:
Corruz2
A sinistra abbiamo le risposte a dove si pensa si annidi la corruzione ed è il solito campionario di risposte: vincono naturalmente i partiti politici con il 68% del panel che li ritiene corrotti ed i politici, sia nazionali che locali, poi si piazzano i funzionari che aggiudicano gli appalti quelli che rilasciano permessi edilizi (tutti sopra al 50%), gli ispettori del lavoro e dei NAS, i funzionari che rilasciano licenze commerciali ed il sistema sanitario in generale (intorno al 40%). Da questo quadro sembrerebbe che quasi ogni attività lavorativa con il pubblico sia svolta tramite mazzette e tangenti, ovvero che statisticamente sia quasi impossibile non imbattersi durante un iter amministrativo in almeno un funzionario che non richieda una tangente.
Invece no. Incredibilmente se andiamo all'esperienza diretta, ovvero sul lato destro (ricordiamo che gli intervistati sono tutti imprenditori e manager), il dato cambia: solo il 42% del panel conferma di essere stato colpito personalmente dalla corruzione e soprattutto una percentuale irrisoria (11%) considera accettabile dare denaro per ottenere qualcosa da un funzionario pubblico, contro uno sdegnoso 87% che si rifiuta categoricamente di farlo. Allora mi chiedo: ma chi è che corrompe o viene concusso dal funzionario pubblico? Se un gruppo selezionato di imprenditori e manager non lo farebbe mai e meno della metà hanno avuto esperienza diretta di tangenti o mazzette, o questi sono tutti irrilevanti o lavorano per imprese irrilevanti, fuori dal giro degli appalti, delle licenze, dei controlli, o tutta questa corruzione percepita attorno è puro miocugginismo. E in effetti lo è:
Corruz5
Questo ultimo grafico è straordinario: quando si chiede agli intervistati (ricordo che tutto si svolge in maniera anonima e con metodologie aggregate per cui non è possibile risalire al dichiarante, per ovvi motivi) se hanno vissuto o assistito personalmente ad episodi di corruzione negli ultimi 12 mesi la risposta è un vero plebiscito, NO al 90%! E guardate la sanità!
Corruz4
Questo è ancora più sorprendente: il 71% degli intervistati in Italia si sono recati negli ultimi 12 mesi in una struttura pubblica ed il 95% di loro ha dovuto ammettere che, oltre al normale ticket, nulla ha dovuto versare ad alcun medico o funzionario o infermiere. Nulla, nessuna corruzione o regalia.
Insomma la corruzione dilaga, permea tutti i gangli dell'attività pubblica, infesta la Sanità, soffoca qualsiasi concorrenza leale, ma quasi nessuno l'ha vista personalmente o l'ha subita! Quindi quasi tutto il CPI che indica l'Italia come il Paese europeo più corrotto (vi ricordate i titoloni?) è fondato su sentito dire, propaganda dei media, insomma "mio cuggino mi ha detto". Ciò è fantastico.
Allora chiediamoci: ma chi è che sparge questa voce, oltre alla cassa di risonanza dei media che amplificano i fenomeni pur importanti che vengono scoperti, spesso senza valutare le cifre reali (come nel caso di Mafia Capitale, dove le cifre reali sono ridicole)? Tanti Dottor Livore. Ve lo ricordate questo personaggio di Guzzanti?
Ecco, come il Dottor Livore tanti italiani sfogano la propria frustrazione e la propria inadeguatezza su chi è chiamato a giudicarli. La gara d'appalto l'ha vinta il concorrente? Eh, certo, sicuramente avrà corrotto il funzionario. Non mi viene rilasciata la licenza o il permesso per costruire? Certo, senza tangente non me la rilasciano, anche se mi spetterebbe, perché sono tutti corrotti, e così via. Molti insuccessi, magari legittimi, diventano ingiustizie patite, perché qualcuno ha corrotto, o si è fatto corrompere, o vuole la tangente per fare il suo dovere. Io ne ho esperienza diretta nella Giustizia: se avessi un euro per tutte le volte che ho sentito una persona dire che ha avuto torto in una sentenza, non perché aveva torto (mai sia!), ma perché il Giudice o l'Avvocato (suo o della controparte) si erano fatti corrompere, sarei milionario. La prima esortazione appena ottengo un incarico è generalmente "mi raccomando, avvocato, non si lasci tentare da XY che quello ci prova sempre" e quando vogliono fare un complimento ti dicono "si vede che lei non è di quelli che si mette d'accordo con l'avvocato di controparte per fregare il cliente, come fanno tanti". Tanti. In 26 anni di carriera mi è capitato una volta di essere contattato da un collega a questo scopo. Ma tant'è.
Questo esercito di piccoli Dottor Livore, confermati da quello che vedono ed ascoltano nei media nella loro convinzione che "è tutto un magna magna", con un perverso effetto di feedback contribuiscono ad alimentare la percezione che solo con la corruzione si ottiene il giusto (o l'ingiusto) e solo per colpa di essa non si è fatto od ottenuto quello che era dovuto. Come diceva Sordi in un suo memorabile personaggio "a me è la guerra che m'ha fregato, se non c'era la guerra adesso stavo ad Hollywood".
Non dico che la corruzione non ci sia, intendiamoci, o che non sia un grave fenomeno distorsivo da combattere (e se avete letto il mio precedente post già lo sapete), ma tra realtà e percezione c'è fortunatamente un abisso. Tenetelo a mente la prossima volta che sentite parlare di Italia corrotta.

giovedì 30 aprile 2015

Fenomenologia dell'ideologia economica liberista



Stiamo assistendo in questi ultimi anni ad un fenomeno anomalo: una teoria economica, che come tale dovrebbe rientrare in canoni scientifici di verifica sperimentale e falsificazione - anche se attenuati dall'essere una scienza sociale e quindi dotata di una certa non linearità e quindi imprevedibilità - per raggiungere la costruzione di un modello teorico efficace e testato, per quanto possibile, dall'esperienza, sta assumendo le caratteristiche di una costruzione ideologica totalizzante, come tale svincolata dalla verifica empirica.

Nel campo delle scienze, quando una teoria messa alla prova si mostra incapace di spiegare la realtà, o ancor peggio, viene smentita dai fatti empirici, viene semplicemente abbandonata. In campo economico attualmente sta accadendo l'esatto contrario: la teoria liberista si dimostra incapace di spiegare i fenomeni economici che accadono, ed anzi, i risultati attesi della sua applicazione come modello sono l'esatto contrario di quanto teorizzato, ma, incredibilmente, ad aver torto è la realtà e non la teoria!

Una prova di ciò l'abbiamo da un recente articolo di Blanchard, già citato in un post: il capo.economista del FMI riconosce che l'applicazione del modello classico non sta funzionando, ma da la colpa al fatto che la realtà si trova attualmente in un angolo oscuro (dark corner) dove le teorie ed i modelli non funzionano, una zona di anomalia nella quale i soggetti agenti di politica economica si sono andati a cacciare per loro colpa ed incapacità.

Una ulteriore prova da ultimo la da un'altro luminare del pensiero liberista, Kenneth Rogoff, già aspramente criticato per aver teorizzato una correlazione fra alto debito pubblico e bassa crescita che è stata demolita nel suo impianto, il quale ha tentato di spiegare la diversità fra quello che sarebbe dovuto accadere secondo il modello (fine della crisi e forte recovery ovunque) e quello che sta accadendo (crisi ancora forte in molti Paesi e debole e instabile recovery per gli altri) con il fatto - banalizzo il concetto - che siamo in presenza di una specie di superciclo economico, di ampiezza maggiore di quanto previsto, ma che alla fine si andrà a mutare in forte crescita, anche se ci vorrà più tempo.

Se un fisico o un astronomo facesse delle considerazioni del genere la comunità scientifica lo deriderebbe, considerandolo un ciarlatano. Al contrario un ragionamento come quello di Blanchard o Rogoff apparirebbe perfettamente legittimo ad esempio ad un teologo, perché rientra nella logica di una costruzione ideologica della realtà.

L'ideologia ha alcune caratteristiche ben precise che vediamo di esaminare:

1- Ha il compito di definire e spiegare compiutamente la realtà.

L'ideologia è tale perché da un'interpretazione univoca e totalizzante. Attraverso essa ogni evento trova una ragione ed, all'interno della razionalità della costruzione ideologica, ogni cosa può essere spiegata ed interpretata.

2- Cristallizza la realtà così da lei definita in un modello statico

Per funzionare una ideologia deve per forza bloccare la realtà all'interno dei suoi parametri interpretativi. Ciò comporta necessariamente man mano uno scostamento fra la realtà, che è mutevole ed in continua evoluzione, e la sua ricostruzione dogmatica che la vorrebbe immutabile.

3- Solo all'interno di essa si trova la giusta risposta

Questo fenomeno lo si riscontra in tutte la ideologie, sia religiose che laiche, come ad esempio quelle politiche: l'interpretazione dogmatica è l'unica giusta ed il seguace deve attenersi a questa. Pensare diversamente è eresia e cercare di ragionare sulla correttezza e coerenza dell'interpretazione dogmatica è errore. Non si deve ragionare, ma avere fede.

4- Ciò che è in contrasto con la costruzione ideologica è eresia e deve essere ignorato

Bisogna porre attenzione al fatto che la concezione di contrasto/errore per una ideologia non è uguale a quella della scienza: l'errore scientifico è la falsificazione popperiana che viene cercata, mettendo alla prova la teoria e ne stimola la revisione o l'abbandono, è un elemento da prendere in considerazione ed ha una valenza positiva di controprova. Il contrasto con l'ideologia, poiché è un vulnus alla perfezione e verità della stessa, è qualcosa di malsano, non deve essere cercato, pena la emarginazione come eretico, ed anzi deve essere ignorato poiché è sicuramente frutto di una non perfetta comprensione della "vera verità" o di una sua distorsione da parte del fedele. Nelle religioni il contrasto con la verità dogmatica è spesso frutto di forze del male che vogliono mostrare l'utilità e quindi la giustezza di comportamenti diversi. Tutta la lotta alle tentazioni, da Gesù nel deserto a Padre Pio, non è che una lotta fra comportamento non utile nelle finalità immediate, ma corretto e comportamento utile, ma non corretto dal punto di vista dogmatico.

Se andiamo ad analizzare quanto affermato dai due economisti citati sopra, vediamo che rientra perfettamente nel comportamento del custode dell'ortodossia: per Blanchard il modello è corretto perché lo deve essere: non importa che storicamente non abbia mai funzionato e che il FMI abbia portato ogni paese al quale lo ha imposto alla distruzione di ricchezza ed alla deflazione o, se andava bene, ad una crescita stentata a costo di enormi sacrifici sociali (per dati e riferimenti cfr. Chang, Bad Samaritans), il modello è "giusto" perché conforme ai dettati. Se la realtà non risponde al modello ci deve essere un problema nella realtà, un fattore negativo che agisce contro.

Per Rogoff troviamo lo stesso meccanismo (se il ciclo del modello non funziona, c'é un'anomalia nella realtà, per cui si ha un ritardo nei tempi, ma le dinamiche saranno comunque quelle) ed anche il rifiuto/rigetto del contrasto: quando venne fuori l'errore nell'implementazione dei dati su cui era basato lo studio sugli effetti di un elevato debito pubblico sulla crescita, si scoprì anche dell'altro, ovvero che i dati utilizzati per il modello erano stati "aggiustati", dando un peso maggiore a quelli che coincidevano con la teoria e minore, o addirittura escludendo del tutto, quelli che ne contrastavano. Poiché la buona fede dell'insigne studioso non è in discussione, è probabile che questo meccanismo di sottovalutazione dei dati a contrasto debba essere spiegato con l'inconscia necessità di ribadire una verità assiomatica e nella convinzione che, in quei Paesi in cui le dinamiche erano contrarie all'assunto, vi fosse qualche anomalia, tale da non risultare accettabili per un calcolo statistico, che fossero, come si dice in gergo tecnico, dei "dummies".

Evidentemente una scienza, pur sociale, che procede per fede non può essere attendibile e può portare a gravi conseguenze: è notizia recente che, sempre il centro studi economici del FMI a capo del quale vi è Blanchard ha dovuto ammettere, sempre ex post, che la maggiore flessibilizzazione del lavoro non provoca un aumento della produttività ed una crescita dell'economia. Nel frattempo però in Spagna, in Grecia ed in parte anche in Italia si è proceduti, sulla base della teoria ora smentita, a togliere diritti ai lavoratori, a comprimerne i salari ed a rendere sempre più facile licenziare, precarizzando il futuro dei giovani. Risultato: disoccupazione a livelli inaccettabili, pari al 26% (anche in Italia l'ISTAT dà in aumento il tasso al 13%), redditi in forte calo, aumento del debito complessivo e prospettive di futuro incerto per i nuovi assunti.

In campo economico la fede non smuove le montagne, ma può far crollare gli Stati...

Fact-checking: qualche dato reale sull'immigrazione clandestina africana



Le due ultime tragedie di migranti affondati su barconi nel Mar Mediterraneo hanno scatenato i media: oltre alla copertura sistematica degli eventi da parte di TG e talk show, praticamente 24 ore su 24, politici, operatori, uomini della Polizia e perfino esperti militari sono stati intervistati ed hanno rilasciato dichiarazioni, principalmente su come risolvere il problema degli sbarchi e del trasporto dei migranti, arrivando alcuni a definire gli scafisti come i "nuovi schiavisti", dimenticando che gli schiavi erano prelevati contro la loro volontà, non migranti, e non pagavano certo per farsi trasportare...

Non mi interessa in questa sede esaminare le soluzioni proposte al problema immigrazione, ma controllare la veridicità di qualche assioma: ecco i principali capisaldi, che tutti noi sentiamo ripetere sui c.d. migranti:

1- I migranti sono in buona parte dei rifugiati

FALSO Su 100.000 persone circa sbarcate fra agosto 2013 ed agosto 2014 solo il 30% ha richiesto lo status di rifugiato e solo al 10% dei richiedenti è stato concesso, valutate le domande. Ciò significa che il 97% dei clandestini sbarcati non sono e non hanno lo status di rifugiati.

2- I migranti provengono dai Paesi del Medio Oriente e dall'Africa sub-sahariana per colpa delle guerre

PARZIALMENTE VERO Le principali provenienze degli immigrati irregolari al 2010 sono qui indicate:


Come si vede nei tre anni presi in considerazione i luoghi di provenienza dei clandestini fermati sono principalmente il Marocco, la Tunisia ed il Senegal, con l'Egitto che è andato via via perdendo importanza e la Nigeria che invece ha aumentato i suoi flussi. Fino al 2010 nessuno Stato mediorientale fortemente instabile o in guerra, come Siria o Iraq è nei primi dieci ed in Senegal, paese sub sahariano, la situazione politica è stabile, come ci ricorda la stessa Farnesina:
"ll Senegal è un Paese tradizionalmente democratico, stabile sin dall'indipendenza e che ha saputo sperimentare pacificamente la cosiddetta alternanza politica. Il 25 marzo 2012 si è  concluso un lungo, combattuto ma ordinato processo elettorale con la vittoria alle presidenziali di Macky Sall (di stampo liberale) che si è assicurato il 68% dei voti a fronte del 32% del Presidente uscente Wade, capo del Partito Democratico Senegalese (PDS) e al potere dal 2000. Lo scrutinio, giudicato positivamente dai principali osservatori internazionali, ha dimostrato la maturità politica del Senegal quale esempio di democrazia per il continente africano ed attore fondamentale per rafforzare il dialogo interafricano e regionale. Le  elezioni del luglio 2012 per il rinnovo dell'Assemblea Nazionale hanno assicurato alla coalizione presidenziale anche una consistente maggioranza parlamentare.".

Tale situazione è rimasta pressoché stabile anche nel 2011 e 2012, con il Marocco ad essere predominante come Nazione di provenienza. Negli ultimi due anni la situazione però è radicalmente cambiata, con un incremento enorme delle provenienze da Siria e Eritrea, prima scarse, e da non definiti Paesi dell'Africa sub-sahariana, prima totalmente assente, come si vede dal prospetto del più recente report della Frontex


A fuggire sono soprattutto maschi adulti



3- I migranti fuggono da Paesi in grave crisi economica

PARZIALMENTE VERO Sempre secondo la Farnesina il Marocco, che è stato a lungo il primo per flussi migratori verso l'Italia, ha questo outlook economico:
"In relazione al 2013 e’ prevista una crescita del PIL marocchino  del 3,3%, grazie ad un miglioramento atteso dell’attività’ agricola la quale, a causa di condizioni climatiche avverse  nel 2012 , aveva registrato un indice inferiore agli anni precedenti (2,9% rispetto a 3,8% nel 2011).
Tuttavia, il ritmo di crescita economica in questo paese continuerà ad essere frenato dalla debolezza della zona euro.  Il  Marocco è fortemente ancorato in termini economici all’Europa, e la crisi europea limiterà gli introiti  del turismo ed  i trasferimenti dei marocchini all’estero. La ripresa ed il miglioramento delle attività economiche europee dovrebbero indurre una crescita del PIL marocchino dell’ordine del 4,8% nel periodo 2014-2017.". Quindi se il Marocco non cresce ai ritmi previsti è colpa della nostra debolezza, della crisi della zona euro! 


La Tunisia sconta un'instabilità politica che dura dalla c.d. "rivoluzione dei gelsomini", una delle tante "primavere" arabe (che qualche dubbio hanno sollevato sulla loro "spontaneità"); nonostante ciò ha avuto una crescita di PIL reale del 3,3% nel 2013 ed una lieve diminuzione della disoccupazione dal 18,1% al 17%, anche se il quadro macroeconomico rimane molto fragile.


Il Senegal, infine nel 2013 è cresciuto del 4,1% del PIL reale, ma ancora ha gravi squilibri nella distribuzione dei redditi e delle difficoltà a sviluppare una propria base imprenditoriale, per il costo dell'energia e la carenza di materie prime.

Questi Paesi sono quindi ancora molto fragili ed instabili, con forti disuguaglianze, ma in crescita e con buone prospettive future. Stati da cui si può emigrare, ma non fuggire, e comunque per poi tornare, come hanno fatto altri provenienti da Paesi in via di sviluppo.

I migranti da Siria ed Eritrea fuggono da zone di guerra o guerriglia e non per ragioni meramente economiche.

4- i clandestini in Italia sono oltre un milione ed in aumento

FALSO L'ultimo dato del 2012 da una presenza di irregolari stimata su 326.000, in calo rispetto agli anni passati e pari al 6% dei stranieri residenti. Sono aumentati invece gli stranieri regolari come si vede qui


Secondo il report di Frontex nel 2014 si sono aggiunti circa 170.000 irregolari, portando il totale a poco sotto le 500,000 unità. E' interessante notare che la percezione dell'italiano sulla presenza di immigrati in italia è totalmente distorta, come dimostra questo studio dell'IPSOS


Alla domanda quanti sono in percentuale della popolazione gli immigrati nel tuo Paese gli italiani hanno risposto mediamente il 30%, su un dato reale del 7/8%; c'è da notare che una sovrastima anche proporzionalmente maggiore accomuna tutti i Paesi oggetto dell'analisi, spia di un disagio generalizzato verso il fenomeno migratorio.

5- I clandestini sono in gran parte delinquenti

VERO Questo è il numero e la composizione degli stranieri detenuti in Italia


Come si vede le nazionalità più presenti coincidono con i flussi irregolari più cospicui che abbiamo visto sopra: l'unico studio sistematico esistente su clandestinità e criminalità è del 2004 e riporta che, su 16.788 detenuti stranieri nel 2002, 15.900 erano irregolari, una percentuale del 94% della popolazione carceraria straniera. Ciò confermerebbe che vi è un rapporto forte fra clandestinità e delinquenza, cosa piuttosto logica, trattandosi di una condizione che favorisce la commissione di reati. Come afferma il rapporto "Se andiamo a vedere la percentuale di stranieri accusati di reati si vede che a commettere più assiduamente i reati sono gli immigranti senza permesso di soggiorno (sono infatti clandestini il 70% degli stranieri condannati per lesioni volontarie, il 75% di quelli condannati per omicidi, l’85% di quelli condannati per i furti e le rapine)". Ma quali reati sono più frequenti?
a) la prostituzione ed il suo sfruttamento: le prostitute nel nostro Paese sarebbero (secondo l’Eurispes) circa 70 mila. Di queste il 70% sono straniere irregolari (quasi 50 mila). Le straniere che vengono indirizzate verso questa attività provengono:
• il 48% dall’Est (Albania, Romania, repubbliche ex-sovietiche);
• il 28% dall’Africa (soprattutto dalla Nigeria);
• il 22% dal Sud America (soprattutto dal Brasile).
Lo sfruttamento della prostituzione è invece gestito dagli albanesi, che rappresentano oltre il 42% dei denunciati, da cittadini provenienti dai paesi dell’ex-Jugoslavia (10% del totale) e solo in minima parte da nigeriani (7% del totale);
b) il contrabbando. Questo tipo di attività illecita è, secondo le stime del Ministero dell’Interno, gestito, soprattutto nella fase della distribuzione finale, prevalentemente da immigranti clandestini provenienti dal Marocco (l’80% dei denunciati per tale reato provengono da questo Paese);
c) lo spaccio di sostanze stupefacenti. La commercializzazione e la distribuzione della droga (soprattutto hascish) appaiono monopolizzate da clandestini provenienti dal nord Africa (marocchini, tunisini e algerini). Secondo statistiche più recenti, in alcune città del nord Italia (Genova, Torino, Bologna), l’80% degli arrestati e/o denunciati per tale traffico sono emigrati clandestini (inseriti ai livelli più bassi), mentre rimane monopolio delle organizzazioni criminali italiane il grande traffico internazionale;
Non sono invece significative le statistiche riguardo furti e rapine, che sono monopolio di immigrati dell'est europeo.

Come si vede accanto a verità comprovate vi sono anche falsità o esagerazioni del fenomeno e delle sue motivazioni, a volte funzionali ai discorsi pro o contro l'accoglienza: adesso avete modo di farvi la vostra idea in maniera più accurata. E di questi tempi non è poco.

martedì 14 aprile 2015

Perché l'Italia continua a tagliare i fondi per l'istruzione?

Colgo l'occasione da questo recente articolo del Corriere della Sera che mi ha lasciato piuttosto basito per compiere un esame dello stato dell'istruzione in Italia.

Innanzitutto poniamoci una domanda semplice: se questo è il livello di investimento sul sistema formativo

Fonte: OECD 2014

perché continuiamo a tagliare? Questa è la variazione di spesa negli ultimi anni:


Fonte: OECD 2014

e qui vediamo quanto è stato speso, o meglio, tagliato per l'istruzione rispetto alla spesa pubblica:

Fonte: OECD 2014

Siamo l'unico grande Paese e fra i pochi in assoluto che dal 2008 ha tagliato la spesa per l'istruzione. Non solo: abbiamo tagliata la formazione molto di più di quanto abbiamo tagliato per gli altri servizi pubblici!

La nostra spesa per la formazione, data la scarsa percentuale sulla spesa pubblica, è quasi solo per il pagamento degli stipendi

Fonte: OECD 2012
che non sono poi così elevati

Fonte: OECD 2012

Colpisce è che il maestro elementare costa di stipendio allo Stato quanto il professore di liceo, ma è vero che va considerato il numero di ore lavorate e la consistenza delle classi e questo fenomeno lo si riscontra anche in altri Paesi.

Da questi numeri appena visti sorge una considerazione: poiché uno dei parametri fondamentali per misurare l'Indice di Sviluppo Umano (I.S.U.), che è un parametro di sviluppo macroeconomico utilizzato dall'ONU dal 1993 per valutare il grado di qualità della vita in uno Stato, è il tasso di alfabetizzazione degli adulti ed il loro tasso di istruzione, visto il livello della spesa, come sarà questo tasso per l'Italia?

Fonte: OECD 2012

Fonte: OECD 2014

Una breve spiegazione per quanto riguarda i livelli di studio; l'"upper secondary" corrisponde grossomodo alla nostra scuola superiore o liceo e la "tertiary" alla formazione accademica (sia triennale che specializzata).

Come si vede l'Italia non ne esce bene: le percentuali di adulti scolarizzati oltre la scuola elementare è tra le più basse e gli adulti sopra i 25 anni, soprattutto nella fascia 45-54, che hanno raggiunto almeno un'istruzione superiore sono poco sopra la metà della popolazione adulta. Questa percentuale cala drasticamente se vediamo quanti adulti raggiungono e completano un'istruzione universitaria: solo la Turchia in Europa aveva una percentuale minore, ma ha avuto un miglioramento maggiore tra il 2000 ed il 2012 raggiungendoci. Ciò evidentemente influisce sulla capacità di comprensione ed elaborazione

Fonte: OECD 2012

Anche qui una breve spiegazione: i livelli indicati da 0 a 5 corrispondono al grado di comprensione ed elaborazione concettuale di un testo ed all'utilizzo di strumenti per reperire ed integrare informazioni; il grado 0 significa una capacità di lettura di un semplice testo ma l'incapacità di comprenderlo pienamente e farne una sintesi e la capacità di estrarre una semplice informazione da esso, come indicato da una domanda; all'opposto il grado 5 corrisponde ad una piena comprensione di un testo complesso, di estrarne le informazioni volute, di elaborale e la capacità di creare un proprio testo (o discorso articolato) a confutazione, teorizzando un modello esplicativo.

Gli adulti italiani che hanno una buona od ottima comprensione di un testo e capacità di reperire ed elaborare informazioni sono davvero pochi, sia in assoluto come percentuale, sia e soprattutto in rapporto agli altri Paesi. Solo la Spagna tra i grandi Stati europei ha un livello simile, soprattutto nella fascia di età più avanzata di popolazione.

Se questa è la situazione, e così torniamo alla domanda che ci siamo posti all'inizio, perché continuiamo a tagliare e quindi a deprimere la spesa per la formazione futura del nostro popolo? Una chiave di lettura ce la dà un grande scrittore italiano: Italo Calvino.


Come ho già evidenziato su un altro post sulla democrazia, uno dei meccanismi che fa sì che un sistema democratico funzioni è quello di avere un'opinione pubblica informata ed in grado di capire e valutare l'azione del proprio Governo e conseguentemente promuoverlo o bocciarlo con il voto ai partiti che lo esprimono; ciò si ottiene solo se i cittadini hanno un grado di istruzione abbastanza elevato da poter comprendere, sia la comunicazione dei politici su quanto hanno fatto ed hanno intenzione di fare, sia le valutazioni e le notizie riportate dalla stampa e dai mezzi di informazione. Per far ciò evidentemente occorre saper maneggiare un discorso od un testo abbastanza complesso, ovvero avere un'istruzione medio-alta. Ma non c'è solo questo aspetto.

Una buona istruzione è anche la base per i politici per poter ben governare: in un mondo complesso ed articolato come quello di oggi, le scelte decisionali presuppongono la comprensione dei problemi, in tutti i suoi aspetti, la conoscenza di varie materie, anche solo per comprendere i consigli dei tecnici incaricati di studiare le soluzioni, ed una visione ampia delle conseguenze delle varie soluzioni proposte. Una classe politica efficiente è quindi (anche, ma non solo) una classe politica colta.

Questo se si è un Paese con piena sovranità.

Se infatti si è una Nazione eterodiretta (ricordatevi il "pilota automatico" di Draghi...) la classe politica non deve essere capace di decidere, ma semplicemente di obbedire e di mettere in opera quanto deciso in altre sedi. Per far ciò non occorre un elevato grado di istruzione, che magari porterebbe ad obiettare rispetto ad alcune scelte imposte, ma semplicemente un buon grado di fedeltà, che si ottiene facilmente concedendo ai soggetti politici un livello di potere secondario sufficiente a garantirsi un certo prestigio ed un ritorno economico personale.

Questo spiega dunque la ragione per cui non si investe e non si investirà nel futuro nell'istruzione delle generazioni a venire: il manovratore europeo non vuole essere disturbato e per governare una colonia non è indispensabile essere colti e neanche tanto intelligenti. Basta essere furbi e saper catturare l'elettorato, magari con un modo di fare superficialmente simpatico.

Come Renzi, ad esempio...

venerdì 3 aprile 2015

Reddito di cittadinanza, flex-security e disoccupazione



Del reddito di cittadinanza ne ho già parlato.

Leggo però di una proposta che vorrebbe unire il sostegno a chi non ha lavoro all'introduzione di un salario minimo garantito di € 9/h: con ciò si eviterebbe il problema, da me segnalato, dell'appiattimento dei salari su un livello prossimo a quello del reddito di cittadinanza. La proposta sembrerebbe quindi ragionevole e condivisibile. Ma c'è un ma. Questo:



Come è possibile costringere le imprese italiane ad introdurre un salario minimo garantito orario, quando la redditività delle imprese è andata a picco? In un periodo di profonda crisi di domanda, a causa della quale le aziende non investono perché non credono di avere un rendimento da nuovi investimenti, avendo già degli impianti produttivi e manodopera sottoutilizzati, e le banche non finanziano per paura di non veder restituito il prestito concesso, come si può costringere un'impresa ad aumentare il costo del lavoro, erodendo ancor più la scarsa redditività?

Astrattamente la proposta sarebbe corretta, ma essa si scontra con il solito problema comune a tutte le soluzioni adottate anche dal Governo e rientra nella scia delle proposte classiche neo-liberiste: è una soluzione c.d. supply side. Anche in questo caso infatti si bada solo al lato dell'offerta, la produzione ed i fattori che la compongono, senza considerare che qualsiasi intervento, in queste condizioni, risulta solo o inutile o addirittura dannoso, se non si interviene sulla domanda di beni e servizi. E l'unico modo per farlo è inizialmente con una politica classicamente keynesiana: la creazione di occasioni di lavoro per le aziende, ovvero con gli investimenti dello Stato per far effettuare lavori pubblici. Solo con essi le aziende avrebbero uno stimolo a rimettere in moto la propria attività e, passato il primo periodo di utilizzo dei fattori già esistenti, che comincerebbero comunque a creare reddito consumabile, attraverso gli utili  e l'impiego di professionalità e imprese collaterali (dagli ingegneri, ai geologi, a tutte quelle professioni collegate ai lavori edili, nonché alle aziende in subappalto), la necessità di assumere nuove maestranze, ampliando così la base degli occupati e rimettendo in moto il ciclo dei consumi, attraverso il moltiplicatore keynesiano della spesa, già visto.

Pensare di risolvere i problemi di occupazione semplicemente costringendo le impres e a dare un giusto salario, senza però dare loro una ragione per fare ciò, ovvero una prospettiva di maggior guadagno, non solo è velleitario, ma persino controproducente. La flex-security di tipo scandinavo può funzionare solo se si ha un economia che tira, con una forte domanda aggregata, e un'alta spesa statale; non a caso i Paesi scandinavi sono quelli con la spesa statale più elevata, come si vede:


Secondo un'analisi recente di Sergio De Nardis, capo economista di Nomisma, solo una ripresa significativa della domanda aggregata, quindi un PIL che crescesse del 2/2,5% all'anno per almeno cinque anni, potrebbe far riassorbire la disoccupazione, mentre in queste condizioni intervenire sul mercato del lavoro, anche rendendolo più flessibile, come ha fatto il Jobs Act, non porterebbe alcun beneficio apprezzabile. In mancanza di queste condizioni la disoccupazione rischia di incancrenirsi e diventare di lungo periodo, con un rischio di non riuscire più a risollevarla, a causa di un fattore automaticamente espulsivo del disoccupato di lungo termine dal mercato del lavoro. Questa era la situazione europea al 2013:


Questo fattore è dato dalla combinazione di due situazioni: da una parte dall'obsolescenza o dalla perdita delle competenze del lavoratore a lungo inoccupato, che non risulta più utile alle imprese, dall'altro dalla concorrenza dei giovani inoccupati che risultano più appetibili alle aziende. A ciò vanno uniti fattori psicologici, come la perdita di determinazione del disoccupato, la riluttanza delle imprese ad assumere un lavoratore che è stato fermo per lungo tempo, poiché vengono spesso richieste esperienze recenti nella stessa tipologia di lavoro, ed altri. Il risultato è che, senza una costante formazione del disoccupato, finanziata dallo Stato ed eventualmente dalle associazioni di categoria, attraverso programmi di recupero ed aggiornamento delle competenze da egli maturate, il lavoratore rischia di non rientrare mai più nel mercato del lavoro, restando così a carico del sistema di welfare, appesantendolo e rendendolo nel tempo non sostenibile. Queste politiche di recupero si scontrano però con i limiti di deficit per la spesa statale e ancor più con il pareggio di bilancio sciaguratamente da noi introdotto in Costituzione e sono attualmente non applicabili.

Quindi delle due l'una: o si fa spesa per creare lavoro e si punta sulla crescita per cercare di riassorbire i disoccupati, potendo con l'aumento delle entrate pubbliche derivanti dal futuro maggior gettito finanziare successivamente programmi per la formazione di quelli di lungo periodo e se tutto va bene un reddito di sostegno, o si cerca subito di finanziare un sostegno che però non crea lavoro e che rischia di diventare insostenibile nel medio periodo, cristallizzando un tasso di disoccupazione elevato, che l'imposizione di un salario minimo porterebbe solo ad aggravare e creando quell'esercito di disoccupati che è la finalità dei neo-liberisti per consentire una costante tenuta di un livello minimo di retribuzione, flessibile ulteriormente verso il basso, se e quando sarà necessario, senza che i lavoratori possano ribellarsi.

Se non ci si rende conto che queste sono le uniche alternative si fa solo il gioco di chi dalla situazione attuale ha solo da guadagnare. E non sono i lavoratori.

lunedì 23 marzo 2015

Le pillole rosse - 8° pillola: la corruzione



Forse, insieme al debito pubblico, la corruzione è il tema più caldo da trattare. Quando si pronuncia la parola corruzione (con due erre arrotate ed una zeta che paiono tre) si evoca nel pensiero dell'ascoltatore un mostro mitologico che inghiotte risorse ed impoverisce il Paese, che sotto i suoi piedi ungulati costringe l'Italia a rimanere ferma nella corsa al progresso ed allo sviluppo. Un mostro nutrito da una classe politica incapace ed inefficiente che solo grazie ad esso può assurgere a posizioni rilevanti, a scapito di tanta gente capace ed onesta che meriterebbe e che viene calpestata e derisa (la citazione non è casuale...). Il vero problema della crisi italiana.

O no?

Capiamoci: la corruzione è un male e va combattuta e qualsiasi norma che la contrasti, qualsiasi azione volta a colpirla e debellarla è assolutamente utile e meritoria, ma chiunque la assurga a spiegazione della crisi od a giustificazione del vincolo esterno europeo, per definizione moralizzatore e benefico contro la piaga corruttiva, beh, o è vittima della martellante campagna mediatica di Matrix (per chi non sa cosa sia consiglio di cominciare dalla pillola n. 1), o ne è volontariamente complice.

Per valutare l'effettiva pericolosità di questo mostro occorre innanzitutto conoscerlo e capirlo, per cui vediamo cosa è la corruzione e da dove nasce.

La corruzione si può definire come quell'azione da parte di un soggetto tendente a modificare a suo favore l'iter normale di una decisione od il suo esito da parte di un organo amministrativo o politico. Il risultato è che un appalto, una fornitura o un servizio vengono affidati ad un soggetto piuttosto che ad un altro. La corruzione è un costo ulteriore per il corruttore (normalmente un impresa) e un guadagno extra per il corrotto (funzionario o politico). Dal punto di vista economico la corruzione non è un male in sé, in quanto determina solo uno spostamento di ricchezze fra due soggetti ed al limite una diversa allocazione di risorse pubbliche, che non è detto sia meno efficiente. Bisogna infatti distinguere le cause e le conseguenze della corruzione: se chi corrompe lo fa per sveltire un iter che comunque si dovrebbe compiere, la corruzione ha addirittura un effetto positivo sul sistema. Questo è ad esempio il caso di un Paese in via di sviluppo con procedure decisionali poco efficienti, le quali vengono sveltite dalla c.d. mazzetta, che permette il raggiungimento dello scopo (che si sarebbe raggiunto ugualmente, come una commessa di acquisto di beni esteri) in un tempo minore.

In generale comunque la corruzione ha un effetto distorsivo sulla spesa pubblica, perché può favorire un fornitore di beni o un appaltatore non ottimale, sia per la qualità oggettiva del prodotto offerto, sia per il rapporto qualità/prezzo dello stesso, con il risultato di avere un bene pubblico di minore qualità o comunque troppo costoso per il suo valore. Con i limiti alla spesa derivanti da vincolo esterno poi, ciò si traduce in minor possibilità di spesa per ulteriori beni o servizi. A ciò si aggiunga che, di solito, un bene di minor qualità ha una vita più breve o necessita più frequentemente di riparazioni e sostituzioni, con un aggravio della spesa ad esso relativa.

Sintetizzando le ragioni che causano la corruzione, essa si manifesta più facilmente quando:

- Vi sono regole di comportamento o procedure decisionali troppo complesse o farraginose.
- C'è un'alta discrezionalità del soggetto decisorio.
- I controlli sono assenti o ex post rispetto alla decisione.
- Gli stipendi dei funzionari addetti alla decisione od al controllo sono bassi.

Qui già è possibile fare un'osservazione che spiazzerà tutti i sostenitori dell'opera moralizzatrice dell'Unione Europea: molte di queste fonti di corruzione sono state incrementate dalla legislazione comunitaria.

La UE infatti ha decisamente complicato gli iter decisionali e la complessità della vita economica delle aziende, stabilendo minuziosi quanto pedanti requisiti per la produzione di beni o l'effettuazione di servizi ed opere; ha spostato i livelli decisionali decentrandoli, aumentando così il potere e la discrezionalità in ambito locale, molto più suscettibile di pressioni corruttive; ha infine spostato i momenti di controllo dell'attività amministrativa locale, ponendoli quasi tutti ex post (per un esauriente sintesi vedi questo post di Barra Caracciolo). L'austerità decisa a livello europeo e alimentata dai rigorosi vincoli di spesa, che dovevano essere moralizzatori, ha poi impoverito il settore pubblico, sia dal punto di vista economico, che dal punto di vista delle risorse umane disponibili, rendendo da una parte più corruttibili i funzionari, dall'altra meno efficienti i controlli, per la scarsità dei soggetti controllori rispetto al volume di attività, oltretutto a volte con la tagliola temporale del silenzio-assenso, che impone tempi di intervento incompatibili con la scarsità dei mezzi e del personale.

Una pubblica amministrazione propagandata come più snella e quindi più agile (come se fosse un corpo fisico che si muove meglio se pesa meno...) nei fatti si è trasformata in più vecchia (per il tasso di sostituzione minore degli impiegati, a causa del blocco dei turn-over), più povera (sono tre anni che vige il blocco dei salari), meno rapida ed efficiente (pochi addetti per alto volume), meno controllata e meno controllante l'attività privata e, complessivamente, meno motivata, quindi meno produttiva. Tutti questi sono ottimi terreni di coltura per il proliferare di attività corruttive o concussive.

Ma la corruzione che impatto ha sui fondamentali economici di un Paese? Esiste una correlazione fra corruzione e crescita del PIL, corruzione e debito pubblico, corruzione e crisi economica?

Per quanto riguarda la prima questione un interessante analisi empirica pubblicata dall'Università di Milano -Bicocca ci dice che, mentre per i Paesi in via di sviluppo la corruzione influisce sulla crescita del PIL con un moltiplicatore maggiore di 1, ovvero un aumento di 1 unità dell'indice di corruzione percepita (CPI) (aumento perché l'indice va da 10, zero corruzione, a 0, paese totalmente corrotto) corrisponde ad un tasso di crescita economica di 1,22% e dello 0,50% del PIL reale pro-capite, per i Paesi ad economia avanzata, come l'Italia, l'impatto, a parità di altri fattori, è molto meno rilevante, addirittura provoca un aumento solo dello 0,05% del tasso di crescita economica. Ciò quindi esclude una seria rilevanza ed una correlazione fra corruzione e crescita nei paesi ricchi. Qualcuno potrebbe storcere il naso per la poca autorevolezza dell'autrice dello studio (una semplice laureanda): questo lavoro però trova autorevole conferma in questo articolo su Foreign Policy dove vengono riportati i risultati di alcuni studi accademici che dimostrano la scarsa correlazione fra corruzione e crescita economica che risulta molto più legata alla qualità della classe politica, al grado di libertà delle istituzioni ed al livello dell'economia globale.

Una frase merita di essere riportata, perché è riferita alla situazione attuale in Sud Europa: "While anti-corruption measures are probably a net positive in the long run (not to mention an essential PR move in countries rightly seething with anger at their elites), they can also be something of a red herring; in European countries decimated by austerity, teetering banks, and the loss of independent monetary policy, corruption is a secondary issue." (grassetto mio).

Neanche il debito pubblico sembra correlato con la corruzione: un'analisi empirica rigorosa compiuta dall'economista Alberto Bagnai e pubblicata nel suo blog, dimostra che non vi è rapporto di causa - effetto fra CPI e livello di debito pubblico. L'analisi di Bagnai è confermata da questa elaborazione grafica tratta dal blog di Wendell Gee su dati FMI




I puntini, rappresentanti i singoli Stati, sono dispersi e non offrono alcuna correlazione fra livello di debito e tasso di corruzione (che qui va da 0 (nessuna corruzione) a 100 (massima corruzione)).

Per il rapporto fra crisi e corruzione, basta dare un occhiata a questi grafici, che a qualche lettore saranno ben noti:


Fonte dati: ISTAT





Fonte: goofynomics


Ora i casi sono due: o il livello di corruzione in Italia è aumentato vertiginosamente a fine anni '90, peggiorando il nostro saldo estero, deprimendo la produzione industriale e portandoci al declino rispetto ai nostri vicini, o la crisi italiana non dipende dalla corruzione, che c'era ben prima (e basta rileggere la storia degli anni '80 - '90 per rinfrescarsi la memoria...).

Questo è lo storico dei livelli di corruzione negli anni dal 1995 al 2004:


Nel periodo in cui comincia a calare la produzione, il conto economico peggiora ed aumenta lo scarto reddituale fra Italia e resto dell'UE, l'indice CPI di corruzione sale (quindi la corruzione percepita scende) da 3.4 a 5.3 per arrivare ad un massimo di 5.5 nel 2001, quando gli indicatori economici cominciano a collassare. La minor corruzione non sembra quindi portare ad una maggiore crescita, anzi paradossalmente sembra accada il contrario: evidentemente non vi è relazione fra i due fenomeni e il declino prima e la crisi poi sono causati da altro.

Il fatto è che sicuramente la corruzione è una distorsione che impedisce l'allocazione ottimale delle risorse pubbliche, ma crea comunque una ricchezza in capo a soggetti che viene in effetti spesa o, come accade negli ultimi tempi, la corruzione è essa stessa direttamente spesa per beni o servizi che il corrotto non potrebbe permettersi, per cui non può essere considerata la causa della crisi, che come abbiamo più volte detto è una crisi di redditi e quindi di domanda di beni e servizi e conseguentemente di investimenti, come si può vedere:



Pare vero invece il contrario, ossia che la crisi abbia peggiorato il livello di corruzione dell'Italia, poiché il funzionario pubblico, con i tagli di stipendio o comunque il mancato adeguamento dello stesso all'inflazione, tende più facilmente a cercare di mantenere il proprio livello di vita e consumi attraverso entrate extra, derivanti appunto da corruzione, una corruzione spicciola che spesso prende la forma opposta di concussione: la richiesta di denaro del soggetto pubblico per compiere il suo dovere. Se vediamo i dati di CPI storici dell'Italia abbiamo la conferma di questa situazione:



Come si nota fino al 2008 il CPI rimane costante oscillando fra 5.3 a 4.8, a seconda delle rilevazioni. Dopo il 2008 l'indice CPI scende, quindi aumenta il tasso di corruzione percepita, andando fino al 3.9 del 2011.

Un ultima considerazione: a vedere il primo grafico comparativo l'Italia sembrerebbe storicamente porsi in una via di mezzo fra l'onestà dei Paesi industrializzati, che viaggiano su una media fra il 7.6 e il 7.9 e quella dei Paesi in via di sviluppo, che si attestano fra il 3.8 e il 4.2. Il peggioramento degli ultimi anni poi ci porrebbe decisamente al livello delle democrazie meno sviluppate ed i risultati del 2014, che hanno trovato profondo eco sui mezzi di informazione, ci darebbero come i più corrotti in Europa, per la gioia degli auto-razzisti di cui la nostra nazione pullula. Questo ci dice l'indice di corruzione percepita che prende in considerazione le impressioni di un panel di imprenditori e manager. Ma se si va a vedere un'altro tipo di sondaggio che prende in considerazione una domanda diretta, allora si hanno delle sorprese:

Fonte: Global Corruption Barometer


La percentuale degli episodi di corruzione/concussione diretta e non percepita pone l'Italia incredibilmente al pari dell'Inghilterra e in posizione migliore addirittura della Svizzera, anni luce distante dalla Grecia, che invece secondo il PCI avremmo superato. Ora, questo non significa che la situazione sia effettivamente così rosea, vi possono essere molti fattori che vanno presi in considerazione, come l'importo complessivo delle tangenti o la reticenza ad ammetterle, anche in via anonima, ma significa comunque che gli indici di corruzione sono da prendere con molta cautela, trattandosi a volte di meri convincimenti, magari alimentate dalla stampa, o a volte di semplice sentito dire. Quello che è sicuro è che ad oggi non vi è un metodo preciso e sicuro per conoscere l'entità del fenomeno corruttivo in un Paese, né un organismo realmente indipendente e trasparente che ne possa dar conto.

Se pensate quindi che il problema dell'attuale declino si risolva con la lotta alla corruzione, giusta e sacrosanta ma non primaria, fate solo il gioco di chi vuole sviarvi dai veri problemi: se non li conoscete basta leggersi questo per cominciare a farsi un idea e magari questo per capire perché c'è tanta gente che si frega le mani e vi incoraggia quando gridate come Giannini "Stato ladrooo"...


sabato 21 marzo 2015

Draghi: "La BCE non fa politica". Memoria corta, ma glie la rinfreschiamo

Oggi Draghi ha ribadito da Cipro "la BCE non fa politica". Ci dobbiamo credere? Vediamo un po' di storia recente.


Come ricorderete, lo spread fra i nostri BPT ed i Bund a metà 2011 cominciò a decollare, superando quello fra Bonos e Bund, ovvero fra i titoli di stato spagnoli, storicamente più deboli dei nostri, ed i titoli tedeschi. Ma con una anomalia. Lo spread decollò troppo, come si vede qui:


Non c'era infatti nessuna ragione macroeconomica per cui i nostri titoli dovessero salire così bruscamente fra luglio e novembre 2011 e la speculazione internazionale ancora non aveva ancora deciso se scommettere contro la tenuta dell'euro od attendere, lucrando i rendimenti dei titoli sovrani degli Stati periferici. Ed allora cosa era successo? Era successo che la Germania, tramite le sue banche, principalmente la Deutsche Bank, aveva iniziato una massiccia vendita al ribasso dei BTP: nei primi sei mesi del 2011 il suo portafoglio passò da 8,01 miliardi a 997 milioni in titoli italiani, con una riduzione del 88%! Naturalmente di fronte a questa massiccia vendita, oltretutto e stranamente, estremamente propagandata dai mezzi di informazione con dovizia di particolari, il mercato reagì: i grandi fondi edge e le banche d'affari cominciarono a vendere allo scoperto titoli italiani, sia nei mercati futures, sia in quelli cash, confidando che la BCE non sarebbe intervenuta per sostenerne il corso, stante i limiti di mandato del suo operare. I futures sui BPT crollarono, passando da un valore di 110 ad 87,5, mentre quelli sui Bund passarono da 125 a 139, aiutando anche a tenere bassi gli interessi sui titoli tedeschi. Gli interessi del debito sovrano italiano invece crebbero, facendo divenire pressoché insostenibile a lungo termine il suo finanziamento e facendo temere a breve un default, che nei fatti non c'era, ma che una campagna di informazione martellante e le dichiarazioni quotidiane dei politici avversi fecero credere imminente. Il risultato fu il crollo del Governo Berlusconi, che peraltro già non godeva più di una solida maggioranza e l'insediamento "forzato" di Monti. Perché dico che non c'era pericolo imminente? Perché lo avevano appena detto uno studio della Commissione Europea, la Fondazione Stiftung Marktwirtschaft e la Neue Zürcher Zeitung! Riporto il grafico conclusivo di quest'ultima, che appare il più chiaro visivamente:


La sostenibilità a breve, immediata, è la barra blu, mentre quella a lungo termine è la barra celeste: i Paesi che hanno un debito sostenibile sono quelli che hanno l'andamento della barra negativo (verso sinistra) gli altri sono quelli più o meno insostenibili: quanti ne vedete sostenibili? Solo uno, l'Italia. Nel 2011 l'Italia era quindi perfettamente in grado di resistere e di far fronte ai propri impegni di spesa: altro che mancare i soldi per gli stipendi, come continua a dire qualcuno...

Su questo attacco si è già parlato molto, grazie alle rivelazioni del giornalista Alain Friedman, per sostenere o negare che l'azione fu orchestrata dalla Germania, proprio per eliminare Berlusconi che rischiava di far saltare il sistema euro: il famoso colloquio avuto da Napolitano con Monti a giugno 2011, in piena bufera speculativa, ha riempito le prime pagine dei giornali, così come si è molto disquisito della reale o meno volontà di Berlusconi di rovesciare il tavolo, minacciando l'uscita dall'eurozona. Ora però si è aggiunto un tassello piuttosto significativo ed inquietante: secondo un libro uscito l'anno scorso in America e scritto dall'ex Ministro del Tesoro americano Tim Geithner, alcuni funzionari europei lo avvicinarono nell'autunno del 2011 per proporgli un piano per abbattere Berlusconi, attraverso il diniego di sostegno all'Italia da parte del FMI, finché non se ne fosse andato. Questo darebbe credito alla tesi del "complotto" politico-finanziario ed ancora più grave avvalorerebbe l'ipotesi di un "golpe" nei confronti degli italiani, privati di fatto della loro sovranità, con la nomina, fuori da ogni processo democratico, di Monti a Presidente del Consiglio.

Che i mercati, o meglio le banche tedesche sui mercati, che qualcuno considera neutrali e rispondenti solo a logiche economiche, si erano comportati in maniera anomala lo aveva notato anche qualcun'altro: Prodi, che all'epoca era ormai osservatore esterno, dichiarò il suo stupore per l'azione della Germania, da lui considerata "suicida". Queste le sue parole in un'intervista al Corriere della Sera del 28 luglio 2011(qui il testo integrale): “La scelta di DeutscheBank? Un suicidio”. “E' la dimostrazione di una mancanza di solidarietà che porta al suicidio anche per la Germania. Significa la fine di ogni legame di solidarietà e significa obbligare tutti a giocare in difesa. E quando questo viene dalla Germania, un Paese che ha avuto più saggezza nel capire gli altri fino a qualche anno fa, sono assolutamente turbato”.

Dopo l'insediamento di Mario Monti come capo dell'Esecutivo, con il plauso e la benedizione della Merkel, lo spread cominciò a ridiscendere, ma durò poco: questa volta a giocare a sfavore era l'instabilità della Grecia ed il pericolo concreto della sua uscita dall'euro con il conseguente rischio da parte degli investitori (soprattutto tedeschi) di vedersi restituiti i prestiti in moneta svalutata e magari con un deciso haircut del credito. Ma qui intervenne l'altro Mario, quello che durante l'attacco del 2011 era stato silente a guardare la speculazione fare a pezzi l'Italia, Mario Draghi. Al culmine dell'instabilità e mentre gli edge fund e le banche pregustavano un'altra scorpacciata, nel luglio del 2012, il Presidente della BCE fece la sua famosa dichiarazione, riassunta nella frase "whatever it takes", in cui lanciava il programma OMT, Outright Monetary Transaction, un programma di acquisto condizionato dei titoli di stato dei Paesi dell'eurozona per difendere gli Stati in difficoltà dall'innalzamento dei tassi di interesse. Bastò la semplice dichiarazione di intervento a sconfiggere le spinte speculative ed a far abbassare gli spread, come il grafico sopra postato dimostra. Ora, è legittimo chiedersi come mai Draghi abbia trovato l'escamotage per impegnare la BCE ad un intervento senza violare lo statuto per salvare l'euro nel 2012, mentre non abbia avuto la stessa brillantezza per salvare l'Italia nel 2011: l'unica cosa che si può segnalare per comprenderne i motivi è il fatto che, grazie alla crisi del 2011, ci fu un cambio di guida in Italia, ma anche in Grecia, ed in tutti e due i casi furono sostituiti Presidenti del Consiglio riottosi ad eseguire le direttive della Commissione Europea e che avevano accarezzato l'idea di uscire dall'euro (Papandreu stava per indire un referendum, Berlusconi ne aveva parlato con i partner europei, secondo Bini Smaghi) con soggetti, provenienti dal mondo finanziario (Monti, Papademos), del tutto in linea con le direttive economiche.

Vi pare che questo comportamento di Draghi, che non muove un dito per salvare la sola Italia da una speculazione tendente a rovesciare un governo riottoso (Berlusconi), ma dichiara di "fare tutto ciò che è necessario" per salvare la Grecia e tutti i Paesi periferici (e quindi l'euro) quando al potere ci sono governi (Monti, Papademos) perfettamente allineati, non sia stato un agire politico?

Decisamente il capo della BCE ha la memoria corta