Siamo tutti d’accordo sul fatto che il Paese è allo stremo; così come siamo tutti d’accordo nel considerare la nostra classe politica trasversalmente corrotta, infingarda, ipocrita e mediocre. Ma tale diffusa consapevolezza da sola non basta per individuare percorsi corretti finalizzati alla riscoperta di un paradigma in grado di farci invertire la rotta. Nel momento in cui bisogna individuare le risposte concrete utili per ripartire, le strade di molti si biforcano. Una moltitudine di coglioni inetti e asini punterà quindi il dito contro la Casta, gli sprechi, la corruzione e il debito pubblico, trasformando il problema da politico in etico. Se infatti l’uomo deve essere punito a causa dei peccati passati, non ha senso immaginare soluzioni politiche che, dagli eurobond alla salvaguardia delle istituzioni democratiche, servano per contrastare il declino dell’Europa.
Per pulire l’anima bastano e avanzano i sacrifici, le penitenze e le privazioni che quotidianamente la Troika propina. Chi si ostina a pensare che la causa dei nostri mali sia il risultato di una mancanza di moralità in capo alle nostre classi dirigenti puntella inconsapevolmente il sistema balordo che ci schiaccia. Non a caso, dopo i vari Stella, Rizzo, Monti e Montezemolo, ora perfino due noti camerieri travestiti da politici come Renzi e Letta si sono improvvisamente riscoperti nemici giurati dei privilegi della politica (poffarbacco e perdindirindina!). Io vi dico che chiunque provi a spiegare l’attuale involuzione civile, economica e democratica del Vecchio Continente brandendo argomenti puritani e da baraccone è un ipocrita, un farabutto o un mentecatto (se in buona fede). Ma se non volete credere alle mie parole, vi invito a riflettere sulle analisi del grande Keynes così come riportate nel libro di Napoleoni e Ranchetti Il Pensiero economico del Novecento (pag. 92-93):
“…per il fine particolare che si intende raggiungere mediante la spesa in questione, il contenuto della spesa stessa è relativamente indifferente. Ciò che realmente importa infatti è che, mediante la spesa pubblica, venga posta in essere una domanda addizionale. Che ciò avvenga mediante l’esecuzione di lavori pubblici o mediante una politica di sussidi a certe categorie di cittadini non ha, per il problema in questione, alcuna rilevanza. La spesa, in altri termini, potrebbe anche essere del tutto inutile, potrebbe, cioè, anche concretarsi in cose che non hanno una utilità loro propria, e tuttavia essa potrebbe ugualmente esercitare il suo effetto sul livello del reddito nazionale. Si noti bene, infatti, che gli effetti in questione non sono legati ad un aumento di capacità produttiva, ma sono, al contrario, legati alla creazione di una domanda addizionale che ponga in funzione una capacità produttiva già esistente e non correntemente utilizzata. In altri termini, sei il problema della disoccupazione è un problema di deficienza di domanda effettiva, e non un problema di deficienza di capacità produttiva, allora ciò che importa nella spesa pubblica è soltanto il suo ammontare e non il suo contenuto. Naturalmente, una volta che la spesa pubblica debba essere eseguita, può ben essere consigliabile fare con essa opere aventi una utilità intrinseca anziché opere inutili; è sempre meglio, in altri termini, spendere, poniamo, per l’istruzione o per certe opere pubbliche che in periodi normali non si sono potute eseguire, anziché, per fare un esempio spesso ripetuto, scavar buche per terra e poi riempirle. Sia chiaro, tuttavia, che nell’ambito del problema che ci si propone di risolvere, e cioè la creazione di una domanda addizionale per supplire alle deficienza che su questo terreno presenta il mercato, l’utilità propria delle opere che si eseguono è un elemento secondario e da essa non dipende il raggiungimento dell’obiettivo principale”.
E’ tutto chiaro? L’unico vero crimine dal punto macro-economico che i governanti possano commettere è quindi il risparmio di Stato ( tipico di alcune buffonate grillesche capaci di ostentare la restituzione di diarie, finanziamenti, panini, pizze e arancini). L’uso allegro di soldi pubblici, alla Fiorito per intenderci, costituisce invece un problema di natura etica che risulta però perfino utile sul piano economico (qualcuno venderà infatti qualche bottiglia di spumante in più utilizzando più forza lavoro). Mentre la soluzione ottimale rimane quella di adoperare il denaro pubblico per realizzare opere meritevoli sia sul piano materiale che su quello immateriale. Ai nostri politicanti basterebbe leggere qualche paginetta circa la famosa “teoria del moltiplicatore” per evitare di dire cazzate ogni santo giorno.
A questo punto della nostra discussione spunterà di sicuro lo Scacciavillani di turno pronto ad urlare come un invasato: “Inflazione, inflazione”. Ma Keynes, anche se pare che in vita non abbia mai avuto l’onore di conoscere il (poco) noto pensatore “molanita” (un riuscito mix fra un molisano e un omanita), ha pensato anche a questo aspetto. Ascoltiamo quindi una sintesi del pensiero sul punto del grande economista inglese così come proposta da Napoleoni e Ranchetti:
“…mentre dunque nella finanza tradizionale il debito pubblico era considerato come un mezzo a cui ricorrere temporaneamente, per far fronte a momentanee difficoltà di cassa, nella nuova pratica finanziaria il debito pubblico, lungi dal costituire un ripiego, è concepito come un importante strumento di intervento capace di modificare il volume dell’attività economica complessiva. Il caposaldo della finanza classica, cioè il pareggio di bilancio dello Stato, viene ora considerato valido soltanto nelle situazioni di piena occupazione, e lo si considera viceversa come un errore nelle fasi di depressione e di disoccupazione, durante le quali una spesa pubblica non coperta da entrate tributarie diventa strumento di ripresa e prosperità. Sul terreno specificatamente monetario, si rileva come il pericolo di inflazione, tradizionalmente connesso al disavanzo pubblico, non abbia ragione di esistere nelle ipotizzate condizioni di disoccupazione, giacché in questo caso esistono fattori disponibili per immediati aumenti della produzione e del reddito reale, i quali impediscono al livello di prezzi di salire”.
La scienza economica spiega perciò da decenni perché le politiche di rigore e austerità provochino necessariamente una spirale recessiva. Se ne deduce che le politiche dei nostri governanti (prima Monti ora Letta, tutti benedetti da Napolitano applaudito da Draghi, uomo di riferimento della massoneria reazionaria continentale) non sono finalizzate a “superare la crisi”, bensì a completare un perverso riequilibrio socioeconomico di natura darwiniana ed eugenetica. Quando però tale evidenza apparirà chiara alla maggior parte del popolo italiano ed europea, sarà oramai probabilmente già troppo tardi. “Chi è causa del suo mal, pianga se stesso…”
Francesco Maria Toscano Fonte: http://www.ilmoralista.it
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