Torna in auge lo spread che tocca nuovamente i 300 punti e qualcosa vorrà pur dire. Segno evidente che la situazione finanziaria del nostro paese è nuovamente a rischio instabilità e gli investitori volgono lo sguardo all’aggressione della speculazione. Il quotidiano economico britannico, Financial Times, ha pubblicato un report di 29 pagine ritenuto preoccupante per numeri e contenuti, che dettaglia esplicitamente le attività di ristrutturazione del debito dello Stato Italiano, comprese otto operazioni in derivati per un ammontare nozionale di 31,7 miliardi di Euro.
Mentre la relazione tralascia dettagli cruciali e non dà un quadro completo delle potenziali perdite per l'Italia, gli esperti che hanno esaminato il rapporto del Financial Times hanno ribadito che la ristrutturazione del debito ha permesso al Tesoro italiano, a corto di liquidi, di scaglionare i pagamenti verso le banche estere per un periodo più lungo rispetto agli accordi originari ma, in alcuni casi, a condizioni fortemente più svantaggiose e che, al culmine della crisi dell'eurozona, ammontavano a oltre 8 miliardi di euro.
Sempre secondo il Financial Times questi dettagli accendono una luce anche sulle tattiche finanziarie che hanno consentito ad un paese indebitato come l'Italia, di far parte dei primi 11 paesi che nel 1999 aderirono alla moneta unica.
Il rapporto non nomina le banche né dettaglia in modo esaustivo i contratti derivati sottoscritti, ma questi sembrano risalire alla fine del 1990. A quel tempo l'Italia sembrava aver improvvisamente centrato, in modo oltretutto lusinghiero, gli obiettivi di disavanzo fissati dalla UE per far parte della prima ondata di 11 paesi che hanno adottato l'euro nel 1999.
Nel periodo antecedente l'ingresso nell'euro, l'Italia aveva un deficit di bilancio del 7,7% nel 1995. Nel 1998, l'anno cruciale per l'approvazione della sua adesione all'euro, questo era stato ridotto al 2,7%, di gran lunga il maggior calo tra gli 11 paesi. Nello stesso periodo le entrate fiscali erano aumentate in misura marginale e la spesa pubblica, in rapporto al PIL, era scesa solo leggermente.
Come per dire che le alchimie finanziarie messe in atto, avevano assorbito quel che il sistema produttivo reale non era in grado di sostenere. Niente di scandaloso, è vero, ma solo in virtù della normalizzazione mediatica che in Italia assume picchi sconfortanti. Una normalizzazione che evita all'opinione pubblica di rilevare gli intrecci scandalosi di queste strategie finanziarie, messe in campo ricorrendo al supporto di banche d'affari internazionali di stile e matrice anglosassone.
Se fosse vero quanto riportato dal Financial Times, dovremmo considerare un caso Grecia 2.0. Bilanci truccati ad arte per partecipare improvvidamente ad un progetto, quello europeo, per il quale non eravamo preparati e che invece più di qualcuno ha forzato anzitempo, per condividere interessi di spregiudicata spartizione.
Soggetti allevati in batteria e nutriti per decenni con un solo mangime, che sopprime drammaticamente i valori etici e morali di una condotta che avrebbe dovuto salvaguardare, invece, gli interessi di una nazione intera, senza infilarla in un tunnel buio e senza fine.
Ma guai a parlare di questo, si rischia di passare per complottisti.
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