Dopo che nel primo post delle pillole rosse abbiamo visto il rapporto vero tra svalutazione ed inflazione, vediamo ora gli effetti della svalutazione che si avrebbe tornando alla lira, o meglio adottando la nuova lira, e della parte che si traduce in inflazione, sul sistema Paese.
Matrix a questo proposito vi dice che, siccome la svalutazione porta ad un pari livello di inflazione (ed abbiamo visto che non è vero) i redditi dei lavoratori e dei pensionati perderebbero subito un valore pari all'inflazione, che per Matrix è per lo meno il 30%, che fare la spesa sarebbe più caro, che il prezzo delle materie prime, di cui noi siamo privi per lo più, ci costerebbero di più, ma molto di più, financo sette volte di più! Sì, avete capito bene, fino a sette volte di più: l'hanno detto della benzina. Facendo due calcoli adottando inizialmente un cambio pari 1 euro = 1 neolira, la benzina verrebbe a costare mediamente 12.292 neolire al litro: per capirci è come se adesso la pagaste più di 12 euro al litro. Non vi sembra vero che l'abbiano detto? Ecco la prova
E poi c'è la mazzata finale: i mutui. I mutui adesso nominati in euro rimarrebbero tali e, con la conversione e la svalutazione si pagherebbero le rate con un aumento pari alla svalutazione. Non solo: poiché con la svalutazione i tassi salirebbero, anche il tasso del mutuo, se variabile, salirebbe di un pari importo, portando gli interessi dal 3,5 medio al 15%. Una rovina. E ce lo dice sempre il buon Plateroti: sentite qua
Vabbè, è ora di prendere la prima metà della pillola rossa, prima che fuggiate via dallo spavento per la catastrofe imminente: la svalutazione ha effetti immediati solo sui beni esteri e non si trasmette, né interamente, né con la stessa velocità ai prezzi dei beni interni; d'altronde il prezzo delle materie prime estere è un componente minimo del prezzo della maggior parte delle produzioni nazionali e della benzina. Vediamo perché.
Innanzitutto è intuitivo che la svalutazione si applichi solo al prezzo dei beni esteri, che vengono pagati in altra moneta e subiscono i cambi. Dal momento dell'uscita dall'euro il Camemberg francese o la Volkswagen tedesca costerebbero immediatamente di più; d'altra parte immediatamente le nostre produzioni diventerebbero più convenienti per il mercato estero, con una spinta alle esportazioni che dipende dalla c.d. "elasticità" che il Paese ha ad aumentare le esportazioni con la diminuzione della quotazione della moneta. Fidatevi se vi dico che l'elasticità dell'Italia è molto alta. Se non vi fidate e siete esperti di macroeconomia il dato lo ricavate da questo paper della Commissione Europea del 2010.
Vediamo la materia prima per eccellenza, il petrolio, che entra in varie produzioni e soprattutto nei costi di trasporto delle merci, via benzina. Plateroti, che per chi non lo sapesse è vice-direttore del Sole 24 Ore, ci dice che aumenterebbe di sette volte, ed abbiamo visto che è evidentemente una follia; ora, bisogna pensare che il prezzo della benzina non è dato solo dal prezzo del petrolio, ma da molte altre cose, che è istruttivo sapere. Questa è un'immagine esplicativa della composizione del prezzo alla pompa
Qui trovate l'elenco delle accise.
Diciamo che in media il prezzo del petrolio influisce su un 25% del prezzo della benzina; se quindi si avesse una svalutazione del 30%, con un pari aumento del prezzo del petrolio, il prezzo della benzina aumenterebbe del 7,5% (30 x 25 : 100 = 7,5). Se prendiamo il prezzo attuale, circa 1,750 per la senza piombo, l'aumento sarebbe di ben 13 centesimi! Effettivamente una rovina... Tenete presente che, con l'euro, il prezzo dei beni energetici, secondo l'ISTAT, ha avuto nel 2011 e fino a febbraio 2012 un aumento medio del 10/11%.
Per le altre materie prime il discorso è analogo: nel ciclo produttivo hanno un impatto limitato, essendo molto più importante il costo del lavoro nella formazione del prezzo finale; va anche considerato che, mediamente, l'aumento dei costi di produzione, in un momento di scarsa domanda viene pressoché assorbito dal produttore, che preferisce limare il margine di profitto piuttosto che aumentare i prezzi, per cui l'effetto sull'inflazione è molto limitato. Ad esempio, l'aumento del 9% complessivo avutosi nel 2011 sui costi di produzione per l'aumento delle materie prime (energia in primis) dato anche dalla svalutazione dell'euro rispetto al dollaro ha portato ad un aumento dei costi del 2,1% (fonte: ISTAT).
Si può quindi concludere che anche le materie prime non sarebbero un problema in caso di uscita dall'euro.
Ed ora concludiamo con i mutui.
Qui la spiegazione non è economica, ma meramente giuridica: chi dice che il mutuo contratto in euro rimarrebbe tale, e quindi si rivaluterebbe la rata, semplicemente dimostra di non conoscere il diritto civile vigente.
Esiste nel nostro ordinamento un corpo di norme che vengono definite lex monetae e sono gli artt. 1277-1280 c.c.; senza entrare nel dettaglio, ed ecco la seconda metà della pillola rossa, quando una moneta non è più in corso tutti i rapporti di debito/credito vengono automaticamente ridefiniti nella nuova moneta avente corso legale; nel caso di uscita dall'euro quindi tutti i contratti stipulati in euro (come i mutui), che non avrebbe più corso legale in Italia, si trasformerebbero di diritto in contratti in neolire (o quello che sarà la nuova moneta) e nessuna banca potrebbe pretendere un pagamento in euro. Non solo, ma essendo tutto il contratto di mutuo rinominato in neolire, tutte le rate a scadere semplicemente sarebbero pagate nella nuova moneta e nell'importo previsto, senza aumenti o rivalutazioni. Anche i debiti fra residenti verrebbero semplicemente rinominati, mantenendo lo stesso importo (se cambio 1:1 come auspicabile) o comunque lo stesso valore per entrambe e nessuno ne avrebbe un danno.
Per quanto riguarda il tasso variabile, è vero che potrebbe esserci un aumento del tasso d'interesse derivante dalla minor appetibilità dei titoli italiani in neolire, che dipende dall'apprezzamento dei mercati della manovra di uscita, ma anche qui si tralascia un dettaglio: il tasso variabile è composto da un tasso fisso + il tasso Euribor; questo è determinato dalla media dei tassi di deposito interbancari per le transazioni in euro, facendo la media di oltre 50 istituti di credito. E' del tutto evidente che un aumento dei tassi italiani sarebbe comunque una percentuale di aumento del tasso Euribor (un po' il discorso del petrolio sul prezzo della benzina), per cui non si avrebbe un aumento significativo di quest'ultimo e sicuramente non il passaggio dal 3,5% al 15%...!
Chiarito ciò, evidentemente dovrebbe essere prevista per i debiti singoli con l'estero non ancora scaduti anche una deroga al principio sancito dall'art. 1278, per cui se la moneta con il quale è definito il rapporto non è corrente nello Stato, ma continua ad avere corso fuori, il pagamento viene fatto al valore di cambio esistente al momento del versamento: un Governo che non sia folle, oltre a prevedere il tasso di conversione (il più semplice possibile e quindi sperabilmente come detto 1:1) dovrebbe prevedere i pagamenti futuri di debiti esteri già formatisi fissati al valore della conversione. Con questo piccolo accorgimento, del tutto legittimo, i debitori non subirebbero alcun danno dal passaggio, scaricando il rischio di cambio, come è giusto sul loro creditore.
Insomma, una uscita intelligente e consapevole, ben gestita, non porterebbe nessuna delle sciagure previste dagli euristi, per cui tali previsioni catastrofiche sono quello che vi ho detto: Matrix.
Alla prossima pillola.
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