"Movimento italiano per la difesa della democrazia e per il ritorno alla sovranità monetaria"
mercoledì 5 giugno 2013
Letta e il falso problema del debito pubblico
L’elevato debito pubblico italiano costituisce un problema, per il presidente Letta, perché danneggia le generazioni future, che saranno gravate da ulteriori imposte nel caso in cui il debito dovesse ulteriormente crescere. Sono tesi che si basano sulla fallace equiparazione del debito di una famiglia con il debito di uno Stato. E che devono essere superate, se davvero si vuole andare oltre il disastroso dogma dell’austerità.
di Guglielmo Forges Davanzati da Micromega online
Per l’ex premier Mario Monti, il (presunto) elevato debito pubblico italiano costituiva un problema dal momento che avrebbe incentivato attacchi speculativi, così che occorreva porre in essere misure di austerità, riducendo la spesa pubblica e soprattutto aumentando l’imposizione fiscale. Due i risultati ottenuti: le misure di austerità messe in atto per ridurre il rapporto debito pubblico/PIL hanno prodotto l’esito esattamente opposto, determinandone un aumento di circa 7 punti percentuali in un anno, anche in considerazione dell’errore di stima del moltiplicatore fiscale, come evidenziato dal Fondo Monetario Internazionale. In più, proprio in quella fase, all’aumentare del debito pubblico non hanno fatto seguito attacchi speculativi, o almeno non di entità e durata paragonabili a quelli sperimentati nell’estate del 2011, quando l’indebitamento pubblico rispetto al PIL era inferiore ai valori assunti nel corso del 2012.
Per il neo-Presidente del Consiglio, Enrico Letta, il (presunto) elevato debito pubblico italiano costituisce un problema perché danneggia le generazioni future, che, inevitabilmente, a suo dire, saranno gravate da ulteriori imposte nel caso in cui il debito dovesse ulteriormente crescere.
E’ bene chiarire che queste convinzioni si basano sulla fallace equiparazione del debito di una famiglia con il debito di uno Stato, e soprattutto si basano sull’assunto – non dimostrato né dimostrabile – secondo il quale il nostro debito pubblico è eccessivamente elevato. Si tratta di un’assunzione opinabile dal momento che, allo stato attuale delle conoscenze, non esiste alcun criterio “scientifico” per definire il limite di sostenibilità del debito: sul piano empirico, può essere qui sufficiente richiamare il caso giapponese, laddove, con un rapporto debito pubblico/PIL che oscilla intorno al 240%, non sussistono problemi di sostenibilità dello stesso. Si può, inoltre, ricordare che il rapporto debito pubblico/PIL italiano è sostanzialmente in linea con la media dei Paesi appartenenti all’Unione Monetaria Europea e che, stando a studi recenti relativi alla quantificazione del c.d. debito pubblico “implicito”, sembrerebbe che il debito italiano in rapporto al PIL sia inferiore a quello di tutti i Paesi dell’eurozona, Germania inclusa.
La convinzione del Presidente Letta, secondo la quale le politiche di rigore si giustificano per ragioni di equità intergenerazionale, è del tutto priva di fondamento, per le seguenti ragioni.
1) Non è chiaro chi, perché e quando dovrebbe accrescere l’imposizione fiscale a danno delle generazioni future. E non è chiaro a quale futuro si fa riferimento, dal momento che l’aumento della tassazione a seguito di un aumento del debito pubblico non è affatto un automatismo, e rinvia a una decisione puramente politica. Né è dato sapere di quanto la pressione fiscale aumenterà e a danno di quali gruppi sociali. In altri termini, il Presidente Letta ritiene di poter persuadere i contribuenti italiani rendendoli disponibili a impoverirsi oggi per evitare di impoverire i posteri, ovvero ritiene che li si possa far diventare a tal punto altruisti in senso intergenerazionale da far loro desiderare il benessere di individui che potrebbero non conoscere mai, accettando ulteriori sacrifici certi, oggi.
2) Si può, per contro, argomentare che è semmai l’aumento del debito pubblico a non impoverire le generazioni future, dal momento che maggiore spesa pubblica oggi comporta maggiori redditi disponibili e maggiore disponibilità per lasciti ereditari. Il fatto che, particolarmente nel caso italiano, la spesa pubblica possa in parte generare corruzione, “sprechi”, inefficienze non legittima affatto la tesi che essa non contribuisca a generare crescita economica. La spesa pubblica (all’estremo, anche se “improduttiva”) ha effetti espansivi per almeno due ragioni, ben note. In primo luogo, per l’attivarsi del meccanismo keynesiano stando al quale la spesa pubblica, accrescendo la domanda aggregata, accresce l’occupazione e la produzione, con effetti moltiplicativi. In secondo luogo, perché, in quanto amplia i mercati di sbocco, migliora le aspettative imprenditoriali e incentiva gli investimenti privati.
3) Anche ammesso che la crescita del debito pubblico comporti un trasferimento dell’onere fiscale a danno delle generazioni future, ciò non costituisce un danno irreversibile, come è, con ogni evidenza, il danno ambientale. Mentre, infatti, nel caso del danno ambientale vi è distruzione di risorse non riproducibili, nel caso dell’aumento delle imposte ciò non accade: fatta eccezione per le risorse naturali, gli altri fattori produttivi sono riproducibili, non essendo soggetti a vincoli di scarsità.
L’esperienza italiana degli ultimi decenni mostra, in effetti, che quanto più si è cercato di ridurre il rapporto debito pubblico/PIL, tanto più questo rapporto è aumentato e tanto più – per decisioni puramente politiche – si è trasferito l’onere dell’aggiustamento sulle generazioni successive, in una spirale perversa che ha generato il progressivo inarrestabile impoverimento (in ordine di tempo) dei lavoratori, delle classi medie, delle piccole e medie imprese e, infine, della forza-lavoro giovanile.
Ciò è accaduto sostanzialmente a ragione del fatto che si è cercato di ridurre il rapporto debito pubblico/PIL agendo esclusivamente sul numeratore della frazione, e dunque riducendo la spesa pubblica e/o aumentando la tassazione. Ne è seguita la caduta della domanda e dell’occupazione, con conseguenti inevitabili effetti negativi sul tasso di crescita. La conseguente riduzione della base imponibile ha reso sempre più difficile reperire risorse per pagare il debito. Non si è trovata altra strada se non aumentare la pressione fiscale, peraltro rendendo sempre meno progressiva la tassazione e, dunque, facendo gravare l’onere sempre più sulle fasce di reddito più basse. In tal senso, dovrebbe essere ormai chiaro che è la riduzione del tasso di crescita ad accrescere il debito, non il contrario.
Si riconosca almeno che le politiche di austerità non sono un “imperativo categorico”, valide in ogni circostanza di tempo e di luogo, e che altre vie sono percorribili, peraltro con maggiore efficacia. La c.d. “Abenomics” giapponese – ovvero l’attuazione di un’aggressiva politica fiscale (e monetaria) espansiva, nell’ordine di 85 miliardi di euro come primo stanziamento, con una stima di crescita del 2% su base annua – costituisce la conferma più recente del fatto che il deficit spending può essere ancora considerato una strategia pienamente efficace almeno in funzione anti-ciclica.
Avendo sperimentato l’inoppugnabile fallimento delle politiche di austerità, non si vede ragione per la quale reiterare l’errore, soprattutto se il rispetto del vincolo del rigore finanziario viene motivato con argomentazioni che intendono legittimare una recessione politicamente indotta appellandosi a discutibili argomenti etici. Gli argomenti etici dovrebbero essere, al più, utilizzati per far fronte all’insostenibile disuguaglianza distributiva che queste stesse politiche hanno contribuito a produrre.
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DEBITO PUBBLICO - L'Europa chiede di ridurre il deficit, ma non spiega come. Per non ingerire negli affari nazionali, lascia ai politici piena libertà di agire.
RispondiEliminaIn concreto, cos'è un deficit ? Semplice: il paese spende, indebitandosi, più di quello che produce.
I politici, irresponsabili e chiacchieroni, invece di ridurre i loro scandalosi stipendi, privilegi e ruberie, pensano di risolvere il problema aumentando le tasse ai cittadini.
Quindi, il disastro italiano non è colpa della UE, ma di un sistema burocratico e tiranno che da sempre impera nel Bel Paese.
- da COCOMIND.com - La voce del dissenso
Lievemente imprecisa la tua definizione. Deficit dato dalla differenza tra spese ed entrate statali. Paese e produzione non hanno nulla a che vedere.
EliminaNon sono d'accordo... Il solo pensare che la gestione di uno stato possa essere paragonata alla gestione contabile familiare è un grosso errore. La spesa a deficit è necessaria, specie nelle fasi di recessione, perchè è l'unica via per poter sostenere la domanda aggregata.
RispondiEliminaAd Anonimo
RispondiEliminaAppunto, lo Stato spende più di quello che incassa. I nostri politici, più mafiosi che politici, cercano di pareggiare aumentando le tasse.
Questo circolo vizioso ben presto ci porterà alla guerra civile.
- Piero Paris
caro Piero lei continua a pensare che uno stato debba essere gestito come una azienda attuando il pareggio di bilancio. Il problema è che uno stato a moneta fiat non deve essere gestito cosi. Lo stato con moneta sovrana CREA la moneta e sottolineo crea e la distribuisce ai cittadini indebitandosi con se stesso ovvero spende la moneta creata (sottoforma di titoli di stato etc) immettendola nel settore privato (banche industrie cittadini etc). Quindi lo Stato ha appena speso la sua moneta e in un bilancio queste sono uscite quindi si indebita. Ma ora le chiedo, con chi si è indebitato? e in che moneta?..le rispondo io, si è indebitato con se stesso e nella sua moneta che produce lui ergo il debito dello stato (sempre a moneta sovrana con una banca centrale che acquista i suoi titoli sul mercato primario) è solo un mero esercizio contabile e non può fallire e potrà sempre garantire i suoi titoli in quanto è lui stesso il "creatore" dei suoi titoli. Ed ecco come fanno il giappone e gli stati uniti a non fallire. Creano soldi dal nulla. Il gold standard è finito 40 anni fa.
EliminaTesi:
RispondiEliminala casta politica, partitocratica, sindacale ed istituzionale italiana è del tutto incapace di opporre contrasto alla crisi riducendo spesa pubblica e debito pubblico che viene investito in clientelismo e corruzione.
Sintesi:
Il governo Letta vuole investire ancora producendo debito pubblico per creare economia.
Risultato:
Letta non capisce un cazzo di economia e di finanza, questo stato è totalmente mafioso e corrotto ed io ne ho le tasche piene di questi banditi travestiti da autorevoli personaggi istituzionali che non sanno ne leggere ne scrivere a sufficienza per governare un paese reale avanzato e complesso come è l'Italia.
http://www.ilcittadinox.com/blog/paesi-viziosi-sbarazzatevi-delle-costituzioni-antifasciste.html
Gustavo Gesualdo
alias Il Cittadino X