mercoledì 17 luglio 2013

Le pillole rosse - 3° pillola: il debito pubblico

Oggi l'impegno è gravoso: dopo aver visto la reale quantità di svalutazione che ci attenderebbe uscendo dall'euro ed il rapporto fra svalutazione ed inflazione ed effetti sul prezzo della benzina, le materie prime ed i mutui affrontiamo il problema dei problemi, l'argomento forse più trattato in questo momento su giornali e televisioni ed oggetto di infinite dispute, Sua Maestà il debito pubblico!
Secondo Matrix (se non capite leggete i post precedenti linkati) il debito pubblico, anzi il Debito Pubblico con le dovute maiuscole, è IL PROBLEMA dell'Italia, il macigno che ci trasciniamo dagli sciagurati anni 80, anni di politiche clientelari e parassitarie e stili di vita al di sopra delle nostre possibilità che hanno gonfiato il debito come un dirigibile, fino ad arrivare alla stratosferica cifra, già ormai sforata, dei 2000 miliardi di euro. Questo peso che ci schiaccia deve essere abbattuto ad ogni costo, bisogna tagliare ferocemente tutti gli sprechi, la spesapubblicaimproduttiva (idem); anzi, la soluzione migliore sarebbe che lo Stato si facesse da parte e lasciasse il posto ai privati, che loro sì sanno gestire le cose con scrupolo ed efficienza, mica come quei perdigiorno sfaticati dei dipendentipubblicifannulloni che vanno in gran parte mandati a casa, e l'economia rifiorirebbe. Ok, non è un bel programma? Potrei metter su un movimento "BastaStatoladro" e fioccherebbero i consensi.
Peccato che non sia vero.
Vediamo con calma. Innanzitutto cominciamo con lo sfatare il primo luogo comune: il debito pubblico italiano non è esploso per l'aumento della spesa pubblica primaria. Questo è l'andamento della spesa pubblica reale, depurata dall'inflazione:


come vedete, dopo il 1980 sale su ripida fino al 1992, poi si ferma e comincia a calare fino al 2001, poi risale meno ripida fino al 2007 e da lì comincia a calare. Beh, sembrerebbe in parte dare ragione a Matrix, c'è un aumento forte negli anni '80, anni di sprechi e bagordi; vediamo però la spesa reale al netto degli interessi:


qui l'andamento è piuttosto differente, la spesa sale in maniera costante, ma con una pendenza molto meno ripida, fino al 2005, poi rimane più o meno stabile fino al 2008, poi ha un picco e poi cala. Cosa significa? Una cosa molto semplice, ma che Matrix si guarda bene dal dirvi: la spesa che cresce realmente dopo il 1980 e porta su rapidamente lo stock di debito pubblico ed il rapporto debito /PIL è la spesa per interessi.
Ancora un grafico:


questa è la scomposizione della spesa pubblica reale per categorie, spesa primaria (beni, servizi ed investimenti), interessi e spesa in c/capitale. Si vede benissimo che mentre la spesa primaria viaggia con un
trend di salita costante, la spesa per interessi, che dopo lo shock petrolifero del 1973 si era di nuovo assestata fino al 1980, decolla e passa dal 5% del PIL al 12% del 1993 per poi assestarsi e scendere dal 1997 in poi.
Cosa succede dopo il 1980? Beniamino Andreatta, allora Ministro del Tesoro, nel febbraio del 1981 decide unilateralmente ed autonomamente che la Banca D'Italia non deve più essere alle dipendenze del Tesoro, ma un istituto autonomo, senza più l'obbligo di acquisto dei titoli pubblici rimasti invenduti alle aste: il c.d. "divorzio" Tesoro - Banca d'Italia. Ciò comporta che lo Stato, per rendere appetibili e quindi garantirsi l'acquisto necessario di titoli pubblici da parte del mercato, è costretto ad alzare i tassi di interesse; conseguentemente lo Stato non controlla più il suo tasso di finanziamento, che è deciso dai mercati, e quindi il costo del suo debito.
Questa decisione e non altro fa esplodere il debito pubblico, che in sedici anni aumenta di 20 punti percentuali in termini reali, ovvero in termini nominali rispetto al PIL la spesa passa dal 60% al 120%.

Fonte: goofynomics

Se vi è quindi una spesapubblicaimproduttiva che ci ha schiacciato come un macigno quella è stata la spesa per interessi del debito pubblico, non certo la spesa per i servizi o per l'acquisto di beni. Ma di quella Matrix fa finta di niente... Eppure basterebbe ripristinare l'obbligo di garantire l'allocazione dei titoli pubblici, ovvero il controllo del Tesoro sulla Banca Centrale che ridiventerebbe, come si dice, un prestatore di ultima istanza, con l'obbligo di acquisto residuale dei titoli invenduti ad un tasso di finanziamento deciso dal Tesoro e non dai mercati, per abbattere pesantemente il costo del debito e quindi l'aumento del debito stesso.
Chiarito questo, veniamo adesso all'altro aspetto della questione: visto che il costo per interessi non è attualmente comprimibile (o meglio, è comprimibile in parte dando la famosa immagine di "credibilità" del Paese al mercato finanziario, con le politiche di austerità e rigore nei conti che tanto bene ci hanno fatto...) Matrix ci dice che comunque possiamo tagliare le spese improduttive. A supporto fa un semplice ragionamento: se lo stato incassa 1000 e spende 1200, basta tagliare le spese di 400 e si avrà un surplus del BDS (bilancio dello Stato) di 200, che servirà a ridurre il debito pubblico. In fondo lo Stato deve agire come un'azienda sana o un buon padre di famiglia, se le spese sono maggiori delle entrate si tagliano alcune spese e così non si fanno ulteriori debiti, anzi si ripagano quelli esistenti. Tutti voi per pagare il mutuo della casa (chi se lo può permettere) fa questo ragionamento.
Peccato che lo Stato non funzioni come un'impresa o come una famiglia.
Cominciamo da alcuni concetti fondamentali: l'attivo di un Paese è calcolato attraverso il PIL, il prodotto interno lordo, ovvero il valore delle produzioni effettuate dalla Nazione; la formula è PIL = C+I+G+(X-M), dove C sono i consumi delle famiglie, I gli investimenti in mezzi di produzione delle imprese, G la spesa pubblica, X le esportazioni e M le importazioni, quindi X-M sono le esportazioni nette. In un'economia di mercato il valore totale della produzione è dato dal costo per l'acquisto dei beni o servizi prodotti, ovvero dalla somma dei redditi delle persone che li hanno prodotti.
Ora come si vede la spesa pubblica G è essa stessa un componente del PIL, poiché la dazione di servizi, beni ed investimenti da parte dello Stato crea ricchezza  calcolata attraverso il reddito del dipendente pubblico. Questo già rende lo stato diverso dall'impresa o dalla famiglia: mentre infatti queste contano su un attivo determinato esternamente (incassi o stipendio) sul quale vengono comparate le spese, lo Stato, tagliando le spese, taglia anche parte del reddito sul quale compararle.
Se io vado a tagliare G, ad esempio riducendo il numero di dipendenti pubblici e quindi di stipendi da pagare, tolgo ex post qualcosa ad uno dei componenti del PIL, il quale si riduce. Vero è che agisco anche sul numeratore del rapporto D/PIL, perché avrò speso di meno e quindi ridotto il fabbisogno, creando un surplus di BDS che va ad abbattere il debito (il conto del padre di famiglia) o un minore aumento se sono in deficit e devo anche considerare che il PIL, pur se di poco, aumenta per la crescita economica; il punto è: ci guadagno o ci perdo?
Secondo Matrix, tagliare dipendenti pubblici che sono per definizione sovrannumero, quindi fannulloni e quindi improduttivi, toglierebbe poco da G (solo il reddito non più erogato ai dipendenti licenziati) e con la creazione di surplus ridurrebbe D; oltretutto a meno spesa pubblica corrisponde meno necessità di tasse per finanziarla e quindi l'aumento dei redditi dei privati che possono quindi spendere di più e tutto gira a meraviglia. Questo è il paradiso liberista di Matrix: vediamo adesso la realtà.
La realtà è che esiste il moltiplicatore fiscale. Il primo a teorizzarlo è stato John Maynard Keynes ed è un caposaldo della sua teoria economica. Vediamo come funziona in pratica.
Se si taglia G l'effetto non è solo la sua diminuzione: per quanto un dipendente pubblico possa essere inutile, come il classico esempio della guardia forestale calabrese, il suo stipendio viene comunque in parte consumato per l'acquisto di beni e servizi privati; si può dire che anche il c.d. "fannullone" mangia, beve, si veste, si sposta, compra ed in generale consuma come un virtuoso privato... Quando il dipendente viene licenziato, il suo mancato consumo va ad incidere nel reddito dei privati che gli fornivano beni e servizi; questi a loro volta, vedendo ridotta la loro disponibilità, diminuiranno i loro consumi, facendo guadagnar meno altri soggetti e così via, con una incidenza che dipende dalla propensione al consumo dei soggetti interessati. Questo effetto a catena è il moltiplicatore il cui valore ovviamente dipende dalla frequenza della mancata spesa. Oltre a ciò, la diminuzione dei redditi dei privati porta ad una diminuzione del gettito fiscale (guadagni meno paghi meno tasse) e quindi ad una diminuzione dell'attivo del BDS, con riduzione dell'effetto del taglio di spesa.
Naturalmente l'effetto depressivo del moltiplicatore fiscale è tanto maggiore quanto la crescita economica è bassa o addirittura negativa, come in situazione di recessione: vediamo come funziona con un esempio tratto dal blog di Bagnai 

Da goofynomics

qui si ipotizza che la propensione al consumo sia del 0,6, ossia che per il consumo vada il 60% del reddito guadagnato, che vi sia una crescita del 5% suddiviso fra I (+2) e C (+3) ed un taglio di 2 punti di spesa. Il moltiplicatore è 2,5 poiché il calcolo degli effetti indotti che abbiamo descritto per una propensione al consumo di 0,6 è dato da 1/(1-0,6) = 2,5. Come si può vedere l'effetto combinato della diminuzione di G e della perdita di consumi, derivante dalla perdita di reddito dei privati, azzera totalmente la pur forte crescita: infatti avendo sottratto 2 alla spesa pubblica (da 33 a 31) l'effetto è 2x2,5 = 5 che è appunto uguale alla crescita ipotizzata 5; come si nota si azzera la crescita di C (42+3-3 = 42), mentre la crescita di I è compensata dal calo di G per cui il PIL rimane 100. Il risultato è che, con un taglio della spesa pubblica di 2 il rapporto D/PIL aumenta di 1. Divertitevi a calcolare l'effetto sul rapporto D/PIL di una crescita del 1%...
Il moltiplicatore qui mostrato è evidentemente semplificato, ad esempio abbiamo tralasciato l'effetto sulle esportazioni ed importazioni, inoltre il suo coefficiente varia a seconda del ciclo economico e della relativa diversa propensione al consumo, ma è un buon esempio degli effetti recessivi del taglio della spesa pubblica. Quello che è certo è che il coefficiente negativo del taglio di spesa pubblica è sempre superiore al coefficiente positivo derivante dalla diminuzione delle tasse, ovvero che i tagli di spesa non vengono compensati dall'aumento dei consumi derivanti dal maggior reddito disponibile dei privati.
Tralasciando la spiegazione matematica che comunque trovate qui possiamo dire che il reddito consumato dal dipendente pubblico è maggiore dell'incremento di reddito consumato dal privato per la proporzionalità inversa e calante fra reddito e propensione al consumo, ovvero un reddito più alto ha una minore propensione al consumo e un aumento marginale di reddito si traduce in un aumento marginale del consumo via via minore.
Complicato? A prima vista forse, ma se ci ragionate bene è piuttosto intuitivo: quando si guadagna il sufficiente per vivere non vi è margine per il risparmio, ma a mano a mano che il reddito sale, salgono anche i consumi ma si comincia a risparmiare e dopo un certo livello l'aumento di reddito tende ad andare maggiormente al risparmio, ad es. all'investimento finanziario, piuttosto che al consumo, quindi la propensione al consumo data dall'aumento di reddito cala. In tempi di crisi poi un aumento del reddito disponibile viene quasi tutto tesaurizzato, per coprire esposizioni esistenti o per paura di aver bisogno successivamente e quindi il consumo praticamente non cresce. Questo spiega fra l'altro perché attualmente una politica semplicemente monetaria, come quella propugnata dalla MMT, non funziona: la moneta stampata andrebbe semplicemente a coprire le posizione debitorie preesistenti degli istituti bancari o dei privati o tesaurizzato, con un assorbimento totale e nessun impatto sui consumi.
Abbiamo quindi visto che l'alto debito pubblico italiano non dipende principalmente da spese correnti eccessive, ma dallo stock degli interessi cumulati e che la spesa non può dirsi mai totalmente improduttiva, in quanto crea ricchezza, via moltiplicatore, aumentando il reddito dei privati; certo, una migliore allocazione delle risorse ed in alcuni casi una maggiore efficienza porterebbero ad un effetto ancora più grande, migliorando anche l'offerta del bene e del servizio pubblico, ma va capito bene che semplicemente tagliare la spesa pubblica primaria è contro l'interesse dell'economia nazionale ed anzi spesso crea quelle inefficienze che vengono poi lamentate.
C'è un fatto che avrete sicuramente notato, guardando i grafici della spesa pubblica, che sembra però smentire quanto detto finora; in tutti i grafici, dopo il 2007 si vede un andamento costante: la spesa per interessi continua a calare, con un trend che è costante dal 1997, e la spesa globale reale inizia a calare vistosamente, ma la spesa primaria sale ed il rapporto D/PIL risale velocemente fino ai livelli del 1996 ed attualmente è andato anche oltre attestandosi sul 127%. La colpa non è evidentemente del costo di finanziamento del debito, ma della spesa primaria: perché sale? Abbiamo avuto quindi veramente un problema di spesa eccessiva che ha gonfiato il debito pubblico? Cosa è successo nel 2007?
Alla risposta a queste domande sarà dedicata la prossima pillola: il debito pubblico e la crisi.










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