venerdì 16 gennaio 2015

The neverending story



Vi ricordate il film "Neverending story"? E' un fantasy degli anni '80 per bambini dove un ragazzino veniva risucchiato da un libro dentro il mondo di Fantàsia per affrontare la minaccia dall'Oscurità (The Nothing in originale) che, come una coltre, stava coprendo tutto e distruggendo quel mondo. Ecco, la storia della crisi che l'Italia sta vivendo è molto simile: anche qui c'è un'oscurità (economica) che sta man mano distruggendo il nostro Paese e sembra non avere fine. Sono ormai sei anni che siamo in crisi e non se ne vede l'uscita: vediamo per capire come è l'andamento dei principali indicatori economici al 2014

grafico 1

grafico 2

grafico 3

grafico 4

grafico 5

grafico 6

Potrebbe andare peggio... potrebbe piovere. (Marty Feldman).

Ad ulteriore conforto (...) vi annuncio che il 2014 si è chiuso con un rapporto Debito/PIL che sfiora il 138% con una contrazione consolidata del PIL dello 0,4 (dati ISTAT).

E' evidente che con questi dati la svolta nel 2015 non vi sarà, nonostante i soliti proclami: " Nel 2015, la variazione del Pil tornerà debolmente positiva (+0,5%), chiudendo la lunga recessione del triennio precedente. Per il 2016 è previsto un consolidamento della crescita economica (+1%), che si dispiegherà a ritmi inferiori a quelli dei più dinamici concorrenti europei ed internazionali." (ISTAT Le prospettive per l'economia italiana 2014-2016 p. 3).

Perché non riusciamo ad uscire dalla crisi? Eppure il governo Renzi sta facendo tutto quello che ci viene chiesto dagli organismi politici ed economici internazionali: riforma del mercato del lavoro, riforme istituzionali per snellire l'iter burocratico legislativo, tagli alla spesa pubblica... Ecco, appunto: il governo Renzi sta facendo tutto quello che non serve per uscire dalla crisi, ma anzi ne peggiora ed amplifica gli effetti.

Vediamo perché.

1. Riforma del mercato del lavoro (Jobs Act)

Ne abbiamo parlato, Questa riforma agisce in due direzioni: da una parte rende flessibile l'entrata nel mondo del lavoro, con il contratto a tutele crescenti, dall'altra facilità l'espulsione del lavoratore, con l'applicazione attenuata dell'art. 18 Statuto Lavoratori. Questo dovrebbe favorire l'assunzione di nuovi lavoratori, non avendo il datore di lavoro il timore di "sposare" il lavoratore, offrendogli un contratto a tempo indeterminato e rendendo meno onerosa e soprattutto definitiva la sua uscita.

Risolve i problemi che abbiamo evidenziato? Assolutamente no. Le imprese assumono ed hanno sempre assunto considerando l'utilità marginale del lavoratore, ovvero, in parole più semplici, quanto può incrementare il reddito l'utilizzo di quel lavoratore in rapporto al suo costo. Ciò evidentemente dipende dalla domanda di beni che l'imprenditore si aspetta di dover soddisfare; ora in una conclamata crisi di domanda (vedi grafico 3) l'impresa non ha alcuna convenienza ad assumere e ad incrementare una produzione che già è eccessiva rispetto alla richiesta. Il fatto che possa produrre anche a costo inferiore non modifica questa situazione, poiché la crisi di domanda è crisi di reddito (come si vede dal grafico 1 del PIL), ne consegue che questa recessione non deriva se non in minima parte dal fatto che il consumatore, aspettandosi prezzi futuri più bassi, dilaziona gli acquisti, ma semplicemente dal fatto che non vi sono i soldi per procedere agli acquisti. Punto.

Gli imprenditori questo lo sanno, ed infatti nel grafico 3 si vede che sono crollati i consumi anche per gli investimenti, dato che comprare macchinari nuovi per tenerli inutilizzati o sottoutilizzati non è economicamente logico. Se quindi si interviene solo dal lato dell'offerta (costo del lavoro) non si risolve il problema, che è dal lato della domanda: Il poco compianto (politicamente parlando) Monti ed i suoi successori Letta e Renzi hanno (per ragioni che abbiamo già esaminato) distrutto i nostri redditi (come simpaticamente ha ammesso Monti intervistato dalla CNN) e quindi la nostra capacità di spesa e non è producendo più beni od anche a minor costo che si supera la crisi.

Che il Jobs Act non funzionerà lo dicono i precedenti storici: nonostante la moderazione salariale degli ultimi anni e l'incremento dell'utilizzo dei contratti di lavoro a tempo determinato (che ha superato quelli a tempo indeterminato) e quindi della flessibilità tanto invocata, la disoccupazione è continuata a salire (grafico 4).

2. Riforme istituzionali

Si è detto che l'iter di approvazione delle leggi è lungo ed inutilmente complesso, con due Camere che duplicano le funzioni legislative: da qui la riforma che elimina il Senato come Camera legislativa e la fa diventare un'assemblea con competenze minori, occupandosi solo di alcuni tipi di leggi, e sostanzialmente diverse, diventando una specie di tramite per le istanze degli Enti locali. E' questa la soluzione di un vero problema che ha impedito di agire per contrastare la crisi? Chiaramente no, e che sia un falso problema lo dimostra un semplice dato: l'incremento abnorme dell'uso dei decreti legge da parte degli ultimi governi, Vediamo qualche dato tratto dal sito del Senato :

2008  DL approvati Camera   49 / Senato   58 / Comm. Camera   5 / Comm. Senato   5
2009  DL approvati Camera 102 / Senato 113 / Comm. Camera 41 / Comm. Senato 27
2010  DL approvati Camera 109 / Senato   80 / Comm. Camera 25 / Comm. Senato 11
2011  DL approvati Camera 143 / Senato   90 / Comm, Camera 14 / Comm. Senato 20
2012  DL approvati Camera 133 / Senato 126 / Comm. Camera 53 / Comm. Senato 29

Ora il DL dovrebbe essere uno strumento da utilizzare per ragioni d'urgenza che non permettono l'attesa dei tempi ordinari legislativi: come si vede dal 2009 l'utilizzo di tale strumento si è più che raddoppiato ed è diventato la fonte principale di legislazione. Evidentemente la crisi economica ha costretto i governi che si sono succeduti a legiferare d'urgenza ed il Capo dello Stato a "chiudere un occhio" sull'esistenza dei requisiti di ammissibilità, ma proprio per questo non può essere stata la lunghezza degli iter legislativi (che sono stati bypassati) ad aver impedito o ad impedire l'attuazione di norme efficaci a contrasto della crisi.

Le altre riforme in cantiere (legge elettorale, eliminazione Province, numero dei deputati) possono forse migliorare il funzionamento dell'apparato statale (personalmente ne dubito), ma hanno un impatto zero sulla situazione economica.

3. Tagli alla spesa pubblica

Ormai dovreste averlo capito: questa è attualmente una crisi di domanda causata da politiche di riduzione dei redditi, per contrastare uno squilibrio nella bilancia dei pagamenti originariamente causato da un eccesso di indebitamento del settore privato con l'estero (Se siete nuovi o non vi è ancora chiaro andate sulla maschera di ricerca di questo blog per cercarvi i post che trattano la questione o partite semplicemente da zero. Tranquilli, ce la potete fare...).

In questo contesto tagliare la spesa pubblica, che è domanda, sia diretta, perché la PA chiede beni e servizi per la sua attività, sia indiretta, perché fornisce redditi ai suoi dipendenti, redditi che vengono spesi nel mercato privato e diventano quindi guadagno privato, significa togliere ancora più risorse disponibili al consumo e, grazie al moltiplicatore keynesiano, porta ad una contrazione del PIL che è maggiore del risparmio di spesa, con la bella conclusione di innalzare il rapporto debito/PIL, perché diminuisce il denominatore più di quanto faccia il numeratore.

Le vere ragioni dei tagli le abbiamo viste quando abbiamo parlato più volte di privatizzazioni (solito consiglio: maschera di ricerca) ed evidentemente non hanno nulla a che fare con la crisi, se non che per qualcuno la crisi è una ghiotta occasione per arricchirsi.

Se queste quindi sono le azioni a contrasto del declino economico che ci affligge prepariamoci ad una "storia senza fine" da tramandare ai nostri figli ed ai nostri nipoti: d'altronde a ben pensarci abbiamo già The Nothing che ci governa...



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