La svalutazione dell'euro sarebbe sufficiente alla ripresa?Da questo studio di Sapir risulta che sarebbe accettabile per la Francia, ma non risolverebbe nulla per gli altri paesi periferici. L'ipotesi migliore per tutti resta lo scioglimento.
La tesi di un possibile deprezzamento dell'Euro ha ancora dei sostenitori in Europa. E' vero che sulla carta unisce i benefici di una svalutazione (di cui si riconosce il crescente bisogno [1]) e della conservazione dell'Euro (per il quale molti hanno un attaccamento che giudico irrazionale). E' vero che le indagini dell'INSEE hanno da tempo stabilito che la rivalutazione dell'euro ha avuto un impatto negativo sull'economia francese. [2] Uno studio di Natixis ha analizzato questo scenario nei primi mesi del 2012. [3]
Deprezzamento dell'euro e tassi di integrazione dei paesi dell'eurozona
Dobbiamo prima specificare come accadrebbe. Supponiamo che la Banca centrale europea decida di acquistare più di un terzo del debito italiano, spagnolo e portoghese. Si supererebbero i 1.000 miliardi già immessi nell'economia, cosa che potrebbe causare uno shock iniziale. Se la BCE si impegnasse a rimborsare degli eurobond (ammesso che possano essere emessi) per un importo da 400 a 500 miliardi di dollari l'anno per un periodo da 3 a 5 anni, si può supporre che questo avrebbe un effetto negativo sul tasso di cambio dell'euro rispetto alle altre valute e in primo luogo al dollaro degli Stati Uniti. Tuttavia, non è chiaro se la BCE e i governi tedesco, austriaco e finlandese potrebbero accettare una soluzione del genere.
Inoltre, questo gioverebbe ai paesi membri solo nella misura in cuiuna grande parte del loro commercio avvenga al di fuori della zona euro. E' il problema del tasso di integrazione nell'eurozona. Va ricordato che la moneta unica avrebbe dovuto provocare una forte integrazione commerciale dei paesi aderenti. Da questo punto di vista, è bene ricordare la tabella riportata nel mio libro Faut-il Sortir de l’Euro ? che è stato pubblicato nel gennaio 2012 da Seuil.
Quota di commercio in Euro
Esportazioni | Importazioni | Media | |
Slovenia | 86,9% | 82,8% | 84,9% |
Italia | 74,9% | 70,2% | 72,6% |
Slovacchia | 73,9% | 60,1% | 67,0% |
Spagna | 60,8% | 60,3% | 60,6% |
Germania | 63,0% | 55,2% | 59,1% |
Portogallo | 54,6% | 60,2% | 57,4% |
Belgio | 55,3% | 57,0% | 56,2% |
Francia | 52,4% | 45,1% | 48,8% |
Grecia | 47,3% | 39,6% | 43,5 |
Sapir J., Faut-il Sortir de l’Euro, Paris, Le Seuil, 2012, p. 79.
Queste cifre sono cambiate leggermente nel 2012, ma rappresentano le tendenze del commercio internazionale per i paesi membri della zona euro. E' subito evidente che le differenze nel tasso di integrazione sono importanti, anche per i paesi di dimensioni comparabili. L'Italia è sopra il 70% e la Spagna al 60%, mentre la Francia sta circa al 49/50%. Questo ha evidenti implicazioni per i potenziali effetti di un deprezzamento dell'euro in opposizione allo scenario di una sua dissoluzione.
Gli effetti di un deprezzamento dell'Euro
La questione è stata ripetuta diverse volte nel corso del dibattito che ho avuto con Jean-Luc Mélenchon giovedi, 4 July 2013. [4] Quindi torniamoci un po' su, con l'aiuto del modello utilizzato per la preparazione dello studio di prossima pubblicazione della Fondazione Res-Publica.
In primo luogo diamo uno sguardo alle conseguenze negative della svalutazione, o l'impatto sull'inflazione.
Figura 1
Si possono constatare due cose. In primo luogo, l'inflazione iniziale è più bassa in Francia che negli altri paesi, compresa la Germania. Ha perfettamente senso, sia in termini di elasticità di prezzo che per quel che riguarda la quota di energia delle importazioni, relativamente più bassa in Francia che nei paesi vicini. Poi, se la Germania ritorna rapidamente a una inflazione pari a zero, non è questo il caso per la Spagna e il Portogallo, la cui inflazione è sempre superiore a quella della Francia, o per l'Italia, il cui tasso di inflazione converge con quella della Francia solo alla fine del periodo. Questo ha un impatto immediato sul tasso di cambio reale implicito nell'Euro. Infatti, se il tasso di cambio nominale non può muoversi (dal momento che è fissato nel contesto della moneta unica), non accade lo stesso con il tasso di cambio reale, che è il tasso di cambio nominale corretto della differenza tra l'inflazione del paese e quella dei suoi principali partner commerciali.
Figura 2
Dato il tasso di inflazione degli Stati Uniti (e degli altri partner commerciali non euro), il tasso di cambio reale (o a prezzi costanti) inizia a salire poi cade quando l' inflazione nei paesi considerati scende al di sotto dell'inflazione dei loro partner. Ma il vantaggio della Francia è evidente, in particolare in relazione ai paesi del Sud Europa, che accumulano gli effetti di una inflazione più forte che nel nostro paese e in Germania. La competitività di prezzo di questi paesi si deteriora ampiamente e logicamente la bilancia commerciale accumula un deficit importante, costringendoli a reagire. Ma supponiamo che questa reazione non abbia luogo e guardiamo l'impatto diretto sulla crescita di questo deprezzamento dell'euro.
Figura 3
Per quanto riguarda gli effetti diretti della svalutazione (esclusi gli effetti indotti sui guadagni di gettito fiscale), si vede che due paesi sono effettivamente avvantaggiati, la Francia e la Grecia. La Germania arriva subito dopo, come è logico data l'importanza del suo settore industriale. In effetti, la Germania potrebbe trovare in questo deprezzamento un contrappeso al deprezzamento dello yen, dato che il Giappone e la Germania sono concorrenti diretti in molti mercati. Per contro, per i paesi del "Sud", il bilancio della svalutazione è molto meno interessante. Ora, se includiamo nella tabella la necessità di compensare lo squilibrio di competitività che si è visto che è importante, questi paesi dovranno ridurre ancora di più la domanda interna e l'impatto di questo declino sulla crescita, dati i valori molto elevati del moltiplicatore della spesa pubblica (stimata in 1,7 per la Spagna e 2,2 per l'Italia), annullerebbe gli effetti positivi del deprezzamento dell'euro.
Se ora confrontiamo gli effetti di 5 anni di deprezzamento dell'Euro con gli effetti di uno scioglimento, nel caso della Francia si vede che il risultato (che qui include gli effetti indiretti del tasso di crescita) è molto meno interessante.
Figura 4
Nella figura 4 l'ipotesi di un semplice deprezzamento dell'euro è rappresentata nella traiettoria H4. La dissoluzione ordinata (con delle svalutazioni del 20% per la Francia, 25% in Italia, 30% per la Spagna e il 40% in Portogallo) è rappresentata con H1. La traiettoria H2 simula una spaccatura nella zona euro in 2, con un Euro Nord (Germania, Austria, Finlandia e Paesi Bassi) e un Euro Sud (Francia, Spagna, Italia, Portogallo, Belgio). Questa ipotesi è anche caratterizzata da movimenti di inflazione che la rendono non molto plausibile. [5] Il percorso H3 rappresenta il caso di una dissoluzione disordinata dell'Eurozona, con dei tassi di svalutazione maggiori che in H1 e una forte rivalutazione della Germania. Lo scarto tra la traiettoria H4 e le altre tre è significativo.
In conclusione, l'ipotesi di un deprezzamento dell'Euro è accettabile per la Francia e la Germania, ma disastroso per i paesi del Sud Europa. In un certo senso, per questi paesi è anche peggio dell'ipotesi di una scissione dell'Euro in due aree, di cui si è detto che probabilmente non sarebbe sopportabile per questi paesi, a causa dell'inflazione e dei movimenti del tasso di cambio reale (e quindi della competitività). Quindi i governanti dei paesi del Sud Europa (Spagna, Italia, Portogallo) dovrebbero avere delle tendenze suicide per sostenere una simile politica, una volta presa la decisione di rompere con l'attuale status quo. Se consideriamo importante il futuro del Sud Europa (e questo è un punto su cui ci siamo trovati d'accordo con Mélenchon nel dibattito del 4 luglio), l'unica soluzione ragionevole è quella di lottare per una completa dissoluzione della zona euro.
[1] Artus P., « Dévaluer en cas de besoin avait beaucoup d’avantages », Flash-Économie, Natixis, n°365, 26 mai 2012.
[2] F. Cachia, "Gli effetti della rivalutazione dell'euro sull'economia francese," nel sommario della INSEE, INSEE, Parigi, 20 giugno 2008.
[3] Artus P. (red.), « De combien faudrait-il dévaluer les monnaies des pays en difficulté de la zone euro ? », Flash-Économie, Natixis, n°47, 17 janvier 2012.
[4] La trasmissione può essere vista suhttp://www.arretsurimages.net/contenu.php?id=5976
[5] Si prega di fare riferimento allo studio della Fondazione Res-Publica che sarà pubblicato a fine luglio.
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