Nel suo editoriale sul Financial Times Wolfgang Munchau riafferma che la recessione non è affatto finita, e che il problema più grosso è l'Italia: il paese non ha altra scelta che uscire, e sarà costretto a farlo dagli eventi.
In primo luogo, sulla fantomatica fine della recessione, Munchau denuncia come i leader politici europei abbiano colto al volo il primo piccolo accenno di miglioramento per proclamare il successo delle loro politiche. Eppure, dice Munchau, seppure due trimestri consecutivi con segno positivo siano tecnicamente considerati come un segnale di fine recessione, sarebbe folle pensare che alla mezzanotte dopo la fine del secondo trimestre con segno positivo la recessione sia finita! Solo uno stupido (o uno con secondi fini) può vederla così. Quello dei due trimestri è al massimo un indicatore molto semplificato che può essere utile in una normale crisi ciclica. Ma qui non siamo in una normale congiuntura.
I dati descrivono un altro ordine di grandezze: dal primo trimestre 2007 al primo trimestre 2013, il Pil reale dell'eurozona si è contratto in media di un 1,3% cumulativo ( in Spagna del 5.3% e in Italia addirittura dell'8.4%); gli investimenti nell'eurozona sono crollati in media di un 19%, (38% in Spagna e 27% in Italia); l'occupazione è crollata del 17% in Spagna e del 2% in Italia. Per iniziare a parlare di fine della recessione, bisognerebbe almeno tornare ai livelli pre-crisi.
Ma la vera zavorra è l'Italia.
Ecco le testuali parole di Munchau:
"Ma ora la più grande zavorra che pesa sulla crescita dell'eurozona è l'Italia. La coalizione di Enrico Letta, il primo ministro Italiano, nel week end è di fatto collassata, col ritiro dei suoi Ministri da parte di Berlusconi. Quest'ultima crisi politica prolungherà la recessione, nella misura in cui l'incertezza terrà lontani gli investimenti.
Ma anche un nuovo governo non porterà a una soluzione. L'Italia è bloccata in un mix di debito pubblico elevato e insostenibile e una produttività che non cresce. Sostanzialmente ha due opzioni - o diventa come la Germania, o lascia l'eurozona. E il paese non è capace di praticare l'una, né vuole praticare l'altra delle due alternative. In un articolo sul Corriere della sera i due economisti Alesina e Giavazzi hanno calcolato che bisognerebbe ridurre il cuneo fiscale - la differenza tra le imposte sul lavoro e il netto in busta paga - di qualcosa come 50 miliardi per arrivare al livello tedesco. E semplicemente non esiste nessuna maggioranza politica che sostenga una scelta così radicale. Le priorità del centro-destra sono il taglio alle imposte sui consumi e sulla casa, mentre il PD di Letta è contrario ai tagli di spesa. Finché i tassi restano bassi, l'Italia non si trova di fronte a un immediato pericolo. Il paese potrà trascinarsi ancora un po' finché un qualche tipo di shock, economico o politico, lo costringerà a prendere una decisione, in un senso o nell'altro."
Nel frattempo che questi nodi vengono al pettine, continua Munchau, l'ostacolo principale alla crescita nell'eurozona rimane il non aver dato una ripulita alle banche: senza una pulizia delle banche il credito non ripartirà e così nemmeno la ripresa. Secondo Munchau il presidente della BCE Mario Draghi vorrebbe veramente procedere ad una seria supervisione sulla qualità degli asset delle banche, e non ripetere la farsa degli stress test promossi dall'European Banking Authority, ma come può ammettere che le banche hanno bisogno di diverse centinaia di miliardi di nuovo capitale, se poi quel denaro non c'è e i governi non sono disposti a offrire il loro sostegno?
Infine Munchau commenta la situazione della Spagna, l'altra grande incognita dell'eurozona, che ora però sembra mostrare segnali di miglioramento. Ecco le parole di Munchau:
"Le migliori notizie dell'eurozona vengono dalla crescita dell'export spagnolo, che dalla prima metà del 2008 alla prima metà di quest'anno è cresciuto dell'11% in termini reali. Il miglioramento della competitività delle esportazioni spagnole è sostanziale, ma per la maggior parte è dovuto al calo dell'occupazione, più che al calo dei salari. Non mi è chiaro quanto una strategia di crescita guidata dalle esportazioni sul modello tedesco, sia fattibile e sostenibile per la Spagna."
Le conclusioni:
"L'implosione politica ed economica dell'Italia, il credit crunch e l'austerità sono tra i principali fattori che pesano oggi sull'eurozona. Se si molla la sciocca fissazione sui due trimestri, non si può non vedere che la recessione iniziata nel 2008 continua. E non è vicina alla fine"
Nessun commento:
Posta un commento