Il mondo ideale del luogocomunista è un mondo austero, popolato da virili lavoratori a torso nudo, dal bicipite tornito e dalla mascella squadrata (come in un affresco littorio o sovietico), che producono, producono, producono, senza preoccuparsi troppo di chi comprerà. In questo mondo sobrio e severo nessuno regala niente, devi meritarti tutto. Come dicono gli economisti: non ci sono pasti gratis, non ci sono free lunch, e, naturalmente, non bisogna vivere al di sopra dei propri mezzi.
O meglio…per quanto questo possa sembrare strano, i luogocomunisti, sì, proprio loro, in realtà sono convinti che al mondo un free lunch ci sia. Quale? Non ce la farete mai, ve lo dico io: i capitaliesteri! Sì, proprio quei capitali dei quali, a sentire il governo, abbiamo tanto bisogno per risolvere tutti i nostri problemi, inclusi, guarda un po’, quelli della Sanità, al punto che per attirarli, questi capitali, facciamo strame dei diritti dei lavoratori.
Cerchiamo di ragionare, non è difficile (tranne che per i luogocomunisti). Quando ti fai prestaresoldi? Normalmente, quando ne hai bisogno. E quando si ha bisogno di soldi? Normalmente, quando non si guadagna, e quindi non si risparmia, abbastanza. Ma se ti prestano soldi, contrai un debito, no? Certo! E i tuoi redditi futuri, se contrai debiti, aumentano o diminuiscono? Dipende da cosa fai coi soldi che ti prestano, ma una cosa è certa: dai redditi futuri dovrai in ogni caso detrarre gliinteressi che paghi al tuo creditore. Un dato sul quale i luogocomunisti glissano con eleganza.
L’esilarante paradosso del luogocomunismo è questo: le stesse persone che “lo Stato, come una famiglia, non deve fare debiti”, vedono poi la panacea dei problemi del paese nel contrarre ulterioredebito estero. Perché il debito del “sistema paese” verso l’estero non aumenta solo quando il governo vende all’estero un titolo di Stato (il debitopubblicobrutto che i luogocomunisti vogliono abolire). Il debito estero aumenta anche se un imprenditore (o lo Stato) italiano cede all’estero un’azienda, vendendo un pacchetto di controllo. Infatti le statistiche, correttamente, collocano la cessione a un investitore estero del controllo di una azienda italiana tra le passività estere dell’Italia (chi non ci crede legga pag. 74, e chi non lo sa non è un economista).
Ma poi scusate, il problema non era che “abbiamovissutoaldisopradeinostrimezzi”? E la soluzione sarebbe? Farsi prestare altri soldi dall’estero!? Ci vuole molto a capire che, se un’azienda italiana passa in mano estera, l’Italia è meno ricca? Per i luogocomunisti evidentemente sì. E ci vuole molto a capire che, dopo, i redditi che l’azienda produce verranno molto probabilmente espatriati, riducendo il reddito nazionale e aggravando la bilancia dei pagamenti? Pare di sì.
Notate: in entrambi i casi (vendita di un titolo all’estero, cessione di un’azienda all’estero) in Italia affluiscono capitali dall’estero, cioè il paese si fa prestar soldi, contrae un debito, accumula passività. La posizione patrimoniale netta del paese si deteriora, ma c’è una differenza: per il “sistema paese” il debito contratto vendendo un’azienda è ben più costoso di quello contratto collocando un titolo (pubblico o privato), per il semplice e ovvio motivo che il capitale di rischio normalmente riceve una remunerazione più elevata. So che anche qui, formati al divino insegnamento del pubblicobruttoprivatobello, non mi crederete, ma un esempio lo avete avuto sotto gli occhi: guardate che bella fine ha fatto l’Irlanda, che per attirare i capitali esteri ha slealmente praticato una politica di dumping fiscale! I capitali privati esteri sono arrivati, e il paese è rimasto schiacciato sotto il loro costo (mentre il debitopubblicobrutto era esiguo, al 24% del Pil).
Non so se è chiaro: le ripetute esortazioni a vendere i “gioielli di famiglia” (cioè le imprese italiane, specie pubbliche, soprattutto se remunerative) a capitalisti stranieri, allo scopo di ridurre il debito pubblico, se fossero in buona fede sarebbero deliranti! Equivarrebbero a dire: sbarazziamoci di un debito che costa molto, per contrarne uno che costa di più (in termini di redditi destinati a lasciare il paese). In generale, la politica di “credibilità” del governo Monti, vista alla luce della bilancia dei pagamenti, equivale a quella di una persona che, perso il lavoro, non si preoccupa di trovare un’altra fonte di reddito, ma va in un negozio a comprare un bel vestito costoso, che lo renda più “credibile” presso la banca alla quale vuole chiedere in prestito i soldi per campare un altro mese (sì, sto parlando di questo). Ma l’austerità ha distrutto ulteriori redditi, si è risolta in un colossale spreco di risorse, proprio come l’acquisto del vestito “credibile”.
Il problema è che l’austerità è la risposta giusta all’ennesima domanda tragicamente sbagliata: “come facciamo a sembrare credibili per farci prestare soldi che ci facciano tirare avanti per un po’?” La domanda giusta sarebbe: “come facciamo a rilanciare la nostra economia, creando reddito e quindi risparmio, ed evitando così di farci incaprettare dai mercati?” E la risposta lo sapete qual è, è dentro di voi, ed è giusta: uscendo dalla trappola dell’euro e riacquistando sovranità monetaria, per rilanciare la competitività e stimolare la domanda interna.
Questo, vi assicuro, lo sanno anche i tecnici, è scritto anche nei loro libri. Ma la buona fede, è evidente, non c’è: c’è invece l’ovvia intenzione di favorire i creditori esteri, facilitando in tutti i modi (col dumping sociale, con la distruzione del sistema produttivo italiano) l’acquisto da parte loro di attività reali italiane (aziende, ospedali, immobili, marchi di fabbrica, know-how), che in caso di uscita dall’euro non potrebbero svalutarsi (mai visto un capannone restringersi dopo una svalutazione!), e garantirebbero bei profitti (da espatriare rigorosamente all’estero).
Ne riparliamo dopo il Monti bis, o preferite evitare?
Fonte:http://www.ilfattoquotidiano.it
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