giovedì 29 agosto 2013

GRECIA: LA GUERRA CIVILE è ALLE PORTE

di Anna Filamonova

Di recente, la Grecia ha avuto “l’onore” di essere la prima in Europa per la riduzione delle spese di bilancio sui servizi sanitari. In particolare, le spese sui medicinali sono state ridotte da 5,6 miliardi di euro (2010) a 3,8 miliardi nel 2011 e 2,88 miliardi nel 2012. Come diretta conseguenza, più di 50 compagnie farmaceutiche internazionali hanno sospeso l’invio di medicinali alla Grecia. Per i parenti dei pazienti dell’ospedale è diventato comune dover correre estenuanti maratone da una farmacia all’altra per cercare le medicine necessarie. C’è un’acuta carenza di attrezzatura medica. Gli ospedali statali contano solo circa 6.500 dottori e 20.000 infermiere e inservienti; massicce quantità di medici professionisti stanno lasciando il Paese.

Persino chi ha un lavoro ha difficoltà a pagare per i servizi medici, i cui prezzi sono bruscamente aumentati. Sempre più spesso la gente non ha soldi per ottenere un’assistenza medica di qualità, specialmente nelle regioni rurali e sulle isole. In un rapporto di esperti dell’ONU pubblicato nel maggio 2013, è stato osservato che più del 10% del totale della popolazione del Paese vive in condizioni di estrema povertà. La Grecia rimane il solo Paese dell’Eurozona senza un complesso schema di assistenza sociale, i servizi sanitari sono quasi inaccessibili ai poveri e ai cittadini con redditi bassi e quasi un terzo della popolazione non ha un’assicurazione medica statale.

Nonostante la liquidazione forzata dello stato sociale in Grecia, la crisi che si è abbattuta sul Paese non fa che peggiorare e i pagamenti dei debiti ai creditori internazionali si fanno più difficili. Quando nel marzo 2012 alcuni investitori privati furono costretti a cancellare più del 50% del debito greco, la Goldman Sachs, ad esempio, si è rifiutata di ristrutturare il debito della Grecia. I prestiti nazionali da 5 miliardi di dollari verranno ripagati alla banca per intero. Come il trader di Wall Street A. Rastani aveva affermato non molto tempo prima della nomina di Lucas Papademos come primo ministro, “a noi non importa molto di come aggiusteranno l’economia, di come aggiusteranno l’intera situazione; il nostro lavoro è guadagnarci e personalmente sogno questo momento da tre anni. Tutte le sere vado a letto e sogno un’altra recessione … quando il mercato crolla … se sai cosa fare, se hai il giusto piano da assemblare, puoi farci un sacco di soldi”. A quanto pare, il “piano giusto” è stato messo in moto. Da un parte, l’obiettivo di ridurre il totale del debito greco al 124% del PIL era stato fissato; dall’altra, nel 2012 il debito aveva già raggiunto il 156%, nel 2013 sarà di almeno il 175% ed entro il 2014 sarà di almeno il 190% del PIL nazionale.

L’offensiva su vasta scala contro la proprietà dello Stato continua. Nel 2010 il governo di G. Papandreou ha garantito ai creditori internazionali che sarebbe stato in grado di guadagnare almeno 50 miliardi di euro tramite la privatizzazione della proprietà statale della Grecia; tuttavia, secondo le successive stime degli esperti, entro il 2016 non verranno guadagnati più di 9,5 miliardi di dollari dalla privatizzazione. E questo nonostante il fatto che è stato privatizzato praticamente tutto – il settore energetico, i trasporti, la costa. Persino il servizio fiscale è stato privatizzato. Persino le università sono proprietà privata per il 49%, il che va direttamente contro la Costituzione nazionale. Ma in Grecia ci sono tutti i modi per aggirare la legge: ad esempio, per poter espandere la privatizzazione, sono state abolite 69 leggi che avrebbero complicato le cose. Nella sfera della privatizzazione, c’è un regola per cui non è permesso restituire allo Stato un oggetto privatizzato.

La Grecia è ricca di risorse naturali, possiede una sviluppata industria navale e un enorme potenziale per sviluppare la sua produzione agricola e industriale ed il suo turismo. Il leader del Movimento dei Cittadini Indipendenti Spitha, il compositore greco Mikis Theodorakis, consiglia questo piano per salvare l’economia della Grecia: “Noi proponiamo di negoziare un prestito dalla Russia o dalla Cina ad un tasso di interesse inferiore. Inoltre, proponiamo di ridurre la somma creando una joint venture con compagnie russe, come l’oleodotto Burgas-Alexandroupolis, in modo da sfruttare insieme le ricchezze del nostro Paese. I beni del nostro sottosuolo comprendono risorse estraibili di valore ed è dimostrato che possediamo aree petrolifere e di gas. Abbiamo molti porti che potrebbero essere usato per diverse necessità, comprese basi di mantenimento militare, come ad esempio su Syros, dove in passato le navi sovietiche si fermavano per le riparazioni. E la cosa più importante, noi crediamo che delle più strette relazioni tra il popolo russo e quello greco permetterà al nostro Paese di respirare liberamente, dal momento che oggi siamo costretti ad abbassare la testa di fronte agli interessi e ai capricci dei ricchi Paesi occidentali”. Tuttavia, queste proposte vengono ignorate.

Una volta la Gazprom aveva manifestato interesse comprando la parte di proprietà statale (65%) della DEPA Corporation, che si occupa della distribuzione di gas in Grecia, ma l’affare è saltato, come indicato dai rappresentanti della Gazprom, a causa dell’assenza delle garanzie adeguate da parte del governo greco e della possibilità che Bruxelles avrebbe posto il veto sull’accordo.

La Grecia, con il suo enorme debito estero, viene condotta verso Scilla e Cariddi: da un lato, l’Unione europea minaccia Atene con duri provvedimenti se il piano di privatizzare gran parte del Paese dovesse fallire; dall’altro, sta ostacolando gli accordi di privatizzazione con i partner “sbagliati”, primo su tutti la Russia, sabotando la possibilità di recupero per l’economia della Grecia …Gli obiettivi delle strutture euro atlantiche con riguardo alla Grecia sono state in parte rivelate dall’ex ministro degli esteri tedesco Joschka Fischer, il quale in un’intervista con il quotidiano italiano Corriere della Sera ha dichiarato che se la Grecia esce dall’Eurozona potrebbe arrestare l’integrazione degli Stati balcanici nell’UE. Secondo Fischer, un risultato simile è altamente indesiderabile, in quanto aprirebbe la strada alla Russia al dominio sui Balcani. Questo è perché, ad esempio, il rapporto di luglio del FMI pone l’accento sul significato speciale della partecipazione della Grecia al progetto del Gasdotto Trans-Adriatico (TAP) per esportare gas naturale dall’Azerbaijan all’Europa attraverso la Grecia, l’Albania ed il Nord Italia. 

È previsto il rilancio del programma per la privatizzazione della compagnia del gas DEPA per la metà del 2014. I preparativi per la vendita sono stati fatti a gran velocità. Il 3 agosto 2013, la compagnia greca del gas e del petrolio Hellenic Petroleum ha approvato l’acquisizione da parte della compagnia petrolifera della Repubblica dell’Azerbaijan (SOCAR) della maggioranza delle azioni dell’operatore greco del sistema di trasporti del gas, la DEFSA.

In complesso, nel periodo 2008-2012 il volume dell’economia greca è diminuito di almeno il 25%, peggio delle cifre della Grande Depressione americana del 1929. Quest’anno il governo greco si aspetta un’ulteriore diminuzione del PIL del 4,5%.

E naturalmente, le misure di austerità non hanno intaccato banchieri o armatori (la Grecia è il terzo paradiso fiscale degli armatori nel mondo). L’impatto della “riforma”, sotto forma di aumento dei prezzi, delle tasse e della disoccupazione, ha colpito i segmenti più poveri della popolazione. Nell’aprile 2013, il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 27,2%. Dietro questa cifra giace il destino di 4,56 milioni di persone. In 450.000 famiglie greche non c’è una sola persona occupata. Dei 2,6 milioni di persone che lavorano nel settore pubblico, 900.000 sono stati licenziati nel solo 2009. Tra i giovani dai 15 ai 24 anni, il tasso di disoccupazione è del 60%, anche se secondo gli specialisti questa cifra non riflette il vero stato delle cose. I sussidi di disoccupazione sono stati tagliati e ora li ricevono solo 225.000 disoccupati. L’Eurotroika comporterà il licenziamento di altre 150.000 lavoratori del settore pubblico entro il 2015.

Dal 2009, ci sono stati 8.000 scioperi in Grecia, compresi alcuni generali. Oggi la situazione nel Paese è tale da trovarsi sull’orlo degli scontri armati: i casi in cui i manifestanti fanno uso di armi vengono osservati sempre più spesso. “Un’esplosione sociale è inevitabile”, afferma l’ex diplomatico greco Leonidas Chrysanthopoulos, “è solo questione del quando accadrà”.

Anna Filimonova
Fonte: www.strategic-culture.org
Link: http://www.strategic-culture.org/news/2013/08/18/greece-a-social-explosion-is-inevitable.html

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cuar di ROBERTA PAPALEO

Olli Rehn avverte l'Italia: l'Italia copra il gettito perso dell'IMU

Mentre Enrico Letta esulta, l'Italia rimane osservata speciale dell'Unione europea. Arriva subito l'avvertimento.


il commissario Ue all'economia, Olli Rehn avverte l'Italia. "Essenziale assicurare la sostenibilità della finanza pubblica".
C'è una cosa che l'Italia deve tenere sempre in considerazione: che la sua sovranità, così come quella di altri paesi dell'Eurozona, non è più soltanto nelle sue mani. Anzi, a detenerla è soprattutto l'Unione europea. Dunque, in queste ore in cui Pdl e Pd rivendicano la paternità e il merito dell' abolizione dell'Imu, Roma rimane osservata speciale.

L'Ue sta infatti analizzando la decisione del governo Letta e vuole capire quali misure saranno adottate per compensare il gettito fiscale perso.

"E' assolutamente essenziale - afferma in una nota il commissario Ue all'economia, Olli Rehn, - che l'Italia assicuri la sostenibilità della finanza pubblica - Accolgo con favore le forti rassicurazioni del primo ministro Letta sulla determinazione dell'Italia di rispettare i suoi impegni di bilancio per il 2013. Il governo ha inoltre annunciato che intende coprire l'impatto sul bilancio delle misure annunciate riducendo la spesa piuttosto che aumentando le tasse. Anche questa è una mossa nella giusta direzione, ma attendiamo naturalmente di vedere i dettagli di questi piani".
Fonte: WSI

mercoledì 28 agosto 2013

Merkel: La Grecia non avrebbe dovuto entrare nell'euro


Furore da campagna elettorale: la cancelliera accusa il suo predecessore Gerhard Schroeder. I suoi discorsi sembrano proprio anti euro.
La cancelliera tedesca Angela Merkel si scaglia contro il suo predecessore Gerhard Schroeder per aver permesso alla Grecia di entrare nell'euro.

Sempre più agguerrita la campagna elettorale di Angela Merkel. D'altronde, l'Election Day si avvicina - i tedeschi si recheranno alle urne il prossimo 22 settembre - e la cancelliera vuole assolutamente riconfermare la propria poltrona e il proprio potere: per continuare a governare non solo in Germania anche in Eurozona.

E così, parlando a un comizio di fronte a una platea di 1.000 elettori, Merkel ha detto che la crisi dei debiti in Grecia stava andando avanti da anni, e che dunque Atene non avrebbe mai dovuto aderire all'euro. La colpa è stata di chi ha permesso che ciò accadesse, in particolare del suo predecessore Gerhard Schroeder, del partito rivale dei socialdemocratici. 

"Il cancelliere Schroeder ha accettato la Grecia e ha indebolito il Patto di stabilità: entrambe le decisioni sono state sbagliate e hanno dato il via ai problemi che stiamo affrontando", avrebbe detto Merkel, stando a quanto riportato dai media, nel comizio che si è tenuto nella città di Randsburg.

I suoi commenti sono giunti in risposta alle critiche del partito socialdemocratico (SPD), che ha accusato la gestione della Grecia da parte di Merkel, mettendo in evidenza come il paese abbia già ricevuto due pacchetti di salvataggio del valore di 240 miliardi di euro e nonostante questo avrebbe bisogno di altri finanziamenti per sopravvivere. 

Peer Steinbrueck, numero uno dell'SPD, ha sottolineato che la Merkel non sta dicendo la verità sui reali costi che la Germania sta pagando per salvare Atene, Tuttavia, stando agli utili sondaggi, l'SPD rimane ancora molto indietro, con il 25% del sostegno degli elettori, contro il 39% a supporto di Merkel.

Fonte: WSI

lunedì 26 agosto 2013

L'idiota difesa dell'euro e dell'Ue su "IL FATTO QUOTIDIANO"


Dopo aver letto il post di G. Granero su IlFattoQuotidiano.it, non so se piangere o ridere. Si vorrebbe controbattere a chi afferma che l'Europa è guidata unicamente da Germania e Francia, chi afferma come me che l'euro è una tragedia, chi afferma che l'Ue non è un'istituzione democratica, ma alla fine non chiarisce nulla e rende ancora più forte l'opposizione a questa assurda ottusità pro europea.

"Presunto Problema 1: la dominazione (franco-)tedesca". Mi pare ovvio che la Germania, o la Francia, come qualunque altro Paese, tentino di imporre la loro visione. I lettori stanno quindi dicendo semplicemente che…ci sono riuscite! Vale quindi la pena di ricordare che, nell’Ue, tutte le regole del gioco (i Trattati) sono scritte all’unanimità: o ci stanno tutti, o niente. E, una volta definite le regole, si gioca a maggioranza qualificata, vale a dire che niente (nessuna legge, per esempio) può passare senza l’appoggio di un nutrito gruppo di Stati. La Germania, da sola o con il solo appoggio francese, in Europa non ha i numeri per decidere nulla, e tantomeno per “imporlo” agli altri. Se (e dico se) hanno ragione i lettori, mi pare quindi più utile interrogarsi sull’incapacità italiana di creare un consenso diverso e alternativo.
Non voglio negare con questo la contrapposizione di vedute tra un blocco “nordico” di Stati che si considerano “virtuosi” e un blocco “del sud” di Stati considerati “cicala” in difficoltà economica. Però ho dovuto mettere tante virgolette perché ci avviciniamo ai livelli del Bar Sport, e qui mi fermo. L’uscita dalla crisi, a mio modesto avviso, è legata all’uscita da queste semplificazioni nella testa dei cittadini e ancor più in quella dei decisori politici."

Ma quali semplificazioni da bar! Ma se nell'ultimo vertice decisivo in cui partecipò Monti, questi dovette forzare la mano costringendo gli altri capi di Stato a fare gli straordinari (la Merkel voleva a tutti i costi vedere la partita degli europei...) per riuscire ad ottenere una misera concessione dalla Germania. Quel Mes salva Stati, per la cui adesione, guarda caso, la Germania ha poi preteso ancora maggiore austerità, garanzie, restrizioni e "riforme". Tanto che l'Italia, persino sotto il governo Monti, si è guardata bene dal chiedere aiuti.

Ma di cosa vanvera Granero. Ma quali discorsi da bar. Piuttosto questi sono discorsi da banchieri, quelli del "blocco nordico", quelli con le banche piene di derivati e crediti inesigibili dal sud Europa. Come se fossero stati costretti con una pistola alla tempia a concedere tutto quel flusso di liquidità verso investimenti improduttivi nel sud Europa. Diciamo la verità una volta per tutte: la finanza del nord Europa ha sbagliato completamente investimenti, ed ora vorrebbe che fossero i cittadini del sud Europa a rimborsarglieli. Ma quando mai si è vista una cosa così assurda essere difesa a spada tratta persino dai debitori?

E poi il fatto che i politici del sud Europa non riescano ad imporsi, semmai è la prova provata che sono tutti, e dico tutti oppositori e maggioranze, al soldo o al ricatto di questa élite finanziaria mitteleuropea.

"Presunto problema 2: l’euro". Non intendo dilungarmi sull’influenza dell’euro sull’economia italiana ed europea, e sulla possibile “soluzione” di un’uscita dalla moneta unica. Come molti lettori rilevano, fior di economisti ne discutono quotidianamente e mi stupisce molto sentir parlare di “pensiero unico pro euro”, mentre in quel poco che leggo trovo una sorta di pensiero unico anti-euro, basato su pochissimi fatti concreti e moltissime congetture. Un’eccezione: Zingales, che giustamente (a mio avviso) invita a chiedersi, prima di proiettare scenari di ritorno alla lira, dove saremmo ora senza l’euro. Già, perché una cosa è certa: se l’euro non fosse mai esistito, la crisi del 2008 sarebbe scoppiata lo stesso, il nostro debito astronomico – così come quello della Grecia – sarebbe comunque entrato nel mirino degli speculatori e, con tutta probabilità, avremmo già fatto default.

Dovrebbe essere chiaro a tutti che l’euro non è stato la causa scatenante della crisi, e che quindi parlare di “eurocrisi” è scorretto e fuorviante. Prendiamo due esempi:
Il problema di Cipro è (speriamo di poter dire “era”) un settore finanziario e bancario sproporzionato rispetto all’economia nazionale, e sovraesposto ad alcuni paesi. Esattamente lo stesso problema dell’Islanda, che non solo non ha l’euro ma nemmeno fa parte dell’Unione. E in entrambi i casi, il problema era noto da tempo, ma la classe politica ha preferito rimandare decisioni difficili fino a quando era troppo tardi.
Qual è lo Stato UE che ha speso più denaro pubblico per salvare il suo sistema bancario e finanziario? Lo spiega Barroso davanti al Parlamento europeo: il Regno Unito, con la sua solida sterlina.

Ultimo fatto che vorrei sottolineare sul presunto problema euro: l’euro non è un optional, è parte integrante dell’Unione e tutti gli Stati Ue sono chiamati, appena rispettino le condizioni, ad adottarlo (tranne chi ha ottenuto un opt-out, come il Regno Unito). In parole povere: un referendum per uscire dall’euro è un non-senso: o si esce dall’Ue, e quindi anche dal mercato interno e da tutte le altre politiche comuni, o si negozia un opt-out. Entrambe opzioni piuttosto difficili, e infatti gli economisti pro-exit preferiscono soprassedere su questi aspetti, a mio avviso non secondari, del problema.

Insomma, ci sono partiti e movimenti che hanno preso i vostri voti promettendo cose impossibili. E ci sono valanghe di articoli, editoriali, opinionisti che parlano di euro a prescindere dalla situazione giuridica e politica attuale. Sarebbe un enorme passo avanti se, parlando dell’euro e nel rispetto di tutte le opinioni, si integrasse il semplice concetto che in tutto questo processo non siamo soli, e non possiamo ignorare le regole che abbiamo sottoscritto."


Posso comprendere e condividere le preoccupazioni per un nuovo cambio di unità monetaria. Lasciare l'euro e tornare alla lira non è una scampagnata. Ne ho scritto anche in diversi post qui. Ma ad un certo punto bisognerà fare una seria valutazione costi/benefici, ossia: ci costa di più rimanere nell'euro od uscire? Mi pare che finora analisi politico-economiche di questo genere, fra media e pensatori vicini ai partiti di governo, non siano state fatte.
Ma tutte le restanti cose scritte da Granero nel punto 2 sono emerite caxxate.

Perché mai dovrebbe essere chiaro che l'euro non è stata la causa scatenante della crisi? perché la causa è da ricercarsi nei mutui subprime impazziti nel 2008 negli Usa? Ma perché allora questa crisi che l'Italia stava superando non senza difficoltà nel 2011 e ritornata violenta non appena la Germania (il "blocco nordico") ha preteso di riavere indietro tutto il credito elargito? Forse perché le sue banche erano troppo coinvolte. Non è un caso che negli Usa li chiamassero gli "idioti di Dusseldorf".
Ma se non ci fosse stato l'euro sarebbero stati perlopiù affari "amari" dei tedeschi e del marco. Invece così ci hanno coinvolto pesantemente, in quanto hanno voluto compensare le perdite dei derivati con i crediti che avevano con noi.
La Bce avrebbe potuto comportarsi da calmieratrice nella crisi offrendo liquidità gratis, per dare tempo alle economie del sud di riassorbire il colpo. Ma la Germania ha invece preteso di chiudere tutti i rubinetti, di impedire che si stampassero euro come invece fece la Fed con il dollaro, e nel contempo di farsi rimborsare i crediti. La botte piena e la moglie ubriaca. Infatti i risultati si vedono tutti, di questa gestione monetaria egoista e fallimentare.

E poi che c'entrano Cipro e le banche Inglesi con l'euro? Un bel niente, se non che Cipro senza l'euro poteva avere un sistema bancario squilibrato e non è mai successo niente, mentre proprio sotto l'euro il suo sistema bancario è entrato in crisi. Guarda caso. E le banche inglesi soffrono semplicemente dello stesso male di quelle americane, francesi e tedesche: sono cioè ripiene di carta straccia. Ma con l'euro non c'entra nulla la loro crisi. 
Degli esempi che si potevano evitare in quanto poco indicativi delle dinamiche interne alla zona euro che vedono ingenti squilibri nelle partite correnti fra paesi core e periferici, che implicano l'impazzimento di debiti e pressione fiscale nei paesi più deboli. Indotti a questo gioco perverso dalla facilità di credito precedentemente elargito e quindi ritrovatisi con importazioni squilibrate rispetto alle esportazioni.

Infine l'ultimo capitoletto è il culmine dell'ilarità. Si è appena parlato due righe sopra di Inghilterra e sterlina, e si viene a minacciare più sotto che uscire dall'euro non si può senza uscire dall'Ue. Perché l'Inghilterra non è forse fuori dall'euro e dentro l'Ue? Se regole particolari valgono per il Regno Unito potrebbero benissimo valere anche per l'Italia. Il non senso qui non è il referendum sull'euro, quanto le farneticazioni di Granero.

"Presunto problema 3: l’UE non è democratica". Qui i lettori sono appena più clementi di Nigel Farage, leader carismatico degli euroscettici britannici, che sostiene che l’UE è anti-democratica. Vale la pena di guardare e ascoltare alcuni suoi interventi (per esempio qui, ospite della TV finlandese, o qui, in un vecchio intervento in cui parla anche di noi). Oratore molto efficace, riuscirebbe quasi a convincere anche me, se soltanto quel che dice non si basasse su presupposti del tutto falsi:

1) L’UE non funziona per niente come Farage pretende di far credere (e come molti tuttora credono). Queste cose dovrebbero insegnarle a scuola, ma per chi vuole informarsi rapidamente consiglio il sito dell’UE o un video dei Presidenti delle Istituzioni su YouTube (potete mettere i sottotitoli in italiano). Punto fondamentale: la Commissione non adotta nessuna legge! Quello che Farage chiama “governo europeo non eletto”, attribuendogli funzioni legislative da sovrano assoluto e quindi confondendo i poteri democratici, in realtà ha diritto di proporre le leggi europee, che poi però possono diventare tali solo con l’accordo degli Stati Membri (il Consiglio dell’UE, formato dai Ministri nazionali) e del Parlamento europeo(direttamente eletto dai cittadini). La Commissione poi non è per nulla “irremovibile”, ma può essere sfiduciata dal Parlamento europeo – come qualunque governo nazionale. 
2) Nessun governo è stato “rimosso” dall’UE: quando, nel mezzo della crisi, dei governi sono saltati, sono stati i Parlamenti nazionali a togliere loro la fiducia, e i cittadini a eleggere nuovi Parlamenti, che poi hanno nominato nuovi governi. E’ successo cioè quello che Farage rivendica per il suo Regno Unito, la possibilità di sceglier e rimuovere i propri leader, e che l’UE non gli ha mai tolto né mai gli toglierà.
3) Se la famigerata “Troika” è come il fumo negli occhi per molti, all’interno della Troika la Commissione ha finito per diventare un comodo parafulmine. Non ci vorrebbe (se l’informazione fosse corretta) una laurea in economia per capire che i bail out costano molti soldi, e che la Commissione quei soldi non li ha (vedi il mio ultimo post: con l’1% del PIL europeo non si salva nemmeno la Lettonia). Dietro il parafulmine ci sono gli Stati, con i loro pingui bilanci nazionali, ma troppo numerosi e protetti dai media nazionali per essere chiamati a rispondere delle accuse alla Farage. L’IMF poi nessuno capisce cosa sia. Meglio prendersela con la Commissione, e con i Commissari “non eletti”.

Mi fermo qui, alla top 3. Non dubito che alcuni risponderanno che i problemi sono ancora altri. A mio avviso, i problemi ci sono eccome, e ne ho parlato in precedenza. Oggi mi pare che il problema fondamentale sia lo smantellamento alla base dei principi fondatori dell’UE, anche attraverso la polarizzazione dell’opinione pubblica e il ritorno, preoccupante, dei complessi di superiorità nazionali (attenzione: non mi riferisco solo a uno Stato). Ma questa è un’altra Storia."


Se l'Unione europea è un esempio di democrazia io sono paragonabile ad Einsten perché so le quattro operazioni, qualche utile formula matematica e sommariamente qualche sprazzo della teoria della relatività... Ma di che si blatera in questo post di Granero. Le istituzioni europee sono qualcosa di talmente strano che è persino difficile descriverle. Sono una via di mezzo tra una consiglio d'amministrazione, gli organi di un'alleanza commerciale e le istituzioni di uno Stato vero e proprio.

L'Unione legifera continuamente norme minuziosamente idiote e molta burocrazia. Quindi il suo potere legislativo è più dannoso che utile, ed in molti sostengono con ragione che è completamente nelle mani delle lobby. Il Parlamento europeo esegue solamente ordini superiori.
Il potere esecutivo dell'Unione non proviene dai cittadini europei in forma diretta, ma dalle singole nazioni, con il risultato che vengono difesi perlopiù gli interessi delle nazioni egemoni. Non a caso di Germania e Francia. I "ministri" non hanno nulla a che fare con il Parlamento, che è un costoso "soprammobile" semi inutile. 
E' come se in Italia i ministri provenissero dalle regioni invece che in seguito alle elezioni parlamentari. E la Lombardia vi facesse sempre la parte del leone comandando a bacchetta le altre. Con un presidente del consiglio che sarebbe niente di più che un maggiordomo come lo è H. V. Rompuy.
E questa è democrazia? E poi, che c'entra e cosa importa cosa dice o non dice Farange? Si cita il Bossi inglese per caso per rendere più ridicole le critiche all'Ue? Siamo alla stesse bassezze di Scacciavillani che per svilire l'idea di nuova lira la chiama "bungalira"?
Nessun governo è stato rimosso, e dal punto di vista formale posso essere d'accordo. Ma quanti invece sono stati "accomodati"? Vorrei tanto che Granero spiegasse ai lettori de IlFattoQuotidiano.it da dove saltano fuori Monti, Letta (non ci doveva essere Bersani li?) e perché Napolitano è stato votato per la seconda volta alla Presidenza, cosa mai avvenuta prima. Chi ha imposto all'Italia questi splendidi governi campioni dell'austerità e difensori a spada tratta delle scelte compiute all'estero?
Invece non si può non vedere nella Troika un ente democraticissimo e simpaticamente accettato dalle popolazioni di cui si prende cura. Se la Commissione non è un parafulmine è comunque complice in tutte le nefandezze compiute a suo nome dalla Troika. Si tratta in realtà di null'altro che commissari fallimentari che si intromettono negli affari di uno Stato sovrano, imponendo decisioni sulla pelle dei cittadini, che di sicuro non hanno mai votato questi signori.

Se quella di Granero doveva essere un chiarimento ed una difesa dei "valori" dell'Ue e dell'euro, mi pare si sia trasformata nella solita cialtronata del partito unico dell'euro (PUDE ndr). Che non vuole ad ogni costo discutere e aprire gli occhi sulla situazione disastrosa in cui versa l'Italia, e buona parte della zona euro a causa della decisione folle di adottare l'euro moneta unica, prima di aver fatto una vera riforma politica in senso democratico e una completa uniformazione economica dell'Europa.


Grillo fa parte del PUDE!!

«No, non vogliamo parlare dell’euro». Intervistato da “Bloomberg”, Beppe Grillo si rifiuta di denunciare il nemico numero uno della crisi italiana. Buio pesto, allora, se se nemmeno il “Movimento 5 Stelle” se la sente di parlare apertamente del problema-euro: «Dato che tutti i media, i sindacati, le associazioni di impresa e ovviamente i partiti non vogliono parlare dell’euro e che il capo del movimento alternativo non vuole parlare dell’euro, per ora bisogna puntare su qualcosa d’altro», prende nota il blog “Cobraf”. «Grillo oscilla sempre un poco, stando ai post del suo blog che ogni tanto fanno intravedere qualcosa di diverso, ma quando lo intervistano (solo stampa estera) ripete sempre che preferisce il default e non l’uscita dall’euro». Meglio restare nella trappola della Bce rinegoziando il debito, con «un default parziale dei titoli di Stato». L’unica chance dell’Italia? «E’ puntare sul crash per cambiare le cose. Cioè, fino al crash non si può fare molto. E solo dopo, la gente si sveglierà e il M5S andrà al governo».

Anche Grillo, scrive “Gz” su “Cobraf” in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”, si informa leggendo i professori di economia che scrivono sui giornali. Personaggi come Lucrezia Reichlin, già capo dell’ufficio studi della Bce, consigliera di Enrico Letta, editorialista del “Corriere della Sera” e membro del Cda di Unicredit, nonché erede di una delle famiglie più importanti della sinistra intellettuale italiana. La Reichlin, annota “Gz”, dice quasi le stesse cose di Grillo: «L’Italia è in una situazione abbastanza catastrofica. È vero, ci sono primi segnali di ripresa, ma dall’inizio della crisi la caduta della produzione industriale è stata enorme, così come resta enorme il debito pubblico ed è cresciuto molto anche il debito privato, che in Italia era tradizionalmente basso. In questa situazione è molto difficile rimettersi su una possibile traiettoria di crescita. Dunque non escludo che ci vorrà, prima o poi, una ristrutturazione del debito. Certo, è una parola grossa. Non voglio fare l’uccello del malaugurio, ma…».

Come spiegare quello che quasi ogni giorno si legge anche sul “Financial Times”, dove si discute di azzerare il debito pubblico spostandolo tra le passività della banca centrale, ad esempio, per salvare le forme, facendole emettere un bond perpetuo a tasso zero per scambiarlo con i Btp? Una soluzione semplice,
raccomandata con insistenza da Ambrose Evans-Pritchard, il quale «spiega per la centesima volta che Usa, Regno Unito e Giappone, senza ammetterlo, stanno facendo proprio questo». E cioè: garantire, in modo illimitato – grazie all’emissione di moneta sovrana – gli interessi sul debito, praticamente a costo zero, attraverso il semplice intervento della banca centrale. Diversi economisti europei su “Vox” si esprimono esattamente come il “Financial Times”: basterebbe una semplice manovra contabile per eliminare il problema del debito pubblico. «Pensi che siano fuori di melone? Bene, discutine la proposta e dimostra che non ha senso. Invece niente, silenzio, nessun dibattito, nessuna discussione nel merito». Ci si limita a ripetere slogan. Tipo: «Il debito pubblico è enorme», quindi serve «tagliare agli sprechi» e «reprimere l’evasione fiscale», ma dato che questa strategia non funziona, ecco che occorre «vendere beni pubblici», come unica alternativa al default».

«Il debito pubblico è solo una passività contabile dell’istituzione che ha il potere di creare moneta», protesta “Gz”, riferendosi ovviamente a paesi liberi, dotati di moneta sovrana. Ok, il debito «ha il piccolo difetto che paga interessi, e dopo 40 anni questi ti schiacciano». Ma attenzione: se il tuo debito «lo scambi con un’altra passività contabile dello Stato, che non paga interessi, hai risolto il problema». Sicché, «parlare di default, di crash dell’Italia è allucinante: tra i problemi che ha l’Italia, quello del debito pubblico è l’unico che risolvi senza difficoltà». Quello che manca è la volontà politica, in uno scenario desertificato dalla disinformazione: servirebbero banche pubbliche e una banca centrale statale, abilitata alla libera creazione di moneta. In Italia il debito è diventato uno spauracchio dopo il 1981, col divorzio tra Tesoro e Bankitalia voluto da Ciampi e Andreatta, che hanno consegnato alla finanza privata speculativa il controllo del debito nazionale. Poi è arrivato l’euro, la moneta “straniera” che si può solo prendere in prestito. E ora, col Fiscal Compact, il divieto di sostenere l’economia con la spesa pubblica fisiologica. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: crisi, recessione, depressione. E nessuno – nemmeno Grillo – che fornisca un’analisi chiara. L’unica da cui potrebbero nascere vere soluzioni.

venerdì 16 agosto 2013

Siamo in ferie

Salve a tutti sino al 26 di agosto il blog va in ferie ma rimaniamo attivi su tweeter. Ricarichiamo le batterie per prepararci alla battaglia contro il #pude di questo autunno ed inverno. No Euro sempre... A presto e state connessi su tweeter.

domenica 11 agosto 2013

Alberto Bagnai e Claudio Borghi rilanciano: Nasce "a/simmetrie"!!

Testo tratto da http://goofynomics.blogspot.it

Nell’agosto del 2013...
Non so se gli amici che ho torturato nell’ultimo mese hanno letto abbastanza bene il libro da ricordarsi perché stavo mettendo loro tanta fretta. Rockapasso, sarcastica, sì: “Certo, vuoi farlo nella stessa data, così avrai qualcosa di veramente importante da ricordare...”. Sì, certe volte è un po’ ‘nu casatiello, ma non riesco a volergliene: è genetico...

Ma ci tenevo a partire oggi, perché, come dice il mio direttore di dipartimento (con un sorriso sornione che levati...): “Professore Bagnai, lei è un sentimentale!”. C’est là mon moindre défaut...

Partire con cosa? Eh, ma quante cose volete sapere! Vi ho già raccontato un bel po’ di fatti miei , ma vado avanti, perché questi sono anche fatti vostri. Diciamo che sono il mio tentativo (che molti non apprezzeranno – ricambiati) di rispondere all’eterna domanda.



CHE FARE?

Io ho fatto una cosa molto semplice, che, fra l’altro, mi avevate consigliato voi. Vi ricordate di quando lo scorso anno stavo organizzando Pescara, fra mille difficoltà? Qualcuno disse: “Ma perché non fai un’associazione? Ci metti poco, non costa niente, e puoi gestire facilmente l’evento...”.

Be’, insomma, quel qualcuno la faceva facile. Ma il suggerimento era giusto, e l’ho seguito. Lo scorso mese ho costituito con Claudio Borghi e con qualche altro amico (meno di quanti avrei voluto, ma la fretta era tanta e le intersezioni da gestire troppe) un’associazione: si chiama a/simmetrie, il sito è on-line da pochi minuti, lo trovate qui.

Questa associazione risponde a due esigenze, entrambe essenziali per me e spero per voi.

Organizziamoci
La prima, se vogliamo la più operativa, era quella di costituire un veicolo che mi permettesse di gestire i miei eventi e la mia attività di divulgazione, che vi permettesse di sostenermi, che vi consentisse di fare qualcosa per mandare avanti la mia attività. Voglio essere estremamente franco con voi. Gli ultimi cinque mesi della mia esistenza sono stati piuttosto complessi. La quantità di impegni da gestire, con l’organizzazione di eventi nazionali (le mille presentazioni del mio libro) e internazionali (li trovate nel sito) mi hanno trasformato nella segretaria di me stesso. Ho dovuto rinunciare a “nutrire” il blog, a scrivere sui giornali, ad andare in televisione, a portare la vostra voce dove potesse essere ascoltata, e questo per rispondere a decine di email, per prenotare biglietti, per richiedere finanziamenti, per fare la coda alla posta spedendo copie del mio libro, ecc.

La domanda molto terra terra che vi faccio è questa: mi preferite come segretaria, o come scrittore? Mi preferite come fattorino, o come economista?Se la risposta è la seconda, allora, amici cari, ve lo dico con molta sincerità: cacciate i soldi. Ovviamente non a me: io guadagno già quanto mi basta. Ma questo blog, la mia attività, non può più essere gratis, perché senza il supporto di un minimo di struttura non riesco a portarla avanti. Senza un minimo di staff (per gestire la mia agenda, per ristrutturare e gestire il sito, per programmare un piano di attività divulgative sui social media, ecc.) questa esperienza non può decollare. E d’altra parte io posso essere più utile facendo il mio vero lavoro, l’economista.

C’è bisogno di qualcuno che cominci a studiare seriamente gli imminenti scenari del dopo uscita. A chi volete farli studiare questi scenari? A quelli che “la contabilità nazionale è di destra perché Keynes non era Marx?” (ma cari dilettanti, guardate il bicchiere mezzo pieno: se non era Marx, non era nemmeno Caligola). O preferite che se ne occupi uno che dalla tesi di dottorato in poi si è occupato di sostenibilità del debito pubblico?

C’è bisogno di qualcuno che occupi i mezzi di comunicazione per illustrare in modo professionale e incisivo quali sono le scelte che ci attendono. A chi volete farlo fare? Ai tanti esagitati arruffapopoli, creatori di partituncoli, propalatori di teorie della provvidenza, che il primo Boldrin di passaggio può asfaltare in un tour de main perché l’economia, porelli, non la sanno... Non so, fate voi. A me il quadro sembra abbastanza chiaro: nella competizione contro il sistema che ci sta stritolando, i cavalli vincenti sono due, e li conoscete: Claudio e un altro. Ora si sono associati. Sta a voi puntare sui cavalli vincenti. Se puntate su quelli sbagliati, be’, poi non lamentatevi.

Il fatto è che io, nonostante le affettuose parole di un amabile collega, non sono doppio: sono uno (e trino, forse, ma non me ne sono mai accorto). Quello che non avrebbe avuto senso l’anno scorso, perché non avevo incontrato le persone giuste, lo acquista adesso che sono riuscito a creare un minimo di staff. Ora bisogna che queste persone, che con affetto, partecipazione emotiva, ma anche grande razionalità e professionalità, mi hanno offerto il loro aiuto, possano lavorare in un quadro degno e possano avere un minimo di riconoscimento per i loro sforzi. Chiedendovi di sostenere a/simmetrie vi chiedo in primo luogo di permettermi di continuare a svolgere con sempre maggiore efficacia il mio lavoro, il lavoro che voi mi avete delegato a fare, finanziando un minimo di struttura, che mi consenta di fare tutto quello che finora ho fatto da solo (organizzare eventi, gestire siti, divulgare). Ci sono più di 2000 lettori fissi su questo blog, e chissà quanti “variabili”. Se ognuno pagasse una volta l’anno il biglietto di questo bel cinema, già saremmo un pezzo avanti.

Pagare perché, direte voi? Tu non vuoi fare “er partito”, tu non vuoi proporre “’a soluzzione politica”, tu non vuoi fare “er gesto eclatante”. A che servi?

Chissà se sono molti fra voi i coglioni che la pensano così?

Perché vedete, io non vorrei farvelo notare, ma le cose stanno così: un anno e mezzo fa non ero nessuno in questo bel paese. Sedendomi dietro a una scrivania, con la sola forza della parola, senza nemmeno poter contare, come poteva Claudio (per suo merito) sull’accesso a giornali di una certa visibilità, son riuscito ad andare in televisione per portare avanti un discorso che era stato tabù per alcuni decenni.E ora non possono più ignorarmi, il che significa che non possono più ignorarvi. Quelli ai quali questo non sembra abbastanza non sono evidentemente in grado di capirne il significato. E, soprattutto, non capiscono che la battaglia politica oggi si combatte sul fronte dell’informazione.

Certo, certo, i politici sono stupidi, brutti e cattivi, ah, scusate, dimenticavo! E corotti (co’ du ere, sinnò è erore). Come so’ corotti... Ma la soluzione c’è, vero? Li mandiamo tutti a casa.

Ecco: quanto funzioni questa soluzione si è appena visto (ogni riferimento a insetti dotati di apparato stridulante è puramente intenzionale).

Io ho una percezione un po’ diversa. Qualche politico (praticamente tutti tranne quelli che vi sareste aspettati voi) una interlocuzione l’ha cercata, e il risultato qual è? Sempre il solito. Voi non ci crederete (o forse sì), ma molti ormai capiscono perfettamente quale sia la natura del problema, e cosa ci sia da fare. Ma hanno due problemi. Il primo è quello di poter affrontare certi temi senza esser presi per matti. Il secondo, parzialmente sovrapposto, è quello di poter dire la verità senza perdere elettori.Hanno bisogno, i politici, di qualcuno che riesca a riportare nel dibattito le scelte vere, fondamentali, quelle che riguardano la nostra appartenenza a questa Europa, il nostro ruolo e la nostra autonomia decisionale. E hanno bisogno di qualcuno che fornisca loro le parole e gli argomenti per gestire le paure degli elettori, quelle paure che loro stessi in trent’anni di propaganda dissennata, ma non sempre dolosa, hanno contribuito a rafforzare, e che dopo essere state per loro strumento di potere, rischiano di diventare adesso strumento della loro caduta. Perché il fatto che se non se ne esce con le buone se ne uscirà con le pessime lo hanno chiaro tutti, vi assicuro, tranne qualche dilettante dell’ekonomia (di quelli che non sanno come si quota il kambio).


Incidiamo nel dibattito
E questo lavoro, il lavoro di riportare nel dibattito politico i temi veri, il lavoro di aiutare i politici a capire i problemi e a gestire le loro paure, io e Claudio lo stiamo facendo, e direi anche con dei risultati, a giudicare dal moltiplicarsi degli attacchi cui siamo sottoposti.

Ma qui viene la seconda esigenza, quella più “alta”, se vogliamo.

Non possiamo continuare da soli, e non possiamo circoscrivere il nostro discorso di riforma del paese alla pur necessaria lotta per il ripristino di un minimo di razionalità economica. Bisogna che il discorso si allarghi e venga nutrito dal contributo di altri colleghi, dalle ricerche e dalle proposte politiche (cioè fatte alla polis) da economisti, giuristi, politologi. Bisogna insomma almeno provare a costruire un think tank che dia veste riconoscibile e autorevole a una proposta di sviluppo del nostro paese alternativa al “morire per Maastricht” di Letta, allo “Statoladrooooo” di Giannino, ma anche al “piccolo imprenditore metastasi” non mi ricordo più di chi, e via dicendo. Occorre una struttura che sia in grado di federare studiosi indipendenti dalla politica ma capaci di proposta politica, capaci di tradurre principi in programmi. Il mio testo, come sa chi lo ha letto, fa un tentativo in questo senso, ma certo occorre fare di più: occorre studiare, occorre creare un forum di confronto fra intellettuali e politici, occorre portare la vostra voce nelle sedi istituzionali, non attraverso la forma del partituncolo allo 0,%, ma dando maggiore visibilità e maggiore dignità al dibattito che qui stiamo conducendo da quasi due anni, attraverso una struttura che sia in grado di produrre veicolare contenuti alternativi. a/simmetrie nasce anche con questa ambizione.

Dice: “ma er finktank de sinistra nun ha mai funzionato!”

Calma, amici, calma. Io non vi sto parlando di questa sinistra, di quella dove tante persone giuste si mettono insieme per dire la cosa sbagliata (altrimenti De Cecco gli fa tottò sul sederino, come ha confessato in pubblico un certo Rodomonte...). Io vi sto parlando di mettere insieme persone che a certi palati raffinati potranno anche sembrare sbagliate (qualcuno me lo ha anche detto, ed è restato fuori), e che magari sbagliate lo saranno anche, ma solo dopo, dopo che insieme avremo fatto la cosa giusta: avremo liberato il nostro paese, dando la possibilità di riattivare una normale dialettica democratica.

Questa ora ci è preclusa. Io dico sempre che quando si tornerà a poter votare per un partito diverso dal PUDE, certamente io e Claudio Borghi rischiamo di votare per partiti diversi. Ma questa esperienza, questo pezzo di cammino comune, ci sarà servito almeno a capire quello che non capisce chi ragiona per appartenenza, cioè che la lealtà e la buona fede possono esistere anche nello schieramento avverso.
E, attenzione: le precedenti esperienze “de sinistra” non partivano da un uguale patrimonio di visibilità, di capacità di coinvolgimento, di capacità di dialogo (certo, esclusi i traditori, ma su quello posso anche lavorare, se lo ritenete). No, no, no. Partivano dalla consapevolezza di essere gli “aristoi”, come Aristide, appunto, di non dover parlare al popolo perché “il popolo non era ancora pronto”, ecc. La condiscendenza di Bisin verso Borghi è seconda solo a quella di certi economisti “de sinistra”. Non costringetemi a provarvelo: è tutto scritto.

Questa incapacità di individuare il buono dov’è, scardinando la logica dell’appartenenza, unita all’incapacità di riscattarsi dal proprio tradimento, e a un certo perbenismo (“Albevto, non puoi dive che l’euvo è fascista!”) ha determinato i fallimenti precedenti. Se noi falliremo, sarà certo per un altro motivo.
Ora vi lascio, sono esausto. Domani saprò cosa ne pensate.

Naturalmente sul sito di a/simmetrie trovate le istruzioniper iscrivervi al Goofycompleanno e potete già farlo, ma trovate anche altri eventi. Date un’occhiata in giro e fatemi sapere. E soprattutto, mettetevi una mano sul cuore e cercate di dimostrare che capite la differenza fra la teoria e la pratica. In teoria eravate tutti pronti a gettare il cuore al di là dell’ostacolo. In pratica molti non saranno pronti nemmeno a dare 5 euro. Io ho degli obiettivi minimi: se li raggiungerò andrò avanti, altrimenti chi se ne frega. Non si può salvare chi non vuole essere salvato. Io posso solo offrirvi una possibilità: quella di darvi voce. Ma la decisione sta a voi. Se voi mi preferirete come segretaria, io mi preferirò come musicista. Da ciascuno secondo i suoi bisogni, a ciascuno secondo le sue possibilità!

sabato 10 agosto 2013

Le pillole rosse - 6° pillola: pubblico è brutto e privato è bello

"E' divenuto oramai un detto comune che gestione privata equivale a efficienza mentre gestione pubblica è sinonimo di inefficacia e di spreco. Può anche darsi che nella realtà storica del nostro paese, o almeno nella realtà storica di alcune regioni del paese, le cose stiano davvero così. Ma questo, lungi dall'autorizzarci a trarre generalizzazioni indebite e superficiali, ci deve indurre ad approfondire le ragioni di questi fatti. Fino ad una quindicina di anni or sono, l'assetto economico e sociale del nostro paese è stato oggetto di critiche, ragionate quanto severe, da parte dei partiti della sinistra. In un passato ancora recente, nessuno avrebbe considerato il settore pubblico italiano come un settore modello. Nessuno avrebbe però attribuito le pecche dei servizi pubblici al fatto di essere gestiti dallo Stato, ma se mai al fatto di essere gestiti da questo Stato, e cioè dalla consociazione di poteri politici che ha avuto nelle mani la gestione della cosa pubblica. Da una quindicina d'anni a questa parte, la prospettiva è cambiata. Oggi, a destra come a sinistra, si dà per scontato che il pubblico sia inefficiente in quanto pubblico: una inefficienza per natura, quindi, e non imputabile al malgoverno." (Augusto Graziani: da "L'economia italiana dal 1945 ad oggi" grassetto mio).
In effetti le parole di questo grande economista italiano definiscono perfettamente quello che ancora oggi è il pensiero comune della gente e, naturalmente, dei liberisti fautori delle privatizzazioni.
Ma, come ormai ha imparato chi segue le "pillole rosse", bisogna non accettare supinamente il pensiero comune, specie se avallato da chi, come abbiamo visto, ci ha raccontato e continua a raccontarci la realtà di Matrix, ed allora iniziamo a farci delle domande: che differenza c'è fra pubblico e privato? Perché lo Stato gestisce alcuni servizi? E se li gestisce il privato cosa cambia?
Partiamo dalla differenza fra pubblico e privato. Intuitivamente, anche chi non è un giurista comprende che quando parliamo di "pubblico" parliamo di un ente locale o statale che gestisce un insieme di servizi e beni che vengono erogati a favore della collettività; i primi che vengono in mente sono l'acqua, la nettezza urbana, i trasporti, le strade e la scuola, ma ce ne sono tanti altri. Naturalmente nulla impedisce che una buona parte di questi servizi possano essere gestiti da privati, ma evidentemente non tutti: la polizia, ad esempio, e per ovvie ragioni, deve rimanere pubblica, così come il demanio o la gestione del catasto. Per quelli però che possono essere gestiti anche da privati, come i trasporti o la scuola, che differenza c'è?
Per capirlo dobbiamo esaminare le finalità che hanno il pubblico ed il privato: sinteticamente si può affermare che il gestore pubblico trova il fondamento del suo agire nella Costituzione, il privato nel Codice Civile, ovvero, mentre il pubblico è vincolato a perseguire gli scopi costituzionalmente posti al suo agire, il privato agisce per qualsiasi suo interesse, in quanto tutelato dal Codice Civile come meritevole. La differenza è notevole, come si può intuire: il privato trova di solito nel profitto economico lo scopo ultimo di ogni sua azione ed è giusto così, il pubblico invece, non solo non ha questo scopo, ma, attenzione, non deve avere questo scopo; la Costituzione infatti prevede all'art. 97 come requisiti all'azione della Pubblica Amministrazione il "buon andamento" e "l'imparzialità", non certo la redditività o l'economicità. Questo comporta che, per permettere il raggiungimento delle finalità costituzionali (garantire la salute dei cittadini, la loro sicurezza, la possibilità di muoversi, ecc.) senza discriminare nessuno lo Stato a volte deve agire in modo antieconomico. Questo è il punto fondamentale: se un paese è sperduto o isolato, i suoi cittadini hanno pari diritto ad avere la possibilità di prendere un mezzo di trasporto, di essere curati, di avere un presidio di sicurezza, una istruzione di base e così via, anche se ciò comporta un costo superiore al ricavo. Ecco perché lo Stato deve comunque gestire dei servizi, non solo perché alcuni sono di loro natura pubblici, ma soprattutto perché solo lo Stato può garantire che tutti i cittadini ne godano, che sia economicamente profittevole o no la loro dazione.
Cosa succede quindi quando un servizio prima pubblico viene affidato ad un privato? La prima cosa è che

venerdì 9 agosto 2013

I pietosi numeri che sputtanano Letta e Saccomanni

Mentre l'attenzione sulla crisi dell'euro è stata incentrata principalmente sulla Grecia e Cipro, non è un mistero che l'Italia, insieme con la Spagna, costituisca la vera sfida per il futuro della moneta unica.
Nel relativo silenzio della stampa internazionale, la situazione macroeconomica in Italia non ha mostrato alcun segno di miglioramento, e in effetti numerosi indicatori ritraggono una economia nazionale, che si trova in una depressione, piuttosto che in una recessione che sarebbe comunque grave. Non è una esagerazione che l'economia italiana sta crollando.

L'Italia è la terza più grande economia della zona euro (dopo Germania e Francia), detiene il più grande debito pubblico (oltre € 2000000000000), che è cresciuto ad un ritmo sorprendente, anche in tempi più recenti, e in particolare in rapporto al PIL ( 130%), poiché quest'ultimo si contrae molto rapidamente. 
Come è sostenibile? Beh, non lo è. Ma per il momento, grazie agli interventi diretti della BCE (102.800.000.000 € di acquisti di titoli italiani nel 2011-12 ) e soprattutto ai meccanismi LTRO, le finanze dello Stato italiano possono essere mantenute a galla.
Nella sua essenza, il meccanismo è il seguente : la BCE non può prestare liquidità direttamente agli stati, se non in tempi di emergenza assoluta o per la stabilizzazione dei mercati finanziari nel breve termine (come è successo nel 2011), cosi presta denaro al banche, che a loro volta acquistano dal governo le obbligazioni emesse da questo. 
È interessante notare che il regime di LTRO è diventato anche uno strumento per il ritiro, relativamente ordinato, degli investitori internazionali dall'Italia, soprattutto francesi e tedeschi, la cui quota di debito pubblico detenuto è scesa dal 51% al 35%, rispecchiando esattamente l'aumento delle banche italiane che acquistano debito pubblico. 
Questo è un segnale importante, che va nella direzione opposta rispetto ad una maggiore interdipendenza, come ci si aspetterebbe, in una unione monetaria, in preparazione per una unione politica. 
Si può anche sostenere che molti investitori stiano in realtà riducendo sistematicamente la loro esposizione nel Sud Europa, forse nella speranza che una futura rottura della Moneta comune possa avere conseguenze meno dannose se il loro coinvolgimento nel destino finanziario e l'economia di questi paesi fosse ridotto al minimo. 
Per gli euroscettici, questo è un segnale che, una volta che tutti gli investitori stranieri ritirare, allora l'Italia verrà lasciata al proprio destino.

La verità è che lo stato italiano è già andato in bancarotta nell'estate del 2011, quando i tassi di interesse sul debito pubblico sono andati fuori controllo, e di conseguenza l'Italia ha perso l'accesso ai mercati finanziari. Naturalmente, a causa delle dimensioni enormi dell'Italia come economia e come debitore, la BCE e le autorità politiche in Europa hanno convenuto di creare attorno alle finanze del paese l'aspetto di un mercato, che è in realtà, come i numeri di cui sopra mostrano, è in gran parte artificiale. 
Idealmente, l'Italia dovrebbe rimanere su questo sostegno artificiale fino a quando le condizioni economiche dovessero migliorare e la fiducia venisse ripristinata a un livello tale che il paese avrà di nuovo l'accesso a un mercato del credito "normale".

Tuttavia, questo non sta accadendo e non vi è alcun segno che possa accadere negli anni a venire. 
La situazione dell'economia italiana è semplicemente drammatica. Recentemente, uno studio è apparso , che rivela come la crisi attuale (2007-2013) è per molti versi molto peggio di quella del 1929-1934 tra le due guerre.
Nella crisi attuale, gli investimenti sono crollati del 27,6% nel periodo di cinque anni, contro il 12,8% della depressione tra le due guerre. 
Il PIL è diminuito del 6,9% contro il 5,1%. L'Italia, con il secondo più grande settore manifatturiero in Europa dopo la Germania, ha perso circa il 24% della sua produzione industriale , tornando al livello 1980. Nessun dato importante attualmente mostra alcun segno di ripresa.
Dall'inizio di quest'anno, il paese ha perso oltre 31.000 aziende . Ogni giorno 167 unità di vendita al dettaglio sono perse , segnalando una autentica disintegrazione del settore retail. 
Il settore automobilistico, uno di importanza cruciale per l'economia italiana, è stato in costante contrazione: da circa 2,5 milioni di auto vendute nel 2007, le vendite nel 2012 ha raggiunto solo i 1,4 milioni (il livello del 1979) e sono ancora in contrazione per il resto di quest'anno. 
L'Edilizia, l'altro pilastro dell'economia nazionale, è in rotta di collisione con il fondo del pozzo: il crollo del 14% nel 2012, è solo l'ultimo di una serie di anni difficili. Le Vendite di case sono scese del 29% nel 2012 contro il già misero 2011, al livello del 1985 di sole 444.000 unità, circa la metà del numero di 2006. Ovviamente, le conseguenze di questo disastro economico in termini di perdita di posti di lavoro sono terribili: la disoccupazione è ora a quasi il 12% e in rapida crescita. Mezzo milione di lavoratori sono stati messi in stand-by in attesa di ricevere un beneficio sociale ( cassa integrazione )finanziato dallo stato: si prevede che anche quest'anno lo Stato pagherà ben più di un miliardo di ore di lavoro equivalenti di cassa integrazione. 
Inutile sottolineare, per quanto scontato, che è molto più probabile per tutti questi lavoratori la perdita del  loro posto di lavoro, piuttosto che il loro reintegro nel ciclo produttivo.

Lo Stato italiano è finora riuscito a difendere la sua posizione finanziaria mediante una maggiore imposizione fiscale, tagli alla spesa e più prestiti. 
Come illustrato in precedenza, il sistema mutuatario è stato progettato con l'aiuto della BCE e il settore bancario. 
La tassazione ha ormai raggiunto livelli senza precedenti, ed è asfissiante per economia insieme con la crisi del credito. 
I Tagli di spesa sono stati implementati in una certa misura, ma come le tasse hanno un effetto deprimente sull'economia, per non parlare del sistema in gran parte clientelare, se non apertamente di sistema cleptocratico.

Sotto pressione da parte dell'Unione Europea, l'Italia si è impegnata a un bilancio rigoroso e ha anche introdotto un emendamento di pareggio di bilancio nella sua costituzione. 
Assurdamente, lo Stato italiano gestisce un surplus se dovessero essere esclusi i pagamenti degli interessi sul debito pubblico, ma questo solo perché, lo Stato spesso "dimentica" di pagare i propri fornitori ( il debito in essere per le aziende private è tra i 90 € - € 130 miliardi a seconda dei criteri di calcolo ).

Ora, non è difficile immaginare che, in pochi mesi, nonostante le nuove tasse, il crollo a picco di interi settori dell'economia provocherà una rapida contrazione delle entrate fiscali. 
Lo Stato italiano non può assolutamente accumulare ancora più debito a un ritmo più veloce (almeno per l'Italia, il dibattito austerità ha poco senso). 
L'Italia sarà semplicemente a corto di opzioni, e richiederà ulteriori misure d'intervento da parte dell'Unione europea. In sostanza, una sorta di piano di salvataggio. Ma a causa della vastità del l'economia e il debito pubblico, questo è semplicemente impossibile. In assenza di consenso politico intorno a una politica monetaria radicalmente diversa della BCE, cioè senza limiti QE, che probabilmente non potrà mai concretizzarsi, e che chiaramente non potrà risolvere nessuno dei problemi strutturali del paese, l'unico scenario realistico sarà quello di una ristrutturazione o rinegoziazione del debito, come suggerito da Nouriel Roubini in una precisa analisi pubblicata più di 18 mesi fa. Il crollo delle finanze dello Stato italiano si sta avvicinando rapidamente. Questo avrà un enorme impatto sulla zona euro e l'Unione europea.

giovedì 8 agosto 2013

La Sinfonia della menzogna di Letta. Parte seconda



Quello che davvero colpisce non sono le bugie di Letta e Saccomanni sulla “ripresina”: in fondo la menzogna, anche la più smaccata e incredibile è stata uno dei metodi di governo degli ultimi decenni. Così possiamo anche sorridere amaramente sul fatto che questo spaccio di stupefacenti si appoggia sulla circostanza che nel secondo trimestre di quest’anno la diminuzione del Pil sia stata delmeno 0,20% invece che del meno 0,26% previsto dall’Ocse. Libiamo nei lieti calici, tanto più che questa ottimistica idiozia viene usata per tentare di mettere un po’ di malta sulla sabbia bagnata del governo Letta che rischia di essere asciugata dal calor bianco della condanna del Cavaliere.

Ciò che invece emerge con chiarezza inequivocabile è la totale inadeguatezza del sistema politico alla situazione che stiamo attraversando: dovremmo fare con dei nani il lavoro dei giganti. Ed è in ogni caso un lavoro di lungo periodo che contrasta con l’ambigua e tormentata episodicità delle larghe intese volute da Napolitano già nel 2011. O con il carattere falsamente emergenziale di convergenze politiche che si dicono legate al momento particolarmente duro che stiamo attraversando e che invece denunciano una disgregazione di idee e di rappresentanza.

Senza contare la diminuzione di Pil che sarà portata fin dall’anno prossimo dal fiscal compact, così stupidamente firmato, senza contare i problemi radicali posti dall’euro, senza contare la perdita di sovranità, anche se da oggi la nostra economia ripartisse dopo un opportuno viaggio a Lourdes e mostrasse una crescita simile a quella del quindicennio precrisi, intorno all’ 1,1 per cento, non riusciremo mai, a recuperare il tempo perduto e a riagganciare la curva di sviluppo così bruscamente interrotta nel 2007. Per riuscire a farlo in circa 60anni dovremmo crescere più del 1,5% all’anno, Se invece crescessimo del 2% all’anno – cifra del tutto fuori questione vista la permanenza nell’euro, l’ubbidienza al telecomando di altri Paesi, ai diktat dei poteri finanziari e dentro una fase di rapida deindustrializzazione – ci vorrebbero 20 anni, a cominciare dal 2015. E’ semplice, desolante aritmetica che ci testimonia come sia faticoso anche il migliore dei mondi possibili e di come anche semplici ed ovvi calcoli vengano tenuti ben nascosti.

Quindi la balla estiva di Letta e Saccomanni è nulla in confronto all’inganno radicale al quale è esposta l’opinione pubblica del Paese, grazie anche alla fattiva collaborazione dei media: la diffusione della leggenda e della speranza che, passata la buriana, tutto sia destinato a risolversi nel giro di tre o quattro anni. Invece non è assolutamente vero: tutto ciò che è stato falcidiato nel welfare in questi due ultimi anni, tutto ciò che è stato fatto per cancellare i diritti del lavoro e rendere stabile la precarietà, tutto ciò che si è perso e tutto ciò che andremo a perdere nel prossimo futuro, rimarrà come una cicatrice non rimarginata molto, ma molto a lungo. Quelli che perdono qualcosa si tolgano dalla testa che si tratti di una misura temporanea … durerà tutta la loro vita e probabilmente anche quella dei loro figli.

Così è chiaro che senza soggetti politici nuovi e radicalmente differenti dagli attuali, compresi i più recenti, senza una inversione di 180 gradi della rotta, senza spazzare via l’esistente marcito e infestato dalle termiti, tutti gli equilibri e gli equilibrismi , i contorcimenti non sono altro che i patetici tentativi di una classe dirigente di rimanere al potere e anzi di acquisirne ancora di più grazie alla crisi e al vulnus che essi intendono infliggere alla democrazia. Altro che Epifani, Renzi, Berlusconi o i proclami da qualche villaggio vacanze: questo deve diventare presto solo il passato per evitare che i fantasmi si approprino definitivamente del nostro futuro.

mercoledì 7 agosto 2013

Le mirabolanti follie di Saccomanni: "La recessione è finita!"


Interessi sui Btp decennali: San Draghi e San ShinzoAbe hanno fatto il miracolo...
Letta e Saccomanni vanno spargendo il verbo, la nuova novella per giornali e per tv: la recessione è finita, e la ripresa si intravvede nell'ultimo ora, dell'ultimo giorno, dell'ultima settimana, dell'ultimo trimestre del 2013. A San Silvestro si svolta! Evviva!

"La recessione è finita? «Credo di sì, credo che tra questo trimestre e il quarto trimestre l'economia entrerà in ripresa: siamo tecnicamente in quello che si chiama punto di svolta del ciclo». La dichiarazione è forte e viene dal ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni, a Sky Tg24. E viene confermata anche dal premier Enrico Letta, ai microfoni del Tg1: «Si, ci sono tutti i segnali per il prossimo semestre. Gli strumenti ci sono. In questi cento giorni si è fatto molto»"

E' bastata la minaccia berlusconiana di far cadere un governo di tregua inciucista, di stabilità nella depressione, per far arrivare per magia la ripresa. Sono bastati alcuni numeri leggermente positivi in un mare di numeri disastrosi per far si che gli eurofanatici dell'austerità vi si aggrappassero come a un salvagente nella tempesta.

"Il Governo rimanda i problemi e le decisioni: IL GOVERNO DEL FARE …. D O P O

Il Parlamento è scosso dai movimenti tellurici provocati dalla prima condanna definitiva di Berlusconi
L’88enne Presidente della Repubblika compra quantità industriali di super-attack per tenere insieme il suo ultimo giocattolo delle LARGHE BEGHE
e ci dicono che la crisi si sta attenuando ed è quasi finita...
L’Italia è profondamente debole dopo il dopo Tremonti e dopo-Monti ed il nulla Letta (il nulla che avanza), molto più fragile, con industria, artigianato, italianità, migliori e giovani che fuggono ai minimi ed un credit crunch ormai conclamato
Le Banche hanno già dato comprando titoli pubblici grazie ai prestiti Bce (che dovrebbero prima o poi rimborsare)
Tutto è ancora in piedi nel settore privato anche perchè l’Italiano Risparmiatore sta dilapidando i patrimoni di generazioni per mantenere quello che ha (diciamo ormai che aveva)
Ma la matematica è ferrea, fredda, glaciale. i numeri parlano, alzano la voce , urlano."

"Questa invenzione della fine crisi che già si scontra con ulteriore calo del Pil certificato dall’Istat ed è in diretto contrasto con ogni previsione Fmi o Ocse è il tentativo di smerciare il normale miglioramento estivo dovuto alle attività turistiche o a casuali fuochi di paglia come il miracolo di una ripresa."

"Faccio notare che la traiettoria di deficit e debito pubblico italiano è assolutamente fuori controllo. Al solito nessun media sussidiato (con soldi pubblici) mette in rilievo questo enorme problema, dunque vi faccio l’ennesimo riepilogo:
- Il Debito Pubblico Italiano chiuderà certamente il 2013 al di sopra della sogli dei 2080mld di euro e con tutta probabilità toccherà quota 2100mld.
- Dato un tasso medio sull’intero debito pubblico al 3,6% l’Italia paga circa 75 mld all’anno di soli interessi. Una cifra già oggi insostenibile e destinata a salire.
- I rapporti debito pubblico/PIL e Deficit/Pil a fine 2013 saranno rispettivamente nell’intorno del 134% e del 4,8%. Ben oltre le ridicole stime del governo, riportate a pappagallo dai media. Non ci vuole un genio per arrivare a queste conclusione si tratta di sapere usare un foglio di calcolo e usare un minimo di onestà intellettuale."

"Il debito italiano continua a preoccupare il mondo intero; d'altronde, il rapporto debito/pil, che nel 2012 è stato pari al 127%, è il più elevato da quando Benito Mussolini ha preso il potere nel 1924; e non è stato toccato ancora il picco, visto che gli analisti prevedono che il rapporto salirà al 130,8% l'anno prossimo, per poi scendere al 123,4% (valore ancora incredibilmente alto), entro il 2018." (see nel 2118... ndr)


Ma però, alleluia, è successo che: 

"Meno peggio del previsto se diamo per buono il dato preliminare sul PIL Italiano nel secondo trimestre che l’Istat battezza a -0,2% sul trimestre precedente e -2% sullo stesso trimestre dell’anno scorso.
Corre l’obbligo di ricordare che il trimestre scorso è poi stato “rivisto al ribasso” (da -0,5 prel. a -0,6 def,)
Ad ogni modo siamo a 8 trimestri consecutivi di decrescita, con una caduta del PIL già acquisita di -1,7% nel 2013 (era -1,5% 3 mesi fa). In altre parole se trimestre su trimestre il PIL destagionalizzato e corretto per gli effetti del calendario farà ZERO nei prossimi 2 trimestri. L’Italia chiuderà con una recessione 2013 al -1,7%.

Comunque lontanissima da ogni ridicola stima del governo"

E' bastato un meno zero due per cento per iniziare i festeggiamenti nel governo. Siamo alla follia, oppure siamo sempre nell'ambito della politica "sopisci, prometti, illudi e rimanda". E' il nuovo mantra delle oligarchie tecnocratiche: "resistere, resistere, resistere". 
E il mantra è in parte un pio desiderio, il desiderio che i conti degli Stati europei ritornino magicamente a posto, il desiderio che la ripresa scenda dal cielo come la manna, ma è anche un desiderio pilotato ai piani alti. 

Si avverte la mano ferma di Draghi in questo luglio-agosto 2013 nella stabilità dello spread e dei tassi di interesse dei nostri titoli di Stato (ma anche di quelli spagnoli per esempio), una stabilità voluta e ottenuta, malgrado le economie private e pubbliche in crollo, malgrado i governi traballanti in mezza Europa. Il grafico in testa al post sugli interessi dei Btp decennali è eloquente.

Fonte e ringraziamento: http://spensierata-mente.blogspot.it

DeS: Striscione contro l'EURO....we are the PIIGS (noi siamo i PIIGS)

Ed ecco a voi il video dell’iniziativa (questo il link su youtube). Chi vuole è libero di commuoversi.

La colonna sonora prescelta è stata la struggente canzone “We are the pigs” dei Suede, il cui ritornello nella nostra versione diventa: we are the PIIGS (noi siamo i PIIGS), we are the S.W.I.N.E. (noi siamo la S.W.I.N.E. = Squadra Web Italiana Nemici Euro).

La raccolta fondi sta procedendo con risultati migliori del previsto, stranamente i versamenti si sono concentrati tutti in 2 momenti, tutto subito dopo il volo e poi in questo week-end, quando le associazioni che appoggiano l’iniziativa (il gruppo Democrazia e Sovranità e il loro gruppo facebook, il gruppo MEMMT-Romagna ed il gruppo EPIC che domani mi intervisterà pure) hanno versato il contributo raccolto tra i loro iscritti o hanno comunicato un preventivo di quanto confidano di raccogliere.
Euroversa3
Qualcuno mi ha domandato quanto manca a raggiungere il totale necessario per i voli, ma questa non è una domanda cui possa rispondere, perché semplicemente il tragitto dei voli può variare in maniera da venire a costare quello che il budget permette di finanziare. Aggiungendo 100€ + IVA ad esempio è possibile “annetterci” un pezzetto del Friuli, vale a dire allungare il percorso dal litorale Veneto fino a Lignano Sabbiadoro, anziché fermarci a Caorle. La mia stima attuale, basandomi su sensazioni e promesse ancora da verificare oltre che sulle donazioni già pervenute, è che (grazie anche all’arrotondamento per eccesso da parte del sottoscritto), il tragitto che lo striscione compierà a ferragosto sarà superiore a quello di domenica 21 luglio, ma per ora non lo posso garantire. Per chi volesse recarsi in spiaggia a veder passare lo striscione a ferragosto, la sola certezza è la Romagna, le coste che verranno aggiunte dipenderanno dal denaro raccolto, benché sia più che probabile che il Veneto sia il secondo litorale che si aggiungerà, questo non posso garantirlo sia per l’attuale mancanza di copertura finanziaria, sia per l’eventualità di donazioni vincolate (ad esempio Romani che donano a patto di vedere lo striscione a Fregene), sia perché in caso di promozioni su altri percorsi (come è stato proposto il 21 luglio), si prenderà ciò che sarà più conveniente, ovviamente tenendo conto della densità di popolazione in spiaggia. Se invece volete veder passare lo striscione nella spiaggia della vostra regione, è possibile fare una colletta e vincolarla al volo sulla vostra regione, da questo punto di vista unire le forze con l’iniziativa LEVSI a mio avviso è meglio che fare di propria iniziativa, perché diventa più probabile raggiungere la massa critica per arrivare su un TG nazionale (ma non illudiamoci), perché di questo striscione abbiamo già foto e video realizzati il 21 luglio (con cui chi vuole può preparare servizi in anticipo), e perché il sottoscritto ha ormai maturato un certo talento negoziale con cui riesce a strappare condizioni eccezionali, a forza di estenuarlo con trattative infinite, al buon Giuliano Catacchio di Aertraining, che potremmo quasi considerare come il nostro sponsor commerciale, anche in virtù della sua confessione di essere un simpatizzante della nostra battaglia!



Amo credere che, con un poco di fortuna, il volo non solo sarà superiore alla tratta già percorsa a luglio, ma che si possa andare a toccare pure il Tirreno e addirittura marciare su Roma… OK, non proprio su Roma, ma per lo meno su Ostia… Ma se dei toscani dovessero scendere in campo allora si potrebbe dover optare per la Toscana invece che la provincia di Roma, su cui propenderei per la maggiore densità di bagnanti, non per altro.

Mi sto sforzando di contattare quanti più media possibili, finora quasi nessuno mi ha risposto, spero che abbiano comunque registrato la mia segnalazione e che a ferragosto (o il giorno dopo nel caso dei giornali), possano darne comunicazioni sulle proprie pagine. Il video postato sopra in originale, senza scritte in sovra-impressione, è a disposizione di tutti i giornalisti che me ne faranno richiesta. 

venerdì 2 agosto 2013

La pazza idea di Saccomanni sulle nuove privatizzazioni d’autunno ed i poteri forti, quelli veri….


Molto spesso si fa l’errore di concentrarsi sui sintomi e non sulla causa di un determinato fenomeno, sta nella natura umana. Con la crisi che ci attanaglia questo errore è stato fatto più e più volte, sia prima che durante la crisi, soprattutto dai giornalisti specializzati.
Relativamente agli effetti della crisi, vorrei qui illustrare una big picture, come si dice nel mondo anglosassone, relativamente a cosa rischia di succedere nel prossimo futuro ai beni di proprietà dello Stato italiano e quindi degli italiani, unitamente ad una breve analisi dei cambiamenti politici attesi. In particolare, lo scopo è presentare un’analisi su cosa ci dobbiamo aspettare come risultato della crisi, anche in relazione al cambiamento della classe dirigente.
La “crisi” l’abbiamo potuta testare sulla nostra pelle: abbiamo innanzi tutto visto gli effetti devastanti che sta portando e porterà sulla qualità di vita e sul welfare. Inoltre, valutazioni sono necessarie su cosa dobbiamo attenderci a livello politico: secondo chi scrive ci dobbiamo attendere un consolidamento di una classe dirigente europeista filo tedesca, molto probabilmente con ottimi legami tradizionali con le radici del potere europeo degli ultimi due secoli, leggasi una riproposizione moderna del ceto nobiliare alla guida dell’entità europea, con Lady Ashton come primo esempio conclamato dello sdoganamento dei vecchi poteri costituiti
nella struttura super-governativa attuale.
Per quanto riguarda l’Italia, per capire come detto fenomeno può essere declinato nella penisola, è bene capire in dettaglio quanto accaduto lo scorso anno: come molto spesso è successo nel corso dei secoli, l’Italia ha infatti avuto un’importanza anche e soprattutto nella spiegazione e nella genesi iniziale di fenomeni storici di portata globale, dimostrando la strana capacità del paese di Dante di anticipare i trends.
Partiamo dunque dal 2011/2012. Giunse inaspettatamente al potere Mario Monti, Primo Ministro del Governo Italiano fresco di nomina napolitana come senatore a vita in sostituzione di una maggioranza berlusconiana che all’inizio della legislatura aveva tutti i numeri per poter governare, tranquillamente. Monti è un tecnocrate di matrice europea, apprendiamo dalla stampa internazionale essere anche reggente per l’Europa di numerose associazioni ed organizzazioni internazionali di stampo filo-massonico (anche se tale definizione è inequivocabilmente riduttiva), posizioni detenute prima ed in parte durante la sua esperienza politica (in particolare Trilateral e Bilderberg, per la prima c’è stata la dimissione da Presidente Europeo a seguito della nomina a Primo Ministro; da notare che anche Enrico Letta sembra far parte di entrambe le organizzazioni), proveniente da una famiglia estremamente agiata, essendo per altro legato alla famiglia di Raffaele Mattioli, ossia il sangue più blu in ambito bancario italiano ed pur anche europeo. Notasi che il governo dell’Italia è stato e continua ad essere strategico per il fine della sopravvivenza dell’euro e degli interessi soprattutto nord Europei , in quanto la penisola da una parte è l’unico paese in grado di deragliare l’euro non tanto per la dimensione del debito quanto per la denominazione legale dello stesso (diritto italiano), dall’altra assieme alle proprie grandi risorse (includendo il risparmio privato delle famiglie), è paese ricco anche e soprattutto di aziende, ossia annovera campioni nazionali grandi ed importanti che sono a tutt’oggi in mano allo Stato (ENI, ENEL, Snam, Terna, Finmeccanica, Poste etc.). Ossia, potrebbero diventare per definizione contendibili.
Tali entità aziendali, che producono reddito, profitto ed occupazione in e per l’Italia, sono chiaramente oggetto di interesse di altri Paesi che come l’Italia debbono superare la crisi ed in molti casi non possono più attingere – come fatto in passato – a risorse a basso prezzo provenienti dalle ex colonie (Francia e UK su tutte). Esiste infatti un’asimmetria storica nel profilo industriale e strategico dei vari paesi europei, asimmetria che, maturata negli scorsi 70 anni, oggi è in forte dissonanza con il mutato equilibrio dei poteri nel Vecchio Continente.
Ossia, per chiarire, dopo la seconda guerra mondiale, guerra che per inciso fu la prima vera guerra per le risorse globali – da qui il concetto di lebensraum tedesco -, ci fu il chiaro indirizzo di escludere le nazioni perdenti dallo sfruttamento delle risorse petrolifere. Di conseguenza lo sviluppo industriale nei vari paesi coinvolti prese una strada dettata da tale indirizzo generale. In questo contesto l’Italia, vuoi per i servigi prestati agli USA durante la guerra, dalla mafia di Lucky Luciano per l’invasione della Sicilia ad Enrico Fermi con lo sviluppo dell’energia nucleare, ivi compreso quello della bomba atomica, vuoi per il dichiarato allineamento ad interessi anticomunisti nel post guerra, seppe ritagliarsi un proprio spazio nel campo dell’energia con l’ENI, prima con lo sfruttamento dei giacimenti italiani e poi globalmente, con la missione di sfruttare i giacimenti che il primo mondo lasciava indietro. Con tale strategia oggi l’Italia ha in eredità una vera major petrolifera, ENI appunto (ENI produce giornalmente un equivalente in barili di petrolio circa uguale al consumo equivalente del Paese, ndr), affiancata da un gioiello – SAIPEM – in grado di sfruttare i giacimenti più difficili, caratterizzati dalle condizioni estrattive più improbabili che esistano sul globo terracqueo.
Tutto questo premesso, in tale contesto la Germania, dominus europeo attuale, è chiaramente sprovvista di un accesso all’upstream energetico, e questo strideCa va sans dire che tutto lo sviluppo energetico italiano è partito dalla base strutturale dettata dalle conseguenze della seconda guerra mondiale, e dunque l’ENEL di turno è stata aggregata e costituita in funzione e non in alternativa alla presenza di ENI stessa. Parimenti, dati alla mano, ENI ed ENEL sono aziende di riferimento nella propria rispettiva attività di business e con grandi peculiarità che le differenziano dai meno strutturati competitors stranieri: la prima, ENI, con ingenti e diversificate riserve ed una struttura molto integrata in business contigui, esplorazione upstream e services (con SAIPEM), power, gas e distribuzione. La seconda con una diversificazione geografica unica tra le utilities, oltre che con una profittabilità (EBITDA) prospettica superiore non solo alla media ma ai massimi del settore, ossia con prospettive di crescita che, con la dovuta eccezione dell’azienda statale francese EDF – azienda generatrice da fonte nucleare quasi al 100% –, i competitors continentali semplicemente si sognano.
Dunque, per tornare al cuore dell’articolo, l’anno scorso ci fu un interessante meeting a Roma tra Monti e Merkel, come riportato dalle avarie agenzie di stampa, a cui si unirono i vertici delle principali aziende italiane e tedesche, Siemens, Deutsche Bank, E.ON da un lato, ENEL, Confindustria, le banche italiane dall’altro. Si può recuperare la memoria giornalistica di detto incontro da un bell’articolo del Sole 24 Ore del 5.7.2012i. Considerazione generale: non è che ci troveremo a breve un tentativo di acquisizione dei campioni nazionali coinvolgendo qualcuno degli attori presenti a tale tavolo di “avvicinamento”?
MF - Nessuna copertura per ENEL Golden Share Evidenza
Passo successivo, Mario Monti appena prima di lasciare il posto di primo ministro – OdG addirittura del 25.03.2013, a elezioni già concluse da tempo! – documento giornalistico allegatoii- tentò di mettere all’ordine del giorno di uno degli ultimi CdM ripeto, a governo di fatto già ampiamente sfiduciato, la decretazione del provvedimento attuativo della legge sulla golden share, provvedimento ricordiamo da lui fortemente voluto ed approvato all’inizio del 2012 e che – nota bene – preclude di fatto la possibilità di respingere attacchi verso aziende nazionali se l’acquirente fa parte dell’UE iii(escludendo casi di “sicurezza nazionale”). Alcuni giornali, Milano Finanza in particolareiv, insorsero evidenziando che tale proposta avrebbe lasciato “scoperta” ENEL, facendola diventare contendibile, in un contesto europeo in cui le principali aziende energetiche in effetti non lo sono (l’esempio di EDF è lampante). Successivamente a tale OdG ci fu il probabile intervento – provvidenziale! – della politica finalizzato ad una moral suasionverso l’ex primo ministro uscente al fine di evitare di prendere decisioni politicamente e strategicamente sensibili non avendo più titolo politico per farlo. Poi, il silenzio.
OdG Golden Share
Siamo ai giorni nostri. Nel frattempo – diciamo nell’ultimo anno – abbiamo visto Ansaldo Energia essere oggetto di reiterati tentativi di acquisizione – nel bel mezzo dell’uragano dell’incarcerazione dell’amministratore delegato di Finmeccanica – da parte di Siemensv (guarda caso), oltre a rumors di interessi di gruppi stranieri su ENEL e Telecom Italia.
Ed eccoci a Venerdì 19 Luglio 2013, quando Saccomanni, il neo boiardo di sistema questa volta in veste non nazionale ma europea, fece l’agguato mediatico affermando che per garantire il nostro debito pubblico si sarebbe potuto/dovuto mettere a garanzia assets di Stato, ossia privatizzarli. Finalmente! Il progetto emerge nella sua completezza!

Ora le considerazioni vere e proprie, in quanto fino a questo momento sono stati evidenziati solo fatti. Dunque, partiamo da osservazioni generali, per poi arrivare ad un possibile considerazione finale.
Un esempio prima di tutto: che succede se una persona, un’azienda ha bisogno di liquidità? Va in banca e mette qualcosa in garanzia. Ma quali assets di norma si mettono sul piatto? Normalmente quelli non produttivi, che so io l’immobile di turno. O, caso recente indicato dai vari hedge funds, l’oro, strumento bancabile per eccellenza. Se trasliamo il discorso dal mondo privato allo Stato, cosa ci si aspetterebbe che facesse un ministro dell’economia per raggiungere il fine di ottenere denari e/o credito per lo Stato? Metterebbero per caso sul piatto gli assets che rappresentano occupazione e creano sviluppo presente e futuro – e che stanno alla base dello sviluppo di una nazione – come energia e difesa o, come fanno tutti gli operatori seri e coscienziosi, ossia propongono gli assets improduttivi? Che forse ci stiamo dimenticando che l’Italia ha ca. 2400 tonnellate di oro improduttivo depositati in America e UK, essendo la Penisola tra i primissimi detentori di riserve auree al mondo, in termini di consistenza?vi
Gold reseves
Il punto è proprio questo: perché Saccomanni invece di proporre come garanzia l’oro propone aziende di Stato? A pensar male si potrebbe dire che, opportunamente indirizzato ed orientato, il ministro ha fatto in modo di annunciare la messa sul piatto degli assets che fanno veramente gola all’estero, ossia le aziende nazionali di pregio. In questo contesto il caso Loro Piana insegna: sono le aziende che sono interessanti per lo straniero (vedasi anche la cessione di Ducati, Parmalat, Edison, …) . Le aziende, al contrario dell’oro, non sono un bene fungibile, ossia sono un qualcosa di unico. Quanto vale una ENI per il sistema tedesco? O di converso, quanto il sistema tedesco potrebbe “approfittare” del fatto di poter fare sinergia con tale azienda petrolifera? O quanto vale l’ENEL, attiva in un dei mercati più interessanti del momento, il sud America? Deve essere chiaro che i nostri campioni nazionali, includendo anche Finmeccanica e Poste, sono veramente appetibili. Ma dunque, perché mai un’economista come Saccomanni dovrebbe – nel supposto interesse del paese – proporre la vendita di tale gioielli, ben sapendo che una mossa siffatta si caratterizzerebbe come un tagliare gli attributi del Paese annichilendo le  possibilità di rinascita futura post crisi? Se si vendono i campioni nazionali, indovinate dove andranno a medio termine l’occupazione, gli utili, lo sviluppo e finanche la testa e la holding dei Gruppi acquisiti!
Lascio come ultimo il commento che i titoli ENI ed ENEL sembrano quotati a prezzi molto appetibili, guarda caso (encore).
E, altra considerazione, vendendo il settore energetico, come si potrebbero poi fare politiche a supporto dell’economia italiana magari ottimizzando le rendite di posizione e gli utili provenienti da altri paesi in cui la multinazionale/campione nazionale è attiva? Alla fine dei conti ENI ed ENEL sono state costruite con gli sforzi dal popolo italiano, mica di quello tedesco, francese o finlandese…
Se consideriamo quanto accaduto nel ‘92,  le similitudini si sprecano con la crisi attuale: come allora la crisi fu repentina ed innescata dalla speculazione internazionale (con un attacco valutario); nel 1992 il debito aumentò di ca. il 15% in aggregato nei primi tre anni 1992-1994 e del 23% nei quattro anni dal 1991; fatte le debite proporzioni la crisi attuale potrebbe appesantire il debito fino a ca. il 140% nel 2014, considerando anche che oggi non si può svalutare! – vedasi tabella di seguito riportata –.
Debito Italiano storico
Le privatizzazioni che giocoforza seguirono – la crisi causò le privatizzazioni – non portarono alla creazione di multinazionali Italiane, come ben scrive Barucci sul Foglio del 01.08.2013vii. Se infatti consideriamo i risultati delle privatizzazioni fatte fino al 1997, come da interessante analisi di Mediobanca per la Camera dei Deputativiii (documento da leggere!), rileviamo che le conseguenze furono, tra le altre:
  • una buona parte delle aziende sono state vendute per essere poi cancellate, assorbite etc.(SME, Italimpianti, SEAT etc.)
  • alcune aziende sono state semplicemente alienate dallo Stato a prezzi che visti oggi possono essere definiti irrisori, vedendo poi il business sviluppato con estremo successo dai successivi acquirenti, per altro molti vicini alla politica e facenti parte dei poteri forti (ossia, si fece una privatizzazione dei profitti, tra tutte citiamo Dalmine, Autogrill, Ilva fino a due anni or sonoix)
  • alcune sono state investite da scandali successivi (Cirio etc.)
  • una piccola parte sono entrate nell’orbita di gruppi stranieri e continuano ad esistere e a dare lavoro in Italia (Nuovo Pignone, SIV tra tutte), ma a pena dello smantellamento della holding, ossia mantenendo in Italia le sole attività produttive
  • alcune sono semplicemente state chiuse per problemi di business (tra tutte, Montefibre, circa 10 anni dopo)
  • una sola ha sviluppato e/o mantenuto un ruolo stand alone multinazionale (Telecom Italia) essendo però stata spogliata degli averi immobiliari nel frattempo, memento lo sviluppo di Pirelli Real Estate.

Tabella: Aziende privatizzate fino al 1997, pg 147, relazione alla Camera dei Deputati, riferimento viii , Ricerche e Studi S.p.A. (Mediobanca)
Immagine Società porivatizzate fino al 1997
Dunque, dovremmo certamente avere paura: se ad esempio ENI, ENEL, Finmeccanica e Poste fossero oggi privatizzate possiamo serenamente attenderci una cura dimagrante, dismissioni, licenziamenti al solo fine dell’accumulo di ricchezza privata e non allo sviluppo del business e nell’interesse del paese venditore, dati storici alla mano. Multinazionali vere non se ne sono create nel 1992 e l’unica azienda che ha mantenuto un certo ruolo internazionale di rilievo, Telecom Italia, è stata nel durante spogliata (qualcuno potrebbe anche dire depredata?) degli assets immobiliari. Insomma, posso dire un quasi disastro? Non sarebbe stato meglio dare le aziende ad un gestore esterno di private equity e pagargli una commissione legata al miglioramento di redditività associata a certi parametri di mantenimento dell’occupazione, sviluppo del business all’estero etc. mantenendo la base in Italia piuttosto che quasi regalare l’asset vedendo parimenti ridurre l’occupazione e finanche la ricchezza del Paese? In soldoni, l’Italia ci ha davvero guadagnato da dette privatizzazioni o coloro che veramente ci hanno guadagnato sono, appunto, i soliti poteri forti, in molti casi anche stranieri? La vera differenza tra il 1992 ed oggi è che invece di avere il Britannia ancorato al largo delle coste italiche, visto il turismo politico verso il nord Europa recentemente riportato dai giornali (Letta Berlino, Monti a Berlino/Roma etc. etc.) rischiamo di avere Frau Merkel che indirizza le privatizzazioni direttamente dalla spiaggia di Ischia, dove d’abitudine passa le vacanze!
Verrebbe da dire che persone come Saccomanni a fare proposte come quelle dello scorso venerdì non fanno gli interessi dell’Italia e degli italiani anche e soprattutto perché fulmini a ciel sereno come le sue uscite sulle privatizzazioni devono essere ben contestualizzate e calibrate, a maggior ragion durante una crisi epocale come quella attuale. Ricordate che chi scrive pensa che i numeri del bilancio dello Stato del 2013 saranno molto peggiori delle “impressioni statistiche” che trapelano oggi sui media, e a fronte di tale aspettative deluse le privatizzazioni ce le venderanno come  un passo obbligato. Sarebbe dunque da capire il perché di queste affermazioni da parte del Ministro dell’Economia italiano. E tanto per non sbagliare bisognerebbe, come capita in ogni azienda privata, mettere nei contratti di lavoro dei servitori dello Stato come appunto Saccomanni che per un certo numero di anni successivamente alla fine dell’impiego per lo Stato gli interessati non possano prestare servizio presso una qualsiasi banca d’affari e/o per l’azienda a cui direttamente o indirettamente hanno venduto gli assets (si chiama patto di non concorrenza). Il caso dell’ex Ministro Siniscalco che lavora presso un’importante banca americana a Londra dopo aver usato la stessa banca per numerosi servizi legati alle obbligazioni quando era al Ministro dell’Economia è un esempio che andrebbe analizzato con estrema attenzione, nonostante tutte le cautele prese inevitabilmente ci sono  potenziali – oltre che enormi e lampanti – rischi di conflitto di interesse!

Per adesso abbiamo stigmatizzato il problema del cambio della classe dirigente italiana ed europea unitamente al tentativo di spiegare alcune delle ragioni che stanno spingendo alla (s)vendita dei campioni nazionali. Food for thought dicono nel mondo anglosassone – e per noi questo è solo il primo passo, fondamentale -.
Nei prossimi articoli analizzeremo quali siano i probabili oggetti del desiderio dei capitali stranieri, valutando le possibilità che vengano acquisite ed eventualmente il reale valore a cui, se fosse il caso, dovrebbero essere cedute.
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Riferimenti e note:
i“Tre pilastri per rilanciare la Ue” Nicoletta Picchio – Il Sole 24 Ore, 5.7.2012
ii “Arriva la Golden share su rete Telecom, Energia e Trasporti”, Luisa Leone, MilanoFinanza – 25.03.2013
iii Golden share, Decreto Legge 15.03.2012 n° 21 , G.U. 15.03.2012
iv “Arriva la Golden share su rete Telecom, Energia e Trasporti”, Luisa Leone, MilanoFinanza – 25.03.2013
v Offerta Siemens per Ansaldo Energia, di Carlo Festa17 febbraio 2013 – Il Sole 24 Ore: tale offerta è stata anche interpretata dagli addetti del settore come un modo per eliminare uno scomodo competitor per i propri prodotti, in particolare turbine per generazione di energia ed accedere a tecnologie proprietarie
vi “Italy should use its gold reserves to force a change in EMU policy” – Ambrose Evans-Pritchard, The Telegraph (UK), 02 May 2013
vii “Consigli a Letta per Privatizzare” – Barucci, Il Foglio, pag. 4 – 01.08.2013
viii Le privatizzazioni in Italia dal 1992 – Studio predisposto ai fini dell’indagine conoscitiva sulla competitività del sistema – paese di fronte alle sfide della moneta unica e della globalizzazione dell’economia condotta dalla commissione bilancio della camera dei deputati Ricerche e Studi S.p.A., Gruppo Mediobancahttp://www.mbres.it/sites/default/files/resources/download_it/rs_priv_testo.pdf
 ix Beffa delle beffe, a fronte dell’acquisizione di Autogrill, il Gruppo Benetton, precedentemente squisitamente tessile e con un modello di business molto innovativo, ha progressivamente abbandonato tale business per concentrarsi su attività più sicure e regolamentate, appunto su Autogrill e poi Autostrade; ironia della sorte vuole che il loro modello di business sul tessile sia stato mutuato dal gruppo Inditex, proiettando la famiglia Ortega nell’olimpo delle persone più ricche al mondo, a fronte di una occupazione circa un ordine di grandezza superiore di quello del gruppo Benetton attuale, parliamo di oltre 100’000 dipendenti nel mondo! I Benetton si sono adagiati, verrebbe da dire…