venerdì 30 novembre 2012

Italia, Anno 2016: ecco la lira......


Fu nell'anno 2016 che la maggioranza della gente si accorse di cosa è veramente la moneta e per mesi, dopo che la "scoperta" ebbe riempito le pagine dei giornali, i canali televisivi, i siti internet e le discussioni nei bar divenne un solo ritornello: "Ma come avevamo fatto a non accorgercene prima?"
Il cambiamento arrivò con il collasso finale dell'eurozona nel 2015, un evento che era stato previsto da un numero crescente di esperti ormai da anni ma che nonostante tutto colse molti alla sprovvista. Una delle sorprese fu che il crac si verificò non in Grecia o Spagna, ma in Italia, cioè in quello che era una volta il settimo paese industriale al mondo e che era stato lentamente strangolato nella camicia di forza dell'austerità. Il paese in cui il caos politico era degenerato con diverse regioni che chiedevano la secessione, un governo paralizzato da anni e manifestazioni sempre più violente. Alla fine la capitolazione arrivò l'11 settembre del 2015, con la dichiarazione del nuovo governo che le pensioni sarebbero state pagate nella "nuova valuta nazionale italiana" e anche incrementate del 10% (per compensare i tagli dei governi Monti I, Monti II e Monti III) e che le tasse sarebbero state pagabili solo in Lire. Il nuovo governo dichiarò anche una Vacanza Fiscale di un anno, in cui l'IVA e l'Irpef vennero dimezzate, durante la "Transizione Nazionale" alla nuova valuta, per rilanciare immediatamente l'economia ormai in stato comatoso, dopo otto anni di depressione e austerità.
Le fosche previsioni circa l'iperinflazione non si avverarono. Invece la gente, essendo ora finalmente pagata (in lire), tornò a lavorare andando a raccogliere l'immondizia che si era accumulata in molte città e i cocci e i rottami delle devastazioni delle dimostrazioni degli ultimi mesi, rimettendo così in sesto anche tutte le altre infrastrutture degradate negli anni dell'austerità e della grande depressione causata dei governi Monti-Troika, durante i quali le maggiori imprese avevano ridotti gli investimenti, anche quelli di semplice manutenzione

La cosa però che sorprese tutti fu la decisione del Ministero delle Finanze su come effettuare la transizione di moneta: perchè ricominciare a stampare di nuovo tutte le banconote in Lire? I cellulari erano da anni in grado di ricevere addebiti e accrediti, e di fare pagamenti. Perchè non emettere una "Carta Digitale in Lire" (CDL) che poteva essere caricata di Lire a un Bancomat e poi usata per pagare qualunque negozio o ufficio tramite cellulare ?

Non appena il governo ebbe emesso il Decreto per la Transizione (alla Lira) i lavoratori addetti alla ricostruzione (assunti per rimuovere la spazzatura accumulatasi e i danni delle dimostrazioni) iniziarono a ricevere i loro stipendi, inserendo le loro carte digitali in Lire nei bancomat, dove le Lire apparivano grazie al fatto che al ministero delle Finanze digitivano i numeri necessari nei loro computer collegati. Non appena le "Carta Digitale in Lire" ebbero raggiunto tutta la popolazione, i negozi tornarono a riempirsi e persino i teatri principali a Roma e Milano, che avevano cancellato buona parte della stagione 2016, riaprirono. Anche lo scontro politico, che era diventato sempre più acuto, si calmò. Ci si rendeva conto che l'Italia non era senza soldi: era solo rimasta senza euro!

L'altro effetto, però, fu che l'assenza di banconote e il fatto che tutto il denaro era digitale cambiava la percezione del denaro, che non era più una cosa fisica, cioè associato a una certa quantità data, con un numero finito di banconote nelle casseforti, nascoste da qualche parte. E il modo in cui si era passati alla Lira aveva d'improvviso chiarito a tutti da dove arrivava il denaro: da un computer presso il Ministero delle Finanze che aveva istantaneamente accreditato milioni di bancomat di miliardi di nuove Lire. Non erano soldi che il governo aveva prima incassato con i bonifici e con gli assegni versati all'Agenzia delle Entrate. Erano numeri digitati in uno schermo di computer al Ministero, collegato in modo elettronico tramite i bancomat alle nuove "Carte Digitali in Lire" (CDL) che tutti i cittadini ora avevano. Il modo in cui il governo creava queste lire digitali era simile a quello in cui l'Enel o Hera immettevano elettricità nella rete elettrica nazionale per far girare gli impianti elettrici, l'illuminazione, le TV e tutto il resto.

Riguardo alle banche, quando ora erogavano un mutuo o un prestito per l'acquisto di un auto, si vedeva apparire nel proprio cellulare l'ammontare in lire a destra, ad esempio 100mila lire, ma anche a sinistra: "meno 100mila lire". La somma tra il debito venutosi a creare e il saldo netto in lire era zero, indicando che la banca non aveva creato vero denaro. I questo modo diventava chiaro che solo quando il governo spendeva accreditando di un ammontare le "Carte Digitali in Lire" (CDL) si creavano lire. Cioè, in pratica, solo quando il governo spendeva per qualche cosa aumentava la moneta in circolazione. Questo era diventato tanto più chiaro in quanto, per risollevarsi dalla Depressione creata da cinque anni di Austerità dei governi Monti, nell'anno della transizione alla Lira erano stati sospesi metà dei pagamenti dell'Irpef e metà dell'IVA, per cui il governo aveva incassato solo metà delle tasse che strappavano Monti e Befera. E nonostante questo però, il governo era stato in grado di accreditare a tutti un ammontare di nuove lire superiori a quello degli euro che sostituivano.

Il governo lanciò un piano di infrastrutture per 60 miliardi (di euro equivalenti) dalla fibra ottica, ai parcheggi, alla rete ferroviaria, alle autostrade, alla pulizia delle coste, ai rigassificatori. La combinazione della spesa per infrastrutture e la riduzione massiccia delle tasse fece scendere la disoccupazione dal 22% al 5% e fece esplodere il PIL, che passò dal -3% anno, cui ci si era abitati sotto i governi Monti-Troika, a un +8%, superando India, Cina, Brasile e ritornando ad un ritmo di crescita che l'Italia aveva conosciuto per l'ultima volta nel 1965 (e di cui avevano memoria ormai solo gli anziani, a cui nessuno credeva, quando lo raccontavano). Avendo imposto una moratoria di un anno su metà della tassazione, tutti gli italiani, volenti o nolenti, erano stati costretti a notare che il governo non aveva avuto per questo il minimo problema a finanziare le spese (come ci si era sempre sentiti predicare falsamente per generazioni: "se non si fa la finanziaria, se non si aumentano l'Iva e la benzina, non ci saranno i soldi per i lampioni, per le volanti di polizia e per il riscaldamento degli ospizi!"). Passato l'anno di moratoria, in cui le tasse erano state ridotte da 700 a 400 miliardi, in euro equivalenti, dovendo ripristinarne una parte per evitare un'eccessiva inflazione, si aprì un nuovo dibattito sulle tasse. Ora era chiaro a tutti che il governo non aveva bisogno di raccogliere prima le tasse, per poi avere dei soldi da spendere: era diventato evidente invece che il governo, spendendo prima, metteva in circolazione la moneta grazie alla quale, successivamente, i residenti potevano pagare le tasse. Era insomma ora chiaro che le tasse sono solo un modo per ridurre la quantità di moneta in circolazione (immessa nell'economia dal governo, quando spende), in modo che una volta ottenuta la piena occupazione delle risorse poi non si generi inflazione.

Va da sè, a questo punto, che non aveva quindi alcun senso per lo Stato indebitarsi nuovamente, vendendo a residenti o investitori esteri BTP che gli costavano un 4-5% l'anno, e nel corso di 20 anni facevano raddoppiare il suo debito iniziale. Lo stato era libero dalla schiavitù del "debito pubblico", quello strano debito che come si diceva "è dovuto a noi stessi", cioè che lo Stato deve ai cittadini per poter spendere a loro favore e che poi, per essere ripagato, lo costringe a tassarli sempre di più, in un circolo vizioso in cui l'unica cosa certa è l'accumulo all'infinito di interessi su interessi. In questo modo, invece, ora lo stato italiano poteva risparmiare quasi 80 miliardi l'anno (di euro equivalenti), riducendo quindi anche le tasse, ovviamente, dello stesso ammontare

Dato che si voleva che l'economia producesse reddito e occupazione, adesso era più chiaro che non aveva molto senso tassare la produzione annuale di reddito con imposte come l'irap, irpef e sul valore aggiunto (iva). Era piuttosto logico tassare invece alcuni consumi finali di lusso o nocivi per l'ambiente e la proprietà terriera ed immobiliare, il cui valore non rifletteva alcun input di lavoro, ma solo un dato geologico. Cioè: il valore del patrimonio immobiliare e terriero, oltre ad essere stato gonfiato negli anni precedenti alla crisi dal credito bancario, dipendeva in generale dalla bellezza naturale dei luoghi e dalla posizione (distanza dal mare...), e poi dal contesto economico produttivo creato dal lavoro dell'ingegno applicato. Una tassazione della rendita immobiliare riduceva le differenze sociali dovute all'accumulo per eredità e alla fortuna (o connivenza) nella distribuzione delle aree fabbricabili e, inoltre, riducendo la convenienza dell'investimento immobiliare come speculazione sull'incremento di valore, toglieva l'incentivo delle banche a finanziarlo e faceva scendere i prezzi della case, con beneficio per le nuove generazioni.

Tutta questa rivoluzione in Italia, generata dalla transizione alla nuova Lira digitale, ovviamente creava molta discussione all'estero, mettendo in difficoltà economisti ed esperti che dovevano spiegare ora il nuovo "miracolo economico" italiano, sostenuto da una serie di ampi deficit pubblici e drastiche riduzioni di tasse che costituivano la ricetta esattamente contraria a quella praticata dai famigerati governi Monti, che avevano avuto il plauso entusiasta della "comunità finanziaria" di Londra, New York e Francoforte. I fondi,le banche e gli investitori esteri, per un decennio avevano tenuto in ostaggio l'Eurozona attraverso una "crisi del debito pubblico" artificiale, in cui spingevano sempre più su il costo del debito greco, portoghese, irlandese, spagnolo e italiano, rifiutando di concedere ristrutturazione del debito quando le nazioni non riuscivano a pagare, impoendo quindi governi come quello Rajoy in Spagna, quello Papademos in Grecia e quello Monti in Italia, che spremevano la popolazione e chiedevano di svendere i beni pubblici.

Di fronte alla nuova Lira i "padroni dei bonds" andarono al Ministero delle Finanze a Roma minacciando che non avrebbero più comprato bonds italiani e che questo avrebbe provocato un crac del debito italiano sui mercati globali. Ma al Ministero a Roma risposero: "Quali bonds ? quali BTP ? Noi non vendiamo più bonds, perchè mai lo stato italiano deve indebitarsi con voi?" Allora i padroni dei bonds dissero: "Ma noi vogliamo comprare i vostri bonds! Abbiamo bisogno di mettere in qualche investimento finanziario sicuro i nostri miliardi. Vogliamo un investimento che paghi ogni anno sempre un interesse garantito dallo stato. Noi abbiamo bisogno che voi emettiate ora, adesso, subito dei bonds in Lire !". E il nuovo Governo italiano, il primo degno di tal nome, rispose: "Se volete investire dei soldi in Italia aprite un'attività, un business, una fabbrica, una centrale, un servizio di qualche genere, un villaggio turistico. Comporta forse qualche rischio, rispetto ai bonds, ma può rendere, ora che le tasse sono più basse, e soprattutto fa girare l'economia. Ma non potete venire in Italia a pretendere di comprare BTP. Qui in Italia ne abbiamo avuto abbastanza di tenere al sicuro il vostro denaro, e di pagarvi, per di più, per il servizio che vi stavamo offrendo!".

di Giovanni Zibordi

(adattato da "2020", New Economic Perspectives)

Wynne Godley prevedeva il futuro...Incredibile fallimento dell'Euro!!


Venti anni fa Wynne Godley spiegava perché non poteva funzionare

Wynne Godley
L’articolo che pubblichiamo di seguito ha venti anni.  L’autore, Wynne Godley, noto economista britannico Post Keynesiano e collaboratore del Tesoro del Regno Unito, individua i problemi nella costruzione dell’Unione Monetaria a partire dal Trattato di Maastricht. In particolare sottolinea come il Trattato sottintendesse un’impostazione ideologica per la quale gli Stati non devono occuparsi di politica economica e tutto ciò che è richiesto per far funzionare il sistema è una banca centrale, indipendente dalla politica, che si occupi di controllare l’inflazione. Questo porterà inevitabilmente alla rottura dell’Unione monetaria, appena uno dei suoi membri si trovasse in forti difficoltà per qualsiasi motivo. Insomma, quella che segue è la cronaca di un fallimento annunciato che noi stiamo vivendo adesso.
Molte persone in tutta Europa si sono improvvisamente rese conto che non sanno quasi nulla del Trattato di Maastricht mentre giustamente avvertono che potrebbe fare una grande differenza nella loro vita. La loro legittima ansia ha indotto Jacques Delors a fare una dichiarazione secondo
la quale le opinioni della gente comune dovrebbero in futuro essere più ascoltate. Avrebbe potuto pensarci prima.
Anche se ho sostenuto il passaggio verso l’integrazione politica in Europa, credo che le proposte di Maastricht così come sono presentano gravi carenze e anche che la discussione pubblica su di esse sia stata curiosamente impoverita. [...]
L’idea centrale del trattato di Maastricht è che i paesi della Comunità europea devono muoversi verso l’unione economica e monetaria, con una moneta unica gestita da una banca centrale indipendente. Ma che cosa rimane della politica economica? Dato che il trattato non propone nuove istituzioni diverse da una banca europea, i suoi promotori devono supporre che nulla di più sia necessario. Ma questo potrebbe essere corretto solo se le economie moderne fossero sistemi capaci di autoregolarsi, che non abbiano bisogno di alcuna gestione.
Sono spinto alla conclusione che tale punto di vista – cioè che le economie sono organismi che si raddrizzano da soli e che non hanno in nessun caso necessità di una gestione – ha effettivamente determinano il modo in cui è stato costruito il trattato di Maastricht. Si tratta di una versione rozza ed estrema del punto di vista che da qualche tempo ha costituito la convinzione prevalente in Europa (anche se non quella degli Stati Uniti o del Giappone): che i governi non sono in grado di raggiungere uno qualsiasi dei tradizionali obiettivi di economia politica, come la crescita e la piena occupazione, e pertanto non dovrebbero neppure provarci.
Tutto ciò che può legittimamente essere fatto, secondo questa visione, è quello di controllare l’offerta di moneta e il pareggio del bilancio. E’ stato necessario un gruppo in gran parte composto da banchieri (il Comitato Delors) per giungere alla conclusione che una banca centrale indipendente è stata l’unica istituzione sovranazionale necessaria per gestire un’Europa integrata e sovranazionale.
Ma c’è molto di più. In primo luogo va sottolineato che la creazione di una moneta unica nella Comunità Europea dovrebbe porre fine alla sovranità delle sue nazioni componenti e alla loro autonomia di intervento sulle questioni di maggior interesse. Come l’onorevole Tim Congdon ha sostenuto in modo molto convincente, il potere di emettere la propria moneta, di fare movimentazioni sulla propria banca centrale, è la cosa principale che definisce l’indipendenza nazionale. Se un paese rinuncia o perde questo potere, acquisisce lo status di un ente locale o colonia. Le autorità locali e le regioni, ovviamente, non possono svalutare. Ma si perde anche il potere per finanziare il disavanzo attraverso la creazione di denaro, mentre altri metodi di ottenere finanziamenti sono soggetti a regolamentazione centrale. Né si possono modificare i tassi di interesse. Poiché le autorità locali non sono in possesso di nessuno degli strumenti di politica macroeconomica, la loro scelta politica si limita a questioni relativamente minori: un po’ più di istruzione qui, un po’ meno infrastrutture lì. Penso che quando Jacques Delors pone l’accento sul principio di ‘sussidiarietà’, in realtà ci sta solo dicendo che [gli stati membri dell'Unione europea] saranno autorizzati a prendere decisioni su un maggior numero di questioni relativamente poco importanti di quanto si possa aver precedentemente supposto. Forse ci lascerà tenere i cetrioli, dopo tutto. Che grande affare!
Permettetemi di esprimere una visione diversa. Penso che il governo centrale di uno Stato sovrano deve essere costantemente impegnato a determinare il livello ottimale complessivo dei servizi pubblici, l’onere fiscale complessivo corretto, la corretta allocazione della spesa totale tra bisogni concorrenti, nonché la giusta distribuzione del peso della tassazione. Esso deve anche determinare la misura in cui ogni divario tra spesa e imposte viene finanziato prelevando dalla banca centrale e quanto è finanziato mediante un prestito, e a quali condizioni. Il modo in cui i governi decidono su tutti questi (e alcuni altri) problemi, e la qualità della leadership che si possono dispiegare, determineranno, in interazione con le decisioni degli individui, delle aziende e degli stranieri, cose come i tassi di interesse, il tasso di cambio, il tasso di inflazione, il tasso di crescita e il tasso di disoccupazione. [Il comportamento del governo] inoltre influenzerà profondamente la distribuzione del reddito e della ricchezza non solo tra individui, ma tra intere regioni, assistendo, si spera, quelle colpite negativamente dai cambiamenti strutturali. [...]
Cosa succede se un intero paese – un potenziale ‘regione’ in una comunità pienamente integrata – subisce una battuta d’arresto strutturale? Finché si tratta di un Stato sovrano, può svalutare la propria moneta. Si può quindi operare con successo verso la piena occupazione se la gente accetta il taglio necessario dei redditi reali [cioè l'inflazione, ndr]. Con una unione economica e monetaria, questo ricorso è ovviamente escluso, e la sua prospettiva è davvero grave, salvo accordi su bilanci federali che svolgano un ruolo redistributivo. Come è stato chiaramente riconosciuto nella relazione MacDougall che è stato pubblicato nel 1977, ci deve essere uno scambio tra la rinuncia alla possibilità di svalutare e la redistribuzione fiscale. Alcuni autori (come Samuel Brittan e Sir Douglas Hague) hanno seriamente suggerito che l’Unione monetaria, abolendo la bilancia dei pagamenti nella sua forma attuale, abolirebbe il problema, dove esiste, di una persistente incapacità di competere con successo sui mercati mondiali. Ma, come il professor Martin Feldstein ha sottolineato in un articolo importante nel Economist, questo argomento è pericolosamente sbagliato. Se un paese o regione non ha il potere di svalutare, e se non è beneficiario di un sistema di perequazione fiscale, allora non c’è nulla che possa fermare un processo di declino cumulativo e terminale che conduce, alla fine, all’emigrazione come unica alternativa alla povertà o alla fame.
Simpatizzo con la posizione di coloro (come Margaret Thatcher) che, di fronte alla perdita di sovranità, desiderano scendere dal treno dell’Unione monetaria. Simpatizzo anche con coloro che cercano l’integrazione sotto la giurisdizione di una sorta di Costituzione federale, con un bilancio federale molto più grande di quello dell’[attuale] bilancio comunitario. Quello che trovo assolutamente sconcertante è la posizione di coloro che sono favorevoli all’unione economica e monetaria senza la creazione di nuove istituzioni politiche (a parte una nuova banca centrale). Questa è la posizione adottata oggi dal Governo e dalla maggior parte di coloro che prendono parte alla discussione pubblica.
Questo articolo, scritto più di venti anni fa, se fosse pubblicato domani su qualsiasi testata giornalistica nessuno penserebbe sia stato scritto negli anni 80 perchè perfettamente attuale e dannatamente corretto!. Sono passati tanti anni e tutto ciò che è stato descritto si è avverato ma in Italia si continua a votare e supportare chi vende ancora l'Euro e l'Europa come la soluzione dei nostri mali quando invece sono proprio le cause dei nostri problemi. 
Articolo originale: Maastricht and All That
Fonte  keynesblog 

Se non è criminale questo...

Ocse Nel documento elaborato dall'Ocse e rilasciato due giorni fa, c'era una parte dove si cercava chiaramente di influenzare le prossime elezioni politiche in Italia, facendo leva sullo spettro della crisi e sull'incertezza che avrebbe colto i mercati (i nuovi elettori) se non si fosse proseguito sulla strada segnata dal Governo Monti. Peccato che nello stesso documento, senza nessuna logica, ci fosse un'altra parte dove al contrario si riconosce proprio nell'austerity la causa del perdurare e dell'aggravarsi della crisi. L'avevo evidenziato io stesso, senza entrare nel merito:
" L'Ocse riconosce che la conseguenza dell'austerity è la contrazione dell'economia, ma non contento chiede nuova austerity e una nuova manovra di lacrime e sangue nel 2014 "
 Ieri l'economista Gustavo Piga ha analizzato meglio il World Economic Outlook, ed ha mostrato chiaramento come la parte sensata, quella che identifica il problema recessivo nell'ossessivo rigore, sia stata scritta con tutta evidenza da economisti competenti, mentre la parte in apparente contraddizione, quella che spaventa gli italiani e cerca di influenzarne il voto di aprile, sembra essere stata dettata da una mano esterna, ovvero dalle élite politiche dedite al mantra del "più Europa", che usano le istituzioni sovranazionali (con le quali sono colluse) per falsificare l'informazione, spaventare l'elettorato e ottenere artificialmente un consenso che altrimenti non avrebbero. Se non è criminale questo...



Se pensate che l’interesse per il World Economic Outlook dell’Ocse uscito ieri si limitasse alla tragedia sempre ieri documentata su questo blog delle politiche economiche italiane ed europee che fanno saltare i conti pubblici uccidendo l’economia, beh vi sbagliate.
 La parte più succosa dell’Outlook è al contempo testimonianza della ipocrisia politica europea che viene a permeare qualsiasi documento elaborato da istituzioni sovranazionali e della chiara conoscenza da parte di queste dei meccanismi che invece governano l’economia, conoscenza che viene però censurata dall’ipocrisia di cui sopra.
 Complesso? Mica tanto. E’ semplicemente un cervellotico e schizofrenico andazzo, quello che ritroviamo nell’Outlook, alle pagine pdf rispettivamente 98, 99, 100 e 101 sull’Italia (sullo stampato risultano essere le pagine da 96 a 99), da un lato, e alle pagine pdf 66 e 67 sull’area euro (sullo stampato pagine 64 e 65) dall’altro.
 Uno si aspetterebbe una qualche coerenza interna a questi documenti, machiaramente gli estensori di queste due parti sono diversi e non si sono parlati tra loro. Oppure, forse vien quasi da sperare, la parte sull’Italia è stata scritta dai politici italiani e dalla burocrazia dell’euro e la parte sull’euro da una manina invisibile piena di attenzione alla sostanza vera dell’impatto delle politiche economiche.
 Ma analizziamo con calma. La parte sull’Italia, ripresa anche dai giornali si esprime così (mia traduzione):
“… una delle maggiori fonti d’incertezza proviene dall’impegno della coalizione post-elezioni 2013 a mantenere la barra dritta sul consolidamento fiscale e le riforme pro crescita. Tirarsi indietro vorrebbe dire minare la fiducia dei mercati e la crescita. Un altro rischio è che i saldi fiscali 2012 migliorino meno di quanto previsto, malgrado le misure introdotte nella seconda parte del 2012. Per di più una intensificazione dello stress finanziario e di un deleveraging bancario troppo rapido potrebbero accentuare la restrizione creditizia ed ulteriormente deprimere la crescita. Sul fronte positivo, un migliore orientamento delle riforme strutturali può aiutare a far crescere la fiducia e l’investimento e a migliorare l’andamento del mercato del lavoro prima di quanto previsto“.
 Un bel paragrafo scritto a quattro mani con il Governo italiano, non c’è dubbio. Avanti, barra dritta, austerità! Peccato che 30 pagine prima, un’altra manina, affermava sull’Europa quanto segue (grassetto mio):
Nell’area dell’euro la politica fiscale è strutturata per essere molto restrittiva negli anni a venire in quei paesi sotto pressione dei mercati… I piani di consolidamento fiscale sono stati resi più stringenti con nuove misure, per lo più dal lato delle spese, in alcuni dei paesi per raggiungere gli obiettivi di deficit a fronte di una minore crescita. Queste misure genereranno ulteriori difficoltà nel breve termine.Queste polititiche fiscali pro-cicliche (cioè austerità in recessione NdR) sono in linea di principio indesirabili, ma ogni paese ha, di suo, poco spazio di manovra …
In questo ambiente sarebbe appropriato per le economie dell’euro area continuare il consolidamento fiscale secondo quanto previsto nei programmi di aggiustamento attuali, senza assumere azioni ulteriori per compensare i vuoti di bilancio provocati da un indebolimento dell’attività economica superiore a quanto previsto. Questo scostamento dagli attuali programmi di rientrodovrebbe essere concordato a livello di Unione europea per tutti i paesi interessati; una serie di annunci separati, da parte delle singole autorità nazionali, scatenerebbe con maggiore probabilità reazioni avverse da parte dei mercati. In un numero di Paesi, compresi Spagna e Portogallo, gli obiettivi di consolidamento in termini nominali sono già stati rivisti in accordo con la Commissione europea, nel quadro della profonda recessione delle due economie e di una caduta delle entrate fiscali. Le opportunità per avviare le riforme devono essere sfruttate …
Nel caso in cui rischi consistenti di deterioramento si manisestino nell’euro area, i Paesi con una posizione fiscale relativamente più solida dovrebbero fornire uno stimolo fiscale, di natura temporanea e discrezionale, alla domanda, il che comporterebbe o un declino negli avanzi di bilancio sottostanti (comprese Germania e Finlandia) o un rallentamento nel programma di riduzione dei deficit (compresi Francia e Belgio), mentre altri Paesi dell’euro area (compresi Italia, Spagna e i Paesi che rientrano nel programma Ue/FMI) sarebbero solamente in grado di lasciar operare gli stabilizzatori automatici.”
 Ricapitoliamo. L’Ocse non influenzato dalla politica dice basta all’austerità perché distrugge crescita e conti pubblici. Addirittura ci segue al 100% quando chiede che quest’approccio non sia adottato dai singoli Paesi ma deliberato a livello europeo e ci segue nuovamente al 100% quando chiede uno sforzo maggiore di politiche fiscali espansive al Nord e un po’ meno al Sud, ma sempre meno austere. Comunque è chiaro: nessuna ulteriore manovra va varata.
 Povero Ocse, tra incudine della verità e martello della politica. Ma la colpa non è della Politica: la colpa è di questa politica, ribadiamo. Contrariamente a quanto affermato nella parte del rapporto sull’Italia riportato sopra, noi avremmo scritto:
“… una delle maggiori fonti d’incertezza proviene dall’impegno della coalizione post-elezioni 2013 a mantenere la barra dritta sulla lotta alla stupida austerità così da poter anche avviare le vere riforme pro crescita. Tirarsi indietro vorrebbe dire minare la fiducia dei mercati e la crescita. Un altro rischio è che la crescita 2012 peggiori di più quanto previsto, a causa delle misure introdotte nella seconda parte del 2012. Per di più una intensificazione dello stress finanziario e di un deleveraging bancario troppo rapido potrebbero accentuare la restrizione creditizia ed ulteriormente deprimere la crescita. Sul fronte positivo, un migliore orientamento delle riforme strutturali, specie nella spending review che non dovrebbe essere fatta a casaccio e tagli lineari ma con professionalità e competenza, può aiutare a far crescere la fiducia, l’investimento e a migliorare l’andamento del mercato del lavoro prima di quanto previsto“.
 Povero Ocse, se solo avessero fatto scrivere i due capitoli alla stessa persona, competente, che ha illustrato la ricetta per l’euro, avremmo oggi bella e pronta la soluzione per la rinascita di questo Paese.

Fonte: Byoblu
           Gustavopiga.it

giovedì 29 novembre 2012

Uscire dall'euro non si può?...Si invece!! Ecco come...Video!!

Il "rottamatore " da rottamare e Gargamella
Ieri sera mentre degustavo la mia succulenta cena, su Rai uno andava in scena la solita pagliacciata politica all'italiana, che questa volta vedeva difronte uno all'altro i mitici duellanti vincitori delle primarie del centrosinistra Renzi VS Bersani.
Stavolta tocca a loro rendere sempre più ridicola la classe politica italiana (ormai si danno il cambio stile staffetta con la destra e il centro)... non c'è più nessuna differenza tra destra, sinistra, centro, sopra sotto etc, per me stanno diventando tutti uguali, ignoranti, e schiavi di ideologie e motivetti da ripetere ad oltranza finché non ci si convincono davvero anche loro.
Tornando a noi, quando i due cavalieri hanno affrontato l'argomento della crisi economica istantaneamente mi è passato l'appetito.
Le risposte erano sempre le solite al grido di "Più Europa", Europa è bello, l'Italia è brutta e cattiva la Germania è fighissima e dobbiamo diventare tedeschi ect etc tutto senza uno stralcio di preparazione ma solo frutto di convinzioni per sentito dire.
E' stato uno spasso sentire Renzi annunciare politiche Keynesiane però confondere il concetto di debito pubblico e annunciare, in un periodo di crisi come il nostro, un abbassamento delle spesa pubblica...Keynes si sarà rivoltato nella tomba, infatti andrebbe ricordata a Renzi questa formuletta: Domanda aggregata =
Consumi + Investimenti + Spesa Governativa + Esportazioni – Importazioni e ricordargli che senza moneta sovrana di queste variabili l'Italia ne può gestire solo due...purtroppo!!.
Ovviamente come avrete già intuito il passaggio che più mi ha inorridito (ovviamente se anche voi anvete seguito quello strazio in TV) è stato quello di Bersani dove con una faccia serissima (stile "non siamo qui a pettinare le bambole") annunciava che l'uscita dalla moneta unica per noi sarebbe un vero disastro....in quel momento avrei voluto io il diritto di replica per fargli una sola domanda: Perchè sarebbe un disastro vecchio bacucco?.....
Ecco un'altro  della religione Euro che crede per fede; altri apostoli dell'Euro...
Ora basta con questo "luogocomunismo" come direbbe il prof. Bagnai.
Uscire dall'Euro si può e il prof. Claudio Borghi nel video qua sotto ci spiega come fare e non sarebbe affatto un disastro ma molto probabilmente sarebbe la nostra SALVEZZA!!.
Sarebbe opportuno che qualche apostolo dell'euro cominciasse a leggersi qualche libro e a leggere l'opinione di qualche luminare che in tempi non sospetti aveva già previsto la crisi, l'impoverimento e tutto ciò che oramai sapete e vedete aprendo il vostro portafogli sempre più leggero.
Buona visione:

 PS: voglio sottolineare che l'articolo non è un attacco alla sinistra italiana ma è un attacco a TUTTA la classe politica senza distinzioni che ad oggi è davvero ridicola e ignorante cosi la sinistra come la destra (basta vedere cosa sta succedendo nel PDL con la pagliacciata delle primarie...mamma mia).

Fonte video: www.byoblu.com

Quelli che…abbiamo sprecato il dividendo dell’euro


Sento dire sempre più spesso che, negli ultimi 10 anni, l'Italia dell'Euro ha sprecato il dividendo dell'euro. Ci dicono in poche parole che l'Italia ha beneficiato di tassi d'interesse più bassi sul debito, facendoci guadagnare circa il 6% del PIL, ovvero circa 100 miliardi di euro l'anno. Ormai è diventato un dogma diffuso tra i politici nostrani che, evidentemente, masticano poca economia. Sempre questi signori ci fanno notare che questi 100 mld di euro annui, quindi 1000 mld in 10 anni (wow) sono stati bruciati!! WHAT?? Ci si mette poco a capire che è un modo per farci sentire in colpa e che quindi meritiamo l'austerità!




Per farvi capire come stanno realmente le cose, di seguito posterò un estratto dall'articolo del Prof. Alberto Bagnai, tratto da Il Fatto Quotidiano. Buona lettura e buon ''FALSO DIVIDENDO''....

''Le ideologie hanno metodi molto efficaci per rafforzare il consenso: del terrore abbiamo già parlato, oggi parliamo del senso di colpa. Sì, perché non c’è ingiustizia, non c’è assurdità, non c’è palese violazione del buon senso che un popolo non possa accettare, purché tu lo convinca che la colpa è sua. E il metodo è semplice: basta un po’ di sana supercazzola.
Sentite ad esempio l’intervento di Andrea Giuricin a “Cominciamo bene”, mercoledì scorso: “Dall’entrata nell’euro l’Italia ha avuto un bonus del 6% annuo del Pil… quasi 100 miliardi di euro l’anno, grazie agli interessi più bassi”. Però! Cominciamo proprio bene…
Certo che siamo veramente stati imperdonabili! Sprecare un regalo simile! Dall’Europa ci arrivavano tutti questi euro, e noi cosa facevamo? Da quei selvaggi che siamo, che siamo sempre stati, che sempre saremo, li gettavamo nel cratere dell’Etna, in un immenso sacrificio rituale alla divinità pagana dello Spreco. E allora ce la meritiamo la crisi, l’Imu, lo spread, la svendita all’estero delle nostre aziende, ecc. Penitenziagite!
Solo che questi sono numeri in libertà, come si fa presto a verificare: sono una supercazzola meno divertente di quelle del conte Mascetti, che almeno aveva la lingua sciolta. Ragioniamo, si fa presto.
Il periodo di riferimento è evidentemente quello prima della crisi, il periodo nel quale i tassi sono scesi: diciamo dal 1999 al 2007. Siccome in quel periodo il rapporto debito/Pil è stato di poco superiore al 100%, dire che abbiamo risparmiato il 6% del Pil in conto interessi significa dire che senza euro i tassi di interesse sarebbero stati più alti di circa il 6% rispetto allo storico. Ora, fra il 1999 e il 2007 il tasso di interesse medio sul debito si è situato attorno al 5%, e quindi Giuricin ci sta dicendo che, in assenza di euro, questo tasso si sarebbe collocato attorno al 5%+6%=11%.
Uno scenario spaventoso, ma soprattutto ridicolo.
Tassi di interesse a questo livello (fra il 10% e l’11%) in Italia sono stati raggiunti solo negli anni ’80 e primissimi anni ‘90. Attenzione: mi riferisco al costo medio effettivo del debito, cioè alla spesa per interessi divisa per lo stock di debito. Certo che in qualche mese qualche particolare tipo di titolo è arrivato magari anche al 20% o oltre. Ma il debito non è composto da un solo tipo di titolo, e gli interessi pagati non sono tutti commisurati al risultato dell’ultima asta. Un confronto sensato deve essere riferito al costo medio effettivo, che negli anni ’80 andò dal 13.9% del 1982 al 9.6% del 1988.
Solo che negli anni ’80 l’inflazione in Italia si era spinta anche oltre il 20%, con una media attorno al 10%, in seguito allo shock petrolifero del 1979 e a un costante apprezzamento del dollaro fino al 1986. I tassi di interesse erano elevati in tutto il mondo, non molto distanti da quelli italiani, con una media pari a circa il 9% (li calcolo come media dei tassi di interesse sui titoli a lungo termine di Stati Uniti, Regno Unito, Giappone e Germania).
Ma dal 1999 al 2007 (il periodo del famigerato “dividendo”) la situazione era ben diversa: l’inflazione in Italia era al 2.3% in media, con tassi d’interesse mondiali attorno al 3.7%. Lo scenario controfattuale proposto dai luogocomunisti, con tassi all’11% per l’Italia se fosse rimasta fuori dall’euro, è avulso dalla realtà. Esso non tiene conto della situazione dei mercati internazionali nel decennio appena trascorso: i risparmi accumulati da alcune economie emergenti determinavano (e tuttora determinano) una notevole offerta di liquidità a livello globale. È l’eccesso di risparmio globale, descritto da Ben Bernanke nel 2005, che ha contribuito all’abbassamento del costo del denaro in tutto il mondo.
Questo è stato il vero dividendo.
E infatti tassi d’interesse sul debito pubblico attorno all’11% si sono registrati solo in economie relativamente arretrate, nelle quali quindi la crescita e l’inflazione erano in genere più sostenute che in Italia: il Messico, il Botswana, il Myanmar, il Sud Africa. Ma in quel periodo nessuna economia del continente europeo, dentro o fuori dall’euro, ha avuto tassi di interesse così alti (pur nella diversità delle condizioni economiche sottostanti). È quindi un ovvio falso storico dire che se fossimo rimasti fuori dall’euro avremmo avuto tassi più alti di chi fuori dall’euro c’era, e magari era anche (purtroppo) in condizioni non migliori delle nostre. Assimilare l’Italia al Myanmar, euro o non euro, è un’operazione, come dire, piuttosto ardita.
Ma sappiamo già che al luogocomunista non difetta il coraggio delle altrui opinioni, soprattutto quando si tratta di denigrare il proprio paese. E in questo caso di coraggio ce ne vuole proprio tanto. Onore al merito.''

Monti: "Servizio sanitario nazionale a rischio".. davvero?

"Il nostro Sistema sanitario nazionale, di cui andiamo fieri, potrebbe non essere garantito se non si individuano nuove modalità di finanziamento".

Sono queste le testuali parole del nostro ''amato'' premier! Lui che si prodiga per garantirci un futuro roseo ( a me personalmente sembra più rosso), ci dice che spendiamo troppo per la sanità.

Da quando ho memoria, il settore sanitario nazionale è sempre stato al centro di tante polemiche. Troppi sprechi!! Bisogna tagliare! La spesa per la sanità è troppo elevata!! C'è lo chiede l'Europa!! Dobbiamo guardare alla Germania e al suo modello!! Gira che ti rigira, siamo sempre alle solite. Vogliono farci sentire in colpa, spendaccioni! Brutti! Parassiti!


Da qui la malsana idea del nostro caro e ''amato'' super Mario! Attiriamo capitali esteri, facciamoli ''collaborare'' mmmm, Mario, ma tu mi stai dicendo cosa?? Ahhh si Privatizziamo!! Beh ma solo se investiamo in ricerca.. 

''Fesserie'' a parte, è vero che siamo spendaccioni e che la nostra spesa sanitaria è troppo elevata? 
Lascio giudicare voi stessi:




L'Italia spende meno di USA (PRIVATIZZATA), Francia, Germania ( PRIVATIZZATA), Regno Unito etc.. 
Da questa cara tabella dell'OCSE, si nota che la spesa sanitaria Italiana è in linea, se non più bassa della media europea, MOLTO più bassa di settori sanitari PRIVATI.



Anche in termini pro-capite il nostro Paese presenta esborsi contenuti. soffermandosi sulle uscite pubbliche correnti, osserviamo che la Germania spende un terzo in più di noi, gli Stati Uniti il 57% in più. Possiamo inoltre ricordare che la Grecia nel 2007 (ultimo dato disponibile), spendeva il 22% meno dell'Italia, 41% meno della Germania.

La situazione dal 2009 ad oggi non è cambiata, anzi, con le manovre fatte la spesa in % al PIL è diminuita. 
Quindi caro Marietto, non è che ci vuo giocare lo scherzetto per accontentare qualche tuo amichetto?? A voi le conclusioni....

La strada verso il baratro...

La Strada Verso il BaratroIl governo Monti ha compiuto un anno. Per celebrare l'evento, Palazzo Chigi ha diffuso una lunga nota ufficiale, denominata “appunti di viaggio”, che riassume quanto è stato fatto in questi dodici mesi. Un documento pieno di menzogne e diomissioni (come ad esempio il dato relativo alla disoccupazione giovanile, salita dal 27 al 35 per cento). Ma le balle potevamo aspettarcele, e basta dare uno sguardo alla tabella riassuntiva pubblicata dal Sole24Ore per apprezzare gli effetti nefasti del governo dell’austerity. Ciò che più colpisce, invece, è che finalmente alcune drammatiche verità vengono ufficialmente a galla.

1) Il mercato unico europeo non è nato per favorire la cooperazione

 Il documento ribadisce per ben due volte, con frasi evidenziate in neretto, che il Trattato di Lisbona disegna un'economia di mercato “altamente e fortemente competitiva”, in cui i singoli Stati sono chiamati a “promuovere il proprio posizionamento” cercando di “migliorare la propria situazione comparata” (ovviamente a scapito degli altri). Interessante, non vi pare? Quando mai agli italiani è stato detto con chiarezza che i trattati europei non costituiscono affatto la base di forme di collaborazione fra gli Stati, e che quella che chiamano “Unione” in realtà non è altro che un teatro di guerra economica dove ciascuno deve lottare all'ultimo sangue contro tutti gli altri?

 A tutto ciò va aggiunto che noi, in quanto appartenenti all'eurozona, possiamo contare su meno armi di altri, avendo rinunciato allo strumento della flessibilità del cambio. Apriranno finalmente gli occhi quelli che pensavano che l'appartenenza al mercato unico europeo fosse, o potesse diventare, fonte di cooperazione fra le nazioni?

2) Per essere salvati dovremo cedere sovranità

 Nel paragrafo “La tabella di marcia per l’integrazione economica e democratica” (che guarda caso, a discapito del titolo, non dice assolutamente nulla sulla democrazia), si ribadisce ciò che tutti i documenti ufficiali riportano, cioè che l'accesso ai fondi cosiddetti “salva-Stati” sarà possibile solo: “per quei Paesi della zona euro che sono in regola con le condizioni poste nel quadro del semestre europeo e del Patto di stabilità e crescita”, cioè solo per chi seguirà alla lettera e senza discussione i diktat della Commissione e della BCE.

 Del resto, già nel Giugno scorso, i capi di Stato avevano firmato un accordo pubblico nel quale veniva scritto, nero su bianco, che i fondi sarebbero stati utilizzati al fine di "stabilizzare i mercati per gli Stati membri che rispettino le raccomandazioni specifiche per paese e gli altri impegni, tra cui i rispettivi calendari, nell'ambito del semestre europeo, del patto di stabilità e crescita e delle procedure per gli squilibri eccessivi. Tali condizioni dovranno figurare in un memorandum d'intesa.”. Ovviamente da nessuna parte si fa menzione del fatto che quei fondi non vengono dalla Luna. Sono nostri, cioè li abbiamo versati noi agli organismi europei.

3) Monti è qui per “svendere” il tessuto industriale italiano all'estero.

 Questo è un tema di grande importanza, i cui risvolti probabilmente ancora sfuggono a buona parte dell'opinione pubblica italiana. Il documento di Palazzo Chigi sottolinea con enfasi il grande sforzo messo in campo dal premier per convincere potenziali investitori stranieri ad acquistare titoli ed aziende italiane. Pochi giorni fa, in Kuwait, Monti si è rivolto ad una platea di sceicchi dichiarando che: “i titoli a reddito fisso e le valutazione delle imprese in Italia sono bassi. E’ il momento di comprare a buon mercato perché si rivaluteranno”. Si potrebbe pensare che questa non sia una strategia sbagliata: siamo in crisi, quindi perché non importare capitali dall'esterno per favorire la ripresa economica?

 Purtroppo questa logica è sensata solo all’apparenza, perché nelle nostre attuali condizioni affidarsi all'importazione di capitali esteri è del tutto controproducente. Innanzitutto perché il primo modo con cui Monti ha reso “appetibili” le aziende italiane è stato quello di attaccare i diritti dei lavoratori: ecco spiegato l'accanimento contro l'articolo 18, anche se è noto che per la maggioranza degli imprenditori italiani lo statuto dei lavoratori non è un problema. Naturalmente tutto ciò determina il depauperamento delle condizioni di vita dei lavoratori italiani, che vedono disperdersi diritti e salario, con ovvi effetti recessivi. Altro che uscita dalla crisi!

 Ma c'è di peggio. Abbiamo visto che Monti cerca di convincere i potenziali acquirenti esteri fornendo loro la prospettiva di una rivalutazione a breve-medio termine del capitale impiegato in Italia. Immaginiamo che gli sceicchi seguano il suo consiglio e acquistino titoli e imprese italiane. L'afflusso di capitali, probabilmente, determinerebbe nell'immediato alcuni effetti positivi (aumento dell'occupazione, segnali di ripresa economica e così via). Difficilmente però questo consoliderebbe l'economia del Paese, sia perché buona parte dei profitti se ne tornerebbe a casa degli sceicchi, sia soprattutto perché nel frattempo le criticità strutturali dell'eurozona non sarebbero state risolte. Non essendo state rimosse le cause scatenanti della crisi, sugli asset italiani continuerebbe a gravare una forte incertezza che determinerebbe la minaccia continua di perdita di valore. A un certo punto, visto che l'attesa (e promessa) rivalutazione tarderebbe a concretizzarsi, e vista l’incertezza, gli investitori prenderebbero a vendere tutto quello che avevano comprato. Le vendite determinerebbero un'accelerazione della tanto temuta svalutazione e si scatenerebbe un effetto a catena: per contenere i danni, sempre più capitali prenderebbero il volo, scatenando il caos.

 E' uno scenario da incubo, ma non è ipotetico: è esattamente quello che è sempre successo ai paesi che hanno agganciato il valore del cambio della loro moneta ad una valuta più forte e poi hanno cercato di attrarre investimenti esteri: si chiama “ciclo di Frenkel”, poiché prende il nome dallo studioso che lo ha efficacemente descritto.

 Ecco dunque la destinazione finale verso cui ci porta la strada descritta negli “appunti di viaggio” del governo Monti: il baratro.

di Fabrizio Tringali

Fonte: byoblu

mercoledì 28 novembre 2012

Il fallimento dell'agenda Monti: nessuna luce infondo al tunnel


L’OCSE è un’organizzazione dove la politica impera. A volte si intrufola la verità, ma mai in maniera chiara.

Solo 6 mesi fa, nel suo precedente Economic Outlook sull’Italia il deficit su PIL italiano per il 2013 era previsto al -0,6%, pienamente coerente con il -0,5% del Governo Monti. Se facciamo poca fatica a capire perché un Governo possa dimostrarsi incredibilmente ottimista senza avere nessuna ragione concreta per esserlo, da una organizzazione di alto livello ci aspetteremmo ben altro. Ma così va il mondo. 6 mesi dopo, solo 6 mesi dopo, l’Ocse prevede per l’Italia un deficit-PIL al -3%.  Scandaloso? Chissà.
Vorrei comunque salvare l’OCSE perché nella sua incoerenza lancia comunque un messaggio che più pighiano non si può, ma ne parliamo in un post successivo. Magari domani.
Più scandalose sono le cifre di questo Governo. Vorrei farvele leggere in tutta la loro chiarezza, paragonando le cifre prodotte nel 2012 nei 2 documenti di questo Governo, alla luce delle nuove stime OCSE uscite oggi. Se qualcuno vi dice che questo Governo ha salvato i conti pubblici fategli vedere questa tabella.
Leggiamoli insieme. A parte la prima colonna sul PIL di quest’anno (su cui l’Ocse è più ottimista del Governo), per il 2013 (l’unico anno chiave per giudicare ora le stime di questo Governo), le stime Ocse odierne prevedono -1,5% di decrescita aggiuntiva rispetto alle stime governative di primavera nel Primo Documento di Economia e Finanza (DEF1).  Ancora forse più grave è che la metà di questo scostamento (0,8% di recessione in più) spunta fuori negli ultimi due mesi rispetto alla correzione di stime contenute nella Relazione di aggiornamento del settembre 2012.
Le stime sul 2014 essendo numeri al lotto nemmeno li guardiamo? Beh forse per la speranza che danno dovremmo guardarli. Scopriremmo così che nel giro di soli 6 mesi il Governo ha corretto la sua stima per la disoccupazione 2014 da 8,9 a 11,3% e che nel giro di altri due mesi con l’Ocse siamo arrivati a 11,8%, 3 punti percentuali in più in 6 mesi. 3 punti percentuali. Altro che speranza. Negli Stati Uniti se un governo pubblicasse questi numeri sarebbe sconfitto 90 a 10 alle elezioni.
Ovviamente le cifre più clamorose riguardano la finanza pubblica che questo Governo ha messo al centro della sua azione su suggerimento europeo. Ebbene sempre per il 2014 questo Governo e questa Europa stimavano per il rapporto debito-PIL (deficit-PIL) un valore di 118,2% (-0,1%). Oggi le stime OCSE dicono che sarà 132,2% (-3,4%).
132,2%.
132,2%.
Guardo questo numero incredibile nella storia della Repubblica italiana e mi chiedo chi possa mai dire che questo Governo e questa Europa siano a favore della stabilità dei conti pubblici. Un disastro basato sulla contabilistica illusione che i Governi prendono atto delle dinamiche sociali ed economiche e che non sono invece l’attore predominante di queste con le appropriate politiche economiche per la crescita.
Ci sono numeri nascosti nei dati Ocse che forse devono preoccupare ancora di più: il fatto che la disoccupazione salga malgrado l’occupazione tenga significa una sola cosa, che cresce il numero di persone che cercano lavoro, spesso perché il capo famiglia ha perso l’occupazione a tempo indeterminato, e il/la consorte scende in campo a supporto. La crescita della disoccupazione si mischia dunque a crescita dell’occupazione precaria, un fenomeno che può essere più facilmente tollerato in espansione, ma non quando i numeri sono così recessivi.
Sia come sia, il messaggio finale è uno solo: l’austerità, l’aumento della tasse e la diminuzione della spesa pubblica in recessione è una follia che nessuno studente del primo anno di economia suggerirebbe, specie quando si finisce per flirtare con così grande spensieratezza con la fine dell’euro.
E pensare che proprio la reputazione internazionale di Monti avrebbe potuto credibilmente far digerire ai mercati l’unica cosa che attendevano con ansia dall’Europa: la certezza che, una volta superata la tempesta perfetta della recessione con maggiore spesa pubblica, i governi europei avrebbero credibilmente riportato la spesa al livello originario o addirittura l’avrebbero ulteriormente qualificata. Un po’ come quando diciamo “it takes a Nixon to go to China” per dire che solo i forti anti-comunisti repubblicani potevano credibilmente aprire le porte ai rapporti con la Cina rossa.
Ma tant’è.
La nostra Cina, la recessione, c’è e rimane perché il nostro Nixon ha avuto paura di confrontarcisi.
Si chiude un capitolo di Agende sbagliate, profondamente sbagliate. Speriamo presto ne ripartano di nuove, capaci di generare conti pubblici in ordine, crescita economica, ottimismo, speranza, opportunità, fratellanza europea.

martedì 27 novembre 2012

Jacques Sapir: "Più Europa".. un castello in aria per sognatori


Il Costo del Federalismo nell'Eurozona




Ora sull'ipotesi "Federale" si sprecano fiumi di inchiostro. E' presentata come "la" soluzione alla crisi dell'euro, le alternative essendo o un drammatico impoverimento dei Paesi "del sud" dell'Euro o un crollo dell'EUzona.
Alcuni non esitano ad aggiungere che quest'ipotesi era già implicita nelle imperfezioni oggi riconosciute della zona euro (Teoria della aree valutarie omogenee AVO n.d.r.). Tuttavia, non sembra che si abbia una reale comprensione di ciò che comporta la formazione di una "Federazione europea",  in particolare dal punto di vista dei flussi di trasferimento.
Per contro, cominciamo a sentirne lo stress, e in particolare l'abbandono della sovranità fiscale. La volontà della Germania di sottoporre i bilanci a una
decisione preventiva di Bruxelles, naturalmente, va in questo senso.
In realtà, passare al "federalismo" implica che le politiche fiscali degli Stati membri della Federazione siano controllate dal governo "federale", in questo caso, nella situazione attuale, dalla Commissione Europea. Ma, "il federalismo" implica anche notevoli trasferimenti di bilancio che esistono altrove negli Stati federali, sia in Germania, che negli Stati Uniti, in Brasile o in Russia. Il presidente russo Vladimir Putin ha d'altronde posto perfettamente la questione, in una discussione tra esperti internazionali che abbiamo avuto con lui, sottolineando che il passaggio a una moneta unica tra paesi molto eterogenei comporta ingenti flussi di trasferimenti.

I. Il livello di eterogeneità all'interno dell'eurozona

Tre gli elementi utilizzati per misurare il livello di eterogeneità nella Zona Euro il primo è senza dubbio l'aumento cumulativo della produttività del lavoro nei diversi paesi. I livelli di partenza erano già molto diversi, con scarti da 1 a 3, e la Germania e la Francia avevano una produttività molto elevata nel 1998. Logicamente, gli altri paesi avrebbero dovuto recuperare il livello di produttività. Notiamo che questo era accettabile per la Grecia, almeno fino al 2008, e per l'Irlanda, ma sicuramente non per l'Italia. Spagna e Portogallo hanno mantenuto il divario che questi paesi avevano con la Francia e la Germania. La creazione della zona euro non ha portato a una generale  convergenza delle economie e le differenze nella produttività del lavoro sono rimaste o peggiorate, nel caso dell'Italia.


Ma un altro fattore deve essere preso in considerazione, è l'inflazione indotta dai salari nel lungo periodo. Le differenze qui sono molto importanti. In una situazione "normale" avrebbero potuto essere corrette da svalutazioni, cosa vietata dall'appartenenza ad una moneta unica. Nel 2010, il divario tra la Grecia e la Germania era del 50%. Tende a diminuire a seguito della drammatica politica economica attuata in Grecia, ma la conseguenza è stata di precipitare il paese in una depressione estremamente violenta. La Spagna, che ha mantenuto il suo gap di produttività con la Germania, ha visto la sua inflazione salariale accumulare uno scarto del 25% con quest'ultimo paese, come la Francia del resto. L'Italia, dove l'inflazione da salari era la più bassa in confronto con la Germania, mostra uno scarto del 12%, cui va aggiunto, per misurare il divario di competitività, il ritardo accumulato nella produttività.




Come possiamo vedere, la combinazione dei guadagni cumulativi di produttività e del movimento di inflazione dei salari, si traduce in una conseguente divaricazione delle differenze di competitività. Infatti, la differenza tra i tassi di inflazione all'interno di una moneta unica si riferisce all'esistenza di tassi strutturali di inflazione diversi tra i paesi, dettati dalle strutture economiche di questi paesi. Contrariamente all'opinione prevalente, l'inflazione non è principalmente un fenomeno monetario. Infatti, se fosse così, avendo la stessa politica monetaria nel quadro della moneta unica, il tasso di inflazione sarebbe stato lo stesso. L'esistenza di diversi livelli strutturali di inflazione tra i paesi implica o di tornare alla flessibilità del tasso di cambio (svalutazioni regolari) o a dei flussi di trasferimenti.

Ma dobbiamo anche tener conto di un terzo fattore. La competitività tedesca non è solo il prodotto dei guadagni di produttività e di una bassa inflazione. E' dovuta anche a una migliore qualità dei prodotti, alla capacità di "una maggiore varietà". Questo può essere misurato confrontando la spesa per ricerca e sviluppo (R&S), sia pubblica che privata. Qui il divario con i paesi del "sud" dell'eurozona è regolare e importante sul lungo periodo.



È chiaro che questa differenza ha delle conseguenze sugli aumenti di produttività. È inoltre possibile includere le differenze in termini di formazione del lavoro e di livello di istruzione di una classe di età. Nel 2010, il numero di giovani con un basso livello di istruzione inferiore al 2 ° ciclo dell'istruzione secondaria eradel 14% della fascia di età in Germania, del 29% in Francia, del 45% in Italia, del 47% in Spagna. La spesa per gli studenti universitari era di € 15.711 (in media) per la Germania, 14.642 € in Francia, ma solo 9.562 € in Italia.
Questo indica chiaramente la natura degli sforzi che dovrebbero essere fatti in un quadro federale perché i diversi paesi del '"sud" possano colmare il loro divario con la Germania.

II. L'importanza dei trasferimenti

I trasferimenti che si calcolano qui riguardano solo quattro paesi (Grecia, Portogallo, Spagna e Italia), e non includono gli aiuti comunitari già esistenti.  Il primo punto consiste nel calcolare lo scarto accumulato in 10 anni nel campo della R&S. Questo divario ammonta, in percentuale del PIL, per ciascun paese, a :


Spagna
17,3%
Italia
17,2%
Portogallo
18,8%
Grecia
24,0%

A questo va aggiunto  la deviazione annuale (nel 2010):


Spagna
1,43%
Italia
1,56%
Portogallo
1,23%
Grecia
2,37%

Se calcoliamo un recupero su 10 anni, questo implica un trasferimento annuale dai paesi del "nord", calcolato in punti percentuali del PIL di ciascun paese, per recuperare lo scarto accumulato in spesa per R&S :


Spagna
3,16%
Italia
3,28%
Portogallo
3,11%
Grecia
4,77%

Il secondo punto importante consiste nel permettere a questi paesi direcuperare nei loro sistemi di istruzione. Le spese necessarie per ridurre il numero di giovani che abbandonano la scuola con un livello più basso del 2 °ciclo di istruzione secondaria, sono stimate, ancora in punti di PIL del paese, a:


Spagna
2,00%
Italia
2,00%
Portogallo
3,00%
Grecia
3,50%

Il terzo punto è quello di stabilizzare la domanda in questi paesi, perché altrimenti gli sforzi nel campo della R&S e nel campo dell'educazione non serviranno a nulla. Questa stabilizzazione della domanda può passare attraverso la ristrutturazione o costruzione di infrastrutture, ma anche sostenendo la domanda di alcune categorie della popolazione. Calcolate in punti percentuali del PIL di ciascun paese, queste spese ammontano annualmente, per un periodo di dieci anni, a :


Spagna
3,00%
Italia
2,50%
Portogallo
4,00%
Grecia
6,00%

Se sommiamo queste spese, da finanziare mediante trasferimenti di bilancio dai paesi del "nord" della Zona Euro, si arriva al totale seguente, che ricordiamo è la cifra annuale calcolata sulla base di un recupero in 10 anni degli scarti di questi diversi paesi:




Contributo in% del PIL, per recuperare il ritardo in R & S
Contributo in% del PIL, per recuperare il ritardo in materia di istruzione
Contributo in% del PIL, per rilanciare la domanda
Totale (% del PIL per ogni paese)
PIL2011 per ogni paese in Mlrd euro
Importo dell'aiuto annuale in Mlrd euro nell'ipotesi di trasferimenti federali
Spagna
3,16%
2,00%
3,00%
8,16%
1.063,36
86,76
Italia
3,28%
2,00%
2,50%
7,78%
1.580,22
122,99
Portogallo
3,11%
3,00%
4,00%
10,11%
170,93
17,27
Grecia
4,77%
3,50%
6,00%
14,27%
215,09
30,69

Il totale ammonta quindi a € 257,71 miliardi di euro all'anno. Questo non è il totale di tutti i trasferimenti (vi sono le esigenze di altri paesi), e  non comprende il contributo comunitario (che è un costo netto per paesi come la Germania e la Francia), ma copre solo i bisogni necessari perché la zona euro possa sopravvivere, al di fuori dei bisogni finanziari immediati, che già implicano un significativo contributo di Germania e Francia.

Quali sarebbero i contribuenti ?

La Francia non potrebbe contribuire perché anch'essa dovrebbe finanziare uno sforzo per recuperare dell'ordine dall' 1,5% al 2% del PIL. Il finanziamento dei trasferimenti quindi dovrebbe essere basato su Germania, Finlandia, Austria e Paesi Bassi. Questo suggerisce che la Germania dovrebbe sopportare il 90% del finanziamento di questi trasferimenti netti, ossia tra i 220 e i 232 miliardi di euro all'anno (pari a un totale dai 2.200 ai 2.320 miliardi in dieci anni), tra l' 8 % e il 9% del suo PIL.Altre stime danno dei livelli ancora più alti, che raggiungono anche il 12,7% del PIL. Noi crediamo che la nostra stima sia comunque più realistica.Nondimeno resta un livello impossibile da finanziare per la Germania, a prescindere dalla volontà di farlo. Pertanto, siamo in grado di comprendere la strategia della Merkel che cerca di ottenere un diritto di controllo sui bilanci degli altri paesi, ma si rifiuta di prendere in considerazione un'"unione di trasferimento", che sarebbe d'altra parte la forma logica che dovrebbe assumere una struttura federale per la zona euro.

E' quindi necessario trarre da queste considerazioni tutte le dovute conseguenze: il federalismo non è possibile ed è inutile discutere sul fatto se sarebbe una soluzione buona o cattiva. Non rimangono che due possibilità: o il rapido esaurimento dei paesi del "sud" della Zona Euro, con conseguenze politiche estremamente spiacevoli che potrebbero portare alla messa in discussione della stessa Unione Europea, o la dissoluzione dell'eurozona per consentire gli aggiustamenti necessari, senza dover ricorrere a massicci trasferimenti.

Fonte:Voci dall'estero