lunedì 8 luglio 2013

L'euro-imbroglio e la necessità di riavere i propri diritti

Il fallimento dell'euro è ormai cosa assodata.
Da qualsiasi parte si osservi non si può fare a meno di constarne il declino, inesorabilmente accentuato dallo shock finanziario che ne ha smascherati i lati oscuri. L'ingresso in quest’unione doveva portare stabilità, concorrenza e permettere allo Stato di approfittarne in termini di riduzione dal lato della spesa per interessi e di un'unione a livello di ordinamento (economica, bancaria, sociale) che sono i capisaldi affinché un'unica moneta possa esistere e prosperare.

Bene, tutto questo non c'è stato e mai ci sarà.

Il cosiddetto "dividendo dell'euro" non solo non è stato raccolto ma si è rivelato ben altra cosa, portando sul lastrico le economie che non potevano sopravvivere a un cambio rigido, che mal si sposava con le diverse realtà economiche dei singoli Stati. Il dramma che stiamo vivendo assomiglia a un’enorme suggestione, un regno delle promesse non mantenibili, un grosso limbo dove si arranca per cercare una soluzione che non esiste.
Se si analizza la condizione di alcuni paesi, quelli maggiormente colpiti dalla recessione, che appartengono alla fascia mediterranea dell'Europa ci si accorge di come la favola del centro che corteggia la periferia sia una tragica storia d'amore che uccide le economie deboli a scapito di quelle egemoni. Il meccanismo che si cela dietro all'euro è politico prima di tutto, e per questo motivo si rivela nocivo per i popoli ma molto redditizio per il potere e le lobby ad esso connesse; il tentativo di ricostruire economicamente il paese che più aveva pagato in termini politici (la Germania dopo l'annessione della parte orientale) ha finito per disintegrare il tessuto economico (e a brevissimo anche quello sociale) di coloro che si sono tuffati in questa avventura dagli esiti scontati con tanto entusiasmo, sia per convenienza che per prestigio.

Ma sarebbe riduttivo addossare tutte le colpe ai governi tedeschi perché questa è una crisi che nasce da lontano, dalla fine degli anni 70, quando le classi dirigenti hanno iniziato a farsi ammaliare dal potere e dal denaro generato dalla finanza, spingendo le economie mondiali verso un tragitto di deregolamentazione dei mercati e la libera circolazione dei capitali. Queste politiche hanno portato nel giro di pochi anni alla creazione di quel sistema che oggi dobbiamo continuare a finanziare e del quale pagheremo per chissà quanto tempo le conseguenze.
La classe dirigente italiana, poi, non si è mai sottratta all'influenza esterna, storicamente documentata da una serie impressionante di scelte che ci hanno resi schiavi di qualcuno, incessantemente.
La separazione (divorzio) fra la Banca d'Italia e il Ministero del Tesoro ne è un esempio classico. La decisione di svincolare il finanziamento delle attività dello Stato si è rivelata il punto più alto di una scellerata inclinazione a considerare i mercati più importanti dei propri cittadini, facendo lievitare il debito pubblico dal lato della spesa per interessi; i grafici lo dimostrano, l'esplosione del nostro debito pubblico è avvenuta in concomitanza con questa decisione tanto cara all'allora Governatore di Bankitalia Carlo Azelio Ciampi, uno dei "padri nobili" dell'euro, con buona pace dei socialisti e dello Stato sprecone e improduttivo.

Non ci si può più nascondere dietro alla necessità di riforme strutturali, che nessuno nega siano necessarie, ma non possono essere soggette a vincoli esterni, non devono essere imposte da organizzazioni europee o internazionali che agiscono in base a logiche puramente legate agli interessi di pochi a scapito di molti. Il Fondo Monetario Internazionale, che da poco ha ammesso l'inefficacia e gli errori commessi nella "cura" alla Grecia, vorrebbe entrare nel merito dei provvedimenti del nostro Governo, imporre la politica economica e sociale, dettare l'agenda ai nostri amministratori, come se già da soli non fossero capaci di macroscopici errori.

L'ostinazione nel considerare necessario questo vincolo sta portando l'Italia verso la fine di un baratro dove ad aspettarla c'è un altro baratro, ancora più profondo.

Riacquistare la sovranità monetaria e decisionale è fondamentale non solo per noi ma anche per gli altri paesi ridotti in stracci dal desiderio egemone tedesco e dall’assurda convinzione di poter trarre una qualche forma di profitto da questa Europa.

L'euro ha fallito sotto tutti gli aspetti, ha condotto i paesi deboli a indebitare i propri popoli per poi indebitarsi lui stesso, in una spirale recessiva senza precedenti; il meccanismo di aiuti della BCE (OMT) non è mai entrato in funzione perché i vincoli che impone sono insostenibili, economie debilitate e sull'orlo del collasso non possono permettersi le direttive europee salvo poi pagarle a caro prezzo.

La politica è l'arte del possibile, il punto di non ritorno si avrà nel momento in cui i governanti si renderanno conto che consumare la menzogna sarà più pericoloso che ammettere la sconfitta.
La condizione di un paese importante come la Francia è critica, e peggiora di mese in mese; la speranza che il forte nazionalismo transalpino possa salvare l'Europa è concreta, ma se non saranno loro a far collassare il diabolico meccanismo sarà un altro paese, uno dei tanti che procede spediti verso il loro crollo.

Andrea Visconti

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