lunedì 8 aprile 2013

Mario Draghi sta sbagliando tutto

A leggere la notizia viene da ridere. Ma proprio da ridere; in contrappunto con la Germania che si rifiuta di reflazionare e anticipa il pareggio di bilancio acuendo la compressione della propria domanda interna...Ma forse, nell'ideologia economica delirante dei suoi disegni di mercantilismo imperialista, per essere più pronta alla lotta post euro-break?
Certo, la Germania rischia di fare la fine del Giappone,deflazionista in stagnazione, proprio mentre il Giappone pone fine a quella stessa stupidità in cui la Germania si lancia con tutta la sua forza.

E infatti: la Bank of Japan (BOJ) comprerà titoli di stato sul mercato secondario a un ritmo di 7000 miliardi di yen al mese, cioè circa 78 miliardi di dollari. Lo stimolo Fed, per capirsi, è pari sì a 85 miliardi di dollari al mese, ma corrispnde allo 0,54% del PIL USA, laddove BOJ prende in carico acquisti per l'1,1% del proprio PIL. La durata media dei titoli in portafoglio, che coinvolge titoli fino a 40 anni, andrà dagli attuali 3 anni a 7.
Abe ha messo in sella il nuovo governatore Kuroda (ad avercene!), che è riuscito a imporsi - cambiandone alcuni membri in scadenza- al board BOJ, infarcito di esponenti delle banche, più che restii al nuovo corso.
Poco agisce, per ora, questo "stimolo", nel senso della reflazione: a febbraio, - nonostante l'inizio del programma di QE a livelli piuttosto sostenuti (la metà dell'attuale volume) da almeno gennaio-l'indice dei prezzi è sceso di 0,7 su base annua, allontanando l'obiettivo di inflazione al 2% da raggiungere entro i prossimi due anni.
Ma ciò non ci stupisce, dato che non è la sovraofferta di moneta a determinare l'inflazione, nonostante Friedman, Weidman, la stampa tedesca e la "sussidiaria" stampa italiana, nonchè tutto il board BCE con la Commissione UE e Olli Rehn messi in colonna.
L'effetto dell'annuncio di Kuroda però si riflette sul corso dello yen, che ieri ha perso il 3% su dollaro e euro (una moneta, una garanzia: di stupidità). 
Lo stesso yen, pur calando abbastanza costantemente nelle ultime settimane, rimane sopravvalutato del 4% rispetto al dollaro, in base al criterio della parità del potere d'acquisto calcolata dall'OCSE.
Perde qualcosa il Giappone? Non direi: acquisterà competitività insieme con l'innalzarsi dell'inflazione (e dei salari).
Una bestemmia per Draghi; almeno nella sua versione ufficiale, di stretto ritoquantitativ-monetaristico filogermanico, affossatore della domanda in tutta l'UE.E Federico Caffè, che risulta essere stato, taaaanto tempo fa, il suo "maestro", si starà rivoltando nella tomba (ovunque essa sia...).
Dunque il Giappone vedrà anzitutto crescere le proprie esportazioni. Cosa estremamente bizzarra seguendo le teorie di Draghi.
E poi la Bank of Japan ci guadagnerà, e con essa lo Stato giapponese; perchè? Ma perchè gli acquisti calmierano gli interessi sulle nuove emissioni: il decennale giapponese è sceso di 11 punti al minimo dello 0,45%, mentre il bond trentennale di 22 punti base a un minimo di 1,31.
Ciò significa, indovinate, plusvalenze per la BOJ (che abbiamo visto acquista titoli sul secondo mercato, cioè già emessi a rendimenti più alti), che verranno riutilizzate nel programma di acquisti e comunque abbasseranno l'onere del debito (se calano gli interessi sulle nuove emissioni e le vecchie finiscono in mano...allo Stato, è un calcolo facile facile).
Lo so che Draghi non è in grado di fare politiche monetarie se non centralizzate, ma le plusvalenze realizzate da BOJ e FED (da almeno 4 anni), qualcosa gli dovrebbero suggerire invece di concepire l'OMT come una forma di punizione fiscale, a carico dei paesi che vi vorrebbero ricorrere, in modo da amplificare l'amata recessione-disoccupazione, purificatrice nella deflazione.
Ah, e la Borsa giapponese? L'indice Nikkei è salito di oltre il 2%, con rialzo dei titoli bancari (ma sta inflazione non doveva fargli paura?), dei titoli delle società che esportano e, udite udite!, delle società immobiliari: Perchè? Perchè questi settori dovrebbero beneficiare dell'indebolimento dello yen e del calo dei tassi.

Il pericolo segnalato sarebbe quello di aspettative di inflazione che si rafforzino più del previsto, obbligando alla brusca chiusura dei rubinetti della liquidità: ma al momento di ciò neppure l'ombra.
Oppure, il pericolo potrebbe essere che i concorrenti del Giappone reagiscano cercando un indebolimento parallelo delle rispettive valute. Facciamo il caso degli USA.
Ma non pare certo quello dell'euro, visto il diktat alla deflazione attraverso lariduzione anche NOMINALE dei salari che predica apertamente Draghi, legittimando nuove ondate di recessione in UEM al fine di raggiungere il da lui auspicato "livello naturale di disoccupazione"...dilagante.


Un altro "divertente" dettaglio, che ci segnala l'Economist: ("Six years of low interest rates in search of some growth"): nonostante i tassi ai minimi, la curva IS rimane rigida.
Sentite che dicono, senza dover per questo dare ragione ufficialmente a Keynes, gli espertologi USA-UK: "Le imprese nell'approvare progetti di investimento a lungo termine devono considerare una pluralità di fattori: l'equilibrio tra offerta e domanda nel loro settore, i presupposti regolatori e politici, la disponibilità di manodopera qualificata. I tassi di interesse non sono un fattore significativo nella nostra decisione".
Il che appare quasi un brano della teoria keynesiana, scritto in una brutta prosa. Infatti, proseguono gli investitori esteri (quelli che non si vedrebbero da noi per via della "corruzzzione" e della burocrazia elefantiaca) "i tassi di interesse sono solo una piccola porzione dei costi cui far riferimento".
E qui viene la goduria (platonica: quella che ci rimane se si deve stare nella "notte dell'euro"): "ciò non è sorprendente per chi osservi il Giappone, dove gli interessi nominali sono stati vicini a zero per un decennio, - sebbene quelli "reali" siano rimasti positivi"-, e il livello assoluto degli investimenti in termini reali non è cresciuto rispetto al 1997 (!). Le imprese sono state coinvolte in troppi "cicli" negativi laddove hanno investito in anticipo su una crescita interna che non si è mai verificata".
Lo vogliamo dire a Draghi? Ma lo sa benissimo: solo che "nun je piace cchiù 'o presepe" ormai.


L'Economist ci dice pure: "Il punto chiave non è che gli interessi nominali sono bassi. E' piuttosto che, fuori dal Giappone (ma non sappiamo quanto a lungo ndr.),gli interessi reali sono negativi."
E se gli interessi reali sono negativi (ad es; in USA o, pensa un pò, in Germania) "gli investitori si lanciano su sentieri più rischiosi".
"Le obbligazioni private sono state, nel 2012, il primo "porto di richiamo". Questa domanda su investimento a tasso fisso, ha abbassato il costo del credito per le imprese. Per Standards & Poor's, gli interessi sui bond a basso rating, i "junks", si sono dimezzati dal 12 al 6% nel 2012. Le relative imprese emittenti sono in grado di contrarre prestiti a un tasso che del 4% sotto la media post-2000, laddove una compagnia che abbia un tipico ranking A, può prendere in prtestito al 2,4%, comparato alla "norma storica" del 5,1%.
Come risultato molte multinazionali possono avere credito a tassi più bassi dei Governi europei."


Vi risparmio le ulteriori applicazioni suggerite dall'Economist. Tutte ci confermano la follia del mattatoio UEM.
Questo produce:
- alti costi del credito per le imprese praticamente in tutta l'area UEM, eccettuata la Germania;
- tassi reali positivi rispetto alla perseguita deflazione-disoccupazione, e conseguente disincentivo all'investimento di rischio, in particolare quello produttivo;
- su cui influisce pure la bassa disponibilità di manodopera qualificata, frutto di venti anni di precarizzazione-flessibilizzazione della forza lavoro che ne spinge la qualificazione verso il basso, nella logica del demansionamento e del non investimento nella formazione;
- a ciò si aggiunga anche la definitiva riduzione del capitale umano determinata dalla feroce austerity sulla scuola-università imposta dalle regole di Maastricht e dalla sua versione accelerata-suicida del fiscal compact;
- infine, (come abbiamo visto, per il passato, nella situazione giapponese), il mattatoio UEm produce pure quella aspettativa negativa sulla crescita della domanda interna che è il principale dissuasore per gli investitori.


E, a proposito, queste elementari notazioni (keynesiane "inconsce"?) ormai di dominio pubblico nel resto del mondo, non compaiono mai nel dibattito mediatico italiano: avete sentito mai qualcuno dire che l'austerity scoraggia le aspettative di crescita della domanda (in ciascun settore) e quindi gli investimenti? O che la precarizzazione-flessibilizzazione sfalda la riserva di manodopera qualificata egualmente decisiva per gli investitori? No, neanche un accenno fiacco fiacco; non date retta, la colpa è, invariabilmente, "del peso sull'economia dell'enorme debito pubblico".
Ma non sarà che si tratta piuttosto, in questo caso, dell'enorme peso di mancati investimenti, pubblici e privati che hanno da almeno 20 anni depresso il PIL, cioè il denominatore, stagnante e contratto del numeratore "debito"?
Diciamo piuttosto che Draghi, Weidman e i Monti e "proto-Monti" in arrivo, credono molto di più nell'"esercito di riserva dei disoccupati" che non nella manodopera qualificata e nella spesa pubblica in ricerca e istruzione.
Insomma, Weidman, un pò (ma non troppo, vista l'insistenza sui mini e midi-job e gli inevitabili effetti di lungo periodo di ciò) lo si può capire.
Ma Draghi, che continua a considerare "riforme strutturali" per la crescita (!), diverse dall'austerity, le riforme ulteriormente precarizzanti e deflazionanti del mercato del lavoro, riesce ancora a formulare un pensiero lontanamente riconducibile ai principi che avrebbe dovuto apprendere da Federico Caffè? 

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