mercoledì 12 dicembre 2012

Il paradosso dell’Unione Europea: l’Italia in crisi aiuta gli altri paesi

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“Contributore netto”. E’ questa la definizione tecnica dell’Italia rispetto al Bilancio dell’Unione Europea. Vuol dire che il nostro paese versa alle casse dell’Unione più di quanto riceve in cambio. Niente di male, se non fosse che l’Italia, un paese in crisi economica, dovrebbe invece ricevere più di quanto versa, se l’Europa fosse un normale stato federale.

Come abbiamo infatti più volte sottolineato, l’euro per funzionare dovrebbe avere alle spalle un largo bilancio pubblico federale e riequilibratori automatici in grado di ammortizzare gli “shock asimmetrici” che possono colpire in modo differente le regioni dell’UE. In Italia, ad esempio, se una crisi si abbatte su una regione accadono automaticamente una serie di cose interessanti: a) poiché i redditi calano, calano anche le tasse da pagare; b) i dipendenti dello stato continuano ad essere regolarmente pagati, il che contribuisce ad evitare un ulteriore crollo dei consumi; c) i lavoratori privati che perdono il posto di lavoro ricevono dallo stato centrale un reddito di mantenimento sotto forma di cassa integrazione o sussidi di disoccupazione; d) tutti i servizi statali continuano a funzionare nonostante la riduzione del gettito fiscale in quella regione.
Oltre a ciò è probabile che lo Stato centrale, per venire in aiuto all’economia regionale depressa, vari qualche programma di sostegno.
In Europa, invece, accade pressoché l’opposto: nei paesi in crisi le tasse aumentano, l’UE non ha un largo numero di dipendenti nei singoli stati e infine il bilancio europeo non prevede alcun tipo di riequilibrio automatico.
Ma c’è di più: i paesi in crisi continuano a contribuire al bilancio europeo sulla base di criteri che non tengono conto del ciclo economico. Così può accadere che un paese come l’Italia, attualmente in crisi, versi alle casse UE più di quanto riceva, mentre altri paesi continuino ad avvantaggiarsi dei fondi comunitari.
Non solo, l‘esiguità del bilancio stesso (appena l’1% del PIL dell’Unione), anche se esso funzionasse secondo la logica corretta, non basterebbe a compensare gli effetti della crisi e dell’austerità, se non per economie molto piccole, come le repubbliche baltiche o al limite la Grecia.
La situazione è ben evidente in questo grafico, che mostra il saldo dei contributi all’Unione in ragione del PIL degli stati membri. Come si può vedere l’Italia ci rimette, mentre le repubbliche baltiche ricevono ingenti contributi (il che, insieme al fatto di essere fuori dall’euro, spiega perché si siano risollevate dalla crisi).
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In proporzione al PIL eravamo (2009) il secondo contributore netto del bilancio UE dopo la Germania, il terzo invece in termini assoluti, dopo la stessa Germania e la Francia. Tuttavia, data la recessione, e con il nuovo bilancio 2014-2020 (le cui trattative sono ancora in corso), potremmo ritrovarci al primo posto della classifica. Non male per un paese che ha vissuto quest’anno una contrazione del 2,4%.
Senza una riforma (alquanto improbabile, dati i costi) del funzionamento dell’UE, i problemi strutturali dell’euro non verranno risolti e le iniezioni di liquidità della BCE serviranno a tenere in vita un corpo malato, non a rilanciare l’economia e uscire dalla crisi.

Fonte: http://keynesblog.com/2012/12/11/il-paradosso-dellunione-europea-litalia-in-crisi-aiuta-gli-altri-paesi/#more-2716

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