"Noi, popoli delle Nazioni Unite, decisi a salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all'umanità, a riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell'uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nella uguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole." (Preambolo statuto ONU)
"Quando i ricchi si fanno la guerra, sono i poveri che muoiono" (Jean-Paul Sartre)
"Solo i morti hanno visto la fine della guerra" (Platone)
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Ci sono di nuovo venti di guerra che spirano in Occidente: L'Italia “è pronta a combattere, naturalmente nel quadro della legalità internazionale. Non possiamo accettare che a poche ore di navigazione dall'Italia ci sia una minaccia terroristica attiva”, così il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni venerdì scorso, il quale ha parlato di "guerra" vera e propria e non di "missione di pace" o altro simpatico eufemismo. Guerra.
Intanto: può l'Italia legittimamente fare o partecipare ad una guerra all'Isis?
"L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali" (art. 11 Cost.). Secondo l'articolo citato, la nostra Costituzione, e quindi l'Italia, ripudia ogni conflitto, anche non da essa scatenato, pur se utilizzato per risolvere una controversia internazionale già in atto. Cosa si intende per controversia internazionale? Secondo la Treccani "Una controversia internazionale sorge quando si verifica tra due o più Stati un contrasto di atteggiamenti soggettivi in ordine a un determinato conflitto d’interessi.". Perché si abbia controversia è necessario una posizione chiara delle due parti; se non c’è chiarezza non si parla di controversia, ma al massimo di conflitto. Ci deve essere quindi un disaccordo su un punto di diritto o di fatto, un contrasto di posizioni giuridiche o di interessi.
Paradossalmente un intervento armato contro un gruppo di guerriglieri che si sono impadroniti di una parte di un territorio altrui, dichiarandolo Stato autonomo, e che tengono soggiogata la popolazione locale o comunque senza aver costruito alcun patto sociale, imponendo la Shaaria come legge, sarebbe pertanto a stretto rigore ammissibile, se richiesto ed autorizzato dall'ONU. 1 a 0 per Gentiloni, dunque. Ma il punto fondamentale è però un altro: sarebbe anche utile? Un'intervento sotto egida ONU, libererebbe noi e l'Occidente dalla minaccia jihadista? La risposta è no.
Come ci informa un articolo del fatto Quotidiano dell'agosto scorso "Tra Siria e Iraq lo Stato islamico conta oggi su circa 30.000 uomini, inquadrati in battaglioni da circa 2/3.000 uomini ciascuno. Già forte di armi leggere, lanciagranate e mezzi blindati, nella fulminante offensiva del 10-14 giugno, l’Isis si sarebbe impadronito di pezzi di artiglieria da 122 e 130 mm, mortai, oltre 200 veicoli di vari tipi (tra cui Humvee) e alcuni elicotteri. Sul tipo di armi, scrive Pietro Batacchi, direttore di Rivista italiana difesa, i qaedisti di Baghdadi si servono di “equipaggiamenti pesanti – catturati nelle caserme siriane o in quelle dell’esercito iracheno o agli altri gruppi ribelli siriani con cui Isis e’ in guerra – come carri armati, lanciarazzi multipli, sistemi anticarro”.". Si tratta pertanto di un piccolo esercito, ma ben armato e finanziato, grazie anche al bottino della presa di Mosul, che ha permesso di acquisire alcuni fondi della Banca Centrale irachena e di altri istituti di credito, pari a 425 milioni di dollari e svariati lingotti d'oro.
Quale guerra potrebbe sconfiggerli? Non certo una mera guerra di bombardamenti, come sembrano pensare i governanti europei e Obama: i bombardamenti uccidono prevalentemente i civili, anche perché le attrezzature militari e logistiche che non siano infrastrutture vengono di solito nascoste o poste fra le abitazioni, le fabbriche e gli ospedali come deterrente. Qui non si tratta di bombardare dei campi nel deserto di addestramento militare, ma guerriglieri che stanno su un territorio abitato. E' necessaria quindi, come l'esperienza della guerra del Golfo ha dimostrato, la discesa in campo di truppe.
Sono i nostri governanti consapevoli di ciò? Sanno che già l'esercito iracheno ha provato a sconfiggerli, senza riuscirci? Come ci informa l'articolo del FQ, "le forze armate irachene sono composte da un esercito formato da ben 14 divisioni (56 brigate), 158 battaglioni ordinati in divisioni, una dozzina di battaglioni di formazione, tre brigate di truppe speciali, per un totale di circa 270.000 uomini. A questo si aggiungono decine di migliaia di potenziali miliziani ausiliari arruolati prevalentemente nelle zone a maggioranza sciita e solidali col governo filo-iraniano di Maliki. Le brigate di fanteria sono equipaggiate con armi leggere, lancia granate, veicoli blindati. Le brigate meccanizzate possiedono circa 300 carri armati americani M1 Abrams, altri carri sovietici T-54/55 e veicoli BMP-1. Il governo di Baghdad conta anche sull’aviazione, forte di due squadroni di velivoli di ricognizione, tre squadroni di elicotteri per il trasporto truppe ed elicotteri da combattimento, per un totale di circa 3.000 uomini". E non li hanno sconfitti, ma solo fatti espandere altrove.
Se vogliamo fare una guerra e vincerla dobbiamo quindi pensare di intervenire massicciamente per distruggere definitivamente la minaccia, con fortissime perdite di civili locali e gravi perdite anche di nostri soldati. Già, perché, qualcuno ricordi a Gentiloni, così preda di spirito guerresco, che in guerra si muore e (fortunatamente) il popolo italiano ed occidentale in genere, ad eccezione degli USA, non è più abituato a sopportare il peso del numero di lutti che provoca un conflitto. Politicamente poi sarebbe un disastro: l'Isis ha raccolto anche consensi locali nelle popolazioni sunnite e nelle tribù al confine dell'Iran che si sono sentiti discriminati dagli sciiti al governo e l'inevitabile uccisione massiccia di civili porterebbe al rafforzamento di un odio verso gli occidentali ed i cristiani, già colpevoli di avere abbandonato la popolazione al caos successivo alla cacciata di Gheddafi.
Vogliamo veramente una guerra? Come dice Waugh "la guerra non è che commercio" ed a livello macroeconomico è un gran motore per l'economia in tempi di crisi prolungate, fornendo una "domanda di beni" (armi, equipaggiamento, vettovagliamento, ecc.) che stimola la ripresa della produzione delle nazioni coinvolte e dell'occupazione. Altre ragioni, più sottili sono spiegate in questo illuminante post di Barra Caracciolo. Ma il risultato di una guerra anche vittoriosa all'Isis sarebbe comunque, come detto, meno sicurezza e più odio radicato, ovvero l'opposto di quanto voluto. Questa è spesso la logica della guerra.
Lo aveva capito Achille Campanile, che ad un circolo di ufficiali, ebbe il coraggio di dire: "Da che mondo è mondo perché si fanno le guerre? Per assicurarsi la pace. È raro che si faccia una guerra per arrivare alla guerra. [...] Se per assicurarsi la pace occorre fare la guerra, non sarebbe meglio rinunziare alla pace? Almeno non si farebbero le guerre. No! Perché se non si fanno le guerre che servono ad evitare le guerre, vengono le guerre."
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