martedì 20 novembre 2012

Svalutazione ed Inflazione ...Quanta confusione!!


In questo ultimo periodo mi ritrovo molto spesso a discutere sulle conseguenze che una uscita dall'euro, da me caldeggiata, porterebbe al sistema Italia, alle nostre tasche e a tutto il settore non governativo quali cittadini, imprenditori, banche etc;
Ogni volta la prima tesi/accusa che mi si porta a sostegno per demolire la mia posizione è che uscendo dall'euro si avrebbe subito una svalutazione mostruosa della moneta pari al 30%-60% con l'altrettanto equivalente aumento sconsiderato dell'inflazione rendendoci dall'oggi al domani poveri come non lo siamo mai stati al pari dei paesi del terzo mondo.

Ecco un esempio:
"L’uscita dell’Euro non conviene a nessuno, dato che anche la Germania vedrebbe una caduta del Pil del 10 per cento il primo anno dopo la caduta della moneta unica.
Ancora più difficile sarebbe la situazione italiana con la svalutazione della “nuova Lira” e inflazione al 30 per cento con perdita del potere d’acquisto delle famiglie dello stesso ordine di grandezza.
La disoccupazione salirebbe verso il 20 per cento, il doppio di adesso e vi sarebbe un crollo dell’economia."  fonte (www.chicago-blog.it)

Qual'è l'errore di correlare l'inflazione con la svalutazione in questo modo? E' che l'inflazione è un fenomeno interno, che ha a che fare con la dinamica dei prezzi interni e dei salari di una economia nazionale.
La svalutazione di una moneta è un fenomeno esterno ad una nazione e riguarda i mercati internazionali.
Esiste una correlazione fra i due fenomeni, ma non è così grossolana, è molto più sottile. E questo dipende da
un fatto abbastanza banale, è un'intersezione di percentuali: quella esterna (svalutazione) influenza quella interna (inflazione) ma molto spesso solo in parte.
A questo punto è il caso di fare chiarezza una volta per tutte su questi due aspetti: 

Svalutazione

"In economia la svalutazione è la perdita di valore di una moneta nei confronti di una o più monete (in regime di cambi fissi); quando invece ci si trova in regime di cambi variabili si parla di deprezzamento della moneta."(Fonte: it.wikipedia.org
Ecco il primo errore in cui si incorre, che può sembrare marginale ma non lo è ed infatti già qui si creano confusioni enormi;
Nel caso di deprezzamento esso avviene in un mercato di cambi flessibili in cui la domanda e l'offerta di un tipo di moneta regolano il prezzo della stessa. 
Questo significa affermare che è IL MERCATO A GESTIRE IL TASSO DI CAMBIO e quindi non ci può essere nessun istituto o soggetto in grado arbitrariamente di imporre un particolare tasso... Nei cambi flessibili, un aumento forsennato della domanda di moneta estera (es: tasso interesse straniero > tasso interno) porta a un deprezzamento del nostro euro che rende il nostro continente economicamente molto più competitivo (è quello che l'america tenta di fare tenendo il dollaro molto deprezzato rispetto all'euro).
La SVALUTAZIONE INVECE AVVIENE ARBITRARIAMENTE (decisione politica) ed è la Banca Centrale (BCE per noi) che decide, secondo particolari parametri, di abbassare il tasso di cambio e facendo cosi genera un deprezzamento dell'Euro e tutti i fenomeni che ne scaturiscono.
In regime di cambi fissi la Banca Centrale si impegna a cambiare le varie valute con dei tassi fissi e non può agire sulla quantità di moneta in circolazione ma deve semplicemente svolgere il ruolo di "cambista" avendo alle spalle delle opportune riserve di monete estere.
Secondo gli apostoli dell'Euro una volta usciti da questa moneta religiosa, la nuova lira si deprezzerebbe di circa il 30%-50%  addirittura sino al 60% per qualcuno; un dato sparato a caso che non tiene in debito conto nessuno dei fattori che realmente influiscono sul tasso di cambio.
Nelle precedenti occasioni storiche di sganciamento di una valuta da un’altra moneta forte (per noi l’euro-marco), i fatti e i dati empirici ci dicono che il cambio tende a recuperare la competitività di prezzo perduta nei confronti del paese principale dell’area valutaria (la Germania). Dato che il differenziale di inflazione complessivo dal 1999 ad oggi con la Germania ammonta a circa il 20%-25%, la svalutazione della lira nei confronti dell’euro-marco dovrebbe attestarsi intorno a questa banda di oscillazione.
Ovviamente la nuova "lira" si deprezzerebbe rispetto all’euro-marco, ma potrebbe apprezzarsi nei confronti di altre valute con i cui paesi di origine l’Italia intrattiene rapporti commerciali. Quindi quello che è importante non è tanto la svalutazione bilaterale fra l’Italia e un altro paese, ma il tasso di cambio effettivo che è una media pesata di tutti i tassi di cambio bilaterali principali misurata in base al valore specifico degli scambi effettuati con i rispettivi paesi d’origine.
Tuttavia se questa teoria della “parità relativa del potere d’acquisto” (PPP, Purchasing Power Parity) può essere utile per spiegare i movimenti del cambio nel lungo periodo ed è applicabile soltanto alle variazioni di prezzo di beni e servizi effettivamente destinati all’esportazione (l’aumento di prezzo dei prodotti locali e del barbiere sotto casa non dovrebbe essere conteggiato insomma), il tasso di cambio nel breve periodo è influenzato da altri due elementi: il saldo delle partite correnti e gli investimenti finanziari.
Il nostro attuale saldo delle partite correnti è in deficit (-€30 miliardi circa, vedi grafico sotto), ma la causa principale non è dovuta tanto a fattori commerciali (la bilancia commerciale è in pareggio), quanto al peso molto maggiore degli interessi pagati sul debito estero, i profitti portati via dagli investimenti esteri in Italia, le rimesse dei migranti. Siccome il deprezzamento iniziale della lira dovrebbe favorire ulteriormente le esportazioni e ridurre le importazioni, migliorando nel complesso la nostra bilancia commerciale, questo processo insieme ad un rinnovo del debito estero a tassi di interesse più bassi (la “nostra” banca centrale, Banca d’Italia, svincolata dalla BCE, potrebbe riacquistare piena autonomia nella scelte di politica monetaria e in particolare nella definizione dei tassi di interesse di riferimento), ad una qualche forma di limitazione degli investimenti esteri in Italia e ad un controllo più accurato del deflusso dei capitali, dovrebbe migliorare in breve tempo il saldo delle nostre partite correnti, con conseguente apprezzamento della nostra valuta.


Dal punto di vista finanziario, l’Italia ha una ricchezza complessiva di €3600 miliardi, che difficilmente potrà essere smobilizzata per essere trasferita all’estero, con evidenti effetti negativi sul cambio della nuova lira. Innanzitutto perché molti di questi assets finanziari hanno già subito forti svalutazioni durante gli ultimi anni, quindi l’effetto marginale del deprezzamento della nuova lira sarebbe meno incisivo (una cosa è svalutare del 20% un asset che vale 100, altra cosa è svalutare del 20% un asset che vale già 50). In pratica è come se l’Italia stesse già subendo da qualche anno una svalutazione sotto forma di un maggiore spread sui titoli di stato, che obbliga le aziende a finanziarsi a tassi di interesse più alti e rende meno pregiati i nostri assets. In secondo luogo le fughe di capitali più massicce si sono già verificate in questi ultimi anni e quindi, con un controllo più puntuale sulla circolazione dei capitali durante il periodo di transizione in cui è maggiore l’instabilità di cambio, si potrebbero evitare ulteriori crisi nei nostri conti con l’estero. Se questo presunto deflusso incontrollato di capitali è dunque molto limitato e circoscritto, è invece molto più probabile che nei primi periodi di passaggio alla nuova lira possa presentarsi il fenomeno opposto di afflusso di capitali esteri: gli operatori stranieri potrebbero infatti approfittare dell’iniziale vantaggio di cambio per fare investimenti finanziari di portafoglio o in conto capitale in Italia, aumentando quindi l’offerta di valuta estera e la domanda di nuove lire. Queste operazioni, che ripetiamo dovrebbero essere opportunamente controllate per evitare un aumento eccessivo delle passività (debito estero) nel conto finanziario della nostra bilancia dei pagamenti, tenderanno ad apprezzare e non a deprezzare il cambio della nuova lira. Quindi, in buona sostanza, la paura della svalutazione catastrofica della nuova lira è assolutamente infondata, ingiustificata, non sostenuta dai dati e dai fatti.
Immaginiamo un caso che si potrebbe presentare: una svalutazione della nuova lira del 30%. Cosa succederebbe a un prodotto tutto italiano, un prodotto misto italiano-straniero, e un prodotto straniero?

Il prodotto tutto italiano, per esempio una verdura coltivata al sud Italia è ottenuto con:
concime = 5 cent./ Kg
mezzi agricoli - gasolio = (200 lit. * 1,7 €) /30.000 Kg/ettaro = 1 cent./ kg
tanta manodopera (75 €/ ora * 8 ore * 20 pers) / 30.000 Kg/ettaro = 40 cent./Kg
trasporto sui mercati (500 Km medi - 30 t) = (6 ore * 100 €/ora)/30.000 Kg = 2 cent./Kg
molto ricarico commerciale (x3): 1 euro al coltivatore, diventano 3 euro al dettaglio con le imposte.

Nel caso di svalutazione del 30%, avviene che:
concime (metà dall'estero e metà italiano): 5 * (1 + (0,30/2)) = 6 cent./Kg circa
mezzi agricoli (immaginiamo un aumento del 30% del gasolio, ma non è verosimile) = 1,3 cent./Kg
manodopera: continua ad essere pagata allo stesso modo, cambia solo l'unità monetaria da 75 €/ora a 75 lire/ora = 40 cent./Kg
trasporto sui mercati (sui 100 €/ora l'aumento attribuibile al gasolio è una quota minima, la quota maggiore è lo stipendio dell'autista; per es. il 30% del 15% = 5% circa) = 2,1 cent. lira/Kg
ricarico commercio (x3) 1,02 lire diventano 3,06 lire al dettaglio con le imposte.
Rispetto ad una svalutazione del 30%, l'aumento del prezzo del chilo di verdura è stato del 2%.

Il prodotto misto italiano/estero, potrebbe essere un capo di abbigliamento, con manodopera italiana e stoffa estera:
ore di lavoro per ogni capo: 2 * 65 €/ora = 130 €
stoffa per confezionarlo: 80 €/mq * 2 mq = 160 €
utile d'impresa 15% = 44 € (130+160 = 290 * 1,15 = 334 €)
ricarico commerciale = 334 * 2 = 668 € * 1,21 = 808 € con le imposte
Nel caso di svalutazione del 30%, avviene che:
ore di lavoro per ogni capo: 2 * 65 lire/ora = 130 lire (invariato)
stoffa per confezionarlo: 160 * 1,30 = 208 lire
utile d'impresa 15% = 51 lire (130+208 = 338 * 1,15 = 389 €)
ricarico commerciale = 389 * 2 = 778 * 1,21 = 941 lire
Rispetto ad una svalutazione del 30%, l'aumento del prezzo del capo di abbigliamento è stato del 16%.

Il prodotto straniero potrebbe essere un apparecchio informatico:
prodotto alla dogana = 200 €
tasse doganali (5%) = 10 €
trasporto (500 Km medi - 5.000 pezzi): (6 ore * 100 €/ora)/ 5.000 pezzi = 12 cent./pezzo
ricarico commercio = 210,12 * 2 = 420,24 * 1,21 = 508,50 € comprese imposte
Nel caso di svalutazione del 30%, avviene che:
prodotto alla dogana = 200 * 1,30 = 260 lire
tasse doganali (5%) = 13 lire
trasporto (500 Km medi - 5.000 pezzi): (6 ore * 105 €/ora)/ 5.000 pezzi = 13 cent. lira/pezzo
ricarico commercio = 273,13 * 2 = 546,26 * 1,21 = 661 lire comprese imposte
Rispetto ad una svalutazione del 30%, l'aumento del prezzo dell'apparecchio informatico è stato anch'esso del 30%.

Ovviamente i prezzi sono sparati a caso (i prezzi non i calcoli eh), ma quello che conta è capire il meccanismo. Non sempre una svalutazione del 30% produce un aumento dei prezzi del 30% sui prodotti. Bisogna considerare vari fattori: innanzi tutto, in questi tre esempi, il peso della verdura è ben maggiore dell'apparecchio elettronico, e del capo di abbigliamento da 800 €. E' ovvio che si vendono più casse di insalata che giacche di Versace, quindi il 16% di aumento del capo di abbigliamento conta molto meno. Si vendono molti più computer che giacche di lusso, ma anche le vendite di prodotti informatici hanno un peso inferiore rispetto alle verdure vendute giornalmente.
In generale, certi beni di uso quotidiano, sono prodotti più facilmente in Italia con manodopera italiana. Il peso dell'aumento della materia prima è minima e ininfluente.
Ma anche i prodotti importati totalmente o parzialmente, non tendono ad aumentare con la stessa intensità della svalutazione monetaria. I produttori esteri, generalmente cercano di contenere l'aumento di prezzo in modo che incida per una quota inferiore, per non perdere troppe quote di mercato. Ma anche i produttori italiani e i distributori, cercano di rivedere i loro utili e costi per cercare di riassorbire parte degli aumenti. Questo per rimanere competitivi e non far esplodere di colpo il prezzo del loro prodotto.

Inflazione
"In economia il termine inflazione indica un generale e continuo aumento dei prezzi di beni e servizi in un dato periodo di tempo che genera una diminuzione del potere d'acquisto della moneta."
L’inflazione è la variazione percentuale di un indice aggregato dei prezzi.
Cosa è un indice aggregato dei prezzi? A grandissime linee potremmo dire: un prezzo “medio”. Ma proprio a grandissime linee(Per la spiegazione dettagliata vi rimando qui ad una lezioncina del prof. Bagnai)
In generale possiamo dire che si verifica inflazione quando la domanda di beni e servizi supera l’offerta e nel contempo il tessuto produttivo non è così elastico da adattarsi al nuovo regime di domanda. A sua volta questo aumento di domanda può essere collegato ad una politica salariale espansiva o a cambiamenti strutturali nel mercato del lavoro, che migliorano il potere di acquisto reale dei salari (cioè decurtato del tasso di inflazione misurato in quel periodo).
Secondo gli apostoli dell'euro con un deprezzamento della lira del 20% avremmo un’inflazione della stessa entità, quindi intorno al 20%. Capite bene che il meccanismo mentale che porta a questa conclusione è assurdo, illogico, dato che un’eventualità del genere avverrebbe solo se l’Italia non producesse nulla e importasse tutto dall’estero, ma proprio tutto: materie prime, semilavorati, prodotti finiti, servizi. Fra svalutazione e inflazione non c’è mai stata nella storia del mondo una correlazione così forte e diretta, mentre si verifica molto più spesso il fenomeno inverso, ovvero un’inflazione molto alta alla lunga produce una svalutazione del cambio, perché a parità di beni prodotti in due diversi paesi sarà necessaria una maggiore quantità di moneta del paese più inflativo rispetto a quello meno inflativo e il cambio si adegua di conseguenza. Per questo motivo, molto spesso per valutare l’effettivo potere di acquisto di una moneta rispetto ai beni e ai servizi prodotti in un determinato paese, si considera il tasso di cambio reale che tiene conto appunto del differenziale di inflazione fra i due paesi. Se la moneta di un paese si svaluta del 10% e l’inflazione per altri motivi cresce del 10%, il tasso reale di cambio non varia, perché l’aumento dei prezzi interni compensa la svalutazione e per un acquirente estero sarà indifferente comprare prodotti da quel paese.
Questo è a mio avviso il motivo che crea tanta confusione nella mente degli "apostoli" perché loro ragionano in termini di tasso di cambio reale e non di quello nominale effettivo e infatti recitano il credo: "la svalutazione del 20% produce un’inflazione del 20% e per l’acquirente straniero non sarà più vantaggioso rispetto a prima comprare prodotti italiani e l’Italia avrà perso i margini di competitività recuperata, perché i benefici della svalutazione saranno riassorbiti dai danni dell’inflazione". Peccato però che è sbagliato il passaggio intermedio: una svalutazione del 20% non ha mai provocato nella storia, almeno in Italia, un’inflazione del 20%. E vediamo pure con alcuni dati, il motivo per cui possiamo essere abbastanza certi di questa affermazione. Nel grafico sotto possiamo confrontare l’andamento dell’inflazione con il tasso di cambio effettivo dal 1975 ad oggi: come si può vedere già ad occhio nudo non c’è alcuna correlazione diretta fra i movimenti abbastanza ripidi di cambio e l’inflazione, che nonostante i cambiamenti repentini di rivalutazioni e successive svalutazioni della lira continuava a viaggiare per conto suo seguendo un preciso percorso di deflazione.
In particolare la forte rivalutazione della lira avvenuta nel 1979 con l’ingresso nello SME è avvenuta a inflazione crescente, mentre al contrario la svalutazione della lira del 1992 seguita all’uscita temporanea dallo SME è stata addirittura accompagnata da una discesa dell’inflazione dal 5% al 4%.
Ciò significa che se esistesse davvero una correlazione fra svalutazione ed inflazione, questa sarebbe opposta a quella postulata e propagandata dagli apostoli.


Il caso della svalutazione del 1992 è sicuramente il più emblematico in questo senso. Il governo Amato decise unilateralmente di far uscire l’Italia dallo SME il 18 settembre del 1992, per mettere un freno agli attacchi speculativi alla lira che erano iniziati nell’estate precedente e avevano costretto il governatore della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi a bruciare circa 50 miliardi di riserve in dollari nel vano tentativo di difendere la parità di cambio della lira imposta dagli accordi SME.
Nel giro di un anno, con la lira libera di fluttuare nel mercato valutario, abbiamo assistito ad un deprezzamento nominale effettivo del 25%, che ha favorito le nostre esportazioni e reso meno convenienti le importazioni. Se questa svalutazione fosse stata accompagnata da un corrispondente aumento dell’inflazione (che non c’è stato, dato che l’inflazione è invece diminuita) come sostenuto dagli apostoli, la nostra bilancia commerciale non avrebbe subito grandi cambiamenti perché per gli acquirenti esteri il prezzo dei prodotti italiani sarebbe rimasto pressoché invariato. Cambiamento che invece c’è stato, e come se c’è stato, perché nel giro di un anno la nostra bilancia commerciale è passata da un deficit ad un surplus (vedi grafico sotto) fino al picco del 1996, ritornando a decrescere non appena si decise malauguratamente per noi la reintroduzione della lira nello SME (1996) e l’ingresso definitivo nell’area euro (1999).


Questo passaggio determinante e decisivo per capire meglio come funzionano le dinamiche della svalutazione di cambio, può essere anche evidenziato benissimo esaminando il grafico sotto, in cui viene riportato l’andamento del tasso nominale effettivo a confronto con il tasso di cambio reale (misurato in termini di valuta estera): i due andamenti sono esattamente speculari, perché ad ogni svalutazione nominale della nostra moneta corrisponde esattamente una rivalutazione reale della valuta estera, come se l’effetto inflazione tanto paventato dagli automi che vanificherebbe i benefici della svalutazione non esistesse proprio. Un falso storico a tutti gli effetti che merita l’accusa di terrorismo mediatico e attentato alla democrazia dell’informazione.


Va poi ricordato che, il prodotto italiano, che si presenta alle dogane estere, vi giunge con un costo effettivamente inferiore fino al 30%. Cioè la situazione diventerebbe simmetricamente favorevole alla nostra industria manifatturiera: anche qui il vantaggio dipenderà soprattutto dalla quota di manodopera e materia prima italiane. Più la quota è alta, più il prodotto diventa concorrenziale sui mercati esteri.
Va anche ricordato, che ritornando alla lira, potrebbero essere ripristinati dei meccanismi di recupero dell'inflazione sui salari, come ci sono sempre stati in passato. Anticamente la "scala mobile" e successivamente i rinnovi dei contratti, che invece di agire automaticamente, si differenziavano da settore a settore, in base alla salute economica del medesimo e al potere contrattuale delle categorie. L'inflazione si può quindi combattere, anche con politiche monetarie come quelle che attua la Bce.
Se c'è inflazione, l'economia è in salute. Significa che è in crescita. Se diminuisce troppo significa che si è costretti a mantenere o diminuire i prezzi per rimanere competitivi. In questo caso può diventare anti economico produrre. Ed infatti oggi questa situazione si sta già verificando.

Fonti che ringrazio calorosamente
http://spensierata-mente.blogspot.it per gli esempi sulla svalutazione del prodotto

http://tempesta-perfetta.blogspot.it/ per la costruzione dialettica e strutturale





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