martedì 30 aprile 2013

Caro Letta, la Germania non ha intenzione di abbandonare l'austerità!!


Scrivendo sul suo blog Telegraph , Open Europe Director Mats Persson sostiene che chi prega la Germania per una inversione a U sulla sua politica della zona euro dopo le elezioni di settembre si ritroverà probabilmente assai deluso.



Leggi l' articolo completo qui sotto:


"Alimentato da un intensificato e più ampio dibattito sui meriti o meno di austerità come rimedio per i problemi economici, le ultime settimane hanno visto i politici, commentatori ed economisti uscire a frotte per criticare l'approccio verso l'austerità della Germania per la crisi della zona euro.


Il nuovo primo ministro italiano Enrico Letta - che oggi incontra il suo omologo tedesco, Angela Merkel - ha detto ieri che "l'italia morirà di solo consolidamento fiscale", portando alcuni a concludere che l'Italia porterà la rivolta contro l'austerità nella zona euro. 

Tutti ora guardano avanti all'elezione tedesca nel mese di settembre, con l'idea che con la stagione elettorale forse con un conservatore / socialdemocratico di "grande coalizione" alla guida, la Germania si tirerà indietro e allenterà  l'austerità sui paesi periferici . 

Cosa assai difficile!!. Potremmo vedere qualche allentamento su obiettivi retorici, ma nessun cambiamento fondamentale. Il consenso tedesco sull'austerità è incredibilmente profondo e radicato. 

Anche se, a rigor di termine, in Germania, l'austerità in realtà non si chiama
austerità (suona "male" come Angela Merkel ha sottolineato).Invece, il termine usato è sparkurs (ovviamente risparmio) o sparpolitik (politica di risparmio). O come un verbo; Hausaufgaben machen - fare il vostro lavoro.
L'opposto è schuldenpolitik (politica di debito) o Schulden machen (rendere il debito). 
Tale questione semantica fondamentalmente, dimostra che la dicotomia percepita tra 'austerità' e 'crescita' - che colpisce anche altri elettorati europei in accordo con essa - è un "non-starter" in Germania.
Sarebbe un suicidio elettorale per un politico tedesco evocare la schuldenpolitik  (politica del debito)- quasi simile a un candidato presidenziale americano professarsi ateo o come un politico svedese negare la presenza del cambiamento climatico (molto probabilmente comporterebbe anche essere spogliato del proprio passaporto svedese). Questa è logica elettorale che spinge l'approccio dei politici, sia in patria che all'estero. 


Nel complesso il principale partito di opposizione, l'SPD di centro-sinistra, non sostiene una svolta radicale dal progetto della Merkel. Semplicemente raccoglie l'intera struttura progettuale guarnendo l'intero esercizio di retorica e preoccupazione per le conseguenze sociali nulla di più.
infatti una tipica (e anche massima) critica che l'SPD fa al partito antagonista è quella espressa da Nils Schmidt, il leader del partito nel Baden-Württemberg: "Dobbiamo fare i tagli, ma passo dopo passo, non possiamo farli tutti in una volta." La chiave dunque  è sempre "dobbiamo fare dei tagli". E ricordate inoltre che, era l'SPD  il più aggressivo sulle "banche irresponsabili" di Cipro.
Persino il partito dei Verdi è visto come fiscalmente responsabile nel prendere una linea dura per pagare il debito pubblico. 


I sondaggi tedeschi dimostrano inoltre che i tedeschi hanno  sempre appoggiato l'approccio di "austerità-per-denaro" verso l'estero come dimostra un recente sondaggio nel quale il 65 per cento dei tedeschi è in sintonia con la gestione della Merkel della crisi -. in aumento dal 46 per cento dal luglio 2011 

In altre parole, anche in una grande coalizione tra Merkel CDU / CSU e SPD, la linea di base in materia di politica europea della Germania rimarrà costante con la presente se non per piccole differenze futili.
Fondamentalmente la strada per qualsiasi ulteriore integrazione dell'Eurozona sarà sempre complicatissima -come ad esempio per il fondo di risoluzione per le banche o per la gestione del debito pubblico nei paesi  - e probabilmente rimarrà sostanzialmente la stessa.
Questo significa anche che l'asse franco-tedesco continuerà a soffrire grandi tensioni . 


C'è, naturalmente, un intenso dibattito in corso all'interno della Germania circa  la posizione del paese in Europa - e la preoccupazione di essere visto come il bullo del quartiere.
Come ho sostenuto in precedenza , la crisi vede due pilastri della Germania del dopoguerra scontrarsi frontalmente -gli impegni precisi per l'Europa e la moneta "solida".

Esattamente come questo dibattito si giocherà e con quali regole rimane poco chiaro ancora oggi. Tuttavia, chiunque - dice un socialista francese - vada a pregare la Germania per un inversione a U della sua politica di austerità per la zona euro  sarà probabilmente amaramente deluso persino dopo l'elezione settembre .

lunedì 29 aprile 2013

Godley: Euro, cosi non può funzionare!!




Ammetto che 20 anni fa, i temi macroeconomici che ora vengono trattati dalla rete e dai media in generale, non mi erano chiari. E se qualcuno mi avesse spiegato allora che l'euro non avrebbe funzionato, gli avrei risposto che i valenti tecnici europei avrebbero trovato una soluzione brillante ai problemi evidenziati. E che anzi quei problemi sarebbero stati piccoli contrattempi in confronto al grande obiettivo, al grande successo di unificare l'Europa con un'unica moneta. Che inoltre questa avrebbe sparso benessere in tutto il continente, rendendolo una vivace regione economica del mondo, che non avrebbe sfigurato di fronte all'economia statunitense.

Allora mi sbagliavo, ma tutta la classe politica italiana era convinta che la scelta dell'euro fosse vincente. L'euro non ci ha portato benessere, e per dirla tutta, anche gli Usa non sono più quelli del '92, che pure erano già all'epoca in crisi. Inoltre nel '92 la nostra liretta fu oggetto di attacco speculativo che ci costrinse a svalutare ed uscire dallo Sme. Allora un po' tutti si pensava che una nuova moneta forte sarebbe stato un toccasana per l'Italia.

Io comunque mi ritengo assolto per l'ignoranza delle cose economiche di 20 anni fa. Certo però altrettanto non si può dire della nostra classe dirigente che avrebbe dovuto e potuto fiutare il pericolo dall'alto della sua preparazione e per i dati e studi di cui era in possesso già allora, ma che non circolavano fra il popolino come avviene oggi. Già nel 1992 c'era chi aveva previsto tutto, ed aveva intuito che la miopia delle classi dirigenti europee ci avrebbe portato al disastro. Sembra incredibile, ma rileggendo l'articolo dell'economista Godley dell'epoca, si trovano descritti i problemi dell'Europa di oggi.

"Anche se ho sostenuto il passaggio verso l’integrazione politica in Europa, credo che le proposte di Maastricht così come sono presentano gravi carenze e anche che la discussione pubblica su di esse sia stata curiosamente impoverita. [...]


L’idea centrale del trattato di Maastricht è che i paesi della Comunità europea devono muoversi verso l’unione economica e monetaria, con una moneta unica gestita da una banca centrale indipendente. Ma che cosa rimane della politica economica? Dato che il trattato non propone nuove istituzioni diverse da una banca europea, i suoi promotori devono supporre che nulla di più sia necessario. Ma questo potrebbe essere corretto solo se le economie moderne fossero sistemi capaci di autoregolarsi, che non abbiano bisogno di alcuna gestione.

Sono spinto alla conclusione che tale punto di vista – cioè che le economie sono organismi che si raddrizzano da soli e che non hanno in nessun caso necessità di una gestione – ha effettivamente determinano il modo in cui è stato costruito il trattato di Maastricht. Si tratta di una versione rozza ed estrema del punto di vista che da qualche tempo ha costituito la convinzione prevalente in Europa (anche se non quella degli Stati Uniti o del Giappone): che i governi non sono in grado di raggiungere uno qualsiasi dei tradizionali obiettivi di economia politica, come la crescita e la piena occupazione, e pertanto non dovrebbero neppure provarci.

Tutto ciò che può legittimamente essere fatto, secondo questa visione, è quello di controllare l’offerta di moneta e il pareggio del bilancio. E’ stato necessario un gruppo in gran parte composto da banchieri (il Comitato Delors) per giungere alla conclusione che una banca centrale indipendente è stata l’unica istituzione sovranazionale necessaria per gestire un’Europa integrata e sovranazionale.

Ma c’è molto di più. In primo luogo va sottolineato che la creazione di una moneta unica nella Comunità Europea dovrebbe porre fine alla sovranità delle sue nazioni componenti e alla loro autonomia di intervento sulle questioni di maggior interesse. Come l’onorevole Tim Congdon ha sostenuto in modo molto convincente, il potere di emettere la propria moneta, di fare movimentazioni sulla propria banca centrale, è la cosa principale che definisce l’indipendenza nazionale. Se un paese rinuncia o perde questo potere, acquisisce lo status di un ente locale o colonia. Le autorità locali e le regioni, ovviamente, non possono svalutare. Ma si perde anche il potere per finanziare il disavanzo attraverso la creazione di denaro, mentre altri metodi di ottenere finanziamenti sono soggetti a regolamentazione centrale. Né si possono modificare i tassi di interesse. Poiché le autorità locali non sono in possesso di nessuno degli strumenti di politica macroeconomica, la loro scelta politica si limita a questioni relativamente minori: un po’ più di istruzione qui, un po’ meno infrastrutture lì. Penso che quando Jacques Delors pone l’accento sul principio di ‘sussidiarietà’, in realtà ci sta solo dicendo che [gli stati membri dell'Unione europea] saranno autorizzati a prendere decisioni su un maggior numero di questioni relativamente poco importanti di quanto si possa aver precedentemente supposto. Forse ci lascerà tenere i cetrioli, dopo tutto. Che grande affare!

Permettetemi di esprimere una visione diversa. Penso che il governo centrale di uno Stato sovrano deve essere costantemente impegnato a determinare il livello ottimale complessivo dei servizi pubblici, l’onere fiscale complessivo corretto, la corretta allocazione della spesa totale tra bisogni concorrenti, nonché la giusta distribuzione del peso della tassazione. Esso deve anche determinare la misura in cui ogni divario tra spesa e imposte viene finanziato prelevando dalla banca centrale e quanto è finanziato mediante un prestito, e a quali condizioni. Il modo in cui i governi decidono su tutti questi (e alcuni altri) problemi, e la qualità della leadership che si possono dispiegare, determineranno, in interazione con le decisioni degli individui, delle aziende e degli stranieri, cose come i tassi di interesse, il tasso di cambio, il tasso di inflazione, il tasso di crescita e il tasso di disoccupazione. [Il comportamento del governo] inoltre influenzerà profondamente la distribuzione del reddito e della ricchezza non solo tra individui, ma tra intere regioni, assistendo, si spera, quelle colpite negativamente dai cambiamenti strutturali. [...]

Elenco tutto questo non per suggerire che la sovranità non deve essere ceduta in nome della nobile causa dell’integrazione europea, ma che se i governi nazionali rinunciano a tutte queste funzioni esse devono semplicemente essere assunte da qualche altra autorità. La lacuna incredibile nel programma di Maastricht è che, mentre contiene un progetto per l’istituzione e il modus operandi di una banca centrale indipendente, non esiste un qualunque progetto analogo, in termini comunitari, di governo centrale. Semplicemente ci dovrebbe essere un sistema di istituzioni che soddisfi a livello comunitario tutte quelle funzioni che sono attualmente esercitate dai governi centrali dei singoli paesi membri.

La contropartita della rinuncia alla sovranità dovrebbe essere che le nazioni componenti vengono incorporate in una federazione a cui è affidata la loro sovranità. E il sistema federale, o stato, come è meglio chiamarlo, dovrebbe esercitare tutte quelle funzioni in relazione ai suoi membri e al mondo esterno, che ho brevemente sopra indicate.

Consideriamo due esempi importanti di ciò che uno stato federale, responsabile di un bilancio federale, dovrebbe fare.
...Si deve francamente riconoscere che se la depressione dovesse davvero prendere una svolta seria per il peggio – ad esempio, se il tasso di disoccupazione tornasse al 20-25 per cento degli anni Trenta – i singoli paesi, prima o poi, eserciterebbero il loro diritto sovrano di dichiarare l’intero percorso verso l’integrazione un disastro, e ristabilirebbero dei controlli sui cambi e misure protezionistiche – un’economia da assedio se vogliamo chiamarla così. Ciò equivarrebbe a ripercorre il periodo tra le due guerre.

Se ci fosse una unione economica e monetaria, in cui il potere di agire in modo indipendente fosse effettivamente abolito, una reflazione ‘coordinata’ del genere, di cui si sente così urgente bisogno, potrebbe essere effettuata solo da un governo federale europeo. Senza una tale istituzione, l’Unione monetaria impedirebbe un’azione efficace da parte dei singoli paesi e metterebbe il nulla al suo posto.

Un altro ruolo importante che ogni governo centrale deve svolgere è quello di stendere una rete di sicurezza per il sostentamento delle regioni componenti che sono in difficoltà per ragioni strutturali – a causa del declino di alcune industrie, per esempio, o a causa di qualche cambiamento demografico negativo per l’economia. Attualmente questo accade nel corso naturale degli eventi, senza che nessuno se ne accorga, perché esistono standard comuni dei servizi pubblici (per esempio, la sanità, l’istruzione, le pensioni, i sussidi di disoccupazione) e un comune (si spera, progressivo) sistema di imposizione fiscale. Di conseguenza, se una regione soffre un insolito declino strutturale, il sistema fiscale genera automaticamente i trasferimenti netti in favore di essa. Come caso estremo, una regione che non producesse nulla non morirebbe di fame perché riceverebbe le pensioni, le indennità di disoccupazione e il reddito dei dipendenti pubblici.

Cosa succede se un intero paese – un potenziale ‘regione’ in una comunità pienamente integrata – subisce una battuta d’arresto strutturale? Finché si tratta di un Stato sovrano, può svalutare la propria moneta. Si può quindi operare con successo verso la piena occupazione se la gente accetta il taglio necessario dei redditi reali [cioè l'inflazione, ndr]. Con una unione economica e monetaria, questo ricorso è ovviamente escluso, e la sua prospettiva è davvero grave, salvo accordi su bilanci federali che svolgano un ruolo redistributivo. Come è stato chiaramente riconosciuto nella relazione MacDougall che è stato pubblicato nel 1977, ci deve essere uno scambio tra la rinuncia alla possibilità di svalutare e la redistribuzione fiscale. Alcuni autori (come Samuel Brittan e Sir Douglas Hague) hanno seriamente suggerito che l’Unione monetaria, abolendo la bilancia dei pagamenti nella sua forma attuale, abolirebbe il problema, dove esiste, di una persistente incapacità di competere con successo sui mercati mondiali. Ma, come il professor Martin Feldstein ha sottolineato in un articolo importante nel Economist (13 giugno), questo argomento è pericolosamente sbagliato. Se un paese o regione non ha il potere di svalutare, e se non è beneficiario di un sistema di perequazione fiscale, allora non c’è nulla che possa fermare un processo di declino cumulativo e terminale che conduce, alla fine, all’emigrazione come unica alternativa alla povertà o alla fame.

Simpatizzo con la posizione di coloro (come Margaret Thatcher) che, di fronte alla perdita di sovranità, desiderano scendere dal treno dell’Unione monetaria. Simpatizzo anche con coloro che cercano l’integrazione sotto la giurisdizione di una sorta di Costituzione federale, con un bilancio federale molto più grande di quello dell’[attuale] bilancio comunitario. Quello che trovo assolutamente sconcertante è la posizione di coloro che sono favorevoli all’unione economica e monetaria senza la creazione di nuove istituzioni politiche (a parte una nuova banca centrale), e che alzano le mani terrificati alle parole “federale” o “federalismo”. Questa è la posizione adottata oggi dal Governo e dalla maggior parte di coloro che prendono parte alla discussione pubblica»."


Trovo molto interessanti le considerazioni fatte nell'ultimo paragrafo, che ho già riportato in altri post pur non conoscendo Godley. Magari in modo più confuso, ma il senso era quello: o si attua una vera Unione Europea politica, con organismi governativi democratici e dotati di veri poteri legislativo ed esecutivo, oppure come sosteneva M. Thatcher è meglio ritornare ordinatamente ognuno nell'alveo della propria sovranità monetaria, decidendo da buoni amici di uscire dall'euro in modo coordinato. L'attuale via di mezzo seguita finora non funziona: la mancanza di sovranità monetaria sta diventando esiziale per la sopravvivenza delle nazioni più deboli. La moneta unica attuale è ingestibile per i paesi deboli, avvantaggia per ora solo la Germania. Ma a lungo andare anche la nazione più forte verrà coinvolta nella recessione continentale.

giovedì 25 aprile 2013

Jacque Sapir: verso il baratro

Un altro grande articolo di Sapir mostra in tutta la sua evidenza il peggioramento della crisi, alimentata finora da teorie arrangiate per supportare l'ideologia, ma che tra l'estate e l'autunno imporrà la resa dei conti... 



L'area Euro, sotto l'effetto combinato delle politiche di austerità, sta sprofondando nella crisi. Eppure il dibattito sulla politica economica non è mai stato così intenso. Rimane il fatto che si scontra con la capacità di immaginazione dei leader politici, sia in Germania che in Francia o in altri paesi, che rimane profondamente strutturata attorno al discorso dell’austerità.
Le radici dell'austerità erano finora ritenute inconfutabili. Ma un recente lavoro consente di mostrare che, dietro l'apparenza di seria accademia, c'era un sacco di ideologia.
La disoccupazione ha recentemente raggiunto il 12% della popolazione attiva, ma con picchi di oltre il 25% in Spagna e Grecia. L’attività economica continua a regredire in Spagna, Italia e Portogallo e, ora, è il consumo che inizia a sgretolarsi in Francia, annunciando, come previsto in questo blog, un ulteriore deterioramento della situazione economica a breve termine.
                                                              
domanda delle famiglie

Source: INSEE, Consommation des ménages et dépenses pour acquisition de biens immobiliers 

Infatti, secondo paese della zona Euro, la Francia, grazie alla forza dei suoi consumi, aveva fino a questi ultimi mesi scongiurato il peggio per l'area dell'Euro. Ma se i consumi francesi continuano a contrarsi al ritmo seguito fin da gennaio, le conseguenze saranno significative, in Francia e nei paesi limitrofi, prima di tutto in Italia e in Spagna.


Una politica che ha condotto l'Europa in una situazione di stallo.

Questo deterioramento generale della situazione economica pone apertamente il problema dell'austerità adottata da tutti i paesi, dal 2011, a partire dalla Grecia che c'era stata costretta dall'Unione europea, seguita da Portogallo e Spagna. Ma la volontà tedesca di continuare lungo il percorso di questa politica è innegabile, ed è stata recentemente ribadita. Perché,allora, tale caparbietà? Ci sono anzitutto evidenti interessi che spingono la Germania a difendere questa politica «austeritaria».
L'area dell'euro porta alla Germania circa 3 punti di PIL all'anno, sia attraverso il surplus commerciale, che viene realizzato per il 60% a scapito dei suoi partner nell'area dell'euro, sia attraverso gli effetti indotti delle esportazioni. Possiamo quindi capire perfettamente che, stante queste condizioni, la Germania tiene all'esistenza dell'area Euro. Tuttavia, se Berlino volesse che la zona euro funzionasse come dovrebbe, accetterebbe la transizione verso un esteso federalismo di bilancio e un sistema di trasferimenti nell'Unione. Questa è un’evidenza nota agli economisti, e non solo. Nel mese di ottobre 2012, durante il Valdai Club, il presidente Vladimir Putin ha sottolineato che un'Unione monetaria non poteva operare come un paese eterogeneo senza un potente federalismo di bilancio.
Ma se la Germania dovesse accettare questo federalismo, dovrebbe accettare quindi un trasferimento di una parte significativa della sua ricchezza ai suoi partner. Solo per la Spagna, la Grecia, l'Italia e il Portogallo, i trasferimenti necessari per sistemare le economie nei confronti della Germania e della Francia sarebbero tra i 245 e 260 miliardi di euro, ossia tra 8 e 10 punti di PIL all'anno, e questo per almeno dieci anni. Un tale livello di trasferimenti (non è impossibile che sia ancora più elevato) è assolutamente esorbitante. La Germania non ha i mezzi per pagare tale somma senza mettere a rischio il proprio modello economico e distruggere il sistema pensionistico.

La Germania ha quindi voluto mantenere i benefici dell'Eurozona, ma senza pagarne il prezzo. Ecco perché sempre, infatti, ha rifiutato l'idea di una “Unione di trasferimento”. Anzi, il problema non è tanto ciò che “vuole” o “non vuole” la Germania; l’importante è ciò che può sopportare. Ed essa non può sopportare un prelievo dall'8 al 10% delle sue ricchezze. Smettiamo quindi di pensare che "la Germania pagherà", antica antifona della politica francese risalente al trattato di Versailles nel 1919, e guardiamo in faccia la realtà. La Germania ha già notevoli riserve sull’Unione bancaria, che aveva accettato con riluttanza nell'autunno del 2012. Con la voce del suo ministro delle finanze, ha appena dichiarato che si dovrebbero modificare i trattati
esistenti perché questa unione bancaria possa vedere la luce. È certamente possibile modificare le fonti dei trattati, ma tutto il mondo sa che ci vorrà del tempo. In altre parole, la Germania rinvia al 2015 e molto probabilmente al 2016 l'entrata in vigore dell’Unione bancaria, di cui ha anche ridotto largamente il campo di applicazione. Possiamo anche considerare che gli argomenti della Germania riguardo la "costituzionalità" dell’Unione bancaria siano pretesti. Può essere, ma la signora Merkel ha alcune buone ragioni per voler garantire la perfetta legittimità dei testi. La recente creazione del nuovo partito euroscettico 'Alternativa per la Germania', un partito che i sondaggi vedono attualmente al 24% delle intenzioni di voto, è una minaccia credibile per gli equilibri politici in Germania.

In queste condizioni, possiamo ben capire che non c'è nessun'altra scelta per la Germania che non sia difendere una politica di austerità per l'area dell'Euro, nonostante le conseguenze economiche e sociali assolutamente catastrofiche che crea questa politica. Da qui a credere che la Germania voglia "espellere" i paesi del "Sud" dell'Europa, la strada è lunga. Semplicemente, essa non può pagare per gli altri. Da questo punto di vista, attribuire un cosiddetto “piano segreto” alla signora Merkel sul tema e credere che qualcuno possa condurre un'eroica battaglia per mantenere questi paesi nell'eurozona, è una di quelle sontuose sciocchezze di cui alcuni politici hanno il segreto.
Ma c’è effettivamente una dimensione ideologica, presumibilmente “fondata” sulla teoria economica.


L'origine della politica dell’austerità.


L'antifona che l’onere del debito comprometta la crescita, e che solo una politica di austerità sia in grado di alleviare il peso di questo debito, è parte dell’apparente evidenza contenuta nella "saggezza delle nazioni". Questa cosiddetta evidenza aveva trovato una forma di giustificazione in un testo pubblicato da due noti autori (uno dei quali era capo economista dell’FMI): Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff. Le conclusioni di questo testo, che è stato successivamente pubblicato, erano che oltre un rapporto debito-PIL del 90%, l'impatto del debito è molto negativo sulla crescita. La conclusione era ovvia: è necessario intervenire se si sono raggiunti tali livelli. Questa è la logica adottata dalla gestione di Jean-Marc Ayrault in Francia che nella seconda metà del 2013 va rafforzando l’austerità fiscale e di bilancio. Ad ogni modo, tutto ciò è in contrasto con tutta una serie di studi che indicano che l’austerità ha conseguenze drammatiche sulla crescita. I riferimenti sono presenti su questo blog. Ma i fautori dell'austerità a oltranza potevano sempre affermare che, qualunque fossero le conseguenze dell'austerità, l'imperativo del debito rappresentava una vera priorità per ritrovare la crescita. Questo è proprio il discorso tenuto da François Holland e Jean-Marc Ayrault. 

Si dà il caso però che questo documento contenesse degli errori significativi, rivelati in uno studio scritto da tre economisti, un caso, questo, che ha provocato una certa agitazione nel piccolo mondo accademico. In primo luogo, Reinhart e Rogoff hanno arbitrariamente escluso alcuni anni dal campione che hanno creato e che avrebbe dovuto coprire il periodo 1946-2009. Tre importanti paesi sono stati così esclusi negli anni dell'immediato dopoguerra: l'Australia, il Canada e la Nuova Zelanda. Ora, in questi tre paesi si ha allo stesso tempo un rapporto di debito elevato e un tasso di crescita elevato. Inoltre, i due autori dello studio di riferimento hanno dato un peso ai loro dati in un modo molto curioso, che porta, ancora una volta, a ridurre l'influenza sui calcoli dei paesi in cui sono presenti un grande debito pubblico e una forte crescita. Infine, la replica dei calcoli dello studio originale fatta dai tre economisti mostra che si è verificato un errore non trascurabile in uno dei fogli Excel utilizzati da Reinhart e Rogoff . Il risultato è che Herndon, Ash e Pollin concludono che i paesi con un rapporto debito PIL oltre il 90% hanno avuto storicamente una crescita del 2,2%, e non una decrescita dello 0,1%, come affermato da Reinhart e Rogoff .
L'errore sul file di Excel è sicuramente quello che ha provocato più commenti, ma in realtà è un errore minore. Per contro, l'omissione di certi paesi in certi momenti e i pesi utilizzati, sono indici di gran lunga più gravi che Reinhart e Rogoff hanno "arrangiato" i loro calcoli per ottenere risultati in linea con la loro ideologia. Questo getta un dubbio ben più profondo riguardo ai metodi di alcuni economisti e sulla serietà delle persone che li seguono.


Le conseguenze disastrose delle politiche di austerità.

Tutti i paesi, uno dopo l'altro, hanno intrapreso politiche di svalutazione interna suicida, politiche che sono gli equivalenti delle politiche di deflazione degli anni '30 che portarono Hitler al potere. Così è in Spagna e in Grecia, con disoccupazione e austerità devastanti. Ma le conseguenze non si limitano a questo. Infatti, la politica di austerità sta mettendo un popolo contro l'altro. Il paradosso qui è totale. L’Europa, ai sensi dell'Unione europea, che di solito si presenta come un fattore di pace sul continente, è ormai diventata un fattore di aggravamento di conflitti e di rinascita di vecchi odi.
Nel caso della Francia, sono chiare le conseguenze dell'austerità. Se si vuole assolutamente ridurre il costo della manodopera nel tentativo di ripristinare la competitività dell'industria senza svalutare, è chiaro che ci vorranno prestazioni sociali e salari più bassi. Ma allora sono i consumi, che già si restringono come vediamo oggi, che crolleranno. Inevitabilmente ne vedremo le conseguenze sulla crescita; oggi le stime più credibili indicano che per l'economia francese l'anno 2013 si tradurrà in stagnazione, nella migliore delle ipotesi, e in una contrazione dello 0,4% del PIL, nell’ipotesi più probabile. Le ultime proiezioni IMF mostrano prospettive di crescita significativamente ridotte per il 2013. Una differenza di - 0,4% del PIL tra le previsioni fatte nel mese di gennaio e quelle fatte nel mese di aprile è in realtà molto significativa sulla traiettoria che stiamo seguendo.




Source: Fonds Monétaire International, prévisions du 16 avril 2013

Il risultato sarà ovviamente un aumento significativo della disoccupazione. Se vogliamo abbassare i costi del lavoro del 20%, probabilmente dovremo aumentare la disoccupazione della metà, arrivando oltre il 15% della popolazione attiva, o 4,5 milioni di disoccupati ai sensi della categoria «A» nell'OSA e 7,5 milioni per categorie A, B e C, comprendenti tutte le categorie di disoccupati. Inoltre, nell'area dell'euro, già la Spagna e l'Italia competono con la Francia nella deflazione salariale. Quindi dovremmo fare meglio di Madrid e Roma, ossia raggiungere non il 15% ma il 20% di disoccupazione. Quale politico se ne assumerà la responsabilità? Quali saranno le conseguenze politiche?
Inoltre, e in maniera inquietante, i profitti del business e degli investimenti produttivi si stanno sgretolando. Questo implica che l'ammodernamento dell'apparato produttivo sarà ritardato e che quanto guadagniamo, se del caso, con le politiche di svalutazione interna, lo perderemo in produttività.



Source: INSEE

Per ora i nostri dirigenti, in particolare in Francia, fanno spallucce. Il Presidente della Repubblica, François Hollande, ripone tutte le sue speranze in un'ipotetica ripresa degli Stati Uniti per alleggerire il peso del fardello dell'austerità. Egli ha tuttavia già ammesso che questo potrebbe non verificarsi nella seconda metà del 2013, come aveva annunciato fin dall'inizio, e ha spostato la sua previsione all'inizio del 2014. Ma, come l'orizzonte che fugge davanti a colui che cammina, la ripresa degli Stati Uniti continua a spostarsi in avanti.

È un'illusione credere che la domanda estera arriverà a salvarci. La crescita degli Stati Uniti è molto inferiore a quanto previsto, e il FMI corregge verso il basso le previsioni a riguardo. Quanto alla crescita cinese, questa sta rallentando mese per mese. François Hollande spera che saremo salvati dalla cavalleria; ma la cavalleria non arriverà, o, come i tragici giorni del giugno 1940, arriverà “troppo poco, troppo tardi”.

Aggiungiamo che i calcoli fatti dal governo sul 2014 mancano singolarmente di affidabilità. Il governo mantiene il suo obiettivo per il 2014 al 2,9% del rapporto deficit/PIL. Tuttavia, questo nel 2013 sarà non il 3% ma il 3,7% (al meglio) o il 3,9% (al peggio). Una riduzione dello 0,8 - 1% del disavanzo significa una politica di tagli o l'emergere di nuove risorse fiscali per 16 - 20 miliardi di euro. Ma questa pressione fiscale, dato un moltiplicatore della spesa pubblica che molto probabilmente è 1.4 (se non di più), si tradurrà in un calo dell'attività economica tra 22,4 e 28 miliardi.
Questo si tradurrà in una diminuzione delle entrate fiscali da 10,3 a 12,9 miliardi di euro. Il guadagno totale delle misure di bilancio o fiscale sarà quindi tra 5,7 a 7,1 miliardi. Se il governo intende realizzare a tutti i costi l'obiettivo di disavanzo che si è prefissato, deve ridurre la spesa o aumentare i prelievi di 45 miliardi di euro e non di 16 miliardi come previsto inizialmente. Ma questo prelievo del 2,25% del PIL si tradurrà quindi in un calo dell'attività economica intorno al 3,1%. Sapendo che la previsione di crescita fatta dal governo è + 1,2% di PIL nel 2014, questo si tradurrà, se la previsione è affidabile, in una recessione del -1.9% del PIL. Se si considera semplicemente una contrazione della spese o un aumento delle imposte da 16 miliardi, l'effetto negativo sulla crescita sarà "solo" di 22,4 miliardi, o 1,1 per cento del PIL, e ci sarà nel 2014 una crescita del + 0,1% del PIL, con un deficit pari al 3,5%. Questi calcoli mostrano bene l'inutilità delle politiche di austerità nelle attuali condizioni, come confermato da un recente studio di Natixis che tuttavia tiene conto di un moltiplicatore della spesa pubblica dell'ordine di 1, mentre noi crediamo che il valore del moltiplicatore sia piuttosto quello di 1.4 per la Francia di oggi.


Più che mai, si pone la questione della sopravvivenza dell'eurozona. Le tendenze alla sua frammentazione stanno ormai aumentando. Vediamo che i problemi dei paesi molto diversi come la Grecia, il Portogallo, la Spagna e l'Italia convergeranno a breve termine, probabilmente nel corso dell'estate 2013. In questi paesi la crisi fiscale (Grecia, Italia), la crisi economica, la crisi bancaria (Spagna, Italia) si stanno ormai sviluppando in parallelo. Pertanto è altamente probabile che avremo una violenta crisi nell'estate del 2013, o all'inizio dell'autunno. È il momento di regolare i conti. L'Euro non ha indotto la crescita sperata quando è stato creato. Ora è un cancro che corrode parte dell'Europa. Se vogliamo salvare l'idea europea c'è ancora tempo, ma la dissoluzione dell'eurozona deve essere rapidamente decisa. Questa soluzione si imporrà come un’evidenza schiacciante e dovrà riunire i responsabili delle varie formazioni politiche. Tuttavia, bisogna agire rapidamente. Ancora una volta, il tempo non aspetta.

martedì 23 aprile 2013

Capire la crisi dell'Euro in poche immagini.


Guardatevi queste slides tratte da scenarieconomici.it: sono assai eloquenti per capire la crisi in atto in Europa.

crisi 1 gpg1-95-Copy-Copy


crisi 2 gpg1-96-Copy-Copy-Copy
crisi  3 gpg1-97-Copy-Copy-Copy
crisi 4 gpg1-98-Copy-Copy-Copy

Draghi: l'euro vivra', voi morirete!!

 Di Maurizio Blondet Nota di Rischio Calcolato: questo post è tratto dalla rivista on-line EffediEffe.



E' una frase che Mario Draghi ha pronunciato durante la conferenza del 4 aprile alla BCE; salvo errori, nessun «grande» media l'ha colta (una sola eccezione in Italia: la tv Class CNBC, che si sta rivelando una delle migliori fonti informative su questi temi). A porgli la domanda e' il giornalista del sito Zero Hedge: «Se, poniamo, la situazione in Grecia o Spagna peggiora ancora, e quei Paesi sono obbligati ad uscire dall'eurozona, esiste un piano per far si che i mercati non collassino? Esiste una qualche rete di protezione strutturale, specialmente nell'area dei derivati? E la seconda domanda e': cosa accadrebbe della sua Emergency Liquidity Assistance che avete dato a Cipro, circa 10 miliardi di euro, se il Paese lascia l'eurozona?».
Draghi ha risposto: «Lei sta ponendo domande cosi ipotetiche che non ho una risposta'¦beh, posso dare una risposta parziale. Questo tipo di domande sono formulate da gente che sottovaluta di gran lunga quel che l'euro significa per gli europei, per l'euro-area. Essi sottovalutano di molto la quantita' di capitale politico che e' stato investito nell'euro. u per questo che continuano a chiedere cose come: 'Se l'euro si spacca? Se un Paese abbandona l'euro?'' Non e' come una porta scorrevole. u una cosa molto importante. u un progetto dell'Unione Europea. Sicche' spendete il fiato invano quando continuate a chiedere a gente come me 'cosa accadrebbe se'. Non esiste un piano B».
«In secondo luogo, la BCE ha mostrato la sua determinazione nel combattere ogni rischio di ridenominazione (sic). E l'OMT (il trilione di euro prestato alle banche all'1%, ndr) con le sue precise norme, ed agente entro il suo mandato, esiste appunto a questo scopo. Cosi rispondo alla sua prima domanda. La seconda domanda era sull'ELA, ma ancora una volta e' subordinata a 'se Cipro lascia'¦'. Di nuovo, non abbiamo in mente questo' Nessun piano B».
Per una volta, Draghi ha detto la verita', sotto la lingua di legno del tecnocrate. «La gente come me» ''' ha detto ''' «ha investito tutte le sue fortune, la sua autorita', carriere e prestigio nella costruzione dell'euro. Se l'euro si spacca, noi persone veramente importanti andiamo a pallino: perdiamo tutto, prestigio, carriere, autorita', soldi e potere. Percio' non ci sara' mai un'uscita dall'euro. Troppo grande e' il capitale politico che ci abbiamo investito».
Zero Hedge commenta sarcastico: dunque dato il controllo sui capitali messo in opera a Cipro a tempo indefinito, i Bancomat locali dispensano «capitale politico» invece del capitale reale? u un commento preso dal punto di vista del liberismo totale, che e' il pensiero unico americano. Ma mostra che s'e' capito bene il proposito di Draghi: eurocrati e banchieri non stanno salvando gli europei, ne' tanto meno greci, italiani, spagnoli e portoghesi; vogliono salvare l'euro ad ogni costo, e italiani, spagnoli, greci e portoghesi muoiano pure. «L'euro non e' una porta scorrevole», ci ha detto il padrone: «l'euro e' la porta della prigione che abbiamo chiuso a tripla mandata; e tanto peggio per voi, carcerati, se morirete di disoccupazione, fame e freddo». Diciamolo un'altra volta: le istituzioni europee non cercano di proteggere i popoli in questa grande depressione; cercano di proteggere se stesse. Se la soluzione della crisi richiede uno smantellamento
dell'euro, la Commissione e la BCE rigettano tale soluzione, perche' equivarrebbe al loro suicidio politico. Percio' per scongiurare questo esito, sono pronti a tutto. Anche a rimangiarsi i loro stessi dogmi del liberismo totalitario che dichiarano loro religione, fino a violare le stesse norme che loro si sono dati. Cosi, addio «libera circolazione di capitali»: a Cipro hanno imposto (con opportuno ritardo: le banche della Germania e di altre nazioni «core» dell'Eurozona hanno portato via i loro soldi dalle banche cipriote prossime a implodere,prima che la crisi bancaria fosse annunciata) il controllo sui capitali. Addio inviolabilita' della proprieta' privata : a Cipro hanno imposto il prelievo forzoso fino al 40% sui conti correnti, un vero esproprio proletario fatto dai supercapitalisti (1). Si sono rimangiati la promessa di garanzia sui depositi fino a 100 mila euro, e gia' propongono di fare lo stesso prelievo sui conti correnti italiani, perche' tanto, «gli italiani sono piu' ricchi dei tedeschi: patrimonio di 108 mila euro contro 95.500» (e' la voce che manda in giro la BCE, per preparare il prelievo forzoso). Esigono «rigore» e dichiarano di non poter stampare moneta «per statuto», ma creano mille miliardi di euro da dare alle banche all'1%, e senza la minima contropartita, ma non alle imprese. (Il vero 'Cyprus Template') Ci stanno strangolando, come dimostra la disoccupazione galoppante che raddoppia, accelerando il ritmo, e le migliaia di aziende che chiudono perche' non reggono l'euro «forte» nel momento in cui anche la Bank of Japan stampa a perdifiato (la Fed lo sta facendo da tre anni). è per colpa loro, del loro euro, se anche il Fondo Monetario riconosce che «l'economia mondiale crescera' quest'anno del 3,4%, per poi accelerare al 4,1% nel 2014, ma l'Europa cala dello 0,2%» (in realta' molto di piu': le previsioni delle tecnocrazie bancarie si sono sempre rivelate ottimiste). Di fronte alla crisi che s'aggrava, gli eurocrati e i banchieri (e i politici che eleggiamo, loro appendici superflue) hanno una sola soluzione, sempre quella: rinforzare i poteri centrali europei. Eppure si vede ormai ad occhio nudo: piu' il processo di «integrazione» avanza, peggio la situazione si deteriora. Ma gli eurocrati propongono sempre di aumentare i loro stessi poteri. E' il loro potere personale che cercano. Sono loro che hanno trasformato il popolo italiano in un popolo senza speranza, declinante senza sbocco: «niente porte scorrevoli, niente piano B» per voi: l'euro vivra', voi morirete.
Sono tranquilli, perche' ci siamo tenuti il loro delegato, il tecnicamente incompetente ma eurocraticamente ortodosso Mario Monti, che ci terra' nell'euro continuando nello stesso tempo a saccheggiarci col sistema fiscale piu' letale del mondo.
L'industria del mobile (effetto collaterale del collasso dell'edilizia provocato da Monti e dalla banche) ha subito una riduzione dei fatturati dell'ordine del 48% rispetto ai tempi belli; ma Equitalia pretendera' dal settore lo stesso gettito fiscale di prima, provocando altre rovine.
I professionisti nel loro insieme, il ceto medio, hanno subito riduzioni dei loro guadagni fra il 15 e il 30%; Befera pretendera' da loro gli stessi montanti tributari, o anche di piu'. Impoverimento mortale degli onesti, evasione fiscale di sopravvivenza per chi potra'.
Il governo Monti (in cui c'e' il ministro Barca, «astro nascente del PD» dettato dall'eurocrazia, e pompato dai media) ha cullato le imprese nell'illusione di ottenere 40 miliardi dei debiti arretrati che le Pubbliche Amministrazione hanno verso di loro; pochi giorni e l'illusione e' svanita, i burocrati non cacceranno mai un soldo, esigono complicatissime «prove» e «accertamenti» su quel che devono ''' mentre loro stesse non tengono contabilita' precisa sui loro debiti (un colossale falso in bilancio commesso da migliaia di pubblici funzionari) ''' impossibili.
Svanita questa illusione, Monti ne ha creato un'altra: producendo il Documento di Economia e Finanza (DEF), presentato alla stampa con dieci diapositive come progetto per «la crescita».
 Ma la stampa non ha detto che il DEF consta di 800 pagine. Ottocento pagine: certo nemmeno Monti le ha lette.
Le ha semplicemente commissionate agli alti burocrati ''' che sono i veri governanti occulti d'Italia, essendo i governi incompetenti ''' e i nostri burocrati, come gli eurocrati, sono occupati non alla sopravvivenza della societa', ma alla loro propria. E sono i piu' inefficienti e rapaci del mondo occidentale. In quelle 800 pagine hanno inserito tutti gli inghippi, i codicilli, i tranelli per aumentarci le tasse, aggravare gli ostacoli alla produzione e stroncare la nostra competitivita' con lacci e lacciuoli.
Nascosto nel DEF, si scopre che i conti pubblici hanno «spese non rinviabili per 8 miliardi» (altri 8 miliardi), e che quindi «se sparisce l'Imu ci vorranno interventi triplicati», ossia aumenti ed aumenti di tasse in altri campi. Anche la sanita' richiedera' un aumento del ticket; ma questo spettera' al nuovo governo. E se il nuovo governo «politico» tarda, le nuove spese si accumulano: altre tassazioni saranno necessarie, altri smantellamenti, altri fallimenti e chiusure di piccole imprese che le amministrazioni pubbliche hanno reso insolventi.  Mi spiace per voi, italiani. Voi che a milioni perderete il lavoro perche' avete voluto stare nell'euro «forte»; che vi suiciderete perche' Equitalia vi chiede immense cifre che non avete come Imu per seconde case che non vi servono, che non potete permettervi ma che non potete vendere, perche' le banche non danno i mutui; mi dispiace per voi che le avete provate tutte per tenere la testa fuori dall'acqua, e adesso non sapete piu' cosa fare, non avete piu' speranza; mi spiace per i vostri figli che sono senza lavoro, ma an che senza istruzione, conoscenze e cultura per andare all'estero a cercarlo ''' perche' avete voluto e difeso la scuola «facile e di massa». Mi spiace per voi, soprattutto, perche' anch'io oggi dipendo da voi, la mia pensione viene pagata dai giornalisti che sono al lavoro ''' e che vengono licenziati ormai a vagonate. Mi spiace per voi, perche' il vostro destino e' razzolare nella spazzatura, essere rapinato dai cocainomani senza soldi nelle strade che costituiranno bande armate, e taglieggiati dagli statali, parastatali, regionali e provinciali che ''' loro ''' il loro stipendio lo vogliono tutto. Ma da un punto di vista oggettivo e spassionato, voi meritate di finire cosi. Perche' in maggioranza schiacciante, vi siete occupati solo di calcio. Non di economia, «perche' e' difficile», ne' di politica, «perche' tanto fanno quello che vogliono». Vi siete rincoglioniti davanti alle tv intrattenimento, alle slot machines e ai vide-porno. Perche' non avete studiato ne' lingue ne' mestieri reali, perche' tanto «il benessere» era assicurato come tutti «i diritti» che vi dicevano di avere. Perche' non avete capito come cambiava il mondo. Perche' non esiste un popolo piu' provinciale, piu' abbandonato agli impulsi di pancia, piu' imperioso nel volerli soddisfatti subito e tutti, piu' ottusamente aggrappato ai propri interessi piu' corti e di breve respiro, piu' litigioso e incapace di unirsi di voi; incapace di scegliersi comandanti fra i migliori; piu' incivile e passatista ed arretrato culturalmente, piu' spregiante dell'intelligenza cosi rara fra voi; mai visto un popolo che espelle all'estero centinaia di migliaia di suoi giovani, i migliori, perche' «troppo qualificati» per noi; mai visto un popolo piu' beotamente prono ad adorare gli idoli sbagliati, che vi venivano proposti all'adorazione di volta in vola. Un popolo cosi, non merita di vivere. Vi e' piaciuto Ciampi. Avete venerato, Saviano; avete deriso «i complottisti» che vi dicevano la verita', perche' «il tg non lo dice». Avete emarginato e odiato chi vi metteva sull'avviso, «uccelli di malaugurio», «da toccarsi i coglioni» ''' mentre adoravate l'Ottimista, il Facilone, il Facilista. Se siete di sinistra, avete fatto di tutto per stroncare Renzi («infiltrato di destra») (2) e preferito Bersani, ed ora sperate in Barca, perche' e' «un compagno» (un compagno che vi terra' dentro l'euro, la prigione dei popoli). Avete avuto gran rispetto di Monti. Avete voluto credere che il nemico interno e' l'Evasore Fiscale anziche' il Parassita Sociale, ancorche' siate nel Paese che l'amministrazione pubblica tassa come gli stati scandinavi, ma dandovi servizi come gli africani. Il vero prelievo Statistiche ufficiali. Il vero prelievo fiscale, come ammette anche Monti, supera il 52%

E avete gran rispetto e considerazione anche di Draghi. Draghi vi uccidera' fara' del vostro Paese un deserto di industrie, e le industrie che muoiono non torneranno piu' nemmeno quando tornerete alla lira per disperazione e necessita'.
E' terribile quel che vi accade e vi accadra', perche' anch'io sono uno di voi. Ma sul piano oggettivo, avete quello che meritate. Che avete scelto. Che avete voluto. 

1) La rovina di Cipro e' freddamente pianificata dal documento della Commissione Europea. «'¦L'attivita' economica sara' negativamente influenzata dalla ristrutturazione immediata del settore bancario, che avra' impatto sul credito, date anche le misure di consolidamento di bilancio. Le restrizioni temporanee richieste per garantire la stabilita' finanziaria danneggeranno gli afflussi di capitale internazionale e ridurranno i volumi d'affari delle imprese, sia quelle orientate al mercato interno che quelle che operano sul mercato internazionale' una perdita di ricchezza, che ridurra' il consumo privato e gli investimenti produttivi. Cio', unito alle misure fiscali in corso e quelle progettate, provocheranno una acuta caduta della domanda interna. E poco sollievo si puo' aspettare dall'export, date le incerte condizioni estere e il settore finanziario in drastica riduzione». Queste frasi si applicano alla perfezione all'Italia, ed indicano il programma che lorsignori preparano alle popolazioni europee in generale. E infatti noi stiamo gia' subendo lo stesso progetto che hanno imposto a Cipro. (Assessment of the public debt sustainability of Cyprus ''' Zero Hedge)
2) Qualunque cosa si pensi di Renzi, il 'popolo di sinistra' gli s'e' mobilitato contro d'un solo blocco come a un «deviazionista di destra», facendo di tutto per bloccare quella che i militanti chiamavano «l'infiltrazione di destra nelle nostre primarie». Questo tipo di linguaggio ''' l'ho sentito con le mie orecchie in dibattiti pubblici e radiofonici ''' e' ancora di tipo sovietico. Nell'Urss dei bei tempi, avrebbe portato allo «smascheramento» del deviazionista di destra e alla sua liquidazione col classico colpo alla nuca alla Lubianka, seguito da una «purga del Partito» per disinfestarlo dagli «infiltrati di destra» , spediti  vagoni interi '''fra gli applausi sinceri del popolo sovietico ''' a ripopolaree il Gulag. Nella situazione italiana, porta la sinistra a tagliarsi da sola le possibilita' di governo, scegliendo Bersani, Barca o Vendola e tenendo a distanza un elettorato piu' ampio. Serve a rifiutare l'alleanza di governo d'emergenza «con Berlusconi»,e a tentare ostinatamente di governare con il Movimento 65 Stelle, creduto erroneamente, da certe caratteristiche superficiali, «una costola della sinistra». Appena pero' questi avessero la maggioranza, ricomincerebbero le epurazioni.
(Tratto da: http://www.stampalibera.com

Anno 1992 governo Amato, 2002 Draghi: "con l' Italia al riparo dell' euro di fronte alle crisi internazionali" e il terrore svalutazione!!


Helmut Schlesinger, irato presidente della Bundesbank, che si alza dal tavolo dei ministri e banchieri d' Europa e sbatte la porta all' ennesima richiesta di un taglio dei tassi. L' allora presidente del Consiglio, un Giuliano Amato rassicurante, intervistato quel 13 settembre del ' 92 al TG1 sul «riallineamento» della lira (al ribasso del 7%) in seno al Sistema monetario europeo. I creditori esteri dell' Efim che, a decine, affollano Via XX Settembre in cerca di impegni minimamente credibili. Episodi di dieci anni fa. «Più invecchio, più mi accorgo che non c' è nulla che cambi come il passato», ha osservato Mario Draghi, oggi vice-presidente di Goldman Sachs International, all' epoca direttore generale del Tesoro. Di quella svalutazione che non impedì l' espulsione di fatto dallo Sme pochi giorni più tardi, Draghi ha parlato per la prima volta in pubblico ieri nell' Aula Magna dell' università di Padova. Con lui, in un dibattito coordinato dal direttore del Corriere della Sera Ferruccio de Bortoli, altri due "Ciampi boys": Francesco Giavazzi, all' epoca dirigente generale al Tesoro, e il ragioniere generale dello Stato Vittorio Grilli. Che sia possibile leggere oggi quel passato con lenti diverse, lo si vede da almeno due constatazioni. La prima, per Draghi, è che il confronto con quell' estate dà la misura «di come siamo migliorati» con l' Italia al riparo dell' euro di fronte alle crisi internazionali. Proprio lui ieri ha rivendicato parte del merito: come quando chiese nel 1991 al ministro del Tesoro, Guido Carli, di sospendere le emissioni in valuta estera. Con un debito poco sotto al 110% del prodotto lordo (come peraltro oggi), quella scelta mise il Paese al riparo dai rischi d' insolvenza di tipo argentino. Ma il passato cambia, ha spiegato ieri Draghi con un implicito riferimento al governatore di Banca d' Italia del ' 92 Carlo Azeglio Ciampi, anche perché alla fine hanno avuto ragione «quelli che allora dicevano
che non bisogna svalutare». Non l' hanno avuta nell' immediato. Ma nel corso nel decennio la convergenza della moneta e dei tassi italiani in Europa si è dimostrata vincente. Anche se in quelle settimane, è stato ricordato ieri a Padova, costò 50 miliardi di dollari di riserve delle Banca d' Italia. Del presente, ieri Draghi non ha parlato. Ha solo ricordato che l' Italia già durante il negoziato di Maastricht propose di computare i deficit al netto della congiuntura e di valutare gli investimenti a parte. «Erano proposte sensate ma non fummo ascoltati», ha riconosciuto ieri l' ex direttore generale del Tesoro. «Non eravamo ritenuti credibili perché, visto lo stato dei conti, si riteneva volessimo eludere i vincoli». Qualcosa di simile al Patto di stabilità esiste peraltro nella Costituzione italiana, con l' obbligo di copertura finanziaria delle leggi iscritto nell' articolo 81. Lo ha ricordato ieri Vittorio Grilli. Quel vincolo fu aggirato a lungo ammettendo il ricorso al debito. E proprio in questi giorni il decreto taglia-spese, ha detto Grilli, nasce come «meccanismo stringente» contro rischi del passato. Giavazzi, oggi docente alla Bocconi ed editorialista del Corriere, ha ricordato che parte dei nodi del ' 92 restano da sciogliere. Soprattutto quello di un «aggiustamento tutto sul lato delle entrate e quasi per niente su quello delle spese». Ma proprio con Amato del ' 92, ha aggiunto l' economista, «il ritiro dello Stato dall' economia ha dato la sensazione ai mercati che avveniva qualcosa d' irreversibile». -7% la SVALUTAZIONE della lira nello Sme decisa il 13 settembre ' 92. Poi l' uscita dal Sistema monetario europeo 990 Il TASSO sul marco con il quale la lira è rientrata nello Sme nel ' 96. Circa il 20% sotto il cambio del ' 92

Fubini Federico

(15 settembre 2002) - Corriere della Sera

per chi non si ricordasse la vicenda facciamo un riassunto:

Nella notte fra il 9 e il 10 luglio 1992, indossata metaforicamente una tuta di seta nera alla Diabolik, il governo guidato da Giuliano Amato penetrò nei forzieri delle banche italiane prelevando il 6 per mille da ogni deposito. Un decreto legge di emergenza l’’autorizzava a farlo: in quel provvedimento, varato mentre i mercati si accanivano sulla lira, erano state inzeppate alla rinfusa misure le più svariate. Dall’’aumento dell’’età pensionabile alla patrimoniale sulle imprese, dalla minimum tax all’’introduzione dei ticket sanitari, dalla tassa sul medico di famiglia all’’imposta straordinaria sugli immobili pari al 3 per mille della rendita catastale rivalutata. Prelievo sui conti correnti e Isi fruttarono insieme 11.500 miliardi di lire. L’imposta straordinaria sugli immobili, nella migliore delle tradizioni italiane, perse subito il prefisso stra per diventare una gabella ordinaria: l’’imposta comunale sugli immobili, ovverosia l’’Ici.
Con il Paese sull’’orlo del baratro, il dottor Sottile adottò misure grossier. La più nota ed esecrata fu appunto il prelievo sui conti correnti, che ebbe almeno il pudore d’essere una tantum. All’’ultimo momento, in Consiglio dei ministri, il titolare del Tesoro Piero Barucci propose, senza successo, di sostituirla con l’aumento dell’’imposta sugli interessi bancari (una proposta analoga era stata fatta dall’’allora vicedirettore di Bankitalia Antonio Fazio, preoccupato delle conseguenze della violazione notturna del risparmio nazionale). [...] Le cose andarono diversamente da quanto Giuliano Amato aveva sperato: nonostante la cura da cavallo (manovra di luglio più finanziaria sfioravano insieme i centomila miliardi di lire), che portò l’’economia italiana sull’’orlo della recessione, la lira dovette uscire dal Sistema monetario europeo neppure tre mesi dopo quella notte di luglio, e nella primavera successiva il dottor Sottile si dimise. Venne chiamato Carlo Azeglio Ciampi, allora governatore della Banca d’Italia, per formare un governo tecnico che traghettasse l'’Italia fuori dalla crisi.

domenica 21 aprile 2013

Adesso basta con il terrorismo mediatico PRO-EURO!!!

C’è un timore diffuso che una eventuale uscita dall’euro dell’Italia, con il ritorno ad una valuta nazionale, sarebbe una catastrofe, perché la “nuova lira” si svaluterebbe rispetto all’euro in modo consistente, questo farebbe aumentare i prezzi dei beni importati, in particolare petrolio ed energia, e l’inflazione aumenterebbe in modo vertiginoso, costringendoci a far la spesa con carriole di banconote.
Se si tornasse ad un sistema in cui il prezzo della valuta nazionale viene deciso da domanda e offerta di valuta nazionale contro valuta estera, qual’è davvero la posizione dell’Italia?
La domanda netta di una valuta dipende dalla differenza tra gli incassi del Paese e i pagamenti fatti all’estero, che a loro volta hanno origine da (1) scambi commerciali; (2) trasferimenti, come il pagamento di interessi; (3) operazioni finanziarie come l’acquisto di titoli.
Il saldo commerciale dell’Italia – per le merci – è riportato nel primo grafico, che utilizza dati mensili Istat, cumulati su dodici mesi. Da Agosto 2012 il saldo è tornato positivo, per il crollo delle importazioni dovuto alla crisi, ma anche per la crescita delle esportazioni.




Il secondo grafico mostra l’andamento delle vendite di merci italiane agli altri Paesi dell’Unione europea, e al resto del mondo. Si nota come l’andamento delle vendite verso l’Unione europea, in gran parte ferma per le
politiche di austerità, abbia ristagnato, mentre sono aumentate le vendite verso Paesi terzi, con una perdita del peso relativo del mercato europeo come collocazione delle nostre esportazioni.


Il terzo grafico riporta il saldo tra incassi e pagamenti in conto corrente, insieme al saldo commerciale per le merci. I pagamenti totali sono ancora superiori agli incassi, e quindi da qui emerge una domanda netta di valuta estera (che spingerebbe alla svalutazione di una valuta nazionale). Ma qual’è a differenza tra saldo
commerciale e bilancia delle partite correnti? Oltre al saldo del commercio di servizi, in sostanziale pareggio, le altre voci riguardano i redditi da lavoro (rimesse degli immigrati) ma soprattutto i redditi da capitale, e cioè gli interessi che gli italiani (governo e settore privato) pagano all’estero in ragione dei prestiti ricevuti, al netto degli interessi incassati.


E’ questa voce, insieme ai trasferimenti netti, a tenere il nostro saldo con l’estero in deficit. Una parte consistente dipende dai tassi di interesse elevati pagati ai creditori esteri (lo spread!), che progressivamente sparirebbero con le modifiche alle regole del gioco che seguirebbero l’uscita dall’euro.

Quindi, se uscendo dall’euro si riducono i trasferimenti netti all’estero e il pagamento di interessi, non c’è alcuna pressione verso la svalutazione dal conto corrente. Tradotto: siamo competitivi. C’è sempre, ovviamente, la possibilità di attacchi speculativi sui mercati finanziari, e ci sono gli strumenti per evitarla.

E, per inciso, se l’Italia è in crisi e abbisogna di riforme strutturali, di precarizzare il lavoro, di ridurre i costi ecc ecc ecc, come mai le nostre imprese (almeno alcune!) vendono all’estero sempre di più? Evidentemente i problemi sono altri.

Mentre noi cazzeggiamo la Francia stampa moneta!!

Ma cosa sta succedendo? Mario Draghi, presidente della banca centrale europea (BCE) qualche giorno fa accorda in sordina a un paese dell’eurozona il diritto di battere moneta. E quel che è peggio in modo quasi “illimitato” (la parola alla moda per la finanza internazionale).
Badate bene, non a Cipro, non alla Grecia, non alla Spagna, non al Portogallo, non all’Irlanda, né tantomeno all’Italia. No, alla Francia. Tutto per noi ! E badate bene, non in qualsiasi valuta, non in franchi. No, in euro liquidi (è il caso di dirlo, come vedrete sotto).
Alcuni osservatori avvertiti vi hanno ironicamente scorto un segnale positivo. Paul Krugman, premio Nobel (non poteva essere che un premio Nobel !) :

« La Francia ha di nuovo la sua moneta. »

Figuriamoci, non sono un premio Nobel (almeno non ancora) ma sarei quasi d’accordo con l’editorialista nobellizzato del New York Times: finalmente un ritorno alle monete nazionali nell’Unione europea !
Tranne che, sempre in euro, non in tutti i paesi membri… Se foste aspiranti premi Nobel, vi chiedereste scientemente cosa si nasconde, nevvero ?

Gli « economisti » entrano in scena

Ebbene, la rivista Notizie economiche tedesche – Deutsche Wirtschafts Nachrichten (DWN) – ha idee ben più viziose, ben più perverse nel merito :

« Questo fatto deve impedire che una banca francese crolli. »

Il DWN indica che una banca francese sarebbe particolarmente presa di mira, ma il suo nome non è stato ufficialmente indicato. Il DWN cita tre banche francesi istituzionali (BNP Paribas, Société générale, Crédit
agricole), con particolare attenzione al Crédit agricole (che ha chiuso l’anno 2012 in negativo).
Qualche economista di forum ha voluto invece considerarlo un affronto… per « i sostenitori dell’uscita dall’euro» :
« Il principale argomento [degli eurofobici, ndr] vien meno: la BCE si comporta come la BdF [Banca di Francia] e adesso si può giocare con la moneta senza che ciò comporti d’ufficio una svalutazione. »
Modo molto originale di vedere le cose (questi saggi che faccia tosta !). Ciononostante accordare qualsiasi potere monetario apparente a un paese membro contraddice però gravemente i regolamenti europei. E se una istituzione come la BCE viola in tal modo le sue prerogative, è perché sicuramente gatta ci cova.

L’offesa del Sud alla Germania

Forse che la casa rischia di bruciare per via di fallimento prevedibile di una banca francese sistemica, ad esempio ? Un’emergenza imprescindibile ad agire seduta stante ? E di impedire per inciso alla Germania di impicciarsi nel salvataggio di un nuovo gallo zoppicante di questa maledetta zona alla quale tutto andrebbe meravigliosamente bene se non ci fossero queste fottute tegole ?
E’ quanto insinua crudelmente e senza mezzi termini il DWN che denuncia un complotto (costretto e forzato dal loro triste stato?) da parte dei paesi sinistrati del sud contro l’impotente Germania:
« Si sta sviluppando in Francia, sotto i radar, una gigantesca bolla finanziaria. La Germania deve assistere impotente. Il capo della Bundesbank, Jens Weidmann può solo fare omelie domenicali al riguardo. Nient’altro. Tale azione è la dimostrazione che la frazione del Sud, nelle quinte della BCE, ha già ampiamente preso il controllo della struttura dell’Europa. »
In altre parole, nel fuggi fuggi generale, è stato inferta all’integrità della moneta unica una mortifera pugnalata. Ma zitti, va tutto benissimo madama la Marchesa in Europa. E chi diavolo osa parlare qua dello stato febbrile e del panico generali ?

2) Da Bce munizione speciale a Francia: licenza di stampare denaro

E’ quanto riporta il giornale economico tedesco, Deutsche Wirtschafts Nachrichten. Obiettivo ultimo di tale concessione: garantire il salvataggio del sistema bancario francese al riparo dai controlli tedeschi.
La Bce avrebbe concesso alla Francia una licenza per stampare una quantità di denaro illimitata grazie ad uno speciale programma obbligazionario. 
E’ quanto riporta il giornale online popolare di economia tedesca (euro scettico) Deutsche Wirtschafts Nachrichten, secondo il quale l’obiettivo ultimo di tale concessione sarebbe quello di garantire il salvataggio del sistema bancario francese al riparo dai controlli tedeschi.
In pratica, secondo il giornale tedesco, accanto al flusso di liquidità a 3 anni garantito dal LTRO, le banche francesi hanno a disposizione una fonte di finanziamento praticamente inesauribile, il cosiddetto mercato STEP.
Si tratta di un mercato non regolamentato, sul quale sono negoziate obbligazioni bancarie e corporate. Il valore dei titoli di debito negoziati è pari a circa 440 miliardi di euro.


I volumi scambiati nel mercato STEP (Short Term European Papers).

In pratica, il settore bancario francese si è ulteriormente sviluppato sul mercato STEP (Short Term European Papers), avendo così la possibilità di ricorrere ad un programma alternativo per la concessione di credito, non molto lontano dall’essere una vera licenza per stampare denaro.

giovedì 18 aprile 2013

IN PORTOGALLO SI PENSA AD UN DEFAULT

DI AMBROSE EVANS-PRITCHARD
telegraph.co.uk

L’ex leader del Portogallo ha invitato il paese a copiare l'Argentina e dichiarare bancarotta per il suo debito per evitare un collasso economico, una mossa che porterebbe quasi certamente ad una espulsione dall'euro.
Mario Soares, che ha guidato il paese verso la democrazia dopo la dittatura di Salazar, ha detto che tutte le forze politiche dovrebbero unirsi per "far cadere il governo" e respingere le politiche di austerità della troika dell’ Ue-Fmi.

"Il Portogallo non sarà mai in grado di pagare i propri debiti, per quanto possa continuare ad impoverirsi. Se non è possibile pagare, l'unica soluzione è non pagare. Quando l'Argentina era in crisi non pagò. E che cosa è successo? Non è successo niente", ha dichiarato ad Antena 1.
L'ex Premier Socialista ed ex Presidente del paese ha detto che il governo portoghese è diventato un servo del cancelliere tedesco Angela Merkel, e che esegue disciplinatamente qualunque ordine ricevuto. 

"Nel loro desiderio di fare contenta la Senhora Merkel, hanno venduto tutto e rovinato questo paese. In due anni questo governo ha distrutto il Portogallo".
Dario Perkins di Lombard Street Research, ha detto che un default a muso duro costringerebbe il Portogallo all’uscita dall'euro. " Ma questo creerebbe una animosità incredibile - La Germania si preoccuperebbe del fatto che altri paesi potrebbero seguire la stessa strada e per evitarlo adotterebbe una linea molto dura." 

Mr Perkins ha detto che tutti gli stati periferici hanno "un gran paura" di essere buttati fuori dall'UEM. "Temono che le loro economie potrebbero crollare, cosa che però è ridicola. Ma alla fine gli elettori cominciano ad eleggere politici che si rifiutano di accettare politiche di austerità, come stiamo vedendo in Italia, e l'Unione europea perderà il controllo della situazione".

Raoul Ruparel di Open Europe ha detto che in Portogallo si è raggiunto il limite massimo di austerità. "Il precedente consenso politico in parlamento è evaporato. Come spesso accade durante questa crisi, l'Eurozona si scontra contro tutte le forze democratiche nazionali." 

Il grido di battaglia di Soares arriva una settimana dopo che la Corte costituzionale del Portogallo ha decretato che i tagli sugli stipendi e sulle pensioni dei lavoratori pubblici sono illegali, costringendo il Premier Pedro Passos Coelho a doversi rimettere alla ricerca di dove fare nuovi tagli. La sentenza mette in discussione tutta la politica di "svalutazione interna" fatta dal governo per abbassare il costo del lavoro.
Un rapporto trapelato dalla Troika lancia l'allarme perché il paese rischia di entrare in una spirale del debito e che avrà bisogno di chiedere un altro finanziamento di € 15 miliardi entro il 2015, un terzo superiore a quanto servì dopo la crisi del debito nel 2011. "Il nuovo finanziamento sarebbe fondamentalmente ad alto rischio" si legge nel rapporto. 

In uno dei pochi passi che contengono buone notizie, si legge che venerdì scorso i ministri delle finanze della zona euro hanno concordato di estendere il rimborso dei prestiti per il salvataggio di Portogallo e Irlanda per altri sette anni, riducendo così la pressione dei mercati.

Bruxelles ha detto che entrambi i paesi sono "ancora altamente vulnerabili" a causa di forze che sfuggono al loro controllo, e per questo hanno bisogno di un "segnale di sostegno forte". 

I critici dicono che è troppo poco e troppo tardi. Ormai gli eventi si muovono troppo veloci e rispondono solo a regole proprie. 

Ambrose Evans-Pritchard

Fonte: telegraph.co.uk 

Rodotà: “Approvando il pareggio di bilancio, Keynes è incostituzionale!!”





Nel silenzio generale abbiamo assistito alla manomissione di alcuni importantissimi articoli della Costituzione, in particolare l’articolo 81 con l’introduzione del pareggio di bilancio. Stefano Rodotà è stato tra i pochi a pronunciarsi in modo nettamente critico . Ci pare utile, in queste ore nelle quali il suo nome è tornato alla ribalta come possibile candidato alla Presidenza della Repubblica, rileggere un suo articolo di qualche mese fa, in cui mette in evidenza i danni prodotti da una “fase costituente” affrettata e imposta dall’Unione europea.

di Stefano Rodotà, da Repubblica, 20 giugno 2012


Stiamo vivendo una fase costituente senza averne adeguata consapevolezza, senza la necessaria discussione pubblica, senza la capacità di guardare oltre l’emergenza. È stato modificato l’articolo 81 della Costituzione, introducendo il pareggio di bilancio. Un decreto legge dell’agosto dell’anno scorso e uno del gennaio di quest’anno hanno messo tra parentesi l’articolo 41. E ora il Senato discute una revisione costituzionale che incide profondamente su Parlamento, governo, ruolo del Presidente della Repubblica. Non siamo di fronte alla buona “manutenzione” della Costituzione, ma a modifiche sostanziali della forma di Stato e di governo. Le poche voci critiche non sono ascoltate, vengono sopraffatte da richiami all’emergenza così perentori che ogni invito alla riflessione configura il delitto di lesa economia.
In tutto questo non è arbitrario cogliere un altro segno della incapacità delle forze politiche di intrattenere un giusto rapporto con i cittadini che, negli ultimi tempi, sono tornati a guardare con fiducia alla Costituzione e non possono essere messi di fronte a fatti compiuti. Proprio perché s’invocano condivisione e coesione, non si può poi procedere come se la revisione costituzionale fosse affare di pochi, da chiudere negli spazi ristretti d’una commissione del Senato, senza che i partiti presenti in Parlamento promuovano essi stessi quella indispensabile discussione pubblica che, finora, è mancata.
Con una battuta tutt’altro che banale si è detto che la riforma dell’articolo 81 ha dichiarato l’incostituzionalità di Keynes.
L’orrore del debito è stato tradotto in una disciplina che irrigidisce la Costituzione, riduce oltre ogni ragionevolezza i margini di manovra dei governi, impone politiche economiche restrittive, i cui rischi sono stati segnalati, tra gli altri da cinque premi Nobel in un documento inviato a Obama. Soprattutto, mette seriamente in dubbio la possibilità di politiche sociali, che pure trovano un riferimento obbligato nei principi
costituzionali. La Costituzione contro se stessa? Per mettere qualche riparo ad una situazione tanto pregiudicata, uno studioso attento alle dinamiche costituzionali, Gianni Ferrara, non ha proposto rivolte di piazza, ma l’uso accorto degli strumenti della democrazia. Nel momento in cui votavano definitivamente la legge sul pareggio di bilancio, ai parlamentari era stato chiesto di non farlo con la maggioranza dei due terzi, lasciando così ai cittadini la possibilità di esprimere la loro opinione con un referendum.
Il saggio invito non è stato raccolto, anzi si è fatta una indecente strizzata d’occhio invitando a considerare le molte eccezioni che consentiranno di sfuggire al vincolo del pareggio, così mostrando in quale modo siano considerate oggi le norme costituzionali. Privati della possibilità di usare il referendum, i cittadini — questa è la proposta — dovrebbero raccogliere le firme per una legge d’iniziativa popolare che preveda l’obbligo di introdurre nei bilanci di previsione di Stato, regioni, province e comuni una norma che destini una quota significativa della spesa proprio alla garanzia dei diritti sociali, dal lavoro all’istruzione, alla salute, com’è già previsto da qualche altra costituzione. Non è una via facile ma, percorrendola, le lingue tagliate dei cittadini potrebbero almeno ritrovare la parola.
L’altro fatto compiuto riguarda la riforparlamentari, costituzionale strisciante dell’articolo 41. Nei due decreti citati, il principio costituzionale diviene solo quello dell’iniziativa economica privata, ricostruito unicamente intorno alla concorrenza, degradando a meri limiti quelli che, invece, sono principi davvero fondativi, che in quell’articolo si chiamano sicurezza, libertà, dignità umana. Un rovesciamento inammissibile, che sovverte la logica costituzionale, incide direttamente su principi e diritti fondamentali, sì che sorprende che in Parlamento nessuno si sia preoccupato di chiedere che dai decreti scomparissero norme così pericolose.
È con questi spiriti che si vuol giungere a un intervento assai drastico, come quello in discussione al Senato. Ne conosciamo i punti essenziali. Riduzione del numero dei modifiche riguardanti l’età per il voto e per l’elezione al Senato, correttivi al bicameralismo per quanto riguarda l’approvazione delle leggi, rafforzamento del Presidente del Consiglio, poteri del governo nel procedimento legislativo, introduzione della sfiducia costruttiva. Un “pacchetto” che desta molte preoccupazioni politiche e tecniche e che, proprio per questa ragione, esigerebbe discussione aperta e tempi adeguati. Su questo punto sono tornati a richiamare l’attenzione studiosi autorevoli come Valerio Onida, presidente dell’Associazione dei costituzionalisti, e Gaetano Azzariti, e un documento di Libertà e Giustizia, che hanno pure sollevato alcune ineludibili questioni generali.
Può un Parlamento non di eletti, ma di “nominati” in base a una legge di cui tutti a parole dicono di volersi liberare per la distorsione introdotta nel nostro sistema istituzionale, mettere le mani in modo così incisivo sulla Costituzione? Può l’obiettivo di arrivare alle elezioni con una prova di efficienza essere affidato a una operazione frettolosa e ambigua? Può essere riproposta la linea seguita per la modifica dell’articolo 81, arrivando a una votazione con la maggioranza dei due terzi che escluderebbe la possibilità di un intervento dei cittadini? Quest’ultima non è una pretesa abusiva o eccessiva. Non dimentichiamo che la Costituzione è stata salvata dal voto di sedici milioni di cittadini che, con il referendum del 2006, dissero “no” alla riforma berlusconiana.
A questi interrogativi non si può sfuggire, anche perché mettono in evidenza il rischio grandissimo di appiattire una modifica costituzionale, che sempre dovrebbe frequentare la dimensione del futuro, su esigenze e convenienze del brevissimo periodo. Le riforme costituzionali devono unire e non dividere, esigono legittimazione forte di chi le fa e consenso diffuso dei cittadini.
Considerando più da vicino il testo in discussione al Senato, si nota subito che esso muove da premesse assai contestabili, come la debolezza del Presidente del Consiglio. Elude la questione vera del bicameralismo, concentrandosi su farraginose procedure di distinzione e condivisione dei poteri delle Camere, invece di differenziare il ruolo del Senato. Propone un intreccio tra sfiducia costruttiva e potere del Presidente del Consiglio di chiedere lo scioglimento delle Camere che, da una parte, attribuisce a quest’ultimo un improprio strumento di pressione e, dall’altra, ridimensiona il ruolo del Presidente della Repubblica. Aumenta oltre il giusto il potere del governo nel procedimento legislativo, ignorando del tutto l’ormai ineludibile rafforzamento delle leggi d’iniziativa popolare. Trascura la questione capitale dell’equilibrio tra i poteri.
Tutte questioni di cui bisogna discutere, e che nei contributi degli studiosi prima ricordati trovano ulteriori approfondimenti. Ricordando, però, anche un altro problema. Si continua a dire che le riforme attuate o in corso non toccano la prima parte della Costituzione, quella dei principi. Non è vero. Con la modifica dell’articolo 81, con la “rilettura” dell’articolo 41, con l’indebolimento della garanzia della legge derivante dal ridimensionamento del ruolo del Parlamento, sono proprio quei principi ad essere abbandonati o messi in discussione.