"Movimento italiano per la difesa della democrazia e per il ritorno alla sovranità monetaria"
giovedì 30 aprile 2015
Fenomenologia dell'ideologia economica liberista
Stiamo assistendo in questi ultimi anni ad un fenomeno anomalo: una teoria economica, che come tale dovrebbe rientrare in canoni scientifici di verifica sperimentale e falsificazione - anche se attenuati dall'essere una scienza sociale e quindi dotata di una certa non linearità e quindi imprevedibilità - per raggiungere la costruzione di un modello teorico efficace e testato, per quanto possibile, dall'esperienza, sta assumendo le caratteristiche di una costruzione ideologica totalizzante, come tale svincolata dalla verifica empirica.
Nel campo delle scienze, quando una teoria messa alla prova si mostra incapace di spiegare la realtà, o ancor peggio, viene smentita dai fatti empirici, viene semplicemente abbandonata. In campo economico attualmente sta accadendo l'esatto contrario: la teoria liberista si dimostra incapace di spiegare i fenomeni economici che accadono, ed anzi, i risultati attesi della sua applicazione come modello sono l'esatto contrario di quanto teorizzato, ma, incredibilmente, ad aver torto è la realtà e non la teoria!
Una prova di ciò l'abbiamo da un recente articolo di Blanchard, già citato in un post: il capo.economista del FMI riconosce che l'applicazione del modello classico non sta funzionando, ma da la colpa al fatto che la realtà si trova attualmente in un angolo oscuro (dark corner) dove le teorie ed i modelli non funzionano, una zona di anomalia nella quale i soggetti agenti di politica economica si sono andati a cacciare per loro colpa ed incapacità.
Una ulteriore prova da ultimo la da un'altro luminare del pensiero liberista, Kenneth Rogoff, già aspramente criticato per aver teorizzato una correlazione fra alto debito pubblico e bassa crescita che è stata demolita nel suo impianto, il quale ha tentato di spiegare la diversità fra quello che sarebbe dovuto accadere secondo il modello (fine della crisi e forte recovery ovunque) e quello che sta accadendo (crisi ancora forte in molti Paesi e debole e instabile recovery per gli altri) con il fatto - banalizzo il concetto - che siamo in presenza di una specie di superciclo economico, di ampiezza maggiore di quanto previsto, ma che alla fine si andrà a mutare in forte crescita, anche se ci vorrà più tempo.
Se un fisico o un astronomo facesse delle considerazioni del genere la comunità scientifica lo deriderebbe, considerandolo un ciarlatano. Al contrario un ragionamento come quello di Blanchard o Rogoff apparirebbe perfettamente legittimo ad esempio ad un teologo, perché rientra nella logica di una costruzione ideologica della realtà.
L'ideologia ha alcune caratteristiche ben precise che vediamo di esaminare:
1- Ha il compito di definire e spiegare compiutamente la realtà.
L'ideologia è tale perché da un'interpretazione univoca e totalizzante. Attraverso essa ogni evento trova una ragione ed, all'interno della razionalità della costruzione ideologica, ogni cosa può essere spiegata ed interpretata.
2- Cristallizza la realtà così da lei definita in un modello statico
Per funzionare una ideologia deve per forza bloccare la realtà all'interno dei suoi parametri interpretativi. Ciò comporta necessariamente man mano uno scostamento fra la realtà, che è mutevole ed in continua evoluzione, e la sua ricostruzione dogmatica che la vorrebbe immutabile.
3- Solo all'interno di essa si trova la giusta risposta
Questo fenomeno lo si riscontra in tutte la ideologie, sia religiose che laiche, come ad esempio quelle politiche: l'interpretazione dogmatica è l'unica giusta ed il seguace deve attenersi a questa. Pensare diversamente è eresia e cercare di ragionare sulla correttezza e coerenza dell'interpretazione dogmatica è errore. Non si deve ragionare, ma avere fede.
4- Ciò che è in contrasto con la costruzione ideologica è eresia e deve essere ignorato
Bisogna porre attenzione al fatto che la concezione di contrasto/errore per una ideologia non è uguale a quella della scienza: l'errore scientifico è la falsificazione popperiana che viene cercata, mettendo alla prova la teoria e ne stimola la revisione o l'abbandono, è un elemento da prendere in considerazione ed ha una valenza positiva di controprova. Il contrasto con l'ideologia, poiché è un vulnus alla perfezione e verità della stessa, è qualcosa di malsano, non deve essere cercato, pena la emarginazione come eretico, ed anzi deve essere ignorato poiché è sicuramente frutto di una non perfetta comprensione della "vera verità" o di una sua distorsione da parte del fedele. Nelle religioni il contrasto con la verità dogmatica è spesso frutto di forze del male che vogliono mostrare l'utilità e quindi la giustezza di comportamenti diversi. Tutta la lotta alle tentazioni, da Gesù nel deserto a Padre Pio, non è che una lotta fra comportamento non utile nelle finalità immediate, ma corretto e comportamento utile, ma non corretto dal punto di vista dogmatico.
Se andiamo ad analizzare quanto affermato dai due economisti citati sopra, vediamo che rientra perfettamente nel comportamento del custode dell'ortodossia: per Blanchard il modello è corretto perché lo deve essere: non importa che storicamente non abbia mai funzionato e che il FMI abbia portato ogni paese al quale lo ha imposto alla distruzione di ricchezza ed alla deflazione o, se andava bene, ad una crescita stentata a costo di enormi sacrifici sociali (per dati e riferimenti cfr. Chang, Bad Samaritans), il modello è "giusto" perché conforme ai dettati. Se la realtà non risponde al modello ci deve essere un problema nella realtà, un fattore negativo che agisce contro.
Per Rogoff troviamo lo stesso meccanismo (se il ciclo del modello non funziona, c'é un'anomalia nella realtà, per cui si ha un ritardo nei tempi, ma le dinamiche saranno comunque quelle) ed anche il rifiuto/rigetto del contrasto: quando venne fuori l'errore nell'implementazione dei dati su cui era basato lo studio sugli effetti di un elevato debito pubblico sulla crescita, si scoprì anche dell'altro, ovvero che i dati utilizzati per il modello erano stati "aggiustati", dando un peso maggiore a quelli che coincidevano con la teoria e minore, o addirittura escludendo del tutto, quelli che ne contrastavano. Poiché la buona fede dell'insigne studioso non è in discussione, è probabile che questo meccanismo di sottovalutazione dei dati a contrasto debba essere spiegato con l'inconscia necessità di ribadire una verità assiomatica e nella convinzione che, in quei Paesi in cui le dinamiche erano contrarie all'assunto, vi fosse qualche anomalia, tale da non risultare accettabili per un calcolo statistico, che fossero, come si dice in gergo tecnico, dei "dummies".
Evidentemente una scienza, pur sociale, che procede per fede non può essere attendibile e può portare a gravi conseguenze: è notizia recente che, sempre il centro studi economici del FMI a capo del quale vi è Blanchard ha dovuto ammettere, sempre ex post, che la maggiore flessibilizzazione del lavoro non provoca un aumento della produttività ed una crescita dell'economia. Nel frattempo però in Spagna, in Grecia ed in parte anche in Italia si è proceduti, sulla base della teoria ora smentita, a togliere diritti ai lavoratori, a comprimerne i salari ed a rendere sempre più facile licenziare, precarizzando il futuro dei giovani. Risultato: disoccupazione a livelli inaccettabili, pari al 26% (anche in Italia l'ISTAT dà in aumento il tasso al 13%), redditi in forte calo, aumento del debito complessivo e prospettive di futuro incerto per i nuovi assunti.
In campo economico la fede non smuove le montagne, ma può far crollare gli Stati...
Fact-checking: qualche dato reale sull'immigrazione clandestina africana
Le due ultime tragedie di migranti affondati su barconi nel Mar Mediterraneo hanno scatenato i media: oltre alla copertura sistematica degli eventi da parte di TG e talk show, praticamente 24 ore su 24, politici, operatori, uomini della Polizia e perfino esperti militari sono stati intervistati ed hanno rilasciato dichiarazioni, principalmente su come risolvere il problema degli sbarchi e del trasporto dei migranti, arrivando alcuni a definire gli scafisti come i "nuovi schiavisti", dimenticando che gli schiavi erano prelevati contro la loro volontà, non migranti, e non pagavano certo per farsi trasportare...
Non mi interessa in questa sede esaminare le soluzioni proposte al problema immigrazione, ma controllare la veridicità di qualche assioma: ecco i principali capisaldi, che tutti noi sentiamo ripetere sui c.d. migranti:
1- I migranti sono in buona parte dei rifugiati
FALSO Su 100.000 persone circa sbarcate fra agosto 2013 ed agosto 2014 solo il 30% ha richiesto lo status di rifugiato e solo al 10% dei richiedenti è stato concesso, valutate le domande. Ciò significa che il 97% dei clandestini sbarcati non sono e non hanno lo status di rifugiati.
2- I migranti provengono dai Paesi del Medio Oriente e dall'Africa sub-sahariana per colpa delle guerre
PARZIALMENTE VERO Le principali provenienze degli immigrati irregolari al 2010 sono qui indicate:
Come si vede nei tre anni presi in considerazione i luoghi di provenienza dei clandestini fermati sono principalmente il Marocco, la Tunisia ed il Senegal, con l'Egitto che è andato via via perdendo importanza e la Nigeria che invece ha aumentato i suoi flussi. Fino al 2010 nessuno Stato mediorientale fortemente instabile o in guerra, come Siria o Iraq è nei primi dieci ed in Senegal, paese sub sahariano, la situazione politica è stabile, come ci ricorda la stessa Farnesina:
"ll Senegal è un Paese tradizionalmente democratico, stabile sin dall'indipendenza e che ha saputo sperimentare pacificamente la cosiddetta alternanza politica. Il 25 marzo 2012 si è concluso un lungo, combattuto ma ordinato processo elettorale con la vittoria alle presidenziali di Macky Sall (di stampo liberale) che si è assicurato il 68% dei voti a fronte del 32% del Presidente uscente Wade, capo del Partito Democratico Senegalese (PDS) e al potere dal 2000. Lo scrutinio, giudicato positivamente dai principali osservatori internazionali, ha dimostrato la maturità politica del Senegal quale esempio di democrazia per il continente africano ed attore fondamentale per rafforzare il dialogo interafricano e regionale. Le elezioni del luglio 2012 per il rinnovo dell'Assemblea Nazionale hanno assicurato alla coalizione presidenziale anche una consistente maggioranza parlamentare.".
Tale situazione è rimasta pressoché stabile anche nel 2011 e 2012, con il Marocco ad essere predominante come Nazione di provenienza. Negli ultimi due anni la situazione però è radicalmente cambiata, con un incremento enorme delle provenienze da Siria e Eritrea, prima scarse, e da non definiti Paesi dell'Africa sub-sahariana, prima totalmente assente, come si vede dal prospetto del più recente report della Frontex
A fuggire sono soprattutto maschi adulti
3- I migranti fuggono da Paesi in grave crisi economica
PARZIALMENTE VERO Sempre secondo la Farnesina il Marocco, che è stato a lungo il primo per flussi migratori verso l'Italia, ha questo outlook economico:
"In relazione al 2013 e’ prevista una crescita del PIL marocchino del 3,3%, grazie ad un miglioramento atteso dell’attività’ agricola la quale, a causa di condizioni climatiche avverse nel 2012 , aveva registrato un indice inferiore agli anni precedenti (2,9% rispetto a 3,8% nel 2011).
Tuttavia, il ritmo di crescita economica in questo paese continuerà ad essere frenato dalla debolezza della zona euro. Il Marocco è fortemente ancorato in termini economici all’Europa, e la crisi europea limiterà gli introiti del turismo ed i trasferimenti dei marocchini all’estero. La ripresa ed il miglioramento delle attività economiche europee dovrebbero indurre una crescita del PIL marocchino dell’ordine del 4,8% nel periodo 2014-2017.". Quindi se il Marocco non cresce ai ritmi previsti è colpa della nostra debolezza, della crisi della zona euro!
La Tunisia sconta un'instabilità politica che dura dalla c.d. "rivoluzione dei gelsomini", una delle tante "primavere" arabe (che qualche dubbio hanno sollevato sulla loro "spontaneità"); nonostante ciò ha avuto una crescita di PIL reale del 3,3% nel 2013 ed una lieve diminuzione della disoccupazione dal 18,1% al 17%, anche se il quadro macroeconomico rimane molto fragile.
Il Senegal, infine nel 2013 è cresciuto del 4,1% del PIL reale, ma ancora ha gravi squilibri nella distribuzione dei redditi e delle difficoltà a sviluppare una propria base imprenditoriale, per il costo dell'energia e la carenza di materie prime.
Questi Paesi sono quindi ancora molto fragili ed instabili, con forti disuguaglianze, ma in crescita e con buone prospettive future. Stati da cui si può emigrare, ma non fuggire, e comunque per poi tornare, come hanno fatto altri provenienti da Paesi in via di sviluppo.
I migranti da Siria ed Eritrea fuggono da zone di guerra o guerriglia e non per ragioni meramente economiche.
4- i clandestini in Italia sono oltre un milione ed in aumento
FALSO L'ultimo dato del 2012 da una presenza di irregolari stimata su 326.000, in calo rispetto agli anni passati e pari al 6% dei stranieri residenti. Sono aumentati invece gli stranieri regolari come si vede qui
Secondo il report di Frontex nel 2014 si sono aggiunti circa 170.000 irregolari, portando il totale a poco sotto le 500,000 unità. E' interessante notare che la percezione dell'italiano sulla presenza di immigrati in italia è totalmente distorta, come dimostra questo studio dell'IPSOS
Alla domanda quanti sono in percentuale della popolazione gli immigrati nel tuo Paese gli italiani hanno risposto mediamente il 30%, su un dato reale del 7/8%; c'è da notare che una sovrastima anche proporzionalmente maggiore accomuna tutti i Paesi oggetto dell'analisi, spia di un disagio generalizzato verso il fenomeno migratorio.
5- I clandestini sono in gran parte delinquenti
VERO Questo è il numero e la composizione degli stranieri detenuti in Italia
Come si vede le nazionalità più presenti coincidono con i flussi irregolari più cospicui che abbiamo visto sopra: l'unico studio sistematico esistente su clandestinità e criminalità è del 2004 e riporta che, su 16.788 detenuti stranieri nel 2002, 15.900 erano irregolari, una percentuale del 94% della popolazione carceraria straniera. Ciò confermerebbe che vi è un rapporto forte fra clandestinità e delinquenza, cosa piuttosto logica, trattandosi di una condizione che favorisce la commissione di reati. Come afferma il rapporto "Se andiamo a vedere la percentuale di stranieri accusati di reati si vede che a commettere più assiduamente i reati sono gli immigranti senza permesso di soggiorno (sono infatti clandestini il 70% degli stranieri condannati per lesioni volontarie, il 75% di quelli condannati per omicidi, l’85% di quelli condannati per i furti e le rapine)". Ma quali reati sono più frequenti?
a) la prostituzione ed il suo sfruttamento: le prostitute nel nostro Paese sarebbero (secondo l’Eurispes) circa 70 mila. Di queste il 70% sono straniere irregolari (quasi 50 mila). Le straniere che vengono indirizzate verso questa attività provengono:
• il 48% dall’Est (Albania, Romania, repubbliche ex-sovietiche);
• il 28% dall’Africa (soprattutto dalla Nigeria);
• il 22% dal Sud America (soprattutto dal Brasile).
Lo sfruttamento della prostituzione è invece gestito dagli albanesi, che rappresentano oltre il 42% dei denunciati, da cittadini provenienti dai paesi dell’ex-Jugoslavia (10% del totale) e solo in minima parte da nigeriani (7% del totale);
b) il contrabbando. Questo tipo di attività illecita è, secondo le stime del Ministero dell’Interno, gestito, soprattutto nella fase della distribuzione finale, prevalentemente da immigranti clandestini provenienti dal Marocco (l’80% dei denunciati per tale reato provengono da questo Paese);
c) lo spaccio di sostanze stupefacenti. La commercializzazione e la distribuzione della droga (soprattutto hascish) appaiono monopolizzate da clandestini provenienti dal nord Africa (marocchini, tunisini e algerini). Secondo statistiche più recenti, in alcune città del nord Italia (Genova, Torino, Bologna), l’80% degli arrestati e/o denunciati per tale traffico sono emigrati clandestini (inseriti ai livelli più bassi), mentre rimane monopolio delle organizzazioni criminali italiane il grande traffico internazionale;
Non sono invece significative le statistiche riguardo furti e rapine, che sono monopolio di immigrati dell'est europeo.
Come si vede accanto a verità comprovate vi sono anche falsità o esagerazioni del fenomeno e delle sue motivazioni, a volte funzionali ai discorsi pro o contro l'accoglienza: adesso avete modo di farvi la vostra idea in maniera più accurata. E di questi tempi non è poco.
martedì 14 aprile 2015
Perché l'Italia continua a tagliare i fondi per l'istruzione?
Colgo l'occasione da questo recente articolo del Corriere della Sera che mi ha lasciato piuttosto basito per compiere un esame dello stato dell'istruzione in Italia.
Innanzitutto poniamoci una domanda semplice: se questo è il livello di investimento sul sistema formativo
Fonte: OECD 2014 |
perché continuiamo a tagliare? Questa è la variazione di spesa negli ultimi anni:
Fonte: OECD 2014 |
e qui vediamo quanto è stato speso, o meglio, tagliato per l'istruzione rispetto alla spesa pubblica:
Fonte: OECD 2014 |
Siamo l'unico grande Paese e fra i pochi in assoluto che dal 2008 ha tagliato la spesa per l'istruzione. Non solo: abbiamo tagliata la formazione molto di più di quanto abbiamo tagliato per gli altri servizi pubblici!
La nostra spesa per la formazione, data la scarsa percentuale sulla spesa pubblica, è quasi solo per il pagamento degli stipendi
Fonte: OECD 2012 |
Fonte: OECD 2012 |
Colpisce è che il maestro elementare costa di stipendio allo Stato quanto il professore di liceo, ma è vero che va considerato il numero di ore lavorate e la consistenza delle classi e questo fenomeno lo si riscontra anche in altri Paesi.
Da questi numeri appena visti sorge una considerazione: poiché uno dei parametri fondamentali per misurare l'Indice di Sviluppo Umano (I.S.U.), che è un parametro di sviluppo macroeconomico utilizzato dall'ONU dal 1993 per valutare il grado di qualità della vita in uno Stato, è il tasso di alfabetizzazione degli adulti ed il loro tasso di istruzione, visto il livello della spesa, come sarà questo tasso per l'Italia?
Fonte: OECD 2012 |
Fonte: OECD 2014 |
Una breve spiegazione per quanto riguarda i livelli di studio; l'"upper secondary" corrisponde grossomodo alla nostra scuola superiore o liceo e la "tertiary" alla formazione accademica (sia triennale che specializzata).
Come si vede l'Italia non ne esce bene: le percentuali di adulti scolarizzati oltre la scuola elementare è tra le più basse e gli adulti sopra i 25 anni, soprattutto nella fascia 45-54, che hanno raggiunto almeno un'istruzione superiore sono poco sopra la metà della popolazione adulta. Questa percentuale cala drasticamente se vediamo quanti adulti raggiungono e completano un'istruzione universitaria: solo la Turchia in Europa aveva una percentuale minore, ma ha avuto un miglioramento maggiore tra il 2000 ed il 2012 raggiungendoci. Ciò evidentemente influisce sulla capacità di comprensione ed elaborazione
Fonte: OECD 2012 |
Anche qui una breve spiegazione: i livelli indicati da 0 a 5 corrispondono al grado di comprensione ed elaborazione concettuale di un testo ed all'utilizzo di strumenti per reperire ed integrare informazioni; il grado 0 significa una capacità di lettura di un semplice testo ma l'incapacità di comprenderlo pienamente e farne una sintesi e la capacità di estrarre una semplice informazione da esso, come indicato da una domanda; all'opposto il grado 5 corrisponde ad una piena comprensione di un testo complesso, di estrarne le informazioni volute, di elaborale e la capacità di creare un proprio testo (o discorso articolato) a confutazione, teorizzando un modello esplicativo.
Gli adulti italiani che hanno una buona od ottima comprensione di un testo e capacità di reperire ed elaborare informazioni sono davvero pochi, sia in assoluto come percentuale, sia e soprattutto in rapporto agli altri Paesi. Solo la Spagna tra i grandi Stati europei ha un livello simile, soprattutto nella fascia di età più avanzata di popolazione.
Se questa è la situazione, e così torniamo alla domanda che ci siamo posti all'inizio, perché continuiamo a tagliare e quindi a deprimere la spesa per la formazione futura del nostro popolo? Una chiave di lettura ce la dà un grande scrittore italiano: Italo Calvino.
Come ho già evidenziato su un altro post sulla democrazia, uno dei meccanismi che fa sì che un sistema democratico funzioni è quello di avere un'opinione pubblica informata ed in grado di capire e valutare l'azione del proprio Governo e conseguentemente promuoverlo o bocciarlo con il voto ai partiti che lo esprimono; ciò si ottiene solo se i cittadini hanno un grado di istruzione abbastanza elevato da poter comprendere, sia la comunicazione dei politici su quanto hanno fatto ed hanno intenzione di fare, sia le valutazioni e le notizie riportate dalla stampa e dai mezzi di informazione. Per far ciò evidentemente occorre saper maneggiare un discorso od un testo abbastanza complesso, ovvero avere un'istruzione medio-alta. Ma non c'è solo questo aspetto.
Una buona istruzione è anche la base per i politici per poter ben governare: in un mondo complesso ed articolato come quello di oggi, le scelte decisionali presuppongono la comprensione dei problemi, in tutti i suoi aspetti, la conoscenza di varie materie, anche solo per comprendere i consigli dei tecnici incaricati di studiare le soluzioni, ed una visione ampia delle conseguenze delle varie soluzioni proposte. Una classe politica efficiente è quindi (anche, ma non solo) una classe politica colta.
Questo se si è un Paese con piena sovranità.
Se infatti si è una Nazione eterodiretta (ricordatevi il "pilota automatico" di Draghi...) la classe politica non deve essere capace di decidere, ma semplicemente di obbedire e di mettere in opera quanto deciso in altre sedi. Per far ciò non occorre un elevato grado di istruzione, che magari porterebbe ad obiettare rispetto ad alcune scelte imposte, ma semplicemente un buon grado di fedeltà, che si ottiene facilmente concedendo ai soggetti politici un livello di potere secondario sufficiente a garantirsi un certo prestigio ed un ritorno economico personale.
Questo spiega dunque la ragione per cui non si investe e non si investirà nel futuro nell'istruzione delle generazioni a venire: il manovratore europeo non vuole essere disturbato e per governare una colonia non è indispensabile essere colti e neanche tanto intelligenti. Basta essere furbi e saper catturare l'elettorato, magari con un modo di fare superficialmente simpatico.
Come Renzi, ad esempio...
venerdì 3 aprile 2015
Reddito di cittadinanza, flex-security e disoccupazione
Leggo però di una proposta che vorrebbe unire il sostegno a chi non ha lavoro all'introduzione di un salario minimo garantito di € 9/h: con ciò si eviterebbe il problema, da me segnalato, dell'appiattimento dei salari su un livello prossimo a quello del reddito di cittadinanza. La proposta sembrerebbe quindi ragionevole e condivisibile. Ma c'è un ma. Questo:
Come è possibile costringere le imprese italiane ad introdurre un salario minimo garantito orario, quando la redditività delle imprese è andata a picco? In un periodo di profonda crisi di domanda, a causa della quale le aziende non investono perché non credono di avere un rendimento da nuovi investimenti, avendo già degli impianti produttivi e manodopera sottoutilizzati, e le banche non finanziano per paura di non veder restituito il prestito concesso, come si può costringere un'impresa ad aumentare il costo del lavoro, erodendo ancor più la scarsa redditività?
Astrattamente la proposta sarebbe corretta, ma essa si scontra con il solito problema comune a tutte le soluzioni adottate anche dal Governo e rientra nella scia delle proposte classiche neo-liberiste: è una soluzione c.d. supply side. Anche in questo caso infatti si bada solo al lato dell'offerta, la produzione ed i fattori che la compongono, senza considerare che qualsiasi intervento, in queste condizioni, risulta solo o inutile o addirittura dannoso, se non si interviene sulla domanda di beni e servizi. E l'unico modo per farlo è inizialmente con una politica classicamente keynesiana: la creazione di occasioni di lavoro per le aziende, ovvero con gli investimenti dello Stato per far effettuare lavori pubblici. Solo con essi le aziende avrebbero uno stimolo a rimettere in moto la propria attività e, passato il primo periodo di utilizzo dei fattori già esistenti, che comincerebbero comunque a creare reddito consumabile, attraverso gli utili e l'impiego di professionalità e imprese collaterali (dagli ingegneri, ai geologi, a tutte quelle professioni collegate ai lavori edili, nonché alle aziende in subappalto), la necessità di assumere nuove maestranze, ampliando così la base degli occupati e rimettendo in moto il ciclo dei consumi, attraverso il moltiplicatore keynesiano della spesa, già visto.
Pensare di risolvere i problemi di occupazione semplicemente costringendo le impres e a dare un giusto salario, senza però dare loro una ragione per fare ciò, ovvero una prospettiva di maggior guadagno, non solo è velleitario, ma persino controproducente. La flex-security di tipo scandinavo può funzionare solo se si ha un economia che tira, con una forte domanda aggregata, e un'alta spesa statale; non a caso i Paesi scandinavi sono quelli con la spesa statale più elevata, come si vede:
Secondo un'analisi recente di Sergio De Nardis, capo economista di Nomisma, solo una ripresa significativa della domanda aggregata, quindi un PIL che crescesse del 2/2,5% all'anno per almeno cinque anni, potrebbe far riassorbire la disoccupazione, mentre in queste condizioni intervenire sul mercato del lavoro, anche rendendolo più flessibile, come ha fatto il Jobs Act, non porterebbe alcun beneficio apprezzabile. In mancanza di queste condizioni la disoccupazione rischia di incancrenirsi e diventare di lungo periodo, con un rischio di non riuscire più a risollevarla, a causa di un fattore automaticamente espulsivo del disoccupato di lungo termine dal mercato del lavoro. Questa era la situazione europea al 2013:
Questo fattore è dato dalla combinazione di due situazioni: da una parte dall'obsolescenza o dalla perdita delle competenze del lavoratore a lungo inoccupato, che non risulta più utile alle imprese, dall'altro dalla concorrenza dei giovani inoccupati che risultano più appetibili alle aziende. A ciò vanno uniti fattori psicologici, come la perdita di determinazione del disoccupato, la riluttanza delle imprese ad assumere un lavoratore che è stato fermo per lungo tempo, poiché vengono spesso richieste esperienze recenti nella stessa tipologia di lavoro, ed altri. Il risultato è che, senza una costante formazione del disoccupato, finanziata dallo Stato ed eventualmente dalle associazioni di categoria, attraverso programmi di recupero ed aggiornamento delle competenze da egli maturate, il lavoratore rischia di non rientrare mai più nel mercato del lavoro, restando così a carico del sistema di welfare, appesantendolo e rendendolo nel tempo non sostenibile. Queste politiche di recupero si scontrano però con i limiti di deficit per la spesa statale e ancor più con il pareggio di bilancio sciaguratamente da noi introdotto in Costituzione e sono attualmente non applicabili.
Quindi delle due l'una: o si fa spesa per creare lavoro e si punta sulla crescita per cercare di riassorbire i disoccupati, potendo con l'aumento delle entrate pubbliche derivanti dal futuro maggior gettito finanziare successivamente programmi per la formazione di quelli di lungo periodo e se tutto va bene un reddito di sostegno, o si cerca subito di finanziare un sostegno che però non crea lavoro e che rischia di diventare insostenibile nel medio periodo, cristallizzando un tasso di disoccupazione elevato, che l'imposizione di un salario minimo porterebbe solo ad aggravare e creando quell'esercito di disoccupati che è la finalità dei neo-liberisti per consentire una costante tenuta di un livello minimo di retribuzione, flessibile ulteriormente verso il basso, se e quando sarà necessario, senza che i lavoratori possano ribellarsi.
Se non ci si rende conto che queste sono le uniche alternative si fa solo il gioco di chi dalla situazione attuale ha solo da guadagnare. E non sono i lavoratori.
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