giovedì 30 maggio 2013

Keynes non era per la stampa selvaggia di moneta....


Per uno strano scherzo della storia, oggi molti attribuiscono a Keynes l’idea che stampare denaro sia la medicina migliore per risolvere una crisi. In realtà l’autore della Teoria Generale la pensava molto diversamente. L’espansione monetaria ha senso se serve a finanziare la spesa pubblica e i bassi tassi di interesse sono utili nella misura in cui aiutano le imprese ad investire e assumere, mettendo nelle mani dei propri dipendenti nuovo potere d’acquisto. Per Keynes, al contrario di quanto Milton Friedman sostenne 40 anni dopo, le politiche monetarie da sole non bastano, come in effetti dimostra l’esiguo risultato dei Quantitative Easing in USA e UK. Ecco cosa scriveva l’economista di Cambridge nel 1933 a Franklin Delano Roosevelt.

Lo scopo del programma di Ripresa economica è quello di aumentare la produzione nazionale e mettere più uomini al lavoro. Nel sistema economico del mondo moderno, la produzione è attuata principalmente per la vendita e il volume di produzione dipende dalla quantità di potere d’acquisto - confrontato con il costo primo della produzione – che ci si attende arrivi nel mercato. In termini generali, pertanto, un aumento della produzione non può avvenire se non per il funzionamento di uno o l’altro di tre fattori: gli individui devono essere indotti a spendere una parte maggiore dei loro redditi già esistenti; oppure le imprese devono essere indotte – da una maggiore fiducia nelle prospettive o da un basso tasso di interesse – a creare ulteriori redditi correnti nelle mani dei propri dipendenti, che è quanto succede quando o il capitale circolante o il capitale fisso del paese viene potenziato; oppure l’autorità pubblica deve essere chiamata in aiuto per creare ulteriori redditi correnti attraverso la spesa di denaro preso in prestito o stampato. In tempi difficili, il primo fattore non si può pretendere funzioni su una scala sufficiente. Il secondo fattore entrerà in gioco come seconda ondata contro la recessione, dopo che sarà cambiato il vento grazie alle spese dell’amministrazione pubblica. È, pertanto, solo dal terzo fattore che ci si può aspettare il maggiore impulso iniziale. [...]

L’altra serie di errori, di cui temo l’influenza, nasce dalla grezza dottrina economica comunemente conosciuta col nome di Teoria Quantitativa della Moneta. L’aumento della produzione e quello dei redditi subiranno una battuta d’arresto, prima o poi, se la quantità di moneta è fissata rigidamente. Alcune persone sembrano dedurre da questo che la produzione e il reddito possono essere incrementati aumentando la quantità di moneta. Ma ciò è come cercare di diventare grassi comprando una cintura più grande. Negli Stati Uniti oggi la cintura è abbastanza grande per la vostra pancia. È qualcosa di grandemente ingannevole concentrarsi sulla quantità di moneta – che è solo un fattore limitante – piuttosto che sul volume delle spese, che è il fattore operativo.

Fonte da Keynesblog: http://newdeal.feri.org/misc/keynes2.htm

lunedì 27 maggio 2013

Manifesto di solidarietà europea..

Anche noi di Italia s'è desta diamo il nostro contributo nel diffondere il manifesto economico promosso da un nutrito gruppo di importanti economisti europei tra cui i nostri prof. Claudio Borghi Aquilini e prof. Alberto Bagnai.
Vi chiediamo di leggere attentamente l'iniziativa e di diffondere il più possibile.


Bruxelles, 24 gennaio 2013

Solidarietà europea di fronte alla crisi dell’Eurozona
La segmentazione controllata dell’Eurozona per preservare le conquiste più preziose dell’integrazione europea.
La crisi dell’Eurozona mette a rischio l’esistenza dell’Unione Europea e del Mercato Comune Europeo.
La creazione dell’Unione Europea e del Mercato Comune Europeo si colloca fra le maggiori conquiste dell’Europa post-bellica in campo politicoed economico. Il notevole successo dell’integrazione europea è scaturito da un modello di cooperazione che beneficiava tutti gli stati membri, senza minacciarne alcuno.
Si era ritenuto che l’euro potesse essere un altro importante passo avanti sulla strada di una maggiore prosperità in Europa. Invece l’Eurozona, nella sua forma attuale, è diventata una seria minaccia al progetto di integrazione europea.
I paesi meridionali dell’Eurozona sono intrappolati nella recessione e non possono ristabilire la propria competitività svalutando le proprie valute. D’altra parte, ai paesi settentrionali si chiede di mettere a rischio i benefici delle proprie politiche finanziarie prudenziali, e ci siaspetta che in quanto “benestanti” finanzino i paesi del Sud attraverso infiniti salvataggi. Questa situazione rischia di portare allo scoppio di gravi disordini sociali nell’Europa meridionale, e di compromettere profondamente il sostegno dei cittadini all’integrazione europea nell’Europa settentrionale. L’euro, invece di rafforzare l’Europa, produce divisioni e tensioni che minano le fondamenta stesse dell’Unione Europea e del Mercato Comune Europeo.
Una strategia nel segno della solidarietà europea
Riteniamo che la strategia che offre le migliori possibilità di salvare l’Unione Europea, la conquista più preziosa dell’integrazione europea, sia una segmentazione controllata dell’Eurozona attraverso l’uscita, decisa di comune accordo, dei paesi più competitivi. L’euro potrebbe rimanere – per qualche tempo – la moneta comune dei paesi meno competitivi. Ciò potrebbe comportare in definitiva il ritorno alle valute nazionali, o a differenti valute adottate da gruppi di paesi omogenei. Questa soluzione sarebbe un’espressione di vera solidarietà europea. Un euro più debole migliorerebbe la competitività dei paesi dell’Europa meridionale e li aiuterebbe a uscire dalla recessione e tornare alla crescita. Ridurrebbe anche il rischio di panico bancario e il collasso del sistema bancario nei paesi dell’Europa meridionale, che potrebbe verificarsi se questi fossero costretti ad abbandonare l’Eurozona o decidessero di farlo per pressioni dell’opinione pubblica nazionale, prima di un abbandono dell’Eurozona da parte dei paesi più competitivi.
La solidarietà europea sarebbe ulteriormente sostenuta trovando un accordo su un nuovo sistema di coordinamento delle valute europee, volto alla prevenzione di guerre valutarie e di eccessive fluttuazioni dei cambi fra i paesi Europei.
Naturalmente sarebbe necessario, in almeno alcuni dei paesi meridionali, un abbuono (haircut) deidebiti. La dimensione di questi tagli e il loro costo per i creditori,tuttavia, sarebbero inferiori rispetto al caso in cui questi paesi restassero nell’Eurozona, e le loro economie continuassero a crescere al disotto del proprio potenziale, soffrendo una elevata disoccupazione. Posta in questi termini, l’uscita dall’Eurozona non implicherebbe che le economie più competitive non debbano sopportare un costo per la diminuzione dell’onere del debito dei paesi in crisi. Tuttavia, ciò accadrebbe in circostanze nelle quali il loro contributo aiuterebbe quelle economie a tornare a crescere, al contrario di quanto accade con gli attuali salvataggi, che non ci stanno portando danessuna parte.
Perché questa strategia è così importante?
Non occorre dire che è nostro comune interesse che l’Unione Europea torni alla crescita economica – la migliore garanzia per la stabilità e la prosperità dell’Europa. La strategia di segmentazione controllata dell’Eurozona faciliterà il conseguimento di questo risultato nei tempi più rapidi.


I firmatari

Alberto Bagnai (@AlbertoBagnai) – Professore associato di politica economica presso ilDipartimentodi Economia dell’Università Gabriele d’Annunzio a Pescara (Italia), e ricercatore associato al CREAM (Centro diricerca in economia applicata alla globalizzazione, Università di Rouen). I suoi interessi di ricerca si concentrano sulla sostenibilità del debito pubblico ed estero nelle economie emergenti; ha lavorato come consulente per l’UNECA (Commissione Economica per l’Africa delle Nazioni Unite) su progetti relativi alla convergenza macroeconomica delle unioni monetarie in Africa. Per contribuire alla divulgazione dei temi economici ha aperto nel novembre del2011 il bloggoofynomics.blogspot.it e contribuisce a “Il Fatto Quotidiano” come opinionista e blogger. Il suo ultimo libro “Il tramonto dell’euro”, pubblicato nel 2012, ha riacceso in Italia il dibattito su costi e benefici dell’Eurozona. Alberto Bagnai è cittadino italiano.


Claudio Borghi Aquilini (@borghi_claudio)– Professore incaricato di Economia degli Intermediari Finanziari presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. La sua esperienza lavorativa lo ha portato a occupare posizioni manageriali di spicco nel settore finanziario in Italia. Ha lavorato per Deutsche Bank Italia a Milano (2001-2008) e prima per Merril Lynch. Attualmente collabora con “Il Giornale” come opinionista. Claudio Borghi Aquilini è cittadino italiano.


Brigitte Granville – Professore di Economia Internazionale e Politica Economica allaSchool of Business and Management dell’Università Queen Mary di Londra, dove dirige il Centro di Ricerca sulla Globalizzazione (CGR). In diverse occasioni è stata consulente su temi economici – in particolare, politica monetaria – per vari paesi emergenti o in via di sviluppo, fra i quali la Russia, il Kazakistan, l’Ucraina, l’Uzbekistan e la Costa d’Avorio, per conto dei rispettivi governi, o di organizzazioni pubbliche quali la Commissione Europea o la Banca Mondiale. Nel triennio 1992-1994 Brigitte è stata membro del team di consulenti economici del Ministero delle Finanze russo, diretto dal professor Jeffrey Sachs. In quel periodo ha svolto un ruolo guida nel motivare la necessità di uno smantellamento dell’area del rublo, che comprendeva diverse repubbliche sovietiche, in seguito al collasso dell’Unione Sovietica. Il suo ultimo libro, “Remembering inflation”,è stato pubblicato dalla Princeton University Press. Cittadina francese, Brigitte Granville ha ricevuto nel 2007 l’onorificenza di Chevalier des Palmes Académiques – accordata dal governo francese per onorare contributi significativi allo sviluppo della cultura.


Hans-Olaf Henkel (@HansOlafHenkel)– Professore di Management Internazionale all’Università di Mannheim, già presidente della Confindustria tedesca - BDI (1995-2000). Ha lavorato in IBM dal 1962, ha diretto IBM Germania (1987-1992), poi è stato amministratore delegato di IBM Europa (1993-94). Dal 2001 al 2005 è stato presidente dell’associazione Leibniz. Commendatore della Legion d’onore nel 2002. Hans-Olaf Henkel è cittadino tedesco.


Stefan Kawalec – Amministratore delegato di Capital Strategy, una società polacca di consulenza strategica. Dal 1989 al 1994 ha svolto un ruolo significativo nella preparazione e nell’implementazione del piano di stabilizzazione e trasformazione dell’economia polacca come capo dei consulenti del Vice primo ministro e Ministro delle Finanze Leszek Balcerowicz,e successivamente come sottosegretario alle Finanze. È stato membro attivo dell’opposizione democratica e del movimento Solidarność sotto il regime comunista in Polonia. È co-autore dell’articolo “Smantellamento controllato dell’Eurozona: una strategia per salvare l’Unione Europea e il Mercato Comune Europeo”, German Economic Review, Febbraio 2013. Stefan Kawalec è cittadino polacco.


Jens Nordvig – Amministratore delegato di Nomura, la banca di investimento globale, dove dirige la Fixed Income Research, ed è capo delle strategie valutarie globali. In precedenza ha lavorato come Senior Currency Strategist alla Bridgewater Associates, e come Senior Global Markets Economist presso Goldman Sachs. Nel 2012 si è classificato primo nella categoria “ricerca sui mercati valutari” nella rassegna Institutional Investor. Jens Nordvig è cittadino danese.


Ernest Pytlarczyk – Economista capo alla Banca BRE (sussidiaria della Commerzbank, e terza banca commerciale della Polonia), dove dirige il dipartimento ricerca. Ha cominciato la propria carriera come analista finanziario alla BRE nel 2002, ès tato assistente all’Università di Amburgo (Istituto per il Ciclo Economico) e ricercatore presso la Deutsche Bundesbank. Coautore dell’articolo “Smantellamento controllato dell’Eurozona: una strategia per salvare l’Unione Europea e il Mercato Comune Europeo”, German Economic Review, Febbraio 2013. Ernest Pytlarczyk è cittadino polacco.


Jean-Jacques Rosa – Professore Emerito di Economia e Finanza all’Institut d’Etudes Politiques (Parigi). Coordinatore e fondatore del dottorato in economia di Sciences Po a Parigi dal 1978 al 2004. Curatore della rubrica economica “Cheminement du Futur” su Le Figaro dal 1987 al 2001. Ha ottenuto nel 1995 il premio “Economista dell’anno” dal Nouvel Economiste.Jean-Jaques Rosa è cittadino francese.


Jacques Sapir (@russeurope) –Professore di economia presso la Scuola di Alti Studi in Scienze Sociali (EHESS) e professore visitatore presso la MSE di Mosca. Ha studiato scienze politiche e economia all’IEP di Parigi e ha scritto la sua tesi sulle politiche del lavoro nell’Unione Sovietica nel periodo fra le due guerre mondiali, e la tesi di dottorato sul ciclo degli investimenti nell’Unione Sovietica nel periodo postbellico. Ha lavorato all’università di Nanterre prima di entrare all’EHESS dove è diventato direttore del Centro di Studi sui Modi di Industrializzazione (CEMI) nel 1997. È stato fra i pochissimi economisti a prevedere il crac russo del 1998. Da allora si è specializzato sul modello economico russo e sulle conseguenze macroeconomiche dell’Unione Economica e Monetaria. Conduce un blog piuttosto frequentato http://russeurope.hypotheses.org. I suoi ultimi libri: “Faut-il sortir de l’euro?”, Parigi: Le Seuil, 2012 (tradotto in italiano); “La transition vingt ans après” (con Ivanter, Kuvalin andNekipelov), Parigi-Ginevra, Les Syrtes, 2012 (in corso di traduzione in russo). Jacques Sapir è cittadino francese.


Juan Francisco Martín Seco – Docente universitario di Introduzione all’economia, Teoria della Popolazione, e Finanza pubblica. Appartiene all’ordine dei Revisori dei conti (Ministero delle Finanze spagnolo) e al servizio di vigilanza delle cooperative di credito del Banco de España. Ha prestato servizio come Revisore dei conti dell’Amministrazione centrale e del Ministero delle Finanze. Opinionista per diversi giornali e riviste: “El Pais”,“Cinco Dias”, “Gaceta de los nogocios”, “Diario 16”. Ha fatto parte del comitato di redazione di “El Mundo” e di “Publico”. Attualmente è editorialista per “República”. Autore di numerosi libri, fra i quali: “La trastienda de la crisis” (2010), “¿Para qué servimos los economistas? (2010), “Economía.Mentiras y trampas” (2012), “Contra el euro” (2013). Juan Francisco MartínSeco è un cittadino spagnolo.


AlfredSteinherr – Professore presso la facoltà di Economia e Management della Libera Università di Bolzano, della quale è stato fondatore (1998-2003). In precedenza, economista e direttore generale del dipartimento per l’economia e l’informazione dellaBanca Europea degli Investimenti, Lussemburgo (1995-2001). Ha fatto parte del Dipartimento di ricerca del Fondo Monetario Internazionale a Washington, e consulente economico della Commissione Europea. Alfred Steinherr è cittadino tedesco.


(qui il sito ufficiale del manifesto, con altri materiali interessanti).

venerdì 24 maggio 2013

Lafontaine: non abbiamo piu' bisogno dell'Euro


 Il leader storico della sinistra tedesca, Oskar Lafontaine, con un importante commento su Handelsblatt, esce allo scoperto e attacca la moneta unica: l'Euro è un fallimento, abbiamo bisogno di un nuovo sistema monetario europeo. Da Handelsblatt.de 

L'Eurosistema è stato progettato in maniera sbagliata e non puo' funzionare. Una casa con la statica difettosa, prima o poi crollerà. Abbiamo bisogno di un nuovo sistema monetario europeo piu' stabile.



Il pioniere della SPD e direttore di lunga data dell'Istituto Max Planck per la ricerca sociale di Colonia, Fritz Scharpf, scrive: siamo stati ingannati da false teorie economiche e dal nostro entusiasmo per l'Europa. L'Euro ha prodotto sfiducia, disprezzo e ostilità fra i popoli europi. Chi ama l'Europa, vuole la fine dell'Euro. Con queste parole ha fatto partire all'interno della SPD una discussione sull'attuale politica europea.



Coloro che in passato si sono espressi sull'Euro, sostenevano di amare l'Europa. Tuttavia giungevano a conclusioni molto diverse.


Prima di tutto ci sono quelli che considerano l'Europa un mercato di sbocco per l'export tedesco. Da buoni nazionalisti camuffati, i rappresentanti del sistema economico e dei partiti tradizionali, quando si parla di un'alternativa al sistema attuale, iniziano ad illustrare i pericoli per l'economia dell'export tedesco. Raramente capita di sentire questi "europeisti" parlare della catastrofe umana del sud Europa.


Piu' credibili nel loro impegno per l'Europa, invece, sono coloro che vedono nel trasferimento di sovranità alle istituzioni europee e in un rafforzamento del Parlamento europeo un modo per salvare l'Euro. A loro si dovrebbe obiettare: non si tratta dell'Euro, ma dell'Europa. I fan di Merkel - "Se muore l'Euro, muore l'Europa" - ancora una volta dimostrano di avere un concetto di democrazia molto limitato: se il Parlamento europeo viene rafforzato, allora andrà tutto bene.


Al centro dell'ideale europeo ci sono la democrazia e lo stato sociale. Vogliamo coinvolgere quanto piu' possibile i cittadini e le cittadine sulle decisioni riguardanti la cosa pubblica, e vogliamo garantire attraverso un'assicurazione sociale la possibilità di coprire i cosiddetti rischi della vita.


Il progressivo trasferimento di sovranità alle istituzioni di Bruxelles è la strada sbagliata per consolidare la democrazia e lo stato sociale. I principi fondativi di una società democratica, in cui prevalgono gli interessi della maggioranza, sono la sussidiarietà e il decentramento. Cio' che, partendo dalla comunità al livello piu' basso, puo' essere fatto in maniera decentrata, non deve essere trasferito al livello superiore - provincia, regione, stato federale, Europa.


Il nostro sistema economico invece centralizza sistematicamente. Coloro che consciamente o inconsciamente pensano all'interno delle sue categorie, ne sostengono una ulteriore centralizzazione. Ci sono due importanti ambiti economici che ci mostrano quanto questo percorso di sviluppo sia sbagliato. La globalizzazione e la centralizzazione delle banche promossa dal capitalismo finanziario hanno portato l'economia mondiale alla crisi attuale. Una società democratica dovrebbe tornare al sistema delle casse di risparmio di piccole dimensioni, e porre fine al devastante trambusto dei giocatori d'azzardo. Che Wall Street ormai governi gli Stati Uniti è diventato un luogo comune, e che in Europa i governi e i parlamenti seguano le direttive delle banche è ormai evidente.


La concentrazione nel settore energetico ha portato all'energia atomica e oggi dà vita ad un grande progetto industriale come Desertec. Una politica energetica amica dell'ambiente dovrebbe essere decentrata e basata sulla ri-municipalizzazione. Alcune piccole comunità già oggi si fondano sull'auto-approvvigionamento di energia.


Il progetto per il progressivo trasferimento di sovranità a livello europeo, pieno di buone intenzioni, come si puo' vedere da questi esempi, non è giustificato dai fatti e ci porta ad un ulteriore smantellamento della democrazia. Nessun Parlamento sarebbe controllato dalle lobby piu' di quello europeo.


L'Eurosistema attuale ci sta portando alla distruzione dello stato sociale, non solo nel sud Europa. La politica imposta dai partiti tradizionali e fondata sull'Agenda 2010 ha demolito lo stato sociale tedesco, e con una politica di dumping salariale deve essere considerata responsabile per il fallimento dell'Eurosistema.


Affinché la casa europa, mal costruita, non crolli, dovranno essere innalzati dei muri di sostegno. Il sistema monetario europeo dovrà essere flessibile e democratico. Poiché l'egemonia della Bundesbank all'interno dello SME veniva considerata insopportabile, gli stati europei, sotto la guida della Francia, hanno imposto la moneta unica. E ora che "l'Euro finalmente parla tedesco", come hanno detto i bravi nazionalisti cristiano-democratici, gli europei, invece dell'egemonia Bundesbank, si sono guadagnati i diktat di una Cancelliera inesperta d'economia.


L'Eurosistema è stato progettato in maniera sbagliata e non puo' funzionare. Una casa, la cui statica è difettosa, prima o poi crollerà. Come sostenitori dell'Euro abbiamo creduto a lungo di poter cambiare la costruzione europea e rendere la casa stabile. Gli ultimi anni ci hanno pero' mostrato che è stato un errore. L'introduzione di una moneta unica ma con diverse politiche economiche, finanziarie, sociali, salariali e fiscali, in presenza di dumping salariali e fiscali, non poteva funzionare.


Alcuni dei paesi in crisi continuano ad operare uno sfacciato dumping fiscale. La Germania, ai tempi del governo rosso-verde e della grande coalizione, ha accelerato il passo nella corsa europea alla competizione fiscale mettendo in campo un irresponsabile dumping salariale. Con l'Eurocrisi si è sviluppato un circolo vizioso in cui gli squilibri sono diventati sempre piu' grandi.


Il quadro istituzionale europeo - limiti al deficit, nessun finanziamento pubblico da parte della banca centrale, nessuna unione di trasferimento e la clausola di no bail-out - alla luce della situazione attuale, non puo' durare a lungo. Di fatto la violazione dei trattati e del diritto sono diventati il fondamento per il salvataggio delle banche e degli stati. Lo stato di diritto appartiene all'Europa quanto la democrazia e lo stato sociale.


Il sistema monetario proposto per il rinnovo delle politiche di integrazione europea dovrà evitare gli errori politici ed economici del suo predecessore. Le svalutazioni e le rivalutazioni dovranno seguire i differenziali di inflazione. Soprattutto dovrà esserci una legittimazione democratica. Non dovrà esserci l'egemonia di una banca centrale o di un governo. Una istituzione controllata o almento legittimata democraticamente sarà obbligata ad operare interventi monetari che possano stabilizzare l'economia europea e la difendano dal caos dei mercati finanziari. La reintroduzione del controllo sui capitali aiuterà a combatterne la fuga verso l'estero.


L'argomento spesso usato per sostenere che il passaggio ad un altro sistema monetario è collegato con disordini sociali, è senza dubbio vero. Ma restare nel sistema attuale ci porterà a danni ancora maggiori. Una transizione ragionevole e controllata verso un nuovo sistema monetario europeo è sicuramente meglio di una inevitabile rottura, a cui volenti o nolenti, saremo costretti.


Fonte: http://vocidallagermania.blogspot.it/

giovedì 23 maggio 2013

Bloomberg: Per salvare l'Europa dobbiamo sciogliere l'Euro

L'articolo di tre economisti europei pubblicato da Bloomberg suggerisce che lo smantellamento dell'euro  non debba essere visto come la fine dell'Europa, ma al contrario come un modo per poterla salvare.


di Brigitte Granville, Hans-Olaf Henkel and Stefan Kawalec

Alla vigilia della guerra civile americana, Abraham Lincoln pronunciò la famosa frase "una casa divisa non può stare in piedi." Oggi, l'Unione Europea - impegnata da decenni alla ricerca di un' "unione sempre più stretta" - deve confrontarsi con una straziante verità. La massima di Lincoln deve essere letta al contrario. Affinché l'UE possa sopravvivere, l'euro si deve sciogliere.
Tra il trattato di Roma del 1957 e l'Atto unico europeo, del 1986, i governi europei hanno portato avanti la più grande rivoluzione pacifica che il continente abbia mai visto nella sua lunga e travagliata storia. La creazione di una moneta unica europea avrebbe dovuto basarsi su questo notevole successo. Era supposta essere il successivo fondamentale passo verso una maggiore unità e prosperità. La crisi economica nell'Europa meridionale mostra che invece il regime dell'euro, almeno nella sua forma attuale, è diventato una minaccia mortale per entrambi questi obiettivi.

Grecia, Spagna, Portogallo, Italia e Cipro sono intrappolati nella recessione e non possono riconquistare la competitività svalutando le loro monete. Le economie del nord della zona euro hanno dovuto partecipare a ripetuti salvataggi mettendo da parte ogni principio di finanza prudente. Un circolo vizioso di risentimento e populismo a sud e un rafforzamento del nazionalismo a nord stanno lacerando l'unione.

E la crisi non è ancora finita. La Francia, la seconda economia più grande d'Europa, sta sprofondando in una grave crisi economica. Come i paesi del sud, deve riguadagnare competitività, ma come loro, essendo parte del sistema dell'euro, manca dello strumento necessario. A causa delle sue dimensioni e per il ruolo guida che ha avuto nell'evoluzione dell'UE, la Francia, come sosteniamo nella parte 2 di questo articolo, sarà fondamentale per spezzare il circolo vizioso.

Gap di Competitività

Prima, però, che cosa è andato storto? La moneta unica europea si supponeva dovesse facilitare il funzionamento dell'economia europea. Con la fissazione del tasso di cambio nominale e l'eliminazione del rischio di cambio, l'euro avrebbe dovuto realizzare la convergenza tra le economie più forti e quelle più deboli dell'eurozona - il cosiddetto centro e periferia. Il capitale sarebbe fluito dai paesi in surplus nei conti con l'estero verso i paesi nella necessità di prendere in prestito, aumentando la produttività e la crescita.

La realtà è stata diversa. La moneta unica ha fissato - anzi, ha peggiorato - il divario di competitività causato dalle differenze nei tassi di inflazione e nei costi unitari del lavoro. Gli squilibri esteri sono cresciuti. Nel 1999-2011, i costi unitari del lavoro (le retribuzioni per unità di prodotto) in Grecia, Spagna, Portogallo e Francia sono aumentati rispetto alla Germania dal 19 al 26 per cento.

Nei paesi meno competitivi, questo ha prodotto dei deficit delle partite correnti dal 2 al 10 per cento del prodotto interno lordo nel 2010, e un avanzo delle partite correnti in Germania del 6 per cento del PIL. Avendo escluso la possibilità di svalutare, questi squilibri possono essere affrontati solo in due modi – o con la "svalutazione interna" o attraverso trasferimenti transfrontalieri.

Svalutazione interna significa che i paesi in deficit cercano di riguadagnare competitività attraverso la riduzione della spesa pubblica e l'aumento della pressione fiscale, che sperano possa abbassare i prezzi e i salari in crescita. L'effetto a breve termine sarà quello di indebolire la domanda interna.

A meno che non vi sia una compensazione derivante dall'aumento della domanda estera - con i paesi in surplus, in particolare la Germania, che intraprendono una politica di stimolo che aumenti un po' l'inflazione - un' "austerità" di questo tipo metterà a repentaglio la crescita economica e, quindi, le finanze pubbliche dei paesi in deficit. Tuttavia, non vi è alcuna prospettiva che la Germania - insieme agli altri paesi economicamente simili nella zona nord dell'euro - possa accettare di attuare un tale stimolo, in quanto ciò sarebbe in contrasto con la sua cultura politica ed economica. Ciò farà aumentare i dubbi sulla sostenibilità finanziaria del debito pubblico dei paesi in deficit e sulla sostenibilità politica delle loro politiche di svalutazione interna.

L' esempio della Lettonia

La Lettonia e l'Islanda dimostrano come possono essere pesanti i costi economici e sociali della svalutazione interna, rispetto ai costi di una svalutazione esterna, o del cambio. Dal 2008 al 2010, il PIL in Islanda è diminuito solo della metà (svalutazione esterna) di quanto è diminuito in Lettonia (svalutazione interna).

L'occupazione è scesa del 5 per cento in Islanda contro il 17 per cento in Lettonia. I sostenitori dell'euro possono anche dire che la svalutazione interna sta cominciando a funzionare - nei paesi in crisi dell'eurozona come la Grecia i salari reali hanno iniziato a diminuire rapidamente e le riforme strutturali hanno cominciato ad aumentare la produttività. Tuttavia, non è chiaro se la tolleranza politica della Lettonia per il collasso della produzione, dell'occupazione e dei redditi può essere riprodotta anche altrove.
L'alternativa principale sono i trasferimenti. I paesi in deficit possono attutire la loro contrazione con dei trasferimenti dai paesi in surplus, invece che con la svalutazione interna. Il problema è che tali trasferimenti non saranno più indolori.

Prima del 2008, essi hanno assunto la forma di prestiti privati transfrontalieri ai governi e alle banche, che in molti casi hanno preso in prestito i soldi offrendo immobili come garanzia. Da quando nel 2008 è scoppiata la bolla del credito, questi flussi finanziari privati sono stati sostituiti da trasferimenti dai bilanci statali, che hanno fatto lievitare i deficit di bilancio e le passività implicite dei Paesi periferici nel sistema dei pagamenti della Banca Centrale Europea (noto come Target2). Senza i trasferimenti dalla Germania e dagli altri paesi del nord, la posizione fiscale di molte economie non competitive della zona euro è diventata insostenibile.
Tali trasferimenti proverranno dal denaro dei contribuenti - fornito sia direttamente attraverso il Meccanismo Europeo di Stabilità, sia indirettamente attraverso le banche dei paesi creditori. (Nel caso che le banche creditrici dovessero accettare qualche forma di ristrutturazione del debito sovrano, le banche dovranno essere ricapitalizzate con denaro fornito dai contribuenti nei paesi di origine.)

Questa prospettiva è dinamite politica. Quindi tali trasferimenti sono subordinati a una rigorosa disciplina di bilancio e alle riforme strutturali. Nonostante le rigide condizionalità, i contribuenti / elettori nei paesi creditori come la Germania potrebbero non adattarsi mai all'idea, creando il rischio di una reazione anti-europea. Una reazione del genere diventerebbe una certezza nel caso fin troppo probabile che le regole venissero trasgredite o messe da parte.

Stampare Moneta

Molti governi dei paesi debitori preferirebbero avere dei trasferimenti sotto forma di denaro stampato dalla BCE - con minori, eventuali, limiti. I funzionari francesi l'hanno detto esplicitamente. Ma il meglio che possono sperare sono gli acquisti di titoli di Stato a breve termine da parte della BCE (note come outright monetary transactions). Se dovessero essere attuati, questi saranno soggetti alle stesse rigide condizioni fiscali applicate ai trasferimenti dal MES.

Quindi, le prospettive per i Paesi debitori della zona euro sono di un inasprimento fiscale implacabile e di anni di domanda carente. Ciò si tradurrà in una contrazione o, nella migliore delle ipotesi, una stagnazione della produzione e degli standard di vita. Nel frattempo, sta crescendo il sentimento anti-UE e in particolare anti-tedesco – come dimostrano le scene per le strade di Nicosia dopo la crisi di Cipro.
Gli Stati Uniti d'Europa potrebbero salvare la situazione? Alcuni tra i primi fautori dell'euro hanno riconosciuto alla fine degli anni '90 che il progetto comportava che "l'economia doveva guidare la politica." Essi vedevano la moneta unica come un modo per mettere il continente su un percorso irreversibile verso una piena unione politica - un obiettivo che gli elettori europei avrebbero rifiutato se gli fosse stato chiesto in maniera diretta.

Una maggiore mobilità del lavoro potrebbe essere uno degli elementi di questa unione. Si potrebbero immaginare le popolazioni dei paesi depressi come la Grecia, il Portogallo, la Spagna e l'Italia, emigrare verso i paesi ricchi come la Germania e la Finlandia. In questo scenario, interi paesi potrebbero finire per somigliare a delle spopolate regioni rurali - come quelle regioni della Francia, negli anni del dopoguerra, che i giovani ben istruiti abbandonavano in massa spostandosi verso le città e lasciando dietro di sé una popolazione invecchiata, pesantemente dipendente dalle assicurazioni sociali. Le barriere linguistiche e culturali rendono comunque improbabile questa forma di aggiustamento economico.

Invece, gli appassionati dell'euro puntano le loro speranze su una unione fiscale. I trasferimenti dovrebbero prendere il posto delle migrazioni - e un nuovo quadro di responsabilità politica dovrebbe prevenire gli abusi (il cosiddetto problema del free-rider) e gestire le tensioni. Purtroppo, anche se questo sarebbe possibile, le divergenze di competitività rimarrebbero.

Consideriamo i casi della Germania orientale e del sud Italia. Nella riunificazione tedesca del 1990, i salari della ex Germania orientale sono stati convertiti in marchi tedeschi 1-a-1, abbattendo in un colpo solo la competitività della Germania orientale.

Trasferimenti tedeschi

In ciascuno degli anni seguenti la riunificazione, la Germania orientale ha ricevuto trasferimenti per il 4 per cento del PIL tedesco. Eppure la convergenza non c'è stata - persone giovani e istruite continuano a migrare verso la Germania occidentale. Nemmeno nel Sud Italia c'è stata convergenza, nonostante decenni di trasferimenti. La disoccupazione è il doppio di quella del Nord Italia, e il PIL privato pro capite è meno della metà.

E poi c'è la politica. I paesi non competitivi dell'eurozona non possono sperare di ricevere trasferimenti del valore del 25 per cento del loro PIL ogni anno, come la Germania orientale, o anche del 16 per cento del PIL, come nel sud Italia.

Qualcosa deve cedere - e dovrà essere il sistema dell'euro. Per preservare l'Unione europea, l'Unione monetaria deve essere smantellata. Il parallelo storico fin troppo rilevante è la difesa del gold standard nel periodo tra le due guerre, che arrivò quasi a distruggere la democrazia in tutto il mondo. Un solo paese può plausibilmente prendere l'iniziativa a favore di una divisione controllata del sistema dell'euro per mezzo di un'uscita comune e concordata dei paesi più competitivi. Questo paese è la Francia.

Ancora una volta, come avremo modo di spiegare nella parte 2, il destino dell'Europa è nelle mani delle élite francesi. In linea con le sue migliori tradizioni politiche della "Fraternité", la Francia dovrebbe promuovere una nuova strategia nel segno non del nazionalismo, ma di una solidarietà europea.

Una divisione del sistema dell'euro sarebbe nel migliore interesse sia della Francia che dell'Europa, perché accelererebbe il ritorno alla crescita economica dell'UE - l'unica sicura garanzia di stabilità e unità europea.

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Brigitte Granville insegna Economia Internazionale e Politica economica alla School of Business and Management della Queen Mary University di Londra. Hans-Olaf Henkel è professore di international management alla University of Mannheim ed ex presidente della Federation of German Industries. Stefan Kawalec è chief executive officer di Capital Strategy ed ex vice vice ministro delle finanze in Polonia.

WSJ - L'Euro può essere spazzato via!

Un significativo monito dal Wall Street Journal: un regime monetario sembra immutabile, fino al giorno in cui non viene spazzato via! 


Di Thomas CATAN e Marcus WALKER, Wall Street Journal -

La disoccupazione in Spagna ha raggiunto il 27%. I giovani sono in fuga da Portogallo e Irlanda. Un greco su quattro ha difficoltà nel comprarsi da mangiare.

Nonostante lo stato di Depressione, l'Europa non dispone di un piano di emergenza per ridare lavoro alla gente. Nell’ottica della strategia di uscita dalla crisi dell’Euro, di matrice tedesca, per sfuggire alla crisi dell'euro gli stati dell'Europa meridionale devono continuare a tagliare la spesa pubblica, abbassare i salari, limare al ribasso i prezzi fino a quando saranno di nuovo competitivi. In base ad alcuni studi di Goldman Sachs, al ritmo attuale, ci potrebbe volere un decennio o più per completare il processo.

Tutta questa prolungata sofferenza fa nascere una domanda: esiste un punto di rottura oltre al quale gli europei diranno semplicemente: "Basta"? 
Certamente gli europei hanno contestato l’austerità. Ma nonostante i timori, nessun paese ha abbandonato l'euro. Il supporto alla moneta comune rimane alto, nonostante il diffuso disincanto nei confronti dell'Unione europea. Secondo un sondaggio pubblicato questo mese dal Pew Research Center, oltre il 60% degli spagnoli, greci, italiani e francesi vogliono mantenere la moneta comune.

Gli Europrofeti di sventura, che prevedevano che la Grecia sarebbe uscita dalla moneta unica l’anno scorso, hanno apparentemente sottovalutato la volontà degli europei di sopportare anni di difficoltà, piuttosto che scommettere sull’uscita. Ma i funzionari europei che contano sulla stabilità del sentimento pro-euro potrebbero fare l'errore opposto.

Le riserve di pazienza degli Europei sono grandi, ma non infinite.

"Solo l’assoluta enormità dell’idea di un abbandono dell'euro ha finora agito da deterrente all’abbandono", dice Simon Tilford, capo economista presso il Center for European Reform, un think tank con sede a Londra. 
Una volta però che le persone percepiranno che non c'è luce in fondo al tunnel "probabilmente si inizierà ad assistere ad un dibattito più aperto sui costi e sui benefici di mantenere la moneta unica e una volta avviato il dibattito, le cose potrebbero evolversi abbastanza rapidamente."

E’ già successo. Esattamente come per i paesi che hanno aderito all’Eurozona, l'Argentina nel 1990 rinunciò al controllo sulla propria moneta, fissando il cambio uno a uno con il dollaro USA.
Ciò permise di domare l’iperinflazione, ma ha anche permesso un euforico indebitamento in dollari che ha spinto al rialzo i salari ed i costi aziendali .
Come l'Europa meridionale oggi, l'Argentina diventò profondamente non-competitiva e la valuta del paese non poté più rendere i suoi beni attraenti all'estero.
Come i membri dell'eurozona oggi, l'Argentina avrebbe dovuto “far smorfie e sopportare” fino a quando i salari e i prezzi non fossero scesi abbastanza da rendere di nuovo competitivo il paese. La saggezza popolare del tempo voleva che gli argentini dovessero sopportare qualsiasi difficoltà pur di continuare ad utilizzare il dollaro statunitense, talmente erano rimasti scottati da decenni di caos politico ed economico che avevano comportato anche periodi di inflazione a quattro cifre.
"La svalutazione non è un'opzione per l’ Argentina", disse ai tempi un economista della Banca Mondiale. "Con un livello così alto di dollarizzazione, una svalutazione sarebbe troppo costosa."

Tecnicamente, l'Argentina disponeva di una propria moneta (N.d.t. al contrario di noi oggi), ma l’abbandono della parità con il dollaro era ritenuto troppo dirompente da intraprendere in quanto quasi tutti i debiti ed i contratti di lavoro erano in valuta statunitense. Tuttavia, dopo tre anni di recessione, gli Argentini decisero in massa che qualunque cosa fosse venuta dopo non poteva essere peggiore della depressione senza fine necessaria per mantenere i loro pesos intercambiabili con i dollari. 

In una mite serata nel dicembre 2001, la classe media, in un'esplosione di rabbia, prese le strade di Buenos Aires. Delle rivolte in tutto il paese spazzarono via il governo dal potere. L'Argentina fece default poco dopo, e il paese abbandonò l’aggancio al dollaro. 
In che cosa è simile oggi la situazione nel sud Europa? L'economia argentina si era contratta di circa l'8% nei tre anni precedenti la rivolta. Secondo il Fondo Monetario Internazionale entro la fine di quest'anno le economie di Italia e Portogallo si saranno contratte di circa l'8% rispetto al picco massimo, la Spagna di circa il 6% e la Grecia di oltre il 23%.

I politicanti dell'UE che si crogiolano nell'apparente popolarità dell'euro dovrebbero considerare che anche gli argentini avevano ampiamente sostenuto l’ancoraggio del cambio al dollaro fino al momento dell’esplosione. In un sondaggio pubblicato nel dicembre 2001, lo stesso mese in cui gli argentini si rivoltarono, solo il 14% aveva sostenuto che il regime monetario doveva essere dismesso, mentre il 62% aveva dichiarato di volerlo mantenere. Il che praticamente coincide con la percentuale di spagnoli e greci che oggi dicono di voler mantenere l'euro.

L'Argentina, da quando ha svalutato e per via dei suoi alti e bassi, non può rappresentare un modello per l'Europa. Piuttosto, un monito.

Alla fine del 2001, il ministro dell'economia argentina aveva definito l’ancoraggio al dollaro "un'istituzione permanente", il cui crollo impensabile avrebbe causato "la dissoluzione delle istituzioni di base dell'economia e della società". Un mese dopo non c’era più. 

Coloro che sostengono che il rischio di dissoluzione dell’Eurozona è scomparso, dovrebbero ricordarsi di altri periodi in cui le persone avevano considerato un regime monetario sacro, fin tanto che non è stato spazzato via.

mercoledì 22 maggio 2013

L'euro un disastro riassunto in poche righe.

Il leader della Linke tedesca Oscar Lafontaine ha dichiarato recentemente che è necessario abbandonare l'euro, tornare in maniera ordinata alle monete nazionali e realizzare un sistema flessibile e concordato di cambi in Europa. È una via percorribile? Perché questo dibattito è completamente assente in Italia? 



L'Europa vive una crisi drammatica sia sul piano economico che politico e va incontro a una frattura storica: l'euro però non fa parte della soluzione ma del problema. L'euro sta spaccando l'Europa e occorre trovare rapidamente una soluzione alla crisi dell'euro per tentare di ricostruire la cooperazione europea. La critica radicale proviene niente di meno che da Oskar Lafontaine, il dirigente socialista tedesco che, come ministro delle finanze e presidente della SPD, negli anni '90 ha dato un contributo sostanziale alla nascita dell'euro, e che però nel 2005, in rotta con la SPD, ha lasciato il partito socialista di Gerhard Schröder per fondare la Linke, la formazione politica della sinistra alternativa. Nel suo blog Lafontaine ha scritto recentemente che è necessario abbandonare l'euro, tornare in maniera ordinata alle monete nazionali e realizzare un sistema flessibile e concordato di cambi in Europa. Lafontaine vorrebbe che i paesi più deboli possano svalutare per riguadagnare competitività di fronte alla potenza dominante tedesca, e tornare a crescere. Una soluzione semplice ma originale, finora non prevista né dalla Linke né da Syriza, il partito della sinistra radicale greca. 

Ma la soluzione proposta da Lafontaine è valida e praticabile? Per tentare di rispondere occorre partire da una constatazione. L'euro si è rivelato il fattore più problematico e negativo per l'Europa unita. Ormai è chiaro che, come hanno deciso per esempio la Svezia e la Danimarca e la Gran Bretagna, i paesi dell'eurozona e l'Italia avrebbero fatto meglio a non rinunciare alla sovranità monetaria per darla in mano alla Germania e, attualmente, al governo della Merkel.

La realtà è che i paesi europei fuori dall'euro continuano a crescere mentre l'eurozona è in crisi; e che la crisi economica può comportare, come vediamo in Italia, la rinascita dei nazionalismi, la crisi delle democrazie, e il rinvigorimento dei tentativi autoritari. Anche per Amartya Sen, premio Nobel dell'economia, l'euro sta rovinando l'Europa: “Sono stato contrario all’euro per motivi di tempistica. L’unione monetaria avrebbe dovuto essere adottata dopo l’unione fiscale e politica e non prima di questa. Saltando lo scalino, invece, gli stati ancora “nazionali” hanno perso il controllo sulla propria politica monetaria”. 

Occorre che la politica italiana discuta apertamente e senza pregiudizi ideologici o politici su come uscire da questa camicia di forza prima che la rottura dell'euro porti alla rotta dell'Europa. Nessuno ha in tasca la soluzione perfetta: ritornare alla lira o al marco, come propone lo statista tedesco, potrebbe non essere facile o possibile (e per alcuni neppure desiderabile). Ma la via d'uscita indicata qualche giorno fa dal presidente francese Francois Hollande, cioè di accelerare i tempi di un accordo politico per il governo europeo dell'economia, pur essendo positiva, appare meno concreta, richiede molto tempo, e comunque non è in contraddizione con la proposta di Lafontaine. E' necessario allora che  si elaborino delle alternative senza scartare nessuna ipotesi prima che l'euro fallisca e ci trascini alla rovina completa, come ci preannunciano non solo Lafontaine, ma il Financial Times, il Wall Street Journal e personaggi eccellenti come Joseph Stiglitz, Paul Krugman e George Soros. 

Occorre una svolta, anche culturale: infatti sembra che in Italia anche gli economisti di sinistra apparentemente più “sbilanciati” contro le politiche economiche del governo si illudano di potere ottenere miglioramenti graduali all'interno di questa architettura dell'euro che invece garantisce la supremazia tedesca, schiaccia il lavoro, aumenta la disoccupazione e rovina le aziende. Il continuismo non funziona, e di fronte alla dura realtà dei fatti occorre approfondire soluzioni non conformiste ma nuove e originali, e occorrono delle svolte. 

L'euro e la debolezza delle classi dirigenti italiane 

L'euro è nato per indebolire il marco tedesco e per imbrigliare la potenza della Germania riunificata nell'economia europea. Ma l'euro è nato anche a immagine e somiglianza del marco tedesco, con i criteri dettati fin dall'inizio dalla Bundesbank. Mal concepito, sta sortendo l'effetto esattamente opposto a quello previsto: deprime l'economia europea e la sottomette alla Germania. 

La classe dirigente italiana negli anni '90 abbracciò il mito dell'euro per sfiducia nella propria autonoma capacità di governare l'economia: sperava – a differenza di quanto hanno fatto per esempio i governanti della Svezia, della Danimarca e della Gran Bretagna – che la disciplina tedesca ed europea la avrebbe aiutata a internazionalizzare l'economia nazionale, domare l'inflazione, ammorbidire i sindacati, deregolamentare il mercato del lavoro e coprire i debiti con una moneta più forte della lira. La sinistra italiana si è accodata alla scelta dell'euro in maniera entusiasta – contrariamente a quanto fece il vecchio (ma più critico) PCI verso lo SME – per legittimarsi presso le classi dirigenti e perché si illudeva che l'euro si identificasse con il nobile progetto di integrazione europea. Con l'euro le classi dirigenti sono riuscite a prostrare il lavoro ma la moneta unica ha aumentato il deficit commerciale e il debito nazionale. E l'Europa è sempre più dilaniata da una spaccatura crescente tra i paesi creditori del nord, Germania in testa, e i “cattivi” PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna). Oggi l'unione sociale, culturale e politica europea è in grave crisi proprio a causa dell'euro. La Gran Bretagna vorrebbe lasciare il continente alla deriva, e soprattutto si aprono contrasti crescenti tra la Francia e la Germania, i due pilastri dell'Europa. La crisi dell'eurozona rischia addirittura di fare deragliare l'economia globale. 

L'euro è nato male 

Ormai la scienza economica è in grado di spiegare chiaramente perché l'euro è nato male. Infatti l'Europa non è, secondo il premio Nobel Robert Mundell, un'area valutaria ottimale, cioè non è un'area in cui sia possibile introdurre una valuta unica valida per tutti i paesi, a differenza degli Stati Uniti. Le condizioni che rendono sostenibile l’adozione di una moneta unica sono, come noto, quattro: flessibilità di prezzi e salari, mobilità dei fattori di produzione, integrazione delle politiche fiscali e convergenza dei tassi di inflazione. Questi fattori mancano attualmente, in tutto o in parte, nell'eurozona. Non c'è un unico mercato del lavoro, i prezzi divergono e le fiscalità sono differenti. Se l'Europa non è attualmente un'area valutaria ottimale, allora la scienza economica indica che un sistema di cambi flessibili è meglio della moneta unica: il bilancio della UE è molto limitato, non è solidale, non copre i deficit dei singoli paesi, non c'è un Tesoro europeo che emetta eurobond, non c'è una banca centrale che in ultima istanza copra i debiti europei, ecc, ecc.

Nonostante l'Europa non sia un'area valutaria ottimale, e che la moneta unica costituisca il classico carro davanti ai buoi rispetto alle prospettive di unione politica e sociale dell'Europa, si potrebbe in teoria tentare di riformare l'eurozona risolvendo i suoi problemi istituzionali, cioè aumentando il budget europeo, rendendolo fiscalmente solidale, emettendo eurobond, dando alla BCE la possibilità di comprarli, creando anche un po' di inflazione per lo sviluppo, realizzando politiche industriali ed infrastrutturali comuni, ecc, ecc. Ma questo percorso, per quanto ideale, appare purtroppo illusorio sul piano politico. E' molto difficile che Germania, Olanda e Finlandia siano disposte a finanziare il bilancio dell'Unione Europea perché la UE possa a sua volta finanziare automaticamente i paesi più deboli in crisi, come accade negli USA. O siano disposte a emettere eurobond e a fare diventare la BCE una vera banca centrale, come la FED americana! Allo stato attuale neppure i più ingenui sognatori lo potrebbero immaginare! Ci vorrebbe una forte scossa politica, e la minaccia concreta di uscire dall'euro! 

Le politiche pro-business e contro il lavoro del socialista Schröder 

Lafontaine ha indicato il nocciolo del problema: la riduzione del costo del lavoro e il divario di competitività. Per vincere la concorrenza nell'eurozona, il governo rosso-verde del socialista Gerhard Schröder nei primi anni 2000 ha (contro)riformato il sistema tedesco in grave difficoltà competitiva svalutando il lavoro a favore del capitale: la Germania era infatti allora, secondo l'Economist, il “malato d'Europa” e non godeva di grandi surplus nella bilancia commerciale. Il governo socialista tedesco fece quello che neppure il governo laburista di Tony Blair osò realizzare. Schröder cominciò a diminuire drasticamente le tasse alle imprese. Inoltre, sfruttando gli alti livelli di disoccupazione (8% -10%), la minaccia di licenziamenti e di delocalizzazione, il governo socialista-verde, nonostante la (troppo debole e collusa) opposizione del sindacato socialista, sviluppò una politica di svilimento dei contratti nazionali, di liberalizzazione e aziendalizzazione dei contratti di lavoro, e di riduzione delle tutele sindacali: dal 2003 al 2009 i salari reali dei lavoratori tedeschi sono scesi in media del 6%, mentre sono rimasti fermi o sono aumentati in tutti i paesi del sud Europa.

Il punto di svolta è stata la legge Hartz del 2003 che ha deregolamentato il mercato del lavoro, inaugurato il lavoro precario e ridotto i sussidi di disoccupazione e le pensioni. Negli ultimi anni è cresciuto decisamente il divario tra i lavoratori più qualificati e quelli meno qualificati: oggi circa 8 milioni di lavoratori in Germania guadagnano circa 9 euro all’ora, mentre altri 1,4 milioni di lavoratori, con i cosiddetti mini-job, addirittura meno di 5 euro all’ora. 
Schröder nel 2005 ha perso le elezioni, anche a causa di un clamoroso scandalo provocato dal suo compagno Peter Hartz, ma ha reso competitiva la Germania verso i “partner” europei. Grazie soprattutto al dumping sul costo del lavoro denunciato da Lafontaine, la Germania ha vinto i suoi concorrenti dell'eurozona che non possono più svalutare la moneta e che devono allora anch'essi svalutare il lavoro, come fece Hartz nel 2005. Il governo rosso-verde ha segnato la rotta. La UE, la BCE, il FMI spingono all'unisono per (contro)riforme del mercato del lavoro alla maniera tedesca: e in Italia i governi cercano di forzare in questa direzione. E purtroppo ci stanno riuscendo. 

L'austerità rovina i paesi del sud e arricchisce quelli del nord 

In questo contesto, l'unione monetaria tra paesi forti e deboli comporta sistematicamente il dominio crescente di quelli più forti e competitivi (in particolare della Germania) sui più deboli: i primi hanno surplus commerciali, e quindi riserve da prestare ai paesi che comprano i loro prodotti; i secondi invece accumulano deficit commerciali e debiti per coprirli. E' il crescente surplus commerciale della Germania, e sono i corrispondenti deficit commerciali degli altri paesi europei, a creare la crisi dell'euro, e non solo, e non tanto, i debiti pubblici, come invece sostengono le classi dominanti per attaccare il welfare, i diritti sociali, e privatizzare i beni comuni. Germania, Belgio, Malta, Olanda, Finlandia, Lussemburgo sono i paesi dell'euro con una posizione patrimoniale netta internazionale positiva. Tutti gli altri paesi dell'eurozona hanno una posizione debitoria (l'Italia ha una posizione finanziaria netta negativa pari a circa 350 miliardi, il 20% del suo PIL). 

Senza valuta sovrana, gli stati in deficit possono solo dissanguarsi per onorare i debiti e/o andare in fallimento. E gli stati e le industrie del nord Europa guadagnano notevolmente da questa situazione di crisi, grazie alla debolezza commerciale dei loro concorrenti e alla massiccia fuga dei capitali a loro favore. L'abbondanza di capitali permette loro di sviluppare l'economia e coprire a costi bassi o addirittura negativi i debiti pubblici e privati. 

Il governo Letta cerca di trovare dei margini per sviluppare l'economia e aumentare l'occupazione rispettando i vincoli di Maastricht sul deficit pubblico, ma come avverte Wolfgang Münchau del Financial Times, “la fine dell’austerità è solo una chiacchiera”. L'impresa di Letta è come il lavoro di Sisifo: non può portare ad alcun risultato positivo duraturo per l'occupazione e l'economia. 

Con il fiscal compact la situazione è purtroppo destinata a peggiorare drammaticamente. Il fiscal compact – votato dal governo Monti e dai partiti di Berlusconi, Bersani e Casini – impone all'Italia di tagliare ogni anno per venti anni 45 miliardi circa di spesa pubblica (cioè pensioni, scuola, sanità, enti locali, ecc) che vanno ad aggiungersi ai circa 80 miliardi da pagare all'anno per gli interessi. Come ha spiegato Luciano Gallino, per rispettarlo dovremmo fare manovre pari a oltre 100 miliardi di euro all'anno per 20 anni.
Con il fiscal compact ogni politica di crescita è puramente illusoria, e senza crescita non potremo ripagare i debiti e ci dissangueremo. 

Che fare?

Come uscire dalla trappola di un euro sopravvalutato che assomiglia sempre di più al marco tedesco? Il dibattito è economico e politico a un tempo, cioè di economia politica. La politica italiana, è quasi assente da questo dibattito, abbagliata dall'ideale dell'Europa e talvolta aggrappata a posizioni governative. La politica fa spesso come le tre scimmiette che non sentono, non vedono e non parlano. Lafontaine invece ha indicato con coraggio la necessità di uscire dalla trappola dell'euro ritornando alle valute nazionali e ad un sistema di cambi flessibili prima della rovina totale. In questo modo i paesi potrebbero svalutare le monete (e non il lavoro) e ritrovare la loro competitività e riaggiustare le loro bilance commerciali.
In una prima fase sarebbe anche necessario il controllo dei movimenti di capitale. E' un'ipotesi drastica ma da esaminare con attenzione e da attuare, se le alternative, come sembra, diventeranno difficilmente praticabili. Certamente un ritorno ordinato alle valute nazionali e la realizzazione di un sistema concordato e flessibile di cambi nell'area europea costituirebbe una soluzione positiva. Tuttavia difficilmente la Germania e gli altri paesi del nord potrebbero concretizzare questa opzione e rinunciare al privilegio dell'euro, a meno di una brusca rovina del sistema che li dovesse mettere con le spalle al muro. Potrebbero ricorrere allo scioglimento dell'euro solo se vedessero che i paesi subordinati dell'eurozona non sono più in grado di ripagare i debiti. 

Quali sono le possibili alternative, non necessariamente in contraddizione con il progetto di Lafontaine? Innanzitutto occorrerebbe che il governo Letta-Berlusconi non si inginocchiasse di fronte alla Merkel. Sarebbe necessario dare una sorta di ultimatum al governo tedesco: se la sua politica riguardo alla BCE e agli eurobond non cambierà, saremo costretti a uscire dall'euro, svalutare e ristrutturare i debiti. 
Se l'Italia uscisse dall'euro tutto il sistema crollerebbe, e questo la Germania non se lo può assolutamente permettere. 

Il governo italiano dovrebbe attivarsi per formare un fronte con i paesi del sud Europa, e possibilmente anche con la Francia di Hollande sempre più indebitata, per abrogare senz'altro il fiscal compact e rilanciare un new deal europeo anche grazie a massicci investimenti pubblici. 

Un fatto è certo: l'euro così come è non può durare. Non possiamo dissanguarci per i prossimi venti anni. Se, come appare possibile, la Germania e i paesi del nord non dovessero cedere alle proposte per uscire dal tunnel dell'austerità a senso unico, allora l'ipotesi di Lafontaine diventerà inevitabile. O, peggio ancora! saremo costretti a fallire e a uscire unilateralmente dall'euro.

Fonte: Tratto da un intervista di Enrico Gazzini

Claudio Borghi: in Europa non ci sono soluzioni possibili. Inutile illudersi.


E' inutile continuare a parlarsi addosso. E' inutile essere ottimisti al tempo del governo Letta. Come ha detto C. Borghi a Piazza Pulita (La7):

"E' molto frustrante per me, perché purtroppo non si vuole vedere in faccia l'assassino... non ci si ferma... sento delle soluzioni che non sono soluzioni... si dice che la colpa è del debito pubblico... Grecia, Irlanda, Spagna, Italia... tutti questi paesi hanno delle caratteristiche diverse, l'Irlanda non aveva debito la Spagna uguale...

Mi piacerebbe che ci soffermassimo sulle cause... non si parla mai delle cause... la cause è che le imprese non vendono più i prodotti perché siamo in un sistema economico che non è adatto a noi... e così in Irlanda, Spagna, Grecia... questa è la causa che accomuna tutti questi paesi diversi...

Ci sono due vie d'uscita: la prima è uscire dall'euro... la seconda abbattere i salari... svalutare i salari... domani ci svegliamo e tutti gli stipendi sono tagliati del 20%..."

E' inutile dibattere di continuo su questa crisi, su questo governo, su quello precedente o su quello futuro, perché all'interno delle politiche del governo e di quelle che ci impone l'Europa non ci sono soluzioni possibili. Inutile illudersi.

martedì 21 maggio 2013

Germania: infuria il dibattito pro e contro euro...e in Italia?




FAZ mette a confronto Bernd Lucke, leader di Alternative für Deutschland, e Dennis Snower, presidente dell'Institut für Weltwirtschaft di Kiel. Lucke conferma: fuori gli eurodeboli dalla moneta unica. Da FAZ.net

"Non è la Germania a dover lasciare l'Euro, ma i paesi del sud", ci dice il leader del nuovo partito anti-Euro, Bernd Lucke. Una discussione sul futuro dell'Euro fra lui e Dennis Snower, Presidente dell'Institut für Weltwirtschaft di Kiel.

FAZ: Herr Snower, Herr Lucke, siete entrambi economisti. Ancora oggi sareste per l'introduzione dell'Euro?

Snower: Assolutamente si'. Ma con regole piu' solide. Gli stati europei hanno avuto vantaggi sia politici che economici. Anche se noi fino ad oggi avessimo vissuto bene senza l'Euro, ora sarebbe il momento giusto per introdurlo.

Lucke: Oggi non sarei affatto per l'introduzione dell'Euro, sebbene nel 1999 lo fossi. Pensavo che l'Euro avrebbe potuto esercitare una benefica pressione sugli stati e renderli piu' competitivi. Competitività che fino ad allora era stata difesa solo con le svalutazioni. Ma l'inerzia è stata troppo forte. Anche esercitando una grande pressione, non si sono viste le riforme strutturali sufficienti. Per questo motivo l'Euro non è adatto ad una zona valutaria cosi' eterogenea.

Snower: Io la vedo in maniera opposta. Se i paesi iniziassero ad uscire dall'Euro, in Europa avremmo piu' protezionismo e un nazionalismo dannoso. L'intero progetto europeo sarebbe messo in discussione. Rischiamo un circolo vizioso che ci porta al kaos. Dobbiamo affrontare la crisi Euro in maniera diversa.

FAZ: Siete entrambi d'accordo sul fatto che in questo modo non si potrà andare avanti a lungo. Herr Lucke, lei vuole uscire dall'Euro e tornare al D-Mark?

Lucke: No, non è la Germania a dover abbandonare l'Euro, ma i paesi del sud. Sarebbe molto piu' efficace di un'uscita della Germania dall'Euro. I paesi del sud avranno la possibilità di svalutare, e in questo modo tornare competitivi. L'Europa soffre di una crisi di competitività. Nei paesi del sud i salari in rapporto alla produttività sono troppo alti. Le aziende non sono competitive, è difficile esportare i loro prodotti.

FAZ: Allora, non è un ritorno al D-Mark, ma un ritorno alla Drachma e all'Escudo?

Lucke: Si', dall'introduzione dell'Euro i paesi del sud hanno importato molto di piu' di quanto non abbiano esportato. Le loro bilance commerciali sono sempre state in rosso. I governi hanno avuto per 10 anni la possibilità di contrastare questo pericoloso sviluppo. Non ci sono riusciti, oppure non ne hanno avuto la
volontà. Bassa produttività e alti salari non sono sostenibili. I salari nel sud Europa sono del 30 o del 50 % troppo alti. Un taglio dei salari in questa dimensione non è ragionevole. Ormai è possibile solo una svalutazione, e per fare questo c'è bisogno di una propria valuta.

Snower: Concordo con la sua analisi, Herr Lucke, ma non con la sua conclusione. L'introduzione di una moneta nazionale, se tutto andasse bene, avrebbe solo un breve effetto. I prezzi si adeguerebbero velocemente. La competitività di un paese non dipende dalla sua valuta, piuttosto dai suoi vantaggi comparati: che cosa sanno fare meglio degli altri? Questo dipende dalla sua struttura produttiva e dalla sua forza innovativa. Se le cose non dovessero funzionare, un paese povero del sud-Europa, con una valuta debole, non potrebbe permettersi investimenti per creare una nuova struttura produttiva. Il governo cercherebbe la sua salvezza nell'inflazione, alle porte d'Europa ci sarebbe un kaos valutario. Come tutto questo potrebbe portare paesi come la Grecia ad una maggiore competitività, non lo capisco proprio.

Lucke: Esatto, una svalutazione crea solo un sollievo temporale. Ma puo' essere utilizzata per fare le riforme strutturali. In caso contrario, gli stati dovranno poi deprezzare ulteriormente le loro valute.

Snower: Questo li farà andare indietro.

Lucke: Niente affatto, li farà andare solo avanti. Alcuni paesi trovavano molto conveniente svalutare ogni tanto. Ma lei ha naturalmente ragione: senza riforme strutturali non si va da nessuna parte. Ma l'aggiustamento preteso dal sud Europa è ovviamente troppo grande. Perché non dovremmo tornare alla situazione che ha preceduto l'introduzione dell'Euro? Il kaos valutario, da lei evocato, Herr Snower, io non lo vedo affatto. Che cosa ci sarebbe di cosi' caotico nell'avere piu' valute? Prima dell'Euro c'era lo SME. I tassi di cambio fissati venivano adeguati di tanto in tanto. Ha funzionato bene. Se la Grecia potesse svalutare, avrebbe ancora una possibilità.

FAZ: Ha degli esempi?

Lucke: Nel 2001 la Turchia si trovava in una pessima situazione, simile a quella della Grecia di oggi: altamente indebitata e prossima alla bancarotta. Allora dicevamo in maniera arrogante: la Tuchia non è pronta per l'EU. Ma cosa è successo? La Turchia ha risolto il suo problema debitorio, è entrata in nuovi settori economici e al momento sta vivendo un boom con la sua moneta flessibile. Perché la Grecia non dovrebbe andare nella stessa direzione?

Snower: Che la crescita della Turchia sia da ricondurre ad una valuta flessibile, per me è una novità! Il paese ha semplicemente fatto delle buone politiche economiche, ha rafforzato lo stato di diritto e migliorato l'educazione.

Lucke: Nell'ambito dello stato di diritto e dell'istruzione la Grecia puo' già competere con la Turchia. La differenza è una valuta propria. La differenza è anche nel fatto che la Turchia ha ormai abbandonato la speranza di entrare nell'EU e di ricevere i suoi fondi. Per questo ha ripreso il  destino nelle proprie mani. Anche la Grecia dovrebbe fare lo stesso - con una propria valuta e senza un trasferimento di denaro permanente.

Snower: Arriviamo al punto. Considero il meccanismo per lo scioglimento dell'Euro da lei sostenuto alquanto pericoloso. Lei vorrebbe di fatto costringere i paesi del sud ad abbandonare l'Euro. E questa sarebbe la conseguenza, se la Germania non prendesse piu' parte ai fondi europei di salvataggio. Il risentimento nei confronti dei tedeschi nel sud-Europa è già abbastanza forte. Frau Merkel è raffigurata con uniformi naziste. Ma un'uscita forzata sarebbe uno scenario da orrore sociale, a causa del divario crescente fra paesi ricchi e paesi poveri. In secondo luogo, avremmo una divisione interna, fra coloro che hanno gli Euro, e coloro che invece avrebbero solamente Drachma.

Lucke: Non stiamo parlando di buttare fuori qualcuno. Voglio solo tornare al testo e allo spirito dei trattati europei. E li' si trova ancora oggi scritto: nessuna garanzia per i debiti degli altri paesi. Se i greci vogliono restare nell'Euro in queste condizioni, bene. Ma la mia previsione è: in queste condizioni i greci vorranno tornare immediatamente alla loro valuta.

Snower: Lei mi deve spiegare come facciamo a dire ai greci che la Germania non garantirà per un'insolvenza dello stato, se poi siamo stati noi, con il nostro no ad ulteriori finanziamenti, a causarla. Ogni greco dirà: i tedeschi ci hanno sbattuto fuori.

Lucke: Il solo responsabile per la bancarotta è il governo greco. Il governo tedesco è  responsabile per aver trascinato cosi' a lungo la bancarotta. E' ora di attenersi a quanto deciso: col primo pacchetto di salvataggio abbiamo garantito un sostegno per soli tre anni. Questi 3 anni sono passati. Dopo ci sono stati altri 2 pacchetti di salvataggio senza poter vedere progressi decisivi. La Grecia non ha rispettato gli aggiustamenti strutturali promessi. Percio' è legittimo dire: adesso ci atteniamo agli accordi. Chiunque non rispetti gli obblighi, non puo' contare su ulteriori concessioni.

Snower: In Europa si raccontano due storie. La storia degli stati creditori è questa: gli stati irresponsabili dell'Europa mediterranea ci rubano i nostri risparmi. I paesi debitori raccontano: l'Europa ha una nuova potenza egemone, la Germania. E la Germania impone la disgregazione sociale dei paesi del sud. Se la Germania imponesse un'uscita dei paesi del sud, in Europa si scatenerebbe l'inferno. Come poi in Europa si possa tornare a vivere in armonia, non mi è chiaro.

Herr Lucke, si aspetta una pacificazione dell'Europa?

Lucke: Certo. Ci sarà una piccola ondata di risentimento, ma passerà. L'accusa di egemonia dice: voi tedeschi volete imporre ai paesi debitori la visione tedesca. E cio' fa arrabbiare. E' arrivato il momento di fermarsi. Senza i pacchetti di salvataggio, non ci sarebbero piu' le condizioni di austerità dettate dalle potenze straniere. Ognuno deve poter essere felice a modo suo. Se l'etica del lavoro di questi paesi non corrisponde a quella tedesca, è bene che le persone in questi possano lavorare come meglio preferiscono.

FAZ: Pensa che l'etica del lavoro nel sud-Europa sia diversa?

Lucke: Si', certamente. Ma lasciamoli vivere nel modo in cui preferiscono. Se le persone in questi paesi vogliono lavorare meno, in maniera piu' rilassata e avere un benessere inferiore, prego. Perseguire la propria felicità è un diritto di ogni popolo. Se noi tedeschi vogliamo rispettare gli altri paesi, dovremmo permettere loro di vivere come preferiscono.

Snower: Sarebbe bello se potesse essere vista in questo modo. La storia che sento raccontare nel sud-Europa dice: dovremmo diventare sudditi tedeschi. I tedeschi l'hanno sempre voluto, e ora ci stanno riuscendo. Se la Germania bloccasse i prestiti di emergenza, gli altri paesi lo considererebbero un atto di aggressione.

Lucke: Se lasciamo i paesi in pace, senza imporre loro le nostre condizioni, non cercheremo di assogettarli. Li lasciamo liberi di scegliere.

FAZ: Come funziona il suo scenario di uscita graduale dall'Euro nel dettaglio?

Lucke: Ricordi: nel 1999 quando l'Euro è stato introdotto, il D-Mark per 3 anni è rimasto come denaro contante. Nelle transazioni non in contante, si pagava già in Euro. La conversione era fatta dai computer, non la si notava nemmeno. Adesso faremmo nello stesso modo, ma nella direzione inversa. L'Euro resterebbe come denaro contante, questo significa che tutti i pagamenti in contante saranno fatti in Euro: comprare il pane, prendere un caffé. I pagamenti non in contante, ad es. stipendi, gli affitti, le fatture, e cosi' via, sarebbero gestiti con la nuova valuta. In senso stretto questa moneta sarebbe un paniere di valute, composto dall'Euro e dalla nuova Drachma, e i clienti non se ne accorgerebbero nemmeno. In ogni momento questa valuta potrebbe essere convertita in Euro, e al contrario. Per lo piu' saranno i  computer a fare i calcoli automatici. Di volta in volta la banca centrale greca svaluterebbe la Drachma o ridurrebbe la quota degli Euro nel paniere di valute. Le valute parallele garantirebbero una transizione morbida.

Snower: Non mi sembra una buona idea. Una transizione dolce è inutile, perché il solo effetto positivo di una svalutazione è in un passaggio rapido. I debiti del paese restano in Euro, ma dovrebbero essere rimborsati immediatamente in Drachma. E questo porterebbe ad un taglio del debito. Potremmo avere lo stesso risultato anche senza una valuta parallela. E poi ci sarebbe una divisione nella società: fra i salariati che ricevono solamente Drachma, e i titolari di depositi bancari che invece hanno ancora gli Euro. Inoltre, questi paesi avranno bisogno di importare beni per sviluppare una struttura produttiva, che invece non potranno piu' permettersi. E tutti finirebbero per dare la colpa alla Germania.

Lucke: Sui tempi dell'uscita dovrebbero decidere i rispettivi governi. E' anche possibile fare tutto in maniera molto rapida. Se si sceglie il percorso piu' prudente, non potranno esserci grandi disordini. Avremo un rilancio dell'economia e un piccolo aumento del debito. Lo stato avrebbe un aumento delle entrate fiscali e potrebbe in questo modo far fronte ad un aumento dei debiti. L'effetto netto sarebbe pari a zero. Ma il settore privato beneficerebbe di una svalutazione. Anche i disoccupati ne trarrebbero un grande vantaggio. Meno import corrisponde a un minore disavanzo delle partite correnti, e proprio questo era l'obiettivo.

FAZ: Quindi secondo il suo modello la Grecia potrebbe non aver bisogno di un taglio del debito?

Lucke: No, L'uscita dall'Euro aiuterebbe il settore privato a tornare competitivo. Per risolvere la crisi debitoria c'è bisogno di un taglio del debito - per la Grecia in ogni caso. Ma anche in Portogallo probabilmente non potremo fare a meno di un default ordinato. Come sappiamo da molte esperienze precedenti, subito dopo la svalutazione si verifica una forte ripresa economica.

FAZ: Herr Snower, lei come intenderebbe stabilizzare l'Euro?

Snower: Siamo ad un bivio. Diamo all'Euro ancora una chance! Per fare cio' abbiamo bisogno di istituzioni che siano vincolanti per tutti. Suggerisco la creazione di regole fiscali flessibili.

FAZ: Vale a dire?

Snower: Le regole dovranno permettere agli stati di spendere di piu' durante una recessione, ma nel lungo periodo si dovrà raggiungere un rapporto debito-PIL desiderato. Dovrebbe funzionare in maniera automatica. Se uno stato viola la regola, sarà - automaticamente - punito: l'IVA sarà aumentata automaticamente, le spese dello stato saranno automaticamente tagliate con il tosaerba. Tutto cio' affinché gli stati rispettino le regole di bilancio.

FAZ: Una tale regola automatica suona alquanto antidemocratica

Snower: Ma i popoli ne trarranno vantaggio. Oggi sono in balia del cosiddetto "deficit bias". Questo significa: nei periodi di recessione si accumulano debiti, ma in tempi buoni, quando le entrate fiscali migliorano, il denaro viene speso anziché essere restituito. Questo è il motivo per cui l'indebitamento fra i paesi OCSE cresce continuamente. Non è sostenibile. Per questo lo stato, come accade nella politica monetaria, deve essere forzato da una istituzione indipendente a scendere verso un determinato livello di debito.

Lucke: Queste regole, Herr Snower, non potranno funzionare. Chi dovrebbe controllare il loro rispetto? I politici troverebbero sempre nuovi motivi per poter violare i criteri "in via eccezionale": in una fase di sviluppo non si puo' soffocare la crescita con piu' tasse, e argomenti del genere.  Dovremmo allora trasferire il controllo a Bruxelles. Ma questo non è politicamente sostenibile. I popoli non accetterebbero mai di sacrificare la sovranità fino a questo punto. Chi vuole trasferire sovranità nazionale a Bruxelles? I popoli europei non potrebbero piu' decidere il loro stesso destino.

Snower: Al contrario. Nella situazione attuale i cittadini sono trattati come dei bambini. Tutti gli stati, anno dopo anno, aumentano le spese, e i cittadini non hanno alcuna possibilità di decidere se vorranno o meno scaricare questo peso sulle generazioni future. Le regole fiscali dovranno essere decise a livello nazionale, e monitorare da parte dell'EU.

Lucke: Lei sembra credere che tutti i popoli europei sono composti da macroeconomisti che riescono a comprendere in anticipo e con una certa lungimiranza la relazione fra crescita e debito. Ma la gente comune non riesce a comprendere a pieno le regole fiscali. I governi cercheranno di vendere ai loro cittadini degli scenari ottimisti per poter promettere loro dei benefici sociali. E allora ci troveremmo nel solito dilemma del debito, come oggi. 

Snower: Andrebbe ancora peggio se lasciassimo queste decisioni in mano ai politici miopi. Non sottovaluti i cittadini, Herr Lucke. Il popolo sa bene che i debiti non possono crescere piu' rapidamente del PIL. Lo hanno imparato dalla gestione del loro bilancio familiare.

FAZ: Cosa succede quando un paese non si attiene alle regole e non puo' ripagare il debito?

Snower: Un paese diventa insolvente, e ci sarà un taglio del debito all'interno dell'Euro. Fino ad ora sono mancati criteri di solvibilità

Lucke: Herr Snower, lei sa che in tutta la letteratura scientifica non esistono criteri utilizzabili per definire la solvibilità di uno stato.

FAZ: Che cosa significa concretamente?

Snower: Io credo la Grecia abbia bisogno di un nuovo taglio del debito. Ma gli altri paesi, secondo il mio modello, ce la faranno a rimborsare il debito.

FAZ: Chi controllerà che i governi, abusando di uno stato di emergenza permanente non infrangano costantemente le regole?

Snower: Le regole saranno implementate da un istituto indipendente, composto da persone noiose come il sottoscritto, che avranno il compito di misurare il ciclo economico su cui la politica fiscale anticiclica dovrà adattarsi.

Lucke: E' destinato a fallire. Non ho fiducia in certi organi indipendenti, ma che in realtà sono dipendenti dalla politica. La sola cosa che puo' avere effetto sulla politica è la disciplina dei mercati e dei tassi di interesse. Io non credo che i paesi ridurranno i debiti durante una fase di espansione. Pensi alla Grecia: dal 2001 al 2007 ha avuto un periodo di boom, ma si è indebitata ancora di piu'.

FAZ: Gli altri paesi membri saranno obbligati a fornire un aiuto finanziario?

Snower: No, no. La regola di no bail-out dovrà essere ripristinata. Anche seconde me l'Europa non deve essere una comunità fondata sulla messa in comune dei debiti; l'ESM non dovrà piu' fornire denaro agli stati. Al massimo, per un periodo transitorio di cinque anni, posso ipotizzare un fondo per la compensazione degli interessi - un trasferimento limitato verso gli altri paesi - fino a quando il mercato dei capitali non si sarà aggiustato sulle regole fiscali in vigore.

Lucke: Con un fondo per la compensazione degli interessi di fatto sta già rinunciando alla disciplina dei mercati. In questo modo renderemo possibile un maggiore indebitamento. Penso che sia molto positivo il fatto che anche lei sia contro l'ESM, la messa in comune del debito e i bail-out. Ma un fondo per la perequazione degli interessi non è altro che una forma di bail-out. Di fatto sono trasferimenti, e quando i 5 anni saranno terminati, si comincerà a strillare di nuovo - per averne ancora.

FAZ: Cari signori, entrambi volete un'alternativa per la Germania, ma sulle questioni importanti avete un punto di vista completamente diverso. Lei, Herr Lucke, si batte per un'uscita dall'Euro, in quanto leader del partito da lei fondato. Che cosa pensa, Herr Snower, di un accademico che diventa politico?

Snower: Non credo che gli accademici debbano restare fuori dalla politica. Dovremmo tuttavia distinguere fra conoscenza accademica e obiettivi sociali. Si tratta di due prospettive molto diverse.

FAZ: Se Herr Lucke dovesse avere successo, secondo lei andremo verso un disastro?

Snower: Si'. Mi sembra la storia di quello che ha costruito una casa di paglia e legno. E' chiaro che c'è un pericolo di incendio. Allora qualcuno se ne esce con l'idea di bruciare la casa preventivamente per poi ricostruirla. Un altro, invece, e sarei io, dice: è possibile rendere l'edificio a prova di fuoco. Temo disordini sociali, se dovessimo sciogliere l'Euro.

Lucke: Non si dovrebbero costruire case facilmente incendiabili - e possibilmente non bisognerebbe abitarci. Ma l'immagine è sbagliata, perché nessuno vuole bruciare. Vedo l'Europa come un'escursionista in montagna, che cammina su di un terreno molto scivoloso. La strada si restringe, è difficile da distinguere e conduce verso una precipizio. E' il momento di invertire la rotta, tornare all'ultimo bivio, e prendere una strada migliore.

lunedì 20 maggio 2013

Flassbeck: salviamo l'Europa dalla moneta unica

In una recente analisi pubblicata dalla Rosa Luxemburg Stiftung, il grande economista tedesco Heiner Flassbeck ribadisce la sua scarsa fiducia nella possibilità di salvare la moneta unica e lancia un appello: salviamo l'Europa politica dal crollo dell'Euro.Versione completa in inglese qui.


Lo studio proposto dalla fondazione Rosa-Luxemburg «The Systemic Crisis of the Euro – True Causes and Effective Therapies» di Heiner Flassbeck und Costas Lapavitsas mostra come l'Euro sia minacciato nella sua stessa esistenza. Sin dall'inizio sono state ignorate le condizioni necessarie per il funzionamento della moneta unica. La gestione della moneta unica, concentrata sulle questioni fiscali, non si è mostrata adeguata alla complessità della situazione, ed è stata accecata dall'ideologia degli attori piu' importanti. Ancora una volta, l'attenzione sugli aspetti fiscali ("crisi di debito pubblico") ha impedito una terapia completa ed efficace. Inoltre, aver accusato in maniera unilaterale i paesi debitori ed aver preteso da loro una politica di austerità, ha messo in moto una crisi economica le cui conseguenze negative per le condizioni di vita degli uomini mettono in discussione i sistemi democratici e la convivenza pacifica dei cittadini in Europa, con un impatto negativo che durerà per decenni.


E tardi, ma forse non ancora troppo tardi per un'inversione di rotta. Se la Germania, come principale paese creditore, mostrasse comprensione cambiando radicalmente la sua posizione e si accordasse su di una nuova
strategia con gli altri paesi, l'Eurozona potrebbe superare la difficile recessione e fronteggiare la crisi. Ma per ogni giorno in piu' trascorso applicando le vecchie strategie fallite, diventa sempre piu' improbabile una svolta. Gli elementi chiave di una nuova strategia dovrebbero essere una riduzione dei gap di competitività - prima di tutto con un aumento dei salari in Germania -, la fine immediata delle politiche di austerità e il superamento della difficile fase di transizione per i paesi debitori attraverso i crediti BCE, gli Eurobond e gli aiuti incondizionati del fondo ESM. Anche in questo caso avremmo bisogno di molto tempo. Il ritorno ad una situazione in cui i paesi debitori potranno essere economicamente autosufficienti, crescere e creare nuovi posti di lavoro, durerà almeno 10 anni.


Poiché le probabilità di una tale svolta sono molto basse, è necessario prendere in considerazione altri scenari. Un passo necessario quando nei paesi particolarmente colpiti dalla crisi i costi dell'aggiustamento non sono piu' politicamente sostenibili, e la democrazia è in pericolo. Lo studio di Flassbeck/Lapavitsas sostiene che i benefici di una unione monetaria in Europa, anche al di là delle mere considerazioni politiche, potevano essere notevoli. La possibilità di avere una politica monetaria focalizzata su di una grande regione europea, racchiudeva in sé grandi opportunità. Che pero' non sono state utilizzate. In considerazione del costoso processo di aggiustamanto imposto ai paesi debitori, senza alcuna garanzia di un ritorno alla crescita, questa politica ha raggiunto il suo limite politico. 


I governi eletti democraticamente possono imporre ai loro popoli solo una dose limitata di sofferenze. Soprattutto durante una crisi in cui è difficile spiegare perché solo alcuni paesi devono sopportare delle sofferenze, mentre altri paesi o istituzioni hanno di fatto preso il potere. I popoli potranno accettare una situazione del genere solo per un periodo di tempo limitato. Tutte le crisi valutarie del passato hanno generato un enorme potenziale per conflitti, ribellioni e kaos. In quasi tutti i casi gli effetti politici della crisi sono stati limitati solo con una svalutazione della moneta, che in tempi relativamente rapidi ha garantito un'inversione economica e quindi un miglioramento delle aspettative circa il futuro economico. Tale misura purtroppo nell'unione monetaria non è disponibile. Nessuna misura di politica economica imposta dalla Troika ai paesi in crisi ha le potenzialità per portare ad una svolta economica. La riduzione dei salari è controproducente perché danneggia l'economia interna, che in tutti i paesi colpiti (ad eccezione dell'Irlanda), da un punto di vista quantitativo, è molto piu' importante dell'export. Le cosiddette politiche sul lato dell'offerta, in linea di principio, non possono aiutare a superare una fase di estrema debolezza della domanda. Nella maggior parte dei casi le crisi di domanda si aggravano. 


Prima o poi dovrà essere contemplata anche l'uscita.


Prima o poi i governi eletti democraticamente dovranno mostrare qualche successo nel combattere la crisi. Dovranno creare aspettative positive e dare ai giovani la speranza in un futuro migliore. Se questo non dovesse accadere, cresceranno le forze politiche ai limiti dello spettro democratico. Se la crisi dovesse proseguire - sia nei paesi debitori che in quelli creditori - saranno sempre piu' forti quei partiti che metteranno in discussione l'unione monetaria, considerata la responsabile, e chiederanno un'uscita. Aver definito irreversibile la strada verso l'unione monetaria è stato ingenuo. Tutte le regole sociali, ideate dagli uomini, sono reversibili e saranno revocate nel momento in cui falliscono.


Aver eliminato dalla discussione la possibilità di un'uscita perché non si vuole mettere in discussione l'Europa, è stato un irresponsabile tentativo di imbonimento e un favore agli euroscettici. 


Se ragionevolmente accettassimo questa possibilità, sarebbe necessario iniziare a riflettere sul modo in cui sarà possibile governare le forze centrifughe nazionali, senza che l'Europa politica si frantumi. A parte i piccoli problemi tecnici che in uno scenario di uscita potrebbero presentarsi, ci sono due ostacoli principali da superare. 


Primo: un rigido controllo dei capitali è indispensabile per evitare una fuga ed un assalto alle banche, se per uno o piu' paesi si iniziasse a parlare di un'uscita dall'unione monetaria. Con Cipro si è creato un precedente che da un lato ci mostra che questa misura puo' essere in linea con i trattati europei, e dall'altro che i controlli possono essere messi in piedi in tempi rapidi e in modo da evitare il caos tipico di una decisione del genere.


Secondo: nella transizione verso una nuova moneta nazionale c'è il pericolo che la nuova valuta, se lasciata al mercato dei cambi, possa crollare immediatamente e rendere il passaggio molto doloroso. Tutti i paesi in deficit hanno bisogno di una svalutazione fra il 25 e il 40%, un deprezzamento maggiore danneggerebbe il commercio intraeuropeo, mentre i paesi che dipendono pesantemente dall'import, in caso di conversione valutaria, soffrirebbero una riduzione del reddito reale che potrebbe rappresentare una dinamite politica. Evitare una svalutazione eccessiva, consentire una transizione indolore per i paesi che intendono restare nell'Unione Europea, ed evitare la distruzione del mercato comune europeo, sono i compiti piu' importanti per la politica europea. 


Come mostra lo studio di Flassbeck/Lapavitsas, si riprorrebbe il Sistema Monetario Europeo (SME), nel cui ambito i paesi che intendono uscire saranno protetti dal pericolo di una svalutazione incontrollata e potranno ritrovare la loro competitività senza un collasso dell' economia interna. 


La Germania sarebbe colpita duramente da uno scenario in cui alcuni paesi optassero per l'uscita. In caso di una uscita ordinata di molti paesi (Europa del sud e Francia), la struttura produttiva tedesca estremamente orientata all'export (con una quota dell'export sul PIL superiore al 50 %), sviluppatasi negli anni dell'unione monetaria, dovrebbe subire un pesante aggiustamento. Il settore dell'export crollerebbe, e solo le modalità dell'aggiustamento economico potrebbero fare in modo che il mercato interno riesca ad intercettarne una parte. Se la Germania cercasse di contrastare la perdita di competitività con un ulteriore taglio dei salari, sarebbe inevitabile una lunga recessione ed una fase di elevata disoccupazione. Ed anche in questo caso è necessario che la Germania riconosca le cause della crisi, insieme ai suoi errori, e agisca di conseguenza. In Germania una nuova lotta per conquistare quote di mercato e raggiungere una maggiore competitività non sarebbe politicamente sostenibile: la maggior parte della popolazione si troverebbe a lottare per la semplice sopravvivenza. 


L'Europa è piu' importante dell'Euro


Molti che giustamente credono all'Europa come ad un processo storico di pacificazione, non possono accettare che alcuni paesi escano dall'unione monetaria. Dobbiamo tuttavia essere realisti. Con l'unione monetaria, l'Europa ha fatto in anticipo un passo troppo lungo. Se l'Euro potesse essere ancora salvato, sarebbe sicuramente un grande successo. Ma se non è possibile farlo in tutti i paesi membri, allora le energie politiche dovrebbero essere utilizzate per salvare l'Europa politica dalle macerie del collasso di una parte dell'unione monetaria. 


Lo studio mostra chiaramente che le decisioni di fondo sull'Euro possono essere giustificate anche con buoni argomenti economici. La teoria economica dominante sin dall'inizio ha ignorato questi argomenti screditandoli politicamente. Ma anche all'interno delle grandi istituzioni come la BCE e la Commissione EU, si è cercato di implementare l'unione monetaria sulla base delle teorie neoclassiche dominanti. Questo tentativo è fallito. Una unione monetaria fondata sui precetti monetaristi della BCE e della Commissione, e su concetti grezzi, come la concorrenza fra le nazioni, non puo' e non potrà mai funzionare. Tutti coloro che intendono salvare l'Europa in quanto idea politica - e questo dovrebbe essere l'obiettivo primario - dovrebbero riconoscere che questo potrà essere realizzato solo con una teoria economica che sia allo stesso tempo realista e progressista. Solo quando si capirà che è necessario garantire la partecipazione di tutti gli uomini ai vantaggi del progresso economico e che la concorrenza fra stati è una idea assurda, si potrà sperare che dalle macerie del vecchio edificio possa nascere una nuova Europa.