lunedì 30 settembre 2013

Munchau sul Financial Times: la recessione non è finita e la zavorra è l'Italia!


Nel suo editoriale sul Financial Times Wolfgang Munchau riafferma che la recessione non è affatto finita, e che il problema più grosso è l'Italia: il paese non ha altra scelta che uscire, e sarà costretto a farlo dagli eventi. 
In primo luogo, sulla fantomatica fine della recessione, Munchau denuncia come i leader politici europei abbiano colto al volo il primo piccolo accenno di miglioramento per proclamare il successo delle loro politiche. Eppure, dice Munchau, seppure due trimestri consecutivi con segno positivo siano tecnicamente considerati come un segnale di fine recessione, sarebbe folle pensare che alla mezzanotte dopo la fine del secondo trimestre con segno positivo la recessione sia finita! Solo uno stupido (o uno con secondi fini) può vederla così. Quello dei due trimestri è al massimo un indicatore molto semplificato che può essere utile in una normale crisi ciclica. Ma qui non siamo in una normale congiuntura.

I dati descrivono un altro ordine di grandezze: dal primo trimestre 2007 al primo trimestre 2013, il Pil reale dell'eurozona si è contratto in media di un 1,3% cumulativo ( in Spagna del 5.3% e in Italia addirittura dell'8.4%); gli investimenti nell'eurozona sono crollati in media di un 19%, (38% in Spagna e 27% in Italia); l'occupazione è crollata del 17% in Spagna e del 2% in Italia. Per iniziare a parlare di fine della recessione, bisognerebbe almeno tornare ai livelli pre-crisi.

Ma la vera zavorra è l'Italia.

Ecco le testuali parole di Munchau:


"Ma ora la più grande zavorra che pesa sulla crescita dell'eurozona è l'Italia. La coalizione di Enrico Letta, il primo ministro Italiano, nel week end è di fatto collassata, col ritiro dei suoi Ministri da parte di Berlusconi. Quest'ultima crisi politica prolungherà la recessione, nella misura in cui l'incertezza terrà lontani gli investimenti.

Ma anche un nuovo governo non porterà a una soluzione. L'Italia è bloccata in un mix di debito pubblico elevato e insostenibile e una produttività che non cresce. Sostanzialmente ha due opzioni - o diventa come la Germania, o lascia l'eurozona. E il paese non è capace di praticare l'una, né vuole praticare l'altra delle due alternative. In un articolo sul Corriere della sera i due economisti Alesina e Giavazzi hanno calcolato che bisognerebbe ridurre il cuneo fiscale - la differenza tra le imposte sul lavoro e il netto in busta paga - di qualcosa come 50 miliardi per arrivare al livello tedesco. E semplicemente non esiste nessuna maggioranza politica che sostenga una scelta così radicale. Le priorità del centro-destra sono il taglio alle imposte sui consumi e sulla casa, mentre il PD di Letta è contrario ai tagli di spesa. Finché i tassi restano bassi, l'Italia non si trova di fronte a un immediato pericolo. Il paese potrà trascinarsi ancora un po' finché un qualche tipo di shock, economico o politico, lo costringerà a prendere una decisione, in un senso o nell'altro."

Nel frattempo che questi nodi vengono al pettine, continua Munchau, l'ostacolo principale alla crescita nell'eurozona rimane il non aver dato una ripulita alle banche: senza una pulizia delle banche il credito non ripartirà e così nemmeno la ripresa. Secondo Munchau il presidente della BCE Mario Draghi vorrebbe veramente procedere ad una seria supervisione sulla qualità degli asset delle banche, e non ripetere la farsa degli stress test promossi dall'European Banking Authority, ma come può ammettere che le banche hanno bisogno di diverse centinaia di miliardi di nuovo capitale, se poi quel denaro non c'è e i governi non sono disposti a offrire il loro sostegno?

Infine Munchau commenta la situazione della Spagna, l'altra grande incognita dell'eurozona, che ora però sembra mostrare segnali di miglioramento. Ecco le parole di Munchau:

"Le migliori notizie dell'eurozona vengono dalla crescita dell'export spagnolo, che dalla prima metà del 2008 alla prima metà di quest'anno è cresciuto dell'11% in termini reali. Il miglioramento della competitività delle esportazioni spagnole è sostanziale, ma per la maggior parte è dovuto al calo dell'occupazione, più che al calo dei salari. Non mi è chiaro quanto una strategia di crescita guidata dalle esportazioni sul modello tedesco, sia fattibile e sostenibile per la Spagna."

Le conclusioni:

"L'implosione politica ed economica dell'Italia, il credit crunch e l'austerità sono tra i principali fattori che pesano oggi sull'eurozona. Se si molla la sciocca fissazione sui due trimestri, non si può non vedere che la recessione iniziata nel 2008 continua. E non è vicina alla fine"

domenica 29 settembre 2013

“MANIFESTO DI SOLIDARIETA' EUROPEA”: UNA CRITICA COSTRUTTIVA.

DI CLACK 
Comedonchisciotte 

La presentazione del “Manifesto Di Solidarietà Europea” si è tenuta oggi 23 settembre 2013 presso la Link Campus University di Roma ed è stata stata organizzata dalla associazione A/Simmetrie che fa capo al prof. Alberto Bagnai. 
Il “Manifesto Di Solidarietà Europea” è il documento sottoscritto dallo stesso Bagnai e da una serie di economisti e analisti di tutta Europa, volto a dare una possibile soluzione ai problemi causati dalla moneta unica e dai regolamenti che riguardano le questioni economiche dei paesi aderenti alla UE. 


Dopo una rapida introduzione del moderatore Guido Salerno Aletta di Milano Finanza, e un ancora più breve saluto ai presenti di Bagnai, si è entrati subito nel clou del convegno. Ovvero la prolusione del prof. Giuseppe Guarino, Professore Emerito dell'Università “La Sapienza” di Roma, che ha rappresentato il vero valore aggiunto dell'evento. 
Ancora una volta Guarino ha dimostrato la sua statura umana e intellettuale, capace di frapporre, sia pure senza volere e con naturalezza, veri e propri abissi nei confronti di ogni altro relatore dell'evento, conservando peraltro la sua innata simpatia e disponibilità. 
Con semplicità di termini e comprensibilità di concetti, innanzitutto ha posto nell'evidenza più significativa le enormi contraddizioni esistenti tra i trattati fondativi dell'UE e i regolamenti che riguardano la moneta unica. Poi, fatto ancora più importante, ha dimostrato l'esistenza della possibilità di sottrarsi al giogo eurocratico per mezzo delle clausole di “opting out”. Quelle che hanno permesso all'Inghilterra di restare fuori dalla moneta unica e in seguito sono state concesse anche alla Danimarca. La Svezia, addirittura, non ha neppure dovuto richiederle ma si è limitata ad applicarle “motu proprio”. 
Le ragioni sostenute da Guarino a favore della sua tesi riguardano il fatto che malgrado la loro scelta, i paesi che preferiscono l'opting out sono equiparati in tutto e per tutto, da regolamenti e trattati, a quelli effettivamente entrati nella moneta unica. 
Quindi non sono assolutamente degli Stati Membri di serie B o peggio pecore nere, ma hanno tutte le prerogative, nessuna esclusa, di quelli inclusi nell'eurozona. Il che, se paragonato allo status di PIIGS attribuito pretestuosamente agli Stati periferici, che malgrado siano contributori netti vengono quotidianamente massacrati assieme alle loro popolazioni per sostenere il benessere negli Stati egemoni in ambito UE, fa sempre il suo effetto. E tratteggia in tutto tondo un ulteriore paradosso della malafede eurocratica. In merito al quale una classe politica degna di questo nome e non costituita da un branco di collaborazionisti dovrebbe agire concretamente, una volta e per tutte. 

Oltre al precedente rilevante costituito dagli stati che hanno deciso di utilizzare la clausola dell'opting out, il prof. Guarino ha specificato l'inesistenza di norma alcuna che vieti di ricorrervi anche in una fase successiva all'adesione all'Euro. 

In seguito Guarino non ha mancato di rilevare le numerose e palesi contraddizioni tra gli obiettivi di crescita e armonizzazione tra le economie dei diversi Stati, sanciti nei trattati europei, e gli effetti dei regolamenti della moneta unica. Quelli cioè che negano letteralmente la crescita dei paesi aderenti, stante l'impossibilità di investire a debito per via dell'obbligo del pareggio di bilancio. Il loro effetto è stato tale da aver causato il pressoché totale azzeramento per la crescita economica degli Stati Membri. 
Non solo dell'Italia e dei cosiddetti periferici, ma anche di quelli ritenuti virtuosi, come la stessa Germania, che sta al pari dell'Etiopia attorno al 15mo posto nella classifica dei paesi con la crescita minore. 
Tutti gli stati della zona Euro sono inclusi nelle 40 posizioni di coda. In generale tutti quelli della UE restano molto lontani dalle zone di vertice. Proprio a indicare la valenza negativa della moneta unica che influenza anche i paesi europei che non la adottano 
Un intervento lungo, quello del prof. Guarino, e di gioviale leggerezza formale. Ma allo stesso tempo implacabile nell'evidenziare le conseguenze di una costruzione e di una regolamentazione malfatte, causa del tracollo economico di tutto il Continente. E che sta trascinando verso il basso le altre economie, anche quelle dei paesi emergenti che fino a poco tempo fa sostenevano la crescita a livello planetario. 
In sostanza, chiude il prof. Guarino, l'Euro ha vulnerato la democrazia degli Stati che vi hanno aderito. 

Nonostante l'età il Professore ha sostenuto il suo intervento con una verve, una precisione, una lucidità e una progressione argomentativa fin quasi sbalorditive, tali da fargli augurare una vita lunghissima da parte di ogni sincero fautore della democrazia. 
Di gente così non se ne fabbrica più: se ne è perso proprio lo stampo. Quindi occorre che la si tenga da conto con la cura più premurosa. 

Un'ultima considerazione del prof. Guarino ha riguardato la sua convinzione, maturata proprio nello studio delle contraddizioni dell'eurozona, che ormai parametri come il PIL, il suo rapporto col debito e gli altri utilizzati di solito nelle analisi economiche siano obsoleti. E che vadano sostituiti con un indice ricavato dal costo effettivo degli interessi sul debito sostenuto da ogni Stato. 

La pausa per un coffee break di qualità eccellente conclude la prima parte della presentazione. 
Gli interventi degli altri relatori hanno fatto piombare nel grigiore il convegno, escluso in parte quello della professoressa Brigitte Granville, docente alla School of Business and Management della Queen Mary University di Londra. Con il supporto di una buona quantità di dati, ha messo in luce non solo i problemi attuali, ma anche quelli ancora peggiori che l'Euro causerà ai paesi UE nel prossimo futuro. 
Unica alternativa è che la Germania si decida a effettuare massicci trasferimenti di ricchezza verso gli altri paesi. Cosa che ha già dimostrato di non essere assolutamente intenzionata a fare. Peraltro secondo i dati illustrati dalla Granville andrebbero effettuati in una misura fuori da ogni ragionevole attuabilità. Dato che solo verso la Francia i tedeschi dovrebbero trasferire il 4% del loro PIL ogni anno. 
In mancanza, la stessa Francia si ritroverà nel 2026 con un rapporto debito/PIL superiore al 200%, che salirà nel 2032 al 250%. E malgrado non faccia (ancora) parte dei PIIGS. 
Figuriamoci cosa potrà accadere ai paesi periferici. 

Dopo l'intervento del polacco Stefan Kawalec (Capital Strategy) e di Jens Nordwig (Nomura), è stata la volta di Hans Olaf Henkel dell'Università di Mannheim, ex capo della Confindustria tedesca. 
Nessuno escluso, i relatori esteri hanno puntato gran parte della loro attenzione sui mercati, parola riecheggiata nell'aula del convegno con la frequenza di gran lunga maggiore nei loro interventi. A fronte della quale il benessere condiviso e la dignità non sono stati menzionati praticamente mai. E neppure gli individui, i lavoratori, le famiglie e i cittadini se non per colpevolizzarli, come vedremo tra poco. 
Al di là di questo, comunque rivelatore di un abito mentale tipico di chi può essere estremamente preparato e competente ma dà l'impressione di vivere una realtà avulsa da quella dei comuni mortali intrappolati nel torchio eurocratico, l'immagine espressa dai cofirmatari del Manifesto Di Solidarietà Europea è stata di una freddezza glaciale e di una concentrazione totale ed esclusiva sui numeri. Del tutto scevra però dall'apparenza di qualsiasi forma di comprensione per il loro addentellato con la vita reale, in modo tale da non permettere di comprenderne il vero significato traslato nel quotidiano di chi deve confrontarsi con gli effetti di un progetto tanto nocivo. 
Prescindendo dagli scopi della presentazione, un contegno simile richiama alla mente con la più grande prepotenza le parole di J. Attali, consigliere di Mitterrand e padre dell'Euro: “...cosa credeva la plebaglia europea, che l'Euro fosse fatto per il loro benessere?” 
Da parte sua Henkel ha confermato la tipica mentalità tedesca, incentrando il suo intervento sui problemi che la moneta unica causerà al suo paese, oltre a quelli periferici. Tra l'altro si è reso protagonista di un esempio di maleducazione plateale quando, presentandosi in ritardo, non si è curato di aver disturbato l'uditorio ponendosi tra questo e il palco mentre si prolungava nel salutare gli altri relatori esteri. Interrompendo oltretutto, e senza neppure scusarsi, il discorso del Professor Guarino, da parte sua visibilmente imbarazzato e sorpreso da un comportamento simile. 
Al di là di questo, la sincera impressione che ho ricavato dai cofirmatari del documento di cui è stata eseguita la presentazione, è che abbiano un interesse non così pressante per la sua valenza di strumento atto alla riduzione delle conseguenze materiali dell'Euro su una platea di milioni di cittadini europei. Quanto invece di interpretarlo alla luce della propria ambizione personale, nell'andare a presidiare posizioni che hanno ottime probabilità di acquisire rilevanza nel prossimo futuro. Tale da conferire maggiore visibilità e affermazione. 

Si è passati così agli interventi degli ex ministri Giorgio La Malfa e Vincenzo Scotti, oggi rettore dell'università presso la quale si è tenuto il convegno. Entrambi hanno dato l'impressione di essere preoccupati soprattutto di puntualizzare che i problemi riscontrati nella fase successiva all'adozione dell'Euro siano causati da ripetuti errori di progettazione della moneta unica e di stesura dei regolamenti. E poi di analizzare con un certo puntiglio ciascuno di quegli errori. 
Se la vita insegna qualcosa, è proprio che certi fatti difficilmente avvengono per caso, soprattutto in determinati ambiti. Quanto invece per interessi ben specifici, che poi sono quelli che hanno goduto dei vantaggi maggiori: un cumulo simile di errori di rado può essere fortuito e tantomeno frutto dell'inadeguatezza di chi ha promulgato la moneta unica. 
Ancora una volta la tesi “pasticcionista”, oggi tanto di moda e in apparenza conveniente, sembra dover essere destituita di fondamento 
Inevitabile poi chiedersi, e lo chiede anche Scotti, dove si trovassero coloro che oggi interpretano il ruolo di fustigatori dell'Euro, nel momento in cui si sarebbe dovuto mettere in guardia la cittadinanza. Perché mai quest'urgenza di critica nei suoi confronti la si dimostra solo ora che il danno è fatto? 
A seguito del suo breve intervento, Bagnai è stato alquanto rampognato da Scotti, al quale ha risposto tentando di rassicurarlo riguardo all'essere d'accordo con lui su tutte le posizioni. Cosa che l'ex ministro ha preso visibilmente con ampio beneficio d'inventario. 

Da notare l'assenza pressoché totale della classe politica. In particolare di quella appartenente alla “sinistra”, più o meno pseudo. Che come sempre sulle questioni eurocratiche preferisce non ammettere la colpa della propria Realpolitik, e tantomeno gli effetti disastrosi che ha causato, in primo luogo a danno delle classi sociali che ha da tempo rinnegato. 
Invece trova più confacente farsi scavalcare dalla destra: ecco allora che l'unico personaggio politico di spicco a partecipare al convegno è stato Gianni Alemanno, trattenutosi per l'intera sua durata e chiamato dal moderatore a un breve intervento. In esso ha descritto la sua esperienza fatta a Cancun, ai tempi in cui era ministro dell'agricoltura. Mentre i rappresentanti di gruppi omogenei di stati, come quelli dei paesi emergenti, parlavano con una voce sola in funzione del loro interesse comune, i diversi rappresentanti delle nazioni europee hanno sempre dimostrato di voler perseguire ciascuno il proprio tornaconto, con dichiarazioni ed obiettivi perennemente divergenti. Dimostrando così non solo l'incapacità di ottenere un qualsivoglia risultato tangibile, ma quale fosse la reale entità della sedicente Comunità Europea. Anche solo in questioni di immagine. 

L'intervento di Claudio Borghi Aquilini, oltre a puntualizzare le sue posizioni politiche, ha fornito almeno un modo inedito di descrivere gli effetti dei problemi indotti dall'Euro così come è stato concepito. Che a mio avviso è centrato e istruttivo. 
Ha paragonato le economie di ogni stato dell'eurozona ai pistoni di un motore, che invece di girare in accordo gli uni con gli altri se ne vanno per conto proprio. Causando per forza di cose la rottura del motore, in assenza di un dispositivo meccanico atto ad armonizzare il loro funzionamento. 

Altra presenza di rilievo è stata quella di Antonio Rinaldi, l'autore del libro Europa Kaputt. Dovrebbe essere distribuito nelle edicole ma è in pratica introvabile. Con grande cortesia ne ha distribuito al pubblico presente alcune copie. 

L'accadimento che reputo più istruttivo dell'intero convegno è stato quando il dott. Aletta ha invitato i relatori esteri a porre qualche domanda agli ex ministri italiani. Allora Henkel ha posto una domanda a Scotti imputandogli una posizione del tutto contraria a quella che invece aveva sostenuto pochi momenti prima. 
E' possibile che il servizio di traduzione simultanea non fosse il migliore di questo mondo, e per carità di patria si è visto costretto ad addossarsi la colpa del malinteso. Un po' come, quando sparisce un prezioso in casa, la colpa si dà sempre alla colf. La cosa, che potrebbe sembrare un semplice incidente di percorso, a viverla di persona ha assunto contorni alquanto surreali. Dimostrando una volta di più come sia utopico il mettere nello stesso contenitore popoli di linguaggio, cultura, storia e sensibilità differenti al punto di equivocare persino su questioni di una certa banalità. 

Come se non bastasse, Henkel ha voluto fare proprio il luogo comune che i greci non paghino le tasse per metterlo in relazione alla crisi profondissima del loro paese. Punto di vista inaccettabile essendo noto che in quel paese ci sono centinaia di migliaia di bambini malnutriti, le persone per scaldarsi d'inverno sono ridotte a dare fuoco alle suppellettili della loro casa e nei supermercati si vendono a prezzo minore generi alimentari scaduti perché molti non hanno la possibilità di acquistare quelli a prezzo pieno. Li si è ridotti in condizioni simili e, malgrado si viva in un paese tanto ricco o forse proprio per questo, l'unica cosa di cui ci si riesce a preoccupare è se paghino le tasse o meno. 
Pazzesco. 
In quel momento avrei voluto mettere quei tecnocrati di fronte al loro cinismo. 
Ripensandoci a freddo, sarebbe stato fiato sprecato. Non avrebbero mai capito, o comunque avrebbero finto di non farlo e avrei scatenato una polemica inutile. 
Tuttavia non posso esimermi dal riportare una simile prova di indifferenza, che oltre a mostrare quale livello di banalizzazione abbia raggiunto ormai l'esercizio del male su milioni di persone, sancisce una volta di più quale sia il vero collante che tiene legati assieme Stati che non hanno nulla a che fare l'uno con l'altro. A parte una qualche contiguità geografica e la discriminazione arbitraria che i più forti pretendono di eseguire sui più deboli al fine di spossessarli con maggiore facilità delle loro magre ricchezze. 

Per essere sincero ero in qualche misura preparato a cose simili, dato che in passato ho potuto partecipare a svariati convegni di livello internazionale, in qualità di rappresentante italiano. Nel quadro di un programma di incontri con i rappresentanti di lavoratori e sindacati europei, volto a costituire un'entità comunitaria anche a quel livello. Ambito nel quale ho potuto sperimentare di persona la disposizione da parte dei rappresentanti tedeschi e dei paesi dell'area germanofona a fare fronte unico ai fini dell'acquisizione di un controllo assoluto, sia pure di organi puramente consultivi. 
Malgrado ciò le parole di Henkel sono state una frustata in piena faccia e un insulto alle sofferenze di tanti individui: davvero una posizione inammissibile, ancor più in chi si proclama sostenitore di una solidarietà che dimostra essere di facciata già a parole. 
Come non attribuire a tutto questo la valenza di ulteriore riprova dell'approccio di cui ho parlato in precedenza. Ma soprattutto del fatto che i popoli spinti sempre più verso la povertà dalla casta europoide non possano attendersi nulla da un'elite di tecnocrati ambiziosi. E men che mai possano delegare ad essa una qualche speranza di riscatto. 

A quel punto la chiusura del grande Professor Guarino, per quanto interessante e finalmente centrata su quello che si immagina dovrebbe essere lo spirito e l'obiettivo concreto di un Manifesto di Solidarietà Europea, ha potuto risollevare solo in parte gli esiti di un convegno organizzato probabilmente con scopi di altro spessore e non senza dispendio di mezzi. Ma che ancora una volta non ha potuto che mettere nell'evidenza più cruda le incongruenze di un'unione tra individui di radici, cultura e pensiero troppo diversi, che a vari decenni dagli inizi delle esperienze comunitarie si dimostra quanto siano difficilmente canalizzabili verso una convergenza che riesca a produrre vantaggi suddivisi equamente. 


Didascalia immagine di apertura
Grafico della prof. Granville, elaborato su dati Thomson Reuters: il rapporto debito/PIL francese, oggi inferiore al 100%, è atteso oltrepassare la soglia del 200% nel 2026 e del 250% nel 2032, qualora non intervengano modificazioni significative per gli assetti, i regolamenti e la distribuzione della ricchezza tra gli stati dell'eurozona. 

24.09.2012 

Fonte: Comedonchisciotte.org

venerdì 27 settembre 2013

Caro amico Ti spiego facilmente perchè l'Italia è in svendita!.

La prima domanda da porsi e’: come sono variati i prezzi delle aziende in Europa?

Se guardate bene il grafico sottostante che indica l’andamento degli Indici Azionari in 4 nazioni dell’Eurozona, vedrete che tra le varie nazioni europee, ci sono andamenti del tutto divergenti, specialmente dopo il 2008.

Sostanzialmente il valore delle aziende Italiane s’è piu’ che dimezzato, quelle Francesi e Spagnole hanno valori ridimensionati tra il 17% ed il 25%, mentre quelle tedesche si sono rivalutate del 28%.

Chi ci legge, sa bene la ragione: la Germania contenendo il Costo del Lavoro nel sistema a cambi fissi, ha incrementato export e produzione, e quindi utili, per cui vede le sue aziende rivalutarsi. Di contro le altre nazioni, indebolite nei profitti e nella produzione, hanno visto un forte ridimensionamento del loro valore. In Italia il fenomeno e’ piu’ accentuato che in Spagna e Francia, che comunque hanno andamenti completamente divergenti rispetto alla Germania.

Solito Film gia’ visto: la Germania s’e’ arricchita (specie il sistema privato), tutti gli altri impoveriti, ed il fenomeno ha una sua dinamica evidente specialmente dopo la meta’ degli anni 2000, vale a dire dopo le riforme Hartz sul mercato del lavoro in Germania.

In sintesi, qualsiasi azienda mondiale, puo’ fare shopping in Italia (oltre a Grecia e Portogallo) a prezzi da svendita e puo’ acquistare bene nel resto d’Europa (Germania esclusa).






Diamo uno sguardo alle principali cessioni di aziende Italiane da parte di acquirenti stranieri, nel corso degli anni, grazie a Simone Previti:

1999
Algida (Unilever)

2000
Emilio Pucci (Arnault, Francia)
Fiat Ferroviaria (Alstom, Francia)

2001
Bottega Veneta (Francia)
Fendi (Francia)

2003
Peroni (Sudafrica)
Sps Italiana Pack Systems (Usa)

2005 
Acciaierie Lucchini (Russia) 
Benelli (Cina)

2006
Carapelli Sasso e Bertolli (Spagna)
Galbani (Francia)

2008 
Osvaldo Cariboni (Alstom, Francia)

2009 
Fiat Avio (divisione Fiat per il settore aerospaziale) (Usa,Inghilterra)

2010
Fastweb (Svizzera, aveva già parte delle azioni dal 2007)
Belfe (Sud Corea) 
Lario (Sud Corea)
Boschetti alimentare (confetture) (Francia)

2011
Gancia (Russia)
Fiorucci (salumi) (Spagna)
Parmalat (Lactalis, Francia)
Bulgari (Francia)
Brioni (Francia)
Wind (Russia, prima Egitto)
Edison (Francia)
Mandarina Duck (Sud Corea)
Loquendo (leader nelle tecnologie di riconoscimento vocale) (Usa) 
Eridania (zucchero) (Francia)

2012
Star (Spagna) Controlla i marchi RisoChef, Pummarò, Sogni d’Oro, GranRagù Star, Orzo Bimbo ed Olita
Ducati (Germania)
Eskigel (produzione gelati per varie catene di supermercati) (UK)
Valentino (Qatar)
Ferretti (nautica) (Cina)
AR Pelati (pomodori) (Giappone)
Coccinelle (Sud Corea) 
Sixty (Cina) Proprietaria dei marchi Miss Sixty e Energie

2013
Richard Ginori (venduta a Gucci, Francese)
Loro Piana (Francia)
Pernigotti (Turchia)
Chianti Gallo Nero Docg (Cina)
Pomellato (Francia)
Scotti Oro (Spagna per il 25%)

Guarda caso, c’e’ un chiaro parallelismo tra crollo dei valori azionari ed acquisti di aziende Italiane dall’estero.
Il Parallelismo ovviamente e’ del tutto evidente anche guardando altri indicatori:
Il flusso medio annuale di Investimenti Diretti Esteri in Entrata e’ passato da rappresentare uno 0,2-0,3% dal 1979 al 1998, ad oltre l’1% del PIL dal 1999 al 2011.
Il progressivo deterioramento negli ultimi 15 anni della componente Redditi da capitale del Conto Corrente della Bilancia dei Pagamenti



Torniamo indietro di 20 anni….

Tornando al settembre del 1992, quando la Lira ed altre valute svalutarono sul Marco, si ebbe una formidabile performance nei 20 mesi successivi, di tutte le Borse Europee, e guarda caso la Borsa Italiana fece un mirabilante +125%, contro il +50% della Germania. Cosa accadde? Ovviamente parte dell’aumento e’ legato a ragioni di contesto mondiale, e parte al fatto che si usciva col riallineamento valutario da una situazione di squilibrio (e quindi crisi) ad una situazione dove “il peggio era alle spalle”. Ma la divaricazione straordinaria tra l’andamento della Borsa Italiana e quella Tedesca era ovviamente legata alla svalutazione, che significava maggior reddittivita’ legata al miglior andamento produttivo ed export. Casualmente negli anni post-svalutazione gli acquisti di aziende nazionali fu minimo, nonostante il deprezzamento valutario, perche’ le aziende ripresero valore.


L’acquisto massivo di aziende italiane dall’estero e’ qualcosa di fortemente negativo

Chi vede esclusivamente positivita’ nel massivo acquisto dall’estero di aziende Italiane (non compensato da analoghi acquisti Italiani all’estero), perche’ vede in cio’ potenziali miglioramenti dei servizi, ristrutturazioni salutari, investimenti, ecc. dovrebbe tenere a mente 2 fatti importanti:
- Un incremento massivo delle proprieta’ straniere significa una crescita costante del deficit della voce Redditi della Bilancia dei Pagamenti, che in ultima analisi deprime il PIL e peggiora la Posizione netta sull’Estero
- Spesso chi “acquista” lo fa a scopo predatorio: ad esempio per eliminare un concorrente (lo compra, lo ridimensiona e trasferisce parte della produzione altrove) o per disporre di un canale distributivo (importando merci). Ovviamente anche questo impatta sulla ricchezza del paese nel tempo.

Chi si lamenta degli acquisti esteri, farebbe bene a non piangere

Diversi attori della commedia Italiana (ad esempio i Sindacati) ovviamente chiedono azioni al Governo in questi casi (ad esempio nel caso Telecom). Probabilmente sperano in una nazionalizzazione o comunque in un qualche azione governativa salvifica (ed irreale) di imposizione ad una proprieta’ estera di non si sa bene cosa. Ovviamente non colgono che la causa di queste massive (s)vendite, e’ il crollo del valore generalizzato delle aziende stesse, consequenziale all’andamento negativo dell’economia e del costo del lavoro, nonche’ al sistema dei cambi fissi (leggi EURO ndr) sommato all’inefficenza nostrana causata proprio dal salvatore (lo Stato) e da loro stessi (i sindacati). Ovviamente ci sarebbe da ridere, ma purtroppo e’ una tragedia.

By GPG Imperatrice

mercoledì 25 settembre 2013

Lettera ad un Amico: "l’uscita dall’Euro e’ questione essenziale non sottovalutarla!"

PARTE 1 – SFORZI INUTILI

Caro mio,

Ho provato in tutti i modi a spiegarti la questione EURO, ma continui irrimediabilmente a sottovalutarla.

1) Sappiamo che gia’ 42 anni fa c’era chi sapeva che sarebbe stato un fallimento fare una valuta unica prima di fare un unione politica, dei mercati del lavoro e fiscali e senza un sistema di trasferimenti, e spiegava con estrema lucidita’ l’evoluzione con una crisi di sistema legata agli squilibri: L’Economista Kaldor nel 1971 spiegava con precisione millimetrica il perche’ l’Euro avrebbe fatto collassare il sistema 
2) Ti ho messo graficamente tutti i dati economici degli ultimi 15 anni che spiegano la crisi: USCIRE DALL’EURO? DATI PER RAGIONARCI SOPRA 
3) Ti ho spiegato graficamente il Ciclo della Crisi dell’Eurozona in 9 semplici slides (clicca sul titolo per aprirlo) e poi ti ho spiegato nel dettaglio i perche’ della Crisi attuale: Capire la Crisi dell’Europa in 80 slides 

4) Abbiamo smontato una per una, con tanto di dati e grafici, le argomentazioni del potere e degli euro-sognatori: Fact Checking alle argomentazioni pro-euro: smontiamole una ad una (clicca sul titolo per aprirlo)

5) Abbiamo svolto, unici in Italia, una simulazione numerica di uno scenario europeo su diversi indicatori economici, con e senza euro: Esclusiva Analisi: simulazione di cosa accadrebbe con e senza EURO. (clicca sul titolo per aprirlo) 

6) Ti ho spiegato con grafici e dati storici la ragione per la quale all’Italia conviene uscire EURO: Analisi di dettaglio del perche’ all’Italia conviene uscire (clicca sul titolo per aprirlo)

7) Ti ho dato tutti gli elementi per capire perche’ Italia e Germania hanno irrimediabilemnte interessi divergenti, Euro-crisi: Germania, Italia e gli altri, un matrimonio destinato a finire male…. molto male (clicca sul titolo per aprirlo)

Detto quanto sopra, ti ho dato a disposizione il “meglio” degli elementi disponibili in campo economico a livello internazionale:

8) Ti ho postato TUTTI gli studi relativi al break-up dell’Euro: Nove studi e rapporti a confronto sul break-up dell’Euro (clicca sul titolo per aprirlo)

9) Ti ho evidenziato cosa dicono gli economisti di maggior fama mondiale: 4 Premi Nobel (Paul Krugman, Milton Friedman, Joseph Stigliz, Amartya Sen): “l’Euro e’ una patacca” (clicca sul titolo per aprirlo)

Le parole di Milton Friedman, autentico liberale, gia’ nel 1998 spiegavano che la Moneta Unica e’ un Soviet e Bruxelles e Francoforte prenderanno il posto del Mercato (clicca sul Titolo per vedere l’articolo integrale; sotto gli estratti piu’ significativi)



Niente di sbagliato, in generale, a volere un’unione monetaria. Ma in Europa c’e’ gia’ ed e’ quella esistente di fatto tra Germania, Austria e Paesi del Benelux. Niente vieta che, se ci tiene, l’Italia aderisca a quella. Il resto e’ una costruzione non democratica“.

Piu’ che unire, la moneta unica crea problemi e divide. Sposta in politica anche quelle che sono questioni economiche. La conseguenza piu’ seria, pero’, e’ che l’euro costituisce un passo per un sempre maggiore ruolo di regolazione da parte di Bruxelles. Una centralizzazione burocratica sempre piu’ accentuata. Le motivazioni profonde di chi guida questo progetto e pensa che lo guidera’ in futuro vanno in questa direzione dirigista.…. 

…Ma non vedo la flessibilita’ dell’economia e dei salari e l’omogeneita’ necessaria tra i diversi Paesi perche’ sia un successo. Se l’Europa sara’ fortunata e per un lungo periodo non subira’shock esterni, se sara’ fortunata e i cittadini si adatteranno alla nuova realta’, se sara’ fortunata e l’economia diventera’ flessibile e deregolata, allora tra 15 o 20 anni raccoglieremo i frutti dati dalla bendizione di un fatto positivo. Altrimenti sara’ una fonte di guai“.

Cosa prevedo succederà? Una riduzione della libertà di mercato. A Francoforte siederà un gruppo di banchieri centrali che deciderà i tassi d’interesse centralmente. Finora, le economie, come quella italiana, avevano una serie di libertà, fino a quella di lasciar muovere il tasso di cambio della moneta. Ora, non avranno piu’ quell’opzione. L’unica opzione che resta e’ quella di fare pressione sulla Ue a Bruxelles perche’ fornisca assistenza di bilancio e sulla Banca centrale europea a Francoforte perche’ faccia una politica monetaria favorevole. Aumenta cioe’ il peso dei governi e delle burocrazie e diminuisce quello del mercato. Sarebbe meglio fare come alla fine del secolo scorso, quando, col Gold Standard, l’Europa aveva gia’ una moneta unica, l’oro: col vantaggio che non aveva bisogno di una banca centrale.

…Quello che c’e’ da dire sul mercato unico, piuttosto, e’ che e’ reso piu’ complicato proprio dall’Unione monetaria che rende piu’ difficili le reazioni delle economie, toglie loro strumenti e le rende piu’ dipendenti dalle burocrazie”. 

La dinamica della crisi attuale e’ figlia dell’Unione Monetaria:

- Negli ultimi anni, una nazione s’e’ rafforzata in Europa, la Germania, ed il resto dell’Eurozona e’ andato a gambe all’aria o quasi. Il motivo l’abbiamo spiegato mille volte: la Germania ha fatto una politica di compressione salariale e cio’ ha permesso di guadagnare un 20-25% di competitivita’ sugli altri paesi (non solo sull’Italia), allargando la sua produzione, il suo PIL, la sua bilancia commerciale e riducendo la sua disoccupazione. Sostanzialmente in un sistema a moneta comune e’ come se avesse SVALUTATO. Tutti gli altri paesi europei hanno ridotto produzione ed ampliato i deficit commerciali, ed hanno avuto un boom dei Debiti Privati. Allo scoccare della crisi sono andati gambe all’aria

- Il problema essenziale non sta nei Deficit Pubblici, nella Burocrazia, nelle Tasse, ma negli Squilibri di competitivita’ nel sistema Privato. Infatti anche paesi a basso Deficit e Debito e bassa Tassazione e Spesa Pubblica, come la Spagna o l’Irlanda, sono andati a gambe all’aria. La Spagna ha perso 3 milioni e mezzo di posti di lavoro.

- Sostanzialmente quasi tutti gli Studi internazionali dicono che in caso di Breakup dell’Euro le nazioni periferiche avrebbero netti vantaggi e la Germania riceverebbe una mazzata

- Anche oggi, in pieno 2013, l’Italia sta perdendo quote di mercato sia sui mercati esteri, che sul mercato interno. La causa principale e’ semplicemente legata ad una perdita di competitivita’ connessa al fatto di non poter svalutare



PARTE 2 - ANALISI, CRITICHE E SOLUZIONI

Scappare all’Estero

Rispetto chi dice che l’Italia e’ una sorta di Titanic irriformabile, per cui l’unica soluzione per ogni singolo e’ scappare dall’Italia e cercare fortuna all’estero. Costoro omettono pero’ di dire, che pure andare all’estero comporta rischi tutt’altro che trascurabili (e lo dice una persona che 5 anni all’estero per lavoro se li e’ fatti), ed il benessere non e’ per niente garantito; tra parentesi nel caso di una crisi mondiale, ipotesi tutt’altro che
remota, verrebbero investite in pieno anche altre nazioni. Tanti Italiani emigrarono nel passato, e non tutti lo fecero in nazioni che successivamente hanno avuto dinamiche economiche migliori dell’Italia. Inoltre non e’ pensabile che fuggano 60 milioni di Italiani.

Il nodo competitivita’ del settore Privato

Sulla questione rilancio dell’Italia, il discorso e’ di una semplicita’ impressionante: il problema dell’Italia non risiede integralmente nel “pubblico”, ma e’ un problema di “competitivita’” del sistema paese (sia pubblico che privato).

Da 15 anni PIL e Produzione flettono brutalmente rispetto alla media europea. Cio’ e’ semplicemente connesso ad una poderosa perdita di competitivita’ (in soldoni perdiamo quote di mercato sia sul mercato interno che su quello estero).

Per cui non esiste soluzione per rilanciare l’Italia che non passi dal riprendere competitivita’.

Come riprendi competitivita’? 

Sostanzialmente riducendo il CLUP (Costo del Lavoro per unita’ di prodotto).

La quota salari pesa circa il 50% del PIL, mentre, per esempio la quota energia e’ legata ad una bolletta energetica che pesa il 5% del PIL (conta pure questa, ma certamente molto meno).

Come riduci il CLUP? Hai sostanzialmente 2 strade:

a) Svaluti

b) Riduci i salari (quindi riduci l’occupazione, paghi meno la gente, e riduci ovviamente anche le entrate fiscali connesse)

Vediamo gli effetti:

a) Se svaluto per esempio del 15% rispetto alla media delle valute mondiali, semplicemente miglioro il CLUP del 15%. La competitivita’ complessiva migliora ovviamente di meno (per l’energia ed altro). Tradotto significherebbe per l’Italia passare da Bilancia dei pagamenti nulla ad attivo di 60-80 mld (esattamente quanto avvenuto nel 1993-95). Cio’ tra l’altro ti migliora i conti pubblici di 30 mld (che volendo puoi utilizzare per ridurre il cuneo fiscale e quindi ancora una volta il CLUP ed avere un ulteriore PIL aggiuntivo). Esito? PIL crescente, Indebitamento (pubblico e privato) calante. E cio’ e’ la premessa per far ripartire i consumi interni e quindi la nazione

b) Poniamo ora di voler ridurre i salari. Che accade? Semplicemente crollano consumi ed investimenti, ed il PIL va malissimo (film visto in molti paesi periferici) ed il Debito Pubblico esplode. Ovviamente puoi ridurre la componente Tasse e non quella retribuzioni, ma cio’ avrebbe tempi dell’ordine di 10 anni (se non vuoi far esplodere il deficit), e nel frattempo sei cotto a puntino.

Il nodo classe dirigente italiana poco seria

Mi si dice: uscire dall’Euro e’ irrealistico vista la classe dirigente che abbiamo. Giusto. Ma e’ realistico pensare che questa massa di idioti persegua la soluzione b) di cui sopra in modo organico? No.
E’ realistico che costoro riformino la struttura pubblica? No.
E poi, dettaglio non irrilevante, pensiamo realmente che in un sistema a cambi fissi, una nazione con una tradizione di industria parcellizzata possa in modo durevole avere meno inflazione della Germania? No di certo. 
E pensiamo che alla fine la Germania accetti di pagare 100-150 miliardi di trasferimenti all’anno a favore del resto d’Europa, per non far saltare l’Euro? No.

Cosa accadra’ in Italia?

Semplicemente accadra’ che alla prossima grande crisi mondiale, il sistema EURO verra’ sgretolato. Nel frattempo continueremo beatamente a declinare come paese. Tutto qui.

La soluzione salvifica del Default

C’e’ chi dice che la soluzione e’ il Default? Ma e’ veramente cosi’? No, se resti in un sistema a cambi fissi. Motivo banale: anche il default ha effetti evidenti sul saldo pubblico, ma il problema del CLUP ti rimane (che e’ un problema del settore privato), per cui torni alle soluzioni a) o b) di cui sopra, con le conseguenze annesse.

La Germania

Contestazione abituale e’ dire che chi vuole uscire dall’euro fa critiche sterili alla Germania e non capisce che il problema vero sta a casa nostra. E’ una visione sostanzialmente “morale” a mio vedere. La Germania negli ultimi anni ha fatto una politica predatoria, sostanzialmente “rubando un 10% del PIL” ai vicini. Il tutto in un contesto, quello Europeo, che vede (anche a causa di questa politica) un andamento economico sostanzialmente disastroso.

Ovviamente, ci si scorda anche di 2 guerre mondiali, ambedue con la Germania come protagonista: entrambe le guerre, al di la’ delle ragioni ufficiali, furono scatenate da forti contrasti economici, tra la potenza tedesca (che aveva interesse ad ampliare la propria area vitale di scambi, come condizione essenziale per poter ulteriormente far sviluppare la propria economia) e le altre grandi nazioni europee. Non sono “dettagliucci”: oggi siamo per certi versi nella stessa situazione, e la Germania ha attuato una sorta di svalutazione, approfittando del cambio fisso, esattamente per le stesse ed identiche ragioni di fondo che causarono qualche decina di milioni di morti in Europa (l’allargamento del proprio spazio vitale): oggi i “morti” sono alcune decine di milioni di persone nei periferici (nuovi disoccupati, imprenditori impiccati, giovani senza accesso al mercato del lavoro o sottoposti ad una estrema precarizzazione).

Poi e’ del tutto ovvio che la colpa non e’ solo della Germania, ma e’ anche di tutte le altre nazioni europee, noi in testa, che hanno lasciato ai crucchi fare cio’ che hanno fatto, senza concertare le politiche, e probabilmente senza capire veramente cosa stava accadendo.

Ma ogni causa ha un effetto: se la Germania nell’era euro e’ passata dall’essere il grande malato d’europa (8 anni fa erano la nazione con piu’ disoccupati d’europa tra quelle medio-grandi) ad una corazzata invincibile, l’effetto e’ aver raso al suolo due terzi delle altre nazioni europee.

Personalmente ho visto di tutto nella vita, ma Leader che sostanzialmente prendono a calci i propri sottoposti, storicamente hanno sempre fatto una brutta fine (magari avandone vantaggi inizialmente): finira’ cosi’ anche questa volta, credo.

Ulteriore dettaglio: anche nazioni con classi politiche e dirigenti piu’ che decenti sono state investite in pieno dalla crisi. Inoltre rammento che anche 10 anni fa, nonche’ 20 anni fa, nonche’ 30 anni fa, avevamo comunque classi dirigenti penose e burocrazie assurde (ricordo, anzi, che 20-30 anni fa i sindacati facevano un casino terrificante): stranamente pero’ l’Italia stava decisamente meglio.

Euro e Libero Mercato

Dal mio punto di vista non si puo’ essere a favore del LIBERO MERCATO e contestualmente essere a favore dell’attuale costruzione dell’EURO. Libero Mercato significa “flessibilita’”. Una valuta nazionale ha una forza che e’ funzione della forza del paese, e muovendo i cambi il sistema SI AUTOREGOLA. Ovviamente se si fa l’EURO mettendo in comune mercato del lavoro, debiti e con meccanismi di trasferimento, si trovano strumenti di flessibilita’.

Le parole di un autentico liberale come Milton Friedman sopra riportate sono chiarissime, e perfettamente logiche. Anche il buon Friedrich von Hayek credo si stia rigirando nella tomba.

Ma l’EURO attuale e’ un sistema INGESSATO, senza alcuna FLESSIBILITA’, una sorta di sistema sovietico, il cui esito e’ che la Nazione piu’ forte si rafforza ai Danni delle piu’ deboli. Tutto qui.

Ci sono persone autenticamente liberali o “austriache” che provano in ogni modo a negare che la costruzione attuale dell’Euro sia in totale costrasto proprio con i principi di base del liberalismo e della scuola austriaca: il punto e’ che sostanzialmente mentono a se’ stessi.

Il problema sono i parassiti, la burocrazia, lo Stato, le corporazioni, etc. L’euro e’ un problema minore. Sara’ vero?

E’ ovvio che questi siano tutti problemi fondamentali. Si sa, che a differenza di tanti che amano criticare, pontificare e basta, ho fatto un grosso lavoro per fare proposte costruttive e puntuali:
Manovra shock da 150 miliardi di Riduzione delle Tasse (e Spese) per far Rinascere l’Italia

Il punto e’ che una serie di nazioni europee, entrate nell’euro, che avevano bassissimo Debito Pubblico e Deficit, sistemi con Spesa Pubblica e Tassazione contenuta, Stato efficiente, buone infrastrutture, costi minori dell’energia, e burocrazia tollerabile, sono semplicemente finiti a gambe all’aria. Film visto sistematicamente in ogni dollarizzazione. Un esempio e’ la Spagna (ma ve ne sono anche altri di esempi). La ragione e’ banale: il sistema privato e’ ultra-indebitato e la bilancia dei pagamenti e’ sprofondata, in perfetto parallelismo con la perdita di competitivita’ con la Germania. La Spagna e’ ancora i piena crisi, nonostante 3 milioni e mezzo di disoccupati aggiuntivi.

E qualcuno realmente crede che se l’Italia iniziasse un percorso (che durerebbe molti e molti anni) di riduzione della spesa pubblica, riduzione delle burocrazia, etc il problema della Competitivita’ del sistema privato verrebbe risolto? No, di certo. Perlomeno no di certo in tempi brevi e medi. Ovviamente sono tutte cose da fare, ma farle restando in un sistema ingessato e partendo da un 20-25% di gap nel Costo del Lavoro per Unita’ di Prodotto, non cambia la musica, e la tendenza all’impoverimento progressivo continuera’.

L’Euro non e’ un problema come i tanti altri che ha l’Italia. Non e’ neanche un problemuccio minore, o come una questione in cui non si puo’ aver un opinione. L’euro e’ un problema fondamentale per l’Italia e per l’intero continente. L’attuale costruzione provoca (inevitabilmente) un impoverimento complessivo continentale, con effetti maggiori nelle nazioni piu’ deboli. La non risoluzione di questa questione, semplicemente portera’ al proseguimento di tale impoverimento. La costruzione saltera’ inevitabilmente prima o poi, e questo non lo dico io, ma l’hanno previsto menti eccezionali gia’ decenni fa. Uscire dall’euro e’ la premessa per poter agire su tutti gli storici mali di cui soffre la nazione, e non un alibi per non affrontarli. Uscire dall’euro e’ interesse ben preciso delle classi popolari e borghesi lavoratrici, nonche’ della sterminata massa di piccoli e medi imprenditori, e non delle categorie parassitarie, dirigenti, sindacali, bancarie e corporative (non casualmente schierate al 100% in difesa del feticcio).

Un saluto ed un’abbraccio
By GPG Imperatrice

Fonte: www.scenarieconomici.it

martedì 24 settembre 2013

La manovra della manovra

L’apoteosi per le elezioni tedesche ha trovato il suo apogeo sui media italiani, relegando alle pagine secondarie le avvilenti vicende politiche nostrane. Il tutto manifesta, se mai avessimo avuto bisogno di conferma, quanto “germanocentrica” sia l’Europa e quanto noi italiani si voglia continuare a manifestare la nostra sottomissione nei confronti del paese egemone.

Mentre nel nostro cortile, piccolo piccolo, si continua a cercare qualche miliardo ad appannaggio di promesse elettorali fatte da chi non ha vinto (complice l’incapacità di governare di chi ha vinto), appare sempre più chiaro all’orizzonte il destino dell’Italia, abbracciata mortalmente da Europa+euro che stanno rapidamente scavando la fossa a 60 anni di talenti, imprese, istruzione, ricerca, stato sociale. 

Arriverà presto la necessità di dover far fronte a un rapporto deficit/PIL che (mi scusino i lettori, sicuramente informati) è sempre più sbilanciato verso il deficit, dopo che il PIL resta in caduta, con conseguente manovra correttiva della manovra correttiva della manovra correttiva.
Lo smarrimento è forte, l’IMU tolto senza copertura, un aumento dell’IVA che, oltre a deprimere ancora di più la domanda interna, non aiuta il gettito (statisticamente diminuito in concomitanza con gli ultimi due aumenti) e favorisce ancora di più l’evasione fiscale.

Possiamo discutere di tutto, del debito pubblico, della burocrazia, della casta, delle riforme strutturali, ma se la classe politica non prende seriamente in considerazione il fatto che questo paese sta per finire con le gambe all’aria, allora aspettiamoci il peggio, la Grecia (con tutte le differenze del caso) insegna. 

Infine un pensiero per Telecom, acquistata proprio oggi dalla spagnola Telefonica. Non si tratta solamente di un’altra azienda italiana che passa in mano straniera, siamo di fronte allo sconfortante ripiegare della bandiera Italia, una realtà delle telecomunicazioni per decenni al vertice dal punto di vista della struttura e dell’innovazione. Ce ne pentiremo amaramente quando l’euro verrà meno.

Andrea Visconti

Perchè l’Italia ha bisogno di una svalutazione che è diverso da “stampare denaro per svalutare".

Fonte: http://www.scenarieconomici.it di Andrea Lenci (@andrealenci)

Scrivo questo articolo in chiarimento ad alcune osservazioni sulla moneta unica pervenutemi all’interno dei commenti di Scenaripolitici (sito gemello di Scenarieconomici).
Scopo del post è chiarire il perché, secondo chi scrive, è imperativo per l’Italia liberarsi dall’Euro, riappropriarsi di una propria valuta (o in seconda battuta, come compromesso, legarsi ad altri paesi simili tra cui la Spagna, vedi opzione Dual Currency) e lasciarla liberamente oscillare rispetto ad EUR ed altre valute; cosa che comporterà, secondo molti economisti e secondo gli analisti delle principali banche d’affari mondiali, una svalutazione della nuova divisa italiana di un 20-30% rispetto all’Euro.

(Totò in “La Banda degli Onesti”)

Partiamo proprio dalle valute. Tra i profani c’è molta confusione, l’idea comune è che chi vuole uscire dall’Euro vorrebbe tornare alla Lira e poi svalutarla “stampando” come forsennati.

Questa idea è completamente errata e priva di ogni fondamento, o meglio non necessaria e di dubbia utilità. L’Italia non stamperebbe niente, ritirerebbe gli EUR e sostituirebbe con nuova divisa (modi già studiati da tempo, o comunque proposte qualificate non mancano), la svalutazione invece avverrebbe nei mercati finanziari e si assesterebbe con grande probabilità su cifre pari a quelle dell’inflazione cumulata dall’Italia sul blocco “core” dei paesi EUR, appunto un circa 20-30%, che è proprio il differenziale di competitività che il nostro paese ha accumulato in questi anni di moneta unica nei confronti della Germania.

Per capire questo occorre conoscere e capire il mercato valutario. Ogni secondo, avvengono transazioni di immensi quantitativi di denaro per compravendere questa o quella valuta a seconda delle necessità, a seconda delle aspettative. Per quanto persistano sul mercato attori di peso, come le grande banche d’affari, gli Hedge Fund o come le Banche Centrali, si può definire il mercato valutario come un mercato enorme ed estremamente liquido; un mercato in cui anche noi ci rifacciamo ogni qualvolta compriamo un prodotto dallo scaffale che avrà sempre una componente estera (pensiamo all’energia).

Ogni valuta è prezzata secondo per secondo dall’incrocio di domanda e offerta. Poi ci sono degli effetti distorsori, enormi se vogliamo. Elenco rapidamente alcuni esempi: USD (Dollaro USA) è valuta di riserva mondiale ed usata per gli scambi internazionali, il valore di USD è drogato da questa domanda forzosa da parte di quasi tutto coloro che vogliano compravendere materie prime; Swiss National Bank (SNB) si adopera nello stampare enormi quantitativi di Franchi Svizzeri (CHF) al fine di comprare EUR ed impedire la rivalutazione del CHF su EUR; la Cina fa la stessa cosa su USD; Bank of Japan (BoJ) ha iniziato una politica di svalutazione dello Yen (JPY), questo porterà la risposta di altri stati che non saranno molto contenti di rivalutare la propria divisa nazionale. Ed è proprio in casi come questi che avere una propria divisa permetterebbe di difendersi.

Lo Stato Italiano dovrebbe avere tra le proprie mani gli strumenti di governo della moneta, dovrebbe potersi difendere da una eventuale guerra valutaria, dovrebbe decidere autonomamente i tassi in base alle necessità (come possono i tassi BCE andar bene per 17 stati diversi?).

Quindi avere una propria valuta non significa “stampare a nastro”. E’ una sciocchezza che non vuol dire nulla. Praticamente tutti gli stati hanno una propria valuta, ma non tutti sono lo Zimbabwe.

(100 trilioni di dollari dello Zimbabwe.)

Gli operatori economici sanno che per l’economia italiana EUR è sopravvalutato di 20-30%. Ed è anche per questo che in caso di nuova valuta avremmo probabilmente una svalutazione di questo ordine di grandezza. Potremmo arrivare ad un rapporto di cambio con USD di 1:1 circa e con EUR di 0,7-0,8.

Noi abbiamo bisogno di una valuta che rispetti i nostri fondamentali. Non traiamo alcun vantaggio da una valuta sopravvalutata, siamo invece travolti dagli svantaggi.

Il concetto è che solitamente nessuno è contento di rivalutare e che la svalutazione è usata come arma da tutti per difendersi in momenti di difficoltà (nel 2008 la Svezia ha svalutato la Corona (SEK) del 50% su USD e del 30% su EUR, idem la Sterlina Britannica (GBP) nello stesso periodo ha svalutato pesantemente contro EUR e USD. Tradotto in chiave EUR: mai stare in una unione valutaria se sei il partner debole perché hai una moneta sopravvalutata per la tua economia. Viceversa per il partner forte che gode dei benefici della svalutazione rispetto a ciò che sarebbe la sua valuta nazionale.

Le valute riflettono la forza dell’economia di una nazione. Se una nazione attraversa un momento di particolare prosperità e di grande competitività, è molto probabile che la sua valuta si apprezzerà per via della grande mole di acquisti della sua divisa, condizione necessaria per comprare i prodotti di quella nazione.
Quindi, se noi 20 anni fa compravamo una Volkswagen pagando in Lire (LIT), l’importatore l’avrebbe poi pagata in Marchi Tedeschi (DEM), vendendo Lire. Quindi al termine della transazione il DEM si sarebbe rivalutato nei confronti della LIT, la LIT si sarebbe svalutata nei confronti del DEM.

Al netto di politiche monetarie non convenzionali (sui cui effetti ho accennato sopra) se un paese (es. ITA) importa da un altro (es. GER), più di quanto esporta, il risultato sarà che la divisa del primo paese si svaluterà nei confronti di quella del secondo. E’ la legge della domanda e dell’offerta.

Quali effetti quindi? Semplice, per l’italiano sarà meno conveniente comprare tedesco e per il tedesco sarà più conveniente comprare italiano. Lo squilibrio è disincentivato.

Tradotto, con le valute nazionali, ogni disallineamento dei prezzi su prodotti analoghi, nel medio periodo è molto probabile che verrà riassorbito con oscillazioni delle valute. Fattore che impedirà al paese più competitivo di distruggere le altre economie e renderà peraltro inutile la ricerca di quella competitività esasperata che ha come effetto ultimo la distruzione dei redditi (di lavoratori e imprenditori) che vengono sacrificati su quell’altare giorno dopo giorno. Cosa che stiamo vivendo sulla nostra pelle.

Facciamo un’ulteriore analisi sui cambi.

All’introduzione dell’EUR (1999, ma per ITA cambi fissi dal 1996):
per 1 USD erano necessarie 2200 LIT (1,13 EUR) circa
per 1 GBP 3000 LIT (1,54 EUR).

Oggi
per 1 USD servono 0,74 EUR, pari a 1400 LIT. (USD -37% su EUR)
Per 1 GBP servono 1,19 EUR, pari a 2300 LIT. (GBP -23% su EUR)

Un Americano in vacanza in Italia, nel 1999 veniva con 2000 USD e cambiava 4.400.000 LIT.
Un Americano in vacanza in Italia, nel 2013 viene con 2000 USD e cambia 1480 EUR.

Iniziate a capire? Il turismo è come l’export, hanno segno “+” nella bilancia dei pagamenti, ricevi soldi dall’estero in cambio di servizi, beni, ecc. Per le nostre industrie il ragionamento è similare. Se hai un sistema industriale votato all’export DEVI stare attento perché i cambi sono importanti, è inutile pagare un po’ meno l’energia se poi gli stabilimenti chiudono perché il cambio sfavorevole uccide l’export. E se poi sopra i costi energetici ci metti tasse perché lo stato è in difficoltà a causa del crollo del gettito? Vi sembra di pagare poco la benzina ora? No. E’ quasi ai massimi.

(import-export)/PIL 1988-2011, in rosso cambio “fisso”, in blu cambio fluttuante

La produzione industriale di uno stato è uno tra i parametri più importanti, di certo lo è per l’Italia.
Uno stato che realizza internamente molti prodotti è uno stato che dovrà importare di meno e fatalmente sarà uno stato che tenderà ad esportare di più. Se l’Italia avesse il proprio apparato industriale funzionante a pieno regime probabilmente non avrebbe avuto problemi di bilancia dei pagamenti.
Affinché ciò accada è fondamentale, in un sistema di mercati aperti e con EUR come valuta comune, la competitività. Ovvero riuscire a vendere i prodotti agli stessi prezzi (o inferiori) rispetto alla concorrenza.
Il prezzo di un generico prodotto che possiamo acquistare si compone di molti fattori, possiamo citare rapidamente le materie prime, i costi energetici, acquisto e manutenzione di attrezzature, capannoni e uffici, burocrazia, la manodopera, le tasse, il profitto dell’imprenditore (quando c’è).
Semplificando, alcuni di questi parametri sono più o meno standard per tutti (materie prime), altri invece sono determinati in parte dallo stato perché stabilisce più o meno direttamente i prezzi (costi energetici) o perché, come nel caso della tassazione, ha sempre un peso importante (tasse su manodopera, acquisto e manutenzione attrezzature, capannoni, uffici), altri ancora sono determinati completamente dallo stato (ulteriori tasse, burocrazia); poi rimangono manodopera e profitto, le uniche voci realmente comprimibili a produttività più o meno inalterata. Si è visto in Italia, che all’occorrenza, i lavoratori, messi spalle al muro, hanno dovuto accettare condizioni al ribasso, alcuni (-1 milione è il saldo) hanno perso il lavoro; non va meglio nemmeno per quelli che una volta erano chiamati i “padroni”, molte attività economiche hanno chiuso, molti imprenditori, strozzati dai debiti si sono suicidati. Queste disgrazie che ci colpiscono sempre più da vicino non entrano in nessuna statistica e vengono ignorate.

Chiaramente la bravura dell’imprenditore gioca ancora un ruolo determinante, non c’è sistema che permetta all’imprenditore poco capace di avere successo. Ci sono invece sistemi che non permettono nemmeno a chi è capace di intraprendere con buon esito.

Fatta questa disgressione torniamo alla produzione industriale.

In Italia abbiamo avuto un forte crollo della produzione industriale. Il 18% dal 2005. Ciò è estremamente allarmante per un paese come l’Italia. Questo avviene essenzialmente per il fatto che le nostre aziende hanno perso competitività. Non riescono a collocare i propri prodotti sul mercato a prezzi analoghi alla concorrenza estera.
Le conseguenze sono semplici da intuire: non riusciamo più a vendere all’estero perché i prodotti locali (o di altri paesi) sono più economici dei nostri; in seconda battuta non riusciamo più nemmeno a vendere in Italia perché, appunto, il prodotto estero arriva nei nostri scaffali ad un prezzo più basso e scalza il prodotto italiano.
Oppure, il prodotto italiano, per esempio la grande firma della moda, vende sul mercato italiano i propri capi, realizzati all’estero, dove la manodopera è più economica, cancellando così quelle aziende, magari più piccole e meno blasonate, che realizzano in Italia.
La fuga delle grandi aziende italiane, così come la vendita, fa un male smisurato all’economia del nostro paese. In primis non c’è che un minimo ritorno di tassazione, i profitti vengono spostati all’estero, dove vengono spesso sottoposti a regimi di tassazione ad hoc (vedere Apple e Google in Irlanda); secondo aspetto, non meno importante, vengono bruciati posti di lavoro con le conseguenze che tutto questo comporta (disoccupazione, moderazione salariale ed infine recessione).


(parte della produzione di Della Valle è delocalizzata in Romania dove pagano la manodopera 220 EUR/mese)

In estrema analisi il sistema economico che si sta imponendo è basato su “schiavi che vendono a disoccupati”. Si capisce rapidamente che un sistema di questo tipo non ha futuro.

I paesi dovrebbero recuperare il proprio tessuto produttivo, pensare di procedere ulteriormente nella dismissione dell’impianto industriale italiano è semplicemente suicida. Rimanere legati ad una moneta comune a paesi come la Germania e satelliti, che di fatto dettano la linea, inibisce possibili inversioni di tendenza. Paesi che per struttura riescono a piazzare il prodotto sul mercato ad un prezzo inferiore vinceranno sempre, ed in presenza di rigidità del cambio, l’unica maniera per recuperare questo differenziale (che ogni anno aumenta per via dell’inflazione diversa) è limare la differenza di prezzo pagando meno i lavoratori (per i motivi suddetti).

Facciamo un esempio pratico, qualcosa a cui avevamo già accennato prima.

L’Italia e la Germania sono certamente concorrenti nel mercato delle auto (in realtà i settori sono molti, ragion per cui spesso l’interesse della Germania è agli antipodi col nostro),
Ipotizziamo che, in regime di flessibilità dei cambi, per esempio nel 1995 il modello I dell’Alfa Romeo costasse 50 milioni di lire. Allo stesso tempo il modello G dell’Audi stava su prezzi analoghi, ovviamente in Marchi Tedeschi. Le due macchine erano universalmente riconosciute come del tutto similari. Succedeva quindi che molti, in Italia, in Germania e negli altri paesi comprassero l’Alfa I, molti altri invece preferivano l’Audi G. Alfa ed Audi stavano entrambe sul mercato con buona soddisfazione. Due macchine della stessa classe con qualità simili e prezzi identici ottenevano risultati di vendite simili.

L’anno successivo, ipotizzando che la Lira ed il Marco fossero rimasti sui livelli dell’anno precedente, succede però una cosa del tutto naturale, due paesi diversi hanno inflazioni diverse (ipotizziamo Germania 2%, Italia 4%), questo ricade a breve giro sul costo dei prodotti. Semplificando potremmo dire che nel 1996, visto che Lira (da ora LIT) e Marco (da ora DEM) non si sono mossi, l’Alfa riuscirà a vendere la sua Alfa I a 52 milioni di LIT (50 + 4%), l’Audi G invece sarà disponibile nelle concessionarie al corrispondente in DEM di 51 milioni di LIT (50 + 2%).
E’ molto probabile che l’Alfa Romeo venderà in questo anno meno Alfa I rispetto alle Audi G vendute dalla concorrente. L’inflazione è ricaduta nei costi di produzione (salari ma non solo) ed ora l’Alfa I fatica un pochino a stare sul mercato.
Questo processo ovviamente è ribaltabile su tutta o quasi la produzione, il risultato è che ad un certo punto la richiesta di DEM per acquistare prodotti tedeschi sarà così più alta della richiesta di LIT per acquistare prodotti italiani che il DEM andrà verso una rivalutazione nei confronti della LIT (e forse anche nei confronti di altre divise); vista dall’altra parte la LIT si svaluterà nei confronti del DEM (e forse anche nei confronti di altre divise). La svalutazione sarà tanto pesante quanto necessario è il riallineamento, se la situazione fosse equilibrata come il primo anno del nostro esempio sarà lecito pensare che non ci saranno grossi movimenti della LIT al ribasso, viceversa, quando parecchi settori iniziano a perdere competitività, fatalmente il paese inizierà ad importare più di quello che esporta ed a quel punto, prima o poi, le due divise troveranno un nuovo equilibrio per via della continua domanda di DEM (e conseguente offerte delle altre divise compresa LIT) che tenderà quindi ad aumentare di prezzo.
Questo accade in regime di cambi fluttuanti. Notare come la Germania avrebbe comunque un vantaggio, più o meno periodico, derivato dal fatto di avere un sistema più maturo e competitivo, ma questo vantaggio è limitato (per via della possibile svalutazione degli altri) e non comporta la deindustrializzazione degli altri paesi.

In conclusione, in Italia stiamo discutendo di questioni secondarie, IMU e IVA, comunque la si veda, sono dettagli.

L’Italia ha un gap del 20-30% di competitività che non può essere recuperata in tempi brevi (cioè in tempi utili ad evitare la completa deindustrializzazione), le soluzioni sono essenzialmente due, tre se ci piace sognare:

- taglio feroce dei salari (anche del 30-50%)
- uscita dall’Euro
- Stati Uniti d’Europa (se pensate che la Germania accetterà trasferimenti ai periferici..)

Nel primo caso passeremmo per una depressione (termine economico, non clinico, almeno non nelle intenzioni dell’autore) storica che porterebbe senza molti dubbi all’esplosione del debito pubblico con coseguente fallimento dello stato italiano. E’ la Soluzione Grecia, per intenderci. Se noi tagliamo prepotentemente i salari il PIL ne verrà impattato in maniera devastante, il Debito/PIL andrebbe alle stelle e sarebbe chiaro agli investitori che una nazione che fa -10% di crescita non potrà mai ripagare un debito nell’ordine del 200%. Chiedo scusa ai lettori se arrivati a questo punto butto dei numeri un po’ così, abbiamo fatto internamente delle analisi, se interessa elaboreremo qualcosa pubblicabile al riguardo. Il succo è che se recuperi tagliando i salari, diventi competitivo ma saltano i conti dello stato perché crollerebbe PIL e gettito, quindi recessione e debito fuori controllo.

Nel secondo caso si aprirebbe un universo perché ci sono varie strade. Si passerebbe comunque giocoforza per una ridenominazione del debito nella nuova valuta e sarebbe il caso di prevedere, magari per un periodo di tempo limitato, un qualcosa di simile alla scala mobile onde evitare le ricadute inflattive sui salariati.
Capitolo inflazione, è stimabile, stando ai precedenti, un inflazione del 10% circa rispetto alla svalutazione. Nel nostro caso potremmo pensare quindi 2-3 punti in aggiunta all’attuale 1%. E’ opinione personale che, visto gli alti livelli di disoccupazione (vedi curva di Philips), potremmo avere numeri inferiori (nel 92 non ci fu inflazione e svalutammo in maniera analoga a quella prevista ora).

Sul terzo caso non mi soffermerei perché visto il comportamento tedesco fino ad oggi è un qualcosa che non esiste se non nella fantasia di qualcuno. Se pensate che il bavarese, già infastidito per i trasferimenti al berlinese senza lavoro, accetterà di farsi carico del forestale calabrese.. beh allora siete sul sito sbagliato. Consiglio fantasyitalia.it.