giovedì 9 gennaio 2014

Lex monetae



Non sono un economista. Chi mi legge lo sa, sono un appassionato di economia che ha rispolverato qualche studio universitario, che si è ristudiato qualche fondamento e che si è comprato dei libri, oltre a seguire autorevoli blog economici e giuridici (i link sono quelli della home page). Però sono un giurista. Ho insegnato diritto societario e contrattuale in corsi finanziati dalla Comunità Europea e in corsi di preparazione per l'esame di Avvocato e svolgo la libera professione.

Naturalmente da profano ho il massimo rispetto per chi è un professionista dell'economia e cerco di non dare giudizi economici o fare divulgazione tecnica senza prima essermi informato ed aver trovato basi di appoggio a quello che affermo; vorrei però che gli economisti o comunque i tecnici di settori economici facessero lo stesso con il diritto. Perché dico ciò? Perché di questi tempi sento sempre più voci di euristi che, tra le tante affermazioni economiche discutibili o "lievemente imprecise"  ne fanno una giuridica, altrettanto avventata: la frase di solito è "se usciamo dall'euro e svalutiamo la nuova moneta del 30% il nostro debito pubblico e privato sarà più caro del 30% perché ci siamo indebitati in euro e dobbiamo restituire euro.". Questa affermazione è una sciocchezza detta da persone che ignorano che nel nostro ordinamento vige una serie di disposizioni, all'interno del Codice Civile, conosciute genericamente sotto il nome di Lex monetae.

Riportiamo i primi due articoli del capo VII sezione I:

Art. 1277.
Debito di somma di danaro.
I debiti pecuniari si estinguono con moneta avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento e per il suo valore nominale.
Se la somma dovuta era determinata in una moneta che non ha più corso legale al tempo del pagamento, questo deve farsi in moneta legale ragguagliata per valore alla prima.


Art. 1278.
Debito di somma di monete non aventi corso legale.
Se la somma dovuta è determinata in una moneta non avente corso legale nello Stato, il debitore ha facoltà di pagare in moneta legale, al corso del cambio nel giorno della scadenza e nel luogo stabilito per il pagamento.

Questi sono i primi due articoli che trattano dei debiti pecuniari. Cosa ci dicono? Una cosa semplice: il primo che solo la moneta avente corso legale è idonea ad estinguere i debiti; conseguenza è che se una moneta non ha più corso legale al tempo del pagamento questo va fatto obbligatoriamente nella nuova valuta, l'unica che ha effetto solutorio. Il secondo che se il debito è in una valuta che all'interno dello Stato non ha corso legale, il debitore ha la facoltà (e non l'obbligo) di pagare con moneta a corso legale, con il cambio valutato al momento del pagamento. E' evidente che la differenza è data dal fatto che la moneta descritta in questo articolo ha corso legale, ma non all'interno dello Stato, ovvero si tratta di moneta estera; la norma quindi indica il criterio, che è il pagamento facoltativo (facoltà lasciata al debitore) con moneta nazionale, ragguagliata al valore di cambio al momento del pagamento.

Vediamo ora gli altri articoli:

Art. 1279.
Clausola di pagamento effettivo in monete non aventi corso legale.
La disposizione dell'articolo precedente non si applica, se la moneta non avente corso legale nello Stato è indicata con la clausola «effettivo» o altra equivalente, salvo che alla scadenza dell'obbligazione non sia possibile procurarsi tale moneta.


Art. 1280.
Debito di specie monetaria avente valore intrinseco.
Il pagamento deve farsi con una specie di moneta avente valore intrinseco, se così è stabilito dal titolo costitutivo del debito, sempreché la moneta avesse corso legale al tempo in cui l'obbligazione fu assunta.
Se però la moneta non è reperibile, o non ha più corso, o ne è alterato il valore intrinseco, il pagamento si effettua con moneta corrente che rappresenti il valore intrinseco che la specie monetaria dovuta aveva al tempo in cui l'obbligazione fu assunta.


Art. 1281.
Leggi speciali.
Le norme che precedono si osservano in quanto non siano in contrasto con i principi derivanti da leggi speciali.
Sono salve le disposizioni particolari concernenti i pagamenti da farsi fuori del territorio dello Stato.

Il primo articolo permette una deroga al principio di cui sopra: se si è posto nel contratto o nell'atto da cui scaturisce il debito la clausola "effettivo", ovvero si è voluto indicare espressamente che la moneta prevista per il pagamento deve essere quella e non può essere sostituita, allora, se è possibile procurarsela, quella è la moneta con cui va effettuato il pagamento, anche se non ha corso legale nello Stato: il debitore non ha facoltà di pagare altrimenti. Il secondo prevede il caso, ormai raro, di moneta avente un valore intrinseco che avesse corso legale al momento dell'assunzione del debito; avendo ormai dai tempi del Gold Standard abbandonato le monete con un valore intrinseco (oro o argento) per le monete c.d. fiat è altamente improbabile che vi siano ancora obbligazioni di tale natura. Forse un debito in sovrane o sterline d'oro o in dollari d'argento, ma insomma sono ipotesi altamente improbabili. Il terzo fa salve le leggi speciali e le disposizioni particolari.

Riporto anche una massima giurisprudenziale molto interessante:

In tutti i casi in cui l'obbligazione (in moneta estera) non sia indicata con la clausola "effettivo" o altra equipollente, né risulti che le parti abbiano avuto riguardo ad una specie monetaria avente valore intrinseco, la norma dà facoltà di pagare in moneta legale al corso del cambio nel giorno della scadenza e nel luogo stabilito per il pagamento, con conseguente impossibilità per il creditore di ottenere la rivalutazione del credito per la differenza tra il cambio all'epoca della stipulazione e quello all'epoca della soluzione (C. 6887/1986).


Cosa dice la Cassazione mi sembra chiaro: quando ho un debito in valuta estera io debitore ho, come abbiamo visto, la possibilità di pagare in valuta nazionale e, cosa più importante, al valore di tale valuta al momento del pagamento, escludendo una eventuale rivalutazione. Naturalmente il problema, come nel caso concreto esaminato dalla Corte, sorge se la valuta nazionale nel frattempo si apprezza, ma cosa succede se, come accadrebbe in caso di uscita dell'Italia dall'euro, si svalutasse? In base all'art. 1278 c.c. si dovrebbe pagare con moneta ragguagliata al cambio esistente al momento del pagamento, ma, e questo è fondamentale, nulla vieta che una disposizione di legge deroghi a tale principio e fissi il cambio al momento dell'adozione della nuova valuta; anzi, in caso di uscita dall'euro, un provvedimento di deroga sarebbe doveroso ed indispensabile per non portare al tracollo l'economia del Paese.


Con una deroga la situazione sarebbe sotto controllo. Facciamo un esempio:

Mettiamo che l'Italia esca dall'euro e adotti come valuta nazionale la neolira e mettiamo che, come sarebbe auspicabile il cambio venga fissato 1/1, ovvero un euro è uguale ad una neolira. Ora supponiamo che Franco abbia un debito con Mario di 100 euro: cosa accade? Semplicemente che Franco ripagherà, se vuole, il proprio debito a Mario con la nuova valuta avente corso legale allo stesso valore nominale, quindi restituirà 100 neolire. Cosa accade se nel frattempo la neolira si è svalutata del 30% sull'euro? Assolutamente nulla, il debito è di valuta e Franco pagherà a Mario solo e soltanto 100 neolire (svalutate) senza che quest'ultimo possa contestarne il minor valore e senza poter pretendere la rivalutazione del credito. Mario ci perde? No, a meno che intenda acquistare qualcosa in euro all'estero; nel mercato interno, poiché tutti i valori dei beni e dei rapporti sarebbero ragguagliati con lo stesso criterio, la proporzione rimarrebbe uguale ed il potere di acquisto non cambierebbe, salvo una leggera possibile perdita sui beni importati successivamente all'uscita che potrebbero aumentare di prezzo.

Questo principio di deroga in effetti non è affatto strano od arbitrario, ma è, riguardo all'inflazione (che possiamo definire un deprezzamento interno, come la svalutazione lo è verso l'estero), ciò che viene previsto normalmente ed applicato a tutti i debiti cosiddetti "di valuta", ovvero quelli in cui è dovuta una somma precisa. Se io devo 100 euro e li ripago fra un anno, dovrò dare sempre 100 euro, con in più eventualmente solo gli interessi legali, ma non con la rivalutazione per il deprezzamento avuto per l'inflazione; capirete che, quando l'inflazione era consistente, ciò si traduceva in un vantaggio anche cospicuo per il debitore, ma, sia chiaro, è un vantaggio del tutto legittimo. Cosa diversa sarebbe se il debito fosse, come si dice, "di valore", ovvero non è dovuta una somma nominale, ma il valore del debito: l'esempio classico è il risarcimento danni; qui ciò che è dovuto non è un importo, ma il valore di un danno subito, quindi questo valore deve rimanere integro, per cui, oltre agli interessi, il danneggiato avrà diritto alla rivalutazione monetaria della somma determinata come risarcimento.

Siccome tutte le obbligazioni contrattuali fanno nascere debiti di valuta, vale il principio che abbiamo detto: il creditore ha diritto a riavere la stessa quantità di moneta, indipendentemente dal suo diverso potere di acquisto.

E se il nostro Franco invece che con Mario ha un debito con Hans o con Alain, i quali sono cittadini stranieri e vogliono essere pagati in euro? Spiacenti, la facoltà del debitore rimane intatta e quindi Franco pagherà le sue 100 neolire ad Hans o Alain, senza che questi possano obbiettare nulla.

Anche lo Stato naturalmente utilizzerà tale facoltà: il suo debito, nominato attualmente in euro diventerà un debito in neolire (come d'altronde è accaduto pacificamente al contrario quando siamo entrati nell'euro) con lo stesso concambio visto per Franco: i possessori di BTP o BOT o altro tipo di obbligazione avranno alla scadenza l'importo nominale, ma nella nuova moneta, siano essi detentori nazionali od esteri. I detentori esteri perderanno qualcosa, ma è il rischio normale di chi compra titoli esteri ed è quello che è sempre accaduto quando i titoli erano in lire; d'altronde fino ad oggi dai titoli di debito pubblico italiani hanno lucrato un tasso decisamente più alto della media mondiale (che era circa l'1,8%), quindi se riducono i loro guadagni non c'è da piangerci troppo. Anzi, per chiarire, lo spread di oltre quattro punti avuto in passato è solo la misura del rischio che i mercati ci hanno fatto pagare in anticipo di una eventuale uscita dall'euro, sul quale quindi si sono già in un certo senso cautelati.

Chiarito questo vediamo l'unico caso particolare: debito con un soggetto estero da pagare in euro e con contratto regolato da diritto estero. Questo caso, comunque minoritario e che non coinvolge il debito pubblico dello Stato, dovrebbe essere valutato volta per volta: innanzitutto bisogna vedere come regola il contratto la valuta del pagamento; se questo prevede genericamente un pagamento in euro, senza specificare l'effettività dell'utilizzo di tale valuta, allora va vista la legge regolatrice. Questa potrebbe oppure no prevedere un obbligo di utilizzare una certa valuta. Consideriamo comunque che la legge italiana prevede come deroga ai suoi principi le leggi speciali in materia e le disposizioni particolari per i pagamenti all'estero, per cui un cittadino italiano, in mancanza di espresse norme contrattuali o statuarie estere contrarie a lui applicabili, ha sempre la facoltà di pagare i suoi debiti nella valuta nazionale corrente.

Dopo tutta questa esposizione spero sia chiara una cosa: gli euristi che spaventano la gente con lo spauracchio del debito pubblico che aumenta per la svalutazione, con i debiti in euro che devono essere ripagati in euro, comprati quindi a caro prezzo, con i redditi e le pensioni che si decurtano del 30% (che è il tasso atteso di svalutazione) come se tutti noi, compreso il pensionato e il cassintegrato, facessimo acquisti esclusivamente in Francia o Germania (...) e, dulcis in fundo, con gli immobili che perdono il 30% del loro valore (come se si riducessero in metri quadri!), compiono un opera di terrorismo psicologico, con affermazioni del tutto irreali, irrazionali e contrarie, come visto, al nostro diritto. Fate loro leggere questo post ed eventualmente comprate loro un buon codice commentato da studiarsi...

15 commenti:

  1. Complimenti, l'articolo è interessante per quanto gli addetti ai lavori già ne sono al corrente, in ogni caso è sicuramente utile per chi non lo fosse. Però lasciami muovere una osservazione. Accetto la definizione di 'eurista' quale semplificazione assegnata a chi ritiene che una uscita significherebbe incorrere in conseguenze ben più negative rispetto alla sua permanenza. Quello che però mi sento di non accettare è l'accusa di terrorismo psicologico, intanto perchè non ho alcun motivo lucroso nel sostenere le mie tesi in quanto derivano solamente da mie riflessioni e lo stesso ritengo sia per molti che la pensano allo stesso modo. Ritengo parimenti che anche chi come te ritiene preferibile abbandonare la moneta unica sia animato dalla buona fede, quindi vediamo di rispettarci a vicenda e di esporre le nostre rispettive argomentazioni civilmente cercando di offrire magari a chi legge un contributo costruttivo.

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    1. Come sai sono aperto al dialogo e ad accettare critiche costruttive, soprattutto da chi, su certi argomenti, ha migliore conoscenza; quello che non mi piace (ma non è il tuo caso) è l'atteggiamento di molti, chiamiamoli euro-entusiasti, che sui social e sugli articoli dei giornali online diffondono più o meno scientemente ipotesi terrorizzanti del tutto avulse dalla realtà, sia giuridica sia economica.
      Nomi non c'è bisogno di farli, credo che dal Sole24Ore, al Fatto Quotidiano, fino ai blog più oscuri, per non parlare di Twitter, questi personaggi ti siano ben noti. Quello che fanno non è esposizione di argomentazioni, ma una volontà di eliminare qualsiasi possibilità di pensiero diverso dal loro, bollandolo come risibile, irresponsabile e frutto di menti traviate, mostrando i disastri epocali che accadrebbero se si desse retta a tali teorie: questo per me non è confronto, anche perché palesemente non è rivolto ad esperti o sostenitori consapevoli di una uscita dall'euro, ma a lettori sprovveduti da spaventare, questo è terrorismo psicologico, e, in una fase delicata come questa, lo trovo un comportamento estremamente grave, di cui si dovranno assumere le loro responsabilità.
      Alcuni, come te, pur su posizioni diverse, accettano di confrontarsi e rispettano le ipotesi, purché argomentate, degli altri (sono il primo a dire che fra i no-euro ci sono dei pazzi scatenati..). Con queste persone si può arricchire il dibattito e cercare soluzioni a problemi che prima o poi dovremo affrontare.

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  2. Venendo al contenuto del tuo articolo mi sento di fare presente come ragionerebbe (o dovrebbe ragionare) un investitore e non un 'legale'. In caso di uscita dalla moneta unica e l'adozione di una moneta nazionale, una neolira, è facile che il rapporto di cambio nominale iniziale avvenga alla pari, però è del tutto prevedibile e opinione condivisa che la neolira in questione sia soggetta già da subito ad un deprezzamento (o svalutazione se si preferisce) nei confronti dell'euro (se dovesse rimanere) e/o di altre valute più 'forti' (es. dollaro).
    Intanto non bisogna trascurare le ripercussioni sulle importazioni, principalmente di materie prime, che causerebbero un incremento del costo dell'energia e quindi dei prezzi. L'esempio che viene spesso citato della svalutazione del 1992 che non causò un incremento dell'inflazione è spiegabile per il calo anche notevole che ebbe il prezzo del petrolio, prezzo che passò da 20 a 14 USD al barile e lo stesso avvenne anche per altre materie prime. Inoltre la crisi che seguì l'anno successivo, con conseguente caduta del PIL e aumento del tasso di disoccupazione, non ebbe l'effetto di creare spinte inflazionistiche dovute a incrementi salariali.
    Veniamo ora ai titoli del debito pubblico. Un investitore si aspetta che investendo un determinato importo questo gli venga restituito quanto meno rivalutato nel suo potere di acquisto. Pertanto se straniero egli più che l'inflazione interna nel nostro Paese sarà interessato alla possibile svalutazione della moneta con cui si vedrà restituire l'investimento perchè egli i conti li farà nella moneta in uso nel suo Paese di residenza. Pertanto se un americano investe 100 dollari, egli vorrà ricevere alla scadenza lo stesso ammontare rivalutato per compensare la perdita di potere di acquisto nel suo Paese dovuto all'inflazione a casa sua e all'eventuale perdita dovuta al tasso di cambio modificato. Quando affermi che nelle occasioni in cui svalutammo a suo tempo la lira non ci furono particolari shock finanziari dici cose da un certo punto di vista vere, ma dimentichi il prezzo in termini di interessi che si pagava all'epoca. Diversamente da oggi in cui il debito pubblico è finanziato attraverso titoli a medio-lunga scadenza (la vita media del debito è di circa 6,5 anni), all'epoca (es.1992) esso era invece finanziato attraverso titoli a breve scadenza (BOT, CCT, BTP) e la vita media era di appena 3 anni. Ma la differenza sostanziosa riguarda i tassi di interesse. Oggi paghiamo il 4% circa per un prestito a 10 anni, nel 1992 si pagava il 14% per un BOT annuale e il 12% per il BTP decennale. Cioè l'investitore si cautelava assicurandosi un rendimento di almeno 12 punti percentuali all'anno.
    Comprendi che mentre una situazione del genere poteva reggere (sebbene non per molto) in un momento in cui il debito era sotto il 100% del PIL, oggi non lo sarebbe più, tenuto conto che il ritmo di crescita della ricchezza non è più come quello di 30 anni fa. Pertanto un investitore oggi sarebbe alquanto indeciso sulle conseguenze di una nostra uscita e non rischierebbe di impegnarsi per un periodo temporale di lunga durata, ma preferirebbe titoli a breve termine e con interessi che a suo avviso lo mettano al riparo da svalutazioni elevate.
    Insomma assisteremmo ad una maggiore richiesta di titoli reputati più sicuri come quelli tedeschi, inglesi o americani (facendone calare il rendimento) e meno verso i nostri causando una diminuzione del loro prezzo così che il tesoro si troverebbe costretto ad aumentare l'importo delle cedole se vuole collocarli.

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    1. Quando avevamo la lira la nostra politica monetaria era semplice, come spiega Graziani: tendevamo a svalutare leggermente verso il marco, visto che la Germania era il nostro grande importatore e tenevamo un cambio stabile se non leggermente rivalutato verso il dollaro, con il quale pagavamo le materie prime. Quello che a volte si tende a dimenticare è che il rapporto fra diverse monete dipende dalle varie economie interne dei relativi Paesi: se è probabile, visto il differenziale cumulato con la Germania, una svalutazione verso l'euro del 30% (ammesso che con l'uscita unilaterale dell'Italia esisterebbe ancora l'euro, cosa che dubito), lo stesso non sarebbe verso il dollaro, dove il differenziale è minore, o verso lo jen o il renmimbi. Questo complica di molto il calcolo degli effetti di una uscita dall'euro, ma sicuramente rende non valido il discorso semplicistico "le materie prime ci costerebbero il 30% in più".
      Detto questo nessuno può dire con sicurezza che effetti ci sarebbero sull'immediato ed a medio termine, però l'esperienza del 1992 e qualche studio economico ci dicono che abbiamo una forte elasticità delle esportazioni, che in momenti di sottoutilizzo di impianti, manodopera e scorte di materie prime (non l'energia) un aumento di domanda può essere agevolmente coperto da un aumento di produzione senza troppe tensioni sui prezzi, che le materie prime estere, compreso l'energia, sono un fattore meno importante del costo del lavoro e che un aumento del costo di esse sarebbe sopportato volentieri dagli imprenditori, potendo contare su una domanda crescente, estera ed interna e su un aumento della competitività di prezzo che riassorbirebbe completamente il costo maggiore, come ho provato a spiegare qui.
      Sui titoli di debito pubblico già emessi, sicuramente gli investitori stranieri potranno avere delle perdite, ma, come ho detto, il mercato ha già incamerato il rischio eurexit con i tassi al 5/6% del 2011; tieni presente però che un'Italia non più in declino, ma in ripresa diverrebbe comunque più appetibile, anche riguardo al debito pubblico: le banche di affari ci hanno detto espressamente che ci farebbe bene uscire dall'euro e gli investitori (che non sognano...) sanno benissimo che, superato il primo momento, la nostra economia tornerebbe a tirare se lasciata libera. Comunque anche qui gli scenari sono complessi ed anche qui dire semplicemente che i mercati ci abbandonerebbero come se avessimo la peste o fossimo il Burundi è una grave sciocchezza, se non peggio.

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  3. Per l'investitore italiano non sarebbe molto diverso, sebbene per il motivo opposto. E' vero che lui sarebbe più interessato in primis alla perdita di potere di acquisto derivante dall'inflazione, che se tenuta sotto controllo non dovrebbe preoccuparlo, ma ci sarebbe da tenere presente il fatto che lui sarebbe tentato ad acquistare un titolo straniero sicuro (tedesco, inglese, americano) anche se dovesse rendere poco in termini reali perchè confiderebbe di realizzare il maggiore profitto acquistando il titolo prima della svalutazione e riscattandolo dopo lucrando così un plusvalore. Insomma anche l'investitore italiano (e per investitore parlo di banche, di finanziarie, non di singoli risparmiatori) inizialmente sarebbe poco interessato all'acquisto di titoli italiani e questo, unito al discorso fatto prima per l'investitore straniero, causerebbe sicuramente uno shock sui mercati finanziari e gravi ripercussioni sul nostro debito pubblico nonchè sul finanziamento della nostra spesa. Ripercussioni che non si possono liquidare pensando di ricorrere all'emissione di moneta e questo per l'ammontare considerevole che sicuramente innescherebbe una spirale inflazionistica dagli esiti incerti. Ovviamente nessuno può garantire che ciò accada o quale potrebbe essere l'entità, ma rimane sempre una possibilità molto plausibile da non sottovalutare.

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    1. Altra questione da chiarire: chi sostiene che si debba uscire dall'euro e basta è un pazzo. Chi sostiene che bisogna uscire dall'euro e riportare sotto controllo del Tesoro la banca d'Italia che deve diventare prestatore di ultima istanza e basta è solo un po' meno folle.
      Una uscita seria dall'euro deve essere seguita da un pacchetto di misure volte ad impedire ai mercati ed agli operatori economici di far saltare tutto, solo per mera convenienza immediata; come spiegava Keynes i mercati sono inefficienti perché ragionano a brevissimo ed agiscono di conseguenza, anche se ciò, a medio lungo termine, non è il comportamento migliore. Ormai molti economisti, dopo le crisi finanziarie, sempre più violente e frequenti, parlano di nuovo apertamente del bisogno di "repressione finanziaria", termine tecnico che suona male, ma che in pratica significa non lasciare i mercati in balia di se stessi e gli Stati con loro.
      Un controllo sui movimenti di capitali è indispensabile, come lo è la separazione di funzioni bancarie per evitare speculazioni col denaro dei semplici depositanti. Non è questa la sede per approfondire, ma il concetto è che bisogna tornare ad un altro tipo di gestione monetaria e ad un ridimensionamento della finanza, a favore della produzione. Poi vale il discorso fatto nel precedente commento.

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  4. Complimenti per l'articolo , aggiungo che con la sovranità monetaria dovrebbero essere ripristinati i diritti costituzionali.
    Lo Stato, garante della comunità nazionale, deve dotarsi di un piano economico a medio - lungo termine .
    Solo con una visione di lungo periodo è possibile ridare prospettive all'Italia e speranze agli Italiani.
    La speranza è il fondamento della responsabilità e ,purtroppo, in questi ultimi anni "scudati" dal celochiede l'europa i decisori politici ed i poteri economici ci hanno privati di speranza e si sono liberati della responsabilità a loro assegnata. http://orizzonte48.blogspot.com/2014/01/il-timing-2.html

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    1. Hai perfettamente ragione. Come ho spiegato in alcuni articoli sul mio sito http://www.avvocatoluigipecchioli.com/il-sonno-della-ragione-e-la-costituzione/ e http://www.avvocatoluigipecchioli.com/liberismo-e-democrazia/ la nostra Costituzione è incompatibile con i precetti e le politiche dell'eurozona ed i nostri politici, per ignoranza od opportunismo, sembrano non capirlo.

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  5. C'è solo un PICCOLO problema.
    Il codice civile Italiano vale In italia.
    I rappoorti internazionali sono diversamente regolati. Si può anche dichiarare default e NON rimborsare ai creditori stranieri neppure il becco di un quattrino. Proprio come ha fatto l'Argentina con i Tango BOND. Ovviamente poi si pone un problema di credibilità futura.
    Conclusione: se si esce dall'euro, si potranno gabbare tranquillamente i creditori residenti in Italia, ma i creditori stranieri dovranno essere rimborsati "al corso del cambio nel giorno della scadenza e nel luogo stabilito per il pagamento"
    Dunque, si può tutto, e potrebbe anche convenire. MA SENZA pensare di fare le solite furbate.

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    1. Se ho ben capito poni il problema dei titoli pubblici: i titoli di debito dello Stato sono emessi sotto legislazione italiana, qualsiasi sia la moneta di emissione e chiunque sia l'acquirente, quindi, a meno che non siano stati emessi titoli che espressamente devono essere pagati esclusivamente in una certa valuta (a valuta garantita od effettiva), lo Stato legittimamente pagherà cedole o rimborso nella valuta corrente al momento del pagamento, al corso del cambio al momento del passaggio della moneta da euro a nazionale, come previsto dalla legge di deroga.

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  6. e se la NeoLira si apprezzasse? allora vorrebbe essere pagato in neolire?

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    1. Non capisco il problema: il tema è il pagamento di debiti contratti in euro da cittadini italiani con altri soggetti, italiani o esteri, non il saldo di crediti vantati da cittadini italiani. Se la moneta corrente è la NeoLira è chiaro che tutti i rapporti interni sono regolati in quella moneta e riceverò in pagamento dei miei crediti NeoLire, sia da italiani che da stranieri.

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  7. Complimenti per l'articolo!!
    Davvero interessante.
    PEr quanto riguarda il processo di uscita dall'euro, da Voi individuato, mi permetto di postare un link che potrebbe essere interessante come contributo.

    http://memmt.info/site/mosler-tornare-alla-lira-con-tutti-i-risparmi-in-euro-conveniente-e-pratico/

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  8. Trovo l'ipotesi di Mosler non corretta: se non ci fosse la conversione per decreto non si avrebbe alcuna fretta ad avere neolire, i mutui aumenterebbero esattamente del tasso di svalutazione e non vi sarebbe certezza nel valore dei pagamenti, nazionali ed internazionali, che sarebbero sempre legati ad una moneta che va acquistata sul mercato.
    Molto meglio applicare il nostro Codice Civile e gestire il cambiamento di tutti i rapporti.

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