giovedì 19 giugno 2014

Jacques Sapir: "Prendiamo in parola Angela Merkel: del suo Euro, non ne vogliamo più sapere!".




La strategia di Berlino dietro i "contratti" proposti ad i paesi meridionali
È sintomatico come Angela Merkel, il 19 dicembre scorso, abbia potuto dichiarare senza provocare particolari turbamenti che: “Prima o poi, senza la necessaria coesione, l’Euro esploderà”. Senza coesione, scriveJacques Sapir, vale a dire senza la presenza di un sistema di trasferimenti finanziari considerevoli, l’Euro non è sostenibile. Il calcolo dell'economista francese per l’importo che la Germania dovrebbe fornire è tra l’8 e il 10% del suo PIL ed è perfettamente chiaro che non può farlo senza distruggere il suo modello economico: esigere ogni anno dalla Germania una « solidarietà »compresa tra i 220 e i 232 miliardi equivale a chiederle di suicidarsi.

Conscia di tutto questo, prosegue Sapir, Angela Merkel propone “ contratti “ tra i paesi del sud e la Germania. Praticamente, ciò porterebbe a costruire, accanto alle istituzioni europee, un altro sistema istituzionale, nel quale i diversi Paesi sarebbero legati alla Germania in modo vincolante. La cancelliera sa perfettamente cosa pensa la Corte costituzionale di Karlsruhe che nella sentenza del 30 giugno 2009 ha dichiarato come l’Unione europea rimane un’organizzazione internazionale il cui ordinamento è derivato, poiché gli Stati rimangono padroni dei trattati ed è chiaro che la Germania non condivide, e non condividerà in un prossimo futuro, nebulose idee su un « federalismo » europeo. Il significato dei cosiddetti « contratti » è quindi chiaro: in cambio di una garanzia di sovranità, “poiché avrete liberamente accettato questi contratti" - i paesi del sud si impegano a rispettare determinate regole vincolanti, in seno a una struttura di contratti che vi legano alla Germania.

La questione dell’Unione bancaria, strombazzata recentemente, conferma questo modo di procedere. Nell’autunno del 2012, i Paesi meridionali dell’Eurozona hanno, insieme alla Francia, strappato il principio di un’« Unione bancaria » che doveva essere al tempo stesso un meccanismo di sorveglianza e di regolazione delle banche dell’Eurozona, ma anche un dispositivo che avrebbe assicurato una gestione concertata delle crisi bancarie. La Germania ha ovviamente, ha conseguito i propri scopi. L’accordo firmato nella notte tra il 18 e il 19 Dicembre 2013, e che è stato salutato da alcuni come un passo decisivo per l’Euro non ha stabilito nulla. Il meccanismo di supervisione, sottolinea Sapir, riguarda solo 128 banche tra le 6000 che figurano nell’Eurozona. E per quanto riguarda il fondo di risoluzione delle crisi, esso raggiungerà l’ammontare di 60 miliardi, somma peraltro ridicolmente bassa, solo nel… 2026 !

E' del tutto inutile continuare a mantenere qualche speranza in un’ Europa « realmente »federale.Opporre alla situazione attuale una « prospettiva federale », del tutto ipotetica e a dire il vero la cui probabilità di realizzazione è inferiore a quella di un sbarco di marziani, non ha alcun senso, se non quello di imbrogliare la gente e farle prendere lucciole per lanterne ! Il sogno federalista si è rivelato essere un incubo. È quindi necessario svegliarsi.
In secondo luogo, la Germania è perfettamente consapevole del fatto che è necessaria alla sopravvivenza dell’Euro una forma di federalismo, ma non ne vuole pagare il prezzo. Quindi, ciò che effettivamente propone ai suoi partner sono dei cosiddetti« contratti » che li costringeranno a sopportare la totalità dei costi di adeguamento necessari alla sopravvivenza dell’Euro, mentre lei stessa sarà l’unica a trarre profitto dalla moneta unica. Questi « contratti » faranno sprofondare l’Europa meridionale e la Francia in una recessione senza precedenti, da cui questi Paesi usciranno annientati sul piano industriale e sociale. Laurent FAIBIS e Olivier PASSET hanno appena pubblicato un dibattito sul Les Échos in cui spiegano perché l’Euro può giovare solo a un Paese, che si è stabilito al vertice del processo industriale, e perché, invece di mettere l’Euro al servizio dell’economia, è l’economia ad essere sacrificata in nome dell’Euro. Una tale situazione verrebbe perpetuata se, sfortunatamente, dovessimo avere un governo che accettasse di passare sotto le forche caudine dei contratti.

Dato che un’Europa federale non è possibile, e in realtà neppure concepibile dal punto di vista tedesco, se non si arriva ad una situazione di « coerenza » – che non significa altro che acconsentire alla totalità delle esigenze tedesche –, in queste condizioni la Germania è pronta a rinunciare completamente all’Euro. La Signora MERKEL vorrebbe fare di questa alternativa una minaccia per costringerci ad accettare il suo concetto di « contratti ». Forse per la prima volta dal 1945, conclude Sapir, un dirigente tedesco espone in modo così crudo il progetto di dominazione sull’Europa. Queste stesse dichiarazioni hanno l’immenso vantaggio di gettare una luce cruda sulla situazione dei paesi dell'Europa meridionale ed è bene ricordarlo nelle prossime elezioni europee.“Non per obbedire alla Signora Merkel, ma per prenderla in parola e dirle che, del suo Euro, non ne vogliamo più sapere!”.

Fonte: http://www.lantidiplomatico.it/

La Grecia torna al Medio Evo.



L'esperimento sociale della Troika raggiunge questo nuovo stadio

“Vi ricordate la servitù e i contadini nei bei tempi passati del feudalesimo medioevale? Se la risposta è no, ho delle buone notizie per voi! E' consuetudine nel mondo del lavoro in Grecia oggi ottenere la paga in beni, il baratto, invece che in salari. Rivive il feudalesimo nella Grecia della moderna Unione Europea e della zona euro”. Con questa premessa in uno dei suoi ultimi post, il blog greco KTG riporta un'inchiesta condotta dall'Istituto del lavoro della Confederazione dei sindacati (GSEE), definendola scioccante ma non così inattesa se si considera che per le leggi dell'austerità, della depressione indotta e della competitività, le condizioni di lavoro e di salario hanno reso i cittadini greci degli schiavi moderni. 

Ecco alcuni dati dell'inchiesta, così come riportata da KTG:

i lavoratori ricevono stipendi con ritardi dai 3 ai 12 mesi

i lavoratori ricevono un terzo dei loro salari, il resto è pagato attraverso servizi come ad esempio la possibilità di dormire in un albergo, buoni pasto e coupon per acquisti di altri beni al supermercato. 

I datori di lavoro non pagano tredicesima e quattordicesima come obbligati per legge, ma in cambio offrono couppon per cibo e benzina. Costringono poi i lavoratori a firmare per il fatto che hano ricevuto l'intero bonus. GSEE stima che oltre un milione di lavoratori non ha ricevuto tredicesima e quattordicesima. 

I giovani lavoratori sotto i 25 anno anni sono assunti con contratti mensili per lavoro part-time di 4 ore al giorno e salari di 180 euro al mese. Con 25 giorni lavorativi si tratta di uno stipendio di 7,2 euro al giorno e più o meno 1.72 euro l'ora! KTG ricorda l'indignazione della prima "riforma del lavoro" nel 2011 che aveva tagliato drasticamente i salari fino a paghe da 3 euro l'ora. Ma ora si è passati alla rassegnazione e non ci si indigna neanche più...

Secondo il diritto del lavoro, il salario minimo per coloro che hanno meno di 25 anni dovrebbe essere di 480 euro per un lavoro full-time. Ma a chi interressa le leggi quando la domanda del lavoro è straordinaria, il tasso di disoccupazione enorme e la liquidità in circolazione è scarsa perché le banche stanno risparmiando?

I lavoratori greci, prosegue Ktg, saranno presto abilitati a pagare le loro bollette e il loro affitto in coupon per detergenti o buoni pasto. E' strano come nel 2011 e 2012 i greci hanno fatto un tuffo nel passato ad i tempi di Chrles Dickens, mentre nel 2013 e 2014 si è arrivati fino al Medio Evo. "Posso immaginare che in un paio di anni, la Troika si lamenterà della mancanza di abilità del mondo nel lavoro e di fondi sociali assicurativi vuoti nella competitiva Grecia", conclude Ktg.

Fonte: http://www.lantidiplomatico.it/

martedì 10 giugno 2014

Euro: dove stiamo andando?

La principale argomentazione tra chi sostiene che l’uscita dall’Euro sia impossibile é la seguente: tornare alla propria moneta causerebbe una forte svalutazione della stessa con un conseguente aumento incontrollato dei prezzi.
Eppure, se leggessimo le ultime parole di Mario Draghi, parrebbe che sia proprio lui il primo a confutare questa tesi:

“L’apprezzamento dell’Euro sta pesando sulle dinamiche dell’inflazione nell’Eurozona.”

“Monitoriamo con attenzione il tasso di cambio e le dinamiche del credito. La stretta sul credito sta pesando sulla ripresa nei paesi piu’ vulnerabili dell’Eurozona.”

“No rischio deflazione. Siamo pronti a misure eccezionali”.

Lo scenario: in questo momento l’Euro vale 1,36 Dollari, un valore troppo forte per alcuni Paesi europei . Un recente studio della Deutsche Bank ha fornito i livelli di soglia del cambio Euro/Dollaro ai quali,stante l’attuale domanda, le economie entrerebbero in crisi (in particolare per l’export). Bene, la soglia per l’Italia é fissata a 1,17€; oggi siamo quindi 19 cent sopra il livello limite (+13,8%). La Francia sembra poter sopportare un cambio non superiore a 1,24€. La Germania é al sicuro fino ad 1,54€ ma, semmai dovesse ripartire l’economia, potrebbe arrivare fino a 1,94€. Sorpresa per la Spagna che si attesta agli stessi livelli grazie ad una buona competitività industriale.
L’Euro ha subito un notevole apprezzamento nei confronti di quei Paesi, come Usa e Giappone, che hanno applicato forti politiche monetarie espansive, immettendo ingenti quantità di moneta. Così siamo giunti allo scenario attuale: l’Euro forte, sopra le soglie limite sopra citate, mette in crisi le esportazioni. Di conseguenza scende il fatturato delle aziende che abbassano i prezzi pur di vendere; abbiamo il primo temuto fenomeno: la deflazione. A causa di ciò si riduce la produzione e di conseguenza l’occupazione; le imprese entrano in crisi e sono costrette a licenziare; aumenta la disoccupazione. Se le difficoltà si fanno sempre più forti, cresce anche la possibilità di insolvenza; le banche si fidano meno a prestare denaro sia alle imprese sia ai privati senza lavoro o precari e dunque innalzano il tasso di interesse richiesto (credit crunch).
In che modo Draghi vuole combattere tutto ciò? Come si possono arginare l’imminente deflazione ed i suoi effetti devastanti?
Sappiamo che vi é una relazione inversa tra quantità di moneta e tasso di interesse. Se sale la quantità di moneta presente in un’economia (tecnicamente aggregati m1, m2 e m3) i tassi d’interesse calano. La gente spende quello che ha nel portafoglio e quindi non lascia la giacenza in banca. Se spendo, rimetto in circolo l’economia.
Ed ecco qui le mosse di Draghi:
- taglio dei tassi dallo 0,25% allo 0,15%. Quindi il costo di un finanziamento, a parità di spread applicato dalla banca, decresce.
- il tasso sui depositi marginali scende allo 0,4% dallo 0,75%: ridotto quindi il tasso a cui la Bce presta liquidità alle banche. Se le banche hanno un accesso al credito più semplice, possono ottenere liquidità più agevolmente. Più liquidità disponibile dovrebbe tradursi in maggiori prestiti concessi. Non sempre, voi direte, potrebbero anche reinvestire questa liquidità in cerca di profitti.
Il primo piano Ltro ebbe proprio questo effetto. La Bce prestò ingenti quantità di denaro alle banche europee ad uno tasso pari allo 0,75%. Con questa liquidità le banche comprarono titoli di stato che rendevano anche il 4-5%; il loro profitto fu dunque la differenza tra il rendimento ottenuto e l’esiguo tasso di finanziamento. Le banche italiane comprarono molti titoli di stato italiani. Questo si tradusse in profitti e conseguente raffreddamento dello spread: il rischio passò di mano dagli investitori stranieri alle nostre banche ( dal 49% a quasi il 70% del totale), che quindi esigevano meno per il rischio sostenuto.
- é previsto un nuovo piano Ltro ma vincolato all’erogazione di prestiti nell’economia reale, eccezion fatta per i mutui che ovviamente sono a rischio bolla; ricordiamo tutti cosa sia successo grazie ai mutui subprime. Le banche, dunque, non possono comprare titoli di stato con la liquidità ottenuta. Tradotto: prestate denaro all’economia reale e non fate transazioni finanziarie speculative.
- rendimenti negativi sui tassi overnight. Quando le banche hanno un eccesso di liquidità, possono prestarla per massimo 24h ad altre banche che ne hanno bisogno. Se il rendimento di questa operazione é negativo, le banche in sovrappiù hanno tutto l’interesse a non prestare denaro. Se non lo prestano ad altre banche, possono immetterlo nell’economia finanziando imprese e privati.
Ed ecco che arriviamo brevissimo al famigerato Quantitative Easing, che dovrebbe vedere presto la luce, ora preceduto dall’operazione di acquisto di obbligazioni Abc.
Di cosa si tratta: tramite il QE la banca centrale stampa denaro che immette nell’economia, o meglio, lo Pompa nelle casse delle banche, comprando in cambioi loro asset tossici “bad securities”; liberali dunque dai prestiti di difficile recupero, pulendo i loro bilanci. Dall’altro lato compra titoli di stato. In questo modo aumenta la loro domanda e quindi fa in modo che i tassi di interesse, quindi i rendimento, scendano. Se ciò avviene, le banche avranno meno convenienza nell’investire in titoli di stato perché rendono meno. Le banche sono costrette a guardare le nostre richieste di finanziamento se vogliono ottenere tassi profittevoli Quindi: disincentivo all’investimento, soldi freschi nelle loro casse e bilanci ripuliti; tutte le condizioni ottimali per poter cominciare a prestare denaro.
La Bce stessa stessa ha deciso di sterilizzare il piano Smp, ovvero l’acquisto settimanale di titoli di stato da parte della Bce, con cui veniva drenata la liquidità generata in aiuto dei paesi più colpiti dalla crisi. Se la Bce compra i titoli di stato, genera domanda. Maggiore domanda equivale a minori tassi. Ecco che il nostro spread, come quello di tutte le economie europee deboli, si é abbassato. Ovviamente questa decisione di sospensione potrebbe avere ripercussioni negative sui nostri rendimenti. Se la Bce non compra più titoli di stato, avrà a disposizione denaro da spendere (170 Mld di euro), che impiegherà proprio con il nuovo piano Ltro o l’acquisto di obbligazioni Abc (asset backed security). Cosa sono: supponiamo che io abbia un mutuo che faccia fatica a pagarlo. La mia banca decide di emettere un’ obbligazione Abc di pari importo del mio mutuo residuo. A fronte della corresponsione di un tasso d’interesse, finanzia il credito aperto per il mio mutuo e lo copre. Di fatto cede di mano il rischio a chi compra l’obbligazione. Il sottostante di questa operazione, cioè la garanzia, é proprio la mia casa (backed security). La Bce si offre all’acquisto di queste obbligazioni di durata triennale ad un tasso agevolato dell’1%; un modo per pulire i bilanci e generare liquidità alle banche da immettere nell’economia. Pronti per il tanto atteso quantitative easing.
Abbiamo detto: creazione di liquidità e abbassamento dei tassi di interesse. In questo si cerca di combattere il credit crunch. Le imprese ottengono denaro e investono. Nel frattempo i privati hanno nuova liquidità o possono finanziare i loro acquisti. Loro comprano, le imprese producono e investono. I prezzi aumentano e si genera inflazione. Nel frattempo, se immetto liquidità e genero inflazione, il valore della moneta scende perché il suo potere di acquisto é minore: ci vogliono più pezzi per comprare lo stesso bene, quindi ogni singolo pezzo vale meno. Avete presente cosa hanno fatto Giappone e America recentemente?
Ecco la ricetta Draghi: inflazione e calo del valore dell’Euro; proprio ciò che sembra far paura agli accesi sostenitori dell’Euro.
Manca ancora un nodo da risolvere a mio avviso: i cambi fissi. I rapporti di forza nell’area euro devono poter fluttuare. Oggi la Germania sta registrando un saldo sempre più positivo nella sua bilancia commerciale; questo Euro ha il prezzo giusto per lei, a discapito delle economie per cui é troppo pesante. La Fed stessa ha recentemente intimato ai teutonici di introdurre misure per diminuire l’avanzo nella bilancia commerciale, cercando di colmare lo squilibrio con gli altri paesi dell’area Euro.
Basterebbe un po’ di propaganda mediatica di regime in meno per capire i reali problemi, o meglio, basterebbe ascoltare le parole di Draghi, che é proprio il principale baluardo a difesa della moneta unica, benché le sue teorie, in molti casi, di avvicinino a chi vorrebbe uscire dall’Euro.

venerdì 6 giugno 2014

La mossa di Draghi non funzionerà...aiuterà solamente la Germania!!

Un interessante articolo di Frances Coppola su Forbes commenta la recente mossa di Draghi: i tassi di interesse negativi rischiano di sortire un effetto opposto a quello dichiarato...quindi, forse il vero scopo è quello di aiutare la Germania in disinflazione deprimendo il cambio. Ma la guerra valutaria, dice Coppola, non è la mossa più saggia. 

La BCE ha imposto tassi di interesse negativi sui fondi depositatidalle banche (riserve "in eccesso"). Il tasso sui depositi della BCE è stato pari a zero per lungo tempo, e la possibilità della BCE di imporre tassi negativi sulle riserve è stato discusso per parecchiotempo.

Ho scritto sui probabili effetti dei tassi negativi sulle riserve già aDicembre 2012. La mia conclusione è questa:


Ma consideriamo cosa accadrebbe se una economia in fase dipressione deflazionistica introducesse dei tassi di interesse negativi. La compressione dei margini delle banche già in crisiporterebbe inevitabilmente a tassi più elevati per i mutuatari e a ridurre i volumi degli impieghi. Si tratta di una stretta monetaria, chenon facilita, e l'effetto sarebbe di contrazione. Peggiorerebbe la recessione.

Tassi di interesse negativi sono una tassa sulle riserve bancarie. Essi sono quindi intrinsecamente restrittivi. L'argomento è che le banche cercheranno di sbarazzarsi delle riserve piuttosto che pagare l'imposta, così avranno un incentivo a prestare di più. Ma l'evidenza sembra suggerire il contrario. Questo grafico mostra i volumi di deposito e di prestito delle banche danesi, prima e dopo l'introduzione di tassi negativi sulle riserve (h / t Roberto Mulazzi):




Oh, cari miei. Sembra che ci sia stata una fuga dei depositi - non a caso, sino a che anche le banche danesi non hanno spostato i tassi negativi direttamente sui risparmiatori, esse avrebbero trovato il modo di scoraggiarli. E i volumi dei prestiti, già in calo nel momento in cui sono stati imposti i tassi negativi, hanno continuato a diminuire.

Sembra improbabile che la BCE non sia a conoscenza degli effetti dei tassi negativi sui volumi di credito danesi. Così, nonostante gli estesi commenti dei media su tassi negativi che incoraggiano le banche a concedere prestiti, io dubito che questo sia il vero scopo. Infatti, dato che l'aggregato monetario M3 per l'Eurozona èeffettivamente migliorato leggermente nel mese di aprile, è difficile capire perché la BCE dovrebbe agire ora, quando non l'ha fatto all'inizio di quest'anno.

Quindi io non credo affatto che si tratti di prestiti bancari. Penso che si tratti della disinflazione tedesca e del cambio dell'euro.

L'inflazione CPI tedesca è attualmente allo 0,9%, ben al di sotto dell'obiettivo della BCE "vicino a" il 2%, e in tendenza discendente. Non è chiaro esattamente perché sia così, ma una possibilità è l'euro forte. A causa della dipendenza della Germania dalle esportazioni, un euro forte mette delle pressioni al ribasso

mercoledì 4 giugno 2014

il TTIP rivelato


C'è una sigla che ogni tanto affiora misteriosa negli articoli economici e di cui si mormora negli ambienti politici, qualcosa di cui si sta occupando con molta discrezione la Commissione Europea e che Renzi ha dichiarato essere una priorità per il semestre italiano: il TTIP o Trasatlantic Trade and Investment Partnership. Cos'è? Letteralmente è l'accordo fra i due blocchi transatlantici, ovvero gli USA e l'Europa, per regolare in maniera comune il mercato delle merci, dei servizi e degli investimenti, una sorta di mercato comune transatlantico, un accordo per facilitare l'interscambio commerciale fra i due blocchi. Ma il TTIP è solo questo? E cosa significa in effetti facilitare l'interscambio commerciale?

Per capire cosa è in effetti il TTIP dobbiamo fare un passo indietro ed esaminare un'altro accordo simile, sancito il 1 gennaio 1994, fra gli USA, il Canada ed il Messico: il NAFTA, North American Free Trade Agreement. Come si può intuire il NAFTA è la versione nordamericana del TTIP e crea uno spazio di libero scambio fra i tre Paesi aderenti: vediamo le caratteristiche comuni, come le descrive un comunicato dell'ambasciata e del consolato canadese in Italia (il grassetto ovviamente è mio):
"Il NAFTA prevede un trattamento nazionale, il più favorevole dei trattamenti nazionali, e la proibizione di norme sul rendimento che abbiano un effetto negativo sugli scambi commerciali. Canada, Stati Uniti e Messico devono trattare i reciproci beni, servizi o investitori come se fossero i propri. Una volta che merci, servizi e investimenti provenienti da un paese entrano in un altro, non possono essere oggetto di discriminazioni sulla base della loro origine. Gli investitori internazionali con investimenti in Canada godono dei privilegi del NAFTA se utilizzano il Canada come "base" per effettuare investimenti negli Stati Uniti o nel Messico.
Il NAFTA assicura agli esportatori presenti in Canada l'accesso sia agli Stati Uniti che al Messico. Regole più chiare sul contenuto nordamericano di alcuni prodotti, incluse quelle per gli autoveicoli, riducono il rischio di interpretazioni unilaterali da parte dei funzionari delle dogane.
Gli esportatori e gli investitori possono essere sicuri che i loro interessi saranno effettivamente difesi grazie ad un sistema per la risoluzione delle controversie più trasparente e più chiaramente regolamentato. Le controversie derivanti dall'applicazione dei dazi possono essere affidate a commissioni bi-nazionali. I contrasti tra investitori e governi dei paesi NAFTA possono essere risolti tramite un arbitrato internazionale.
Le formalità burocratiche da espletare in caso di viaggi d'affare sono state semplificate. Gli uomini d'affari, purché appartenenti ad una delle 60 professioni riconosciute, possono ottenere un permesso di soggiorno temporaneo senza alcuna approvazione precedente.
Il NAFTA contempla una copertura totale dei diritti derivanti dalla proprietà intellettuale stabilendo principi e regole di applicazione. Brevetti, marchi, diritti d'autore e segreti commerciali delle aziende e degli individui canadesi sono protetti. Rispetto a qualsiasi altro accordo bilaterale o multilaterale, il NAFTA prevede un maggiore livello di protezione per i diritti di proprietà intellettuale.
In base all'Accordo, tutti gli investitori dei paesi NAFTA devono essere trattati in modo egualitario. La copertura offerta dal NAFTA si estende anche agli investimenti effettuati da una qualsiasi azienda incorporata in un paese NAFTA, indipendentemente dal suo paese di origine.".

Per capire quindi cosa ci aspetta possiamo vedere cosa è successo agli aderenti al NAFTA e cosa ha comportato aderirvi. Cominciamo da quanto riferisce l'Associazione Oscar Romero, che ha un suo osservatorio sulla situazione dell'america latina: "il NAFTA ha dimostrato di essere un'oppressione per le famiglie lavoratrici e per l'ambiente. Uno sguardo alle conseguenze del NAFTA dimostra perché questi tipi di trattato di libero commercio devono essere rifiutati. Le famiglie lavoratrici soffrono: grazie al NAFTA quasi 400 mila posti di lavoro sono stati persi negli Stati Uniti ed i lavoratori guadagnano mediamente solo il 77% di quanto guadagnavano prima dell'entrata in vigore del trattato; in Messico, dall'inizio del NAFTA, circa 10 milioni di messicani guadagnano meno del salario minimo e 8 milioni di famiglie si sono spostate dalla classe media a quella bassa. L'ambiente soffre: nell'area delle maquillas, lungo il limite tra il Messico e gli Stati Uniti, l'inquinamento è aumentato e i rifiuti dei prodotti chimici hanno incrementato drammaticamente il tasso di epatiti e di malformazioni dei nascituri. L'esperienza del NAFTA dimostra come i diritti basilari dei lavoratori e delle loro famiglie siano erosi dai trattati di libero commercio che non proteggono i lavoratori. Le corporazioni multinazionali si spostano da zone dove il lavoro deve rispettare norme di regolazioni dei salari in paesi dove i salari sono più bassi e i diritti sindacali sono annullati con la minaccia di trasferire la produzione all'estero.". Non molto diverso è il parere del giornalista, esperto di questioni latino-americane, e storico (ha insegnato anche alla Bocconi...) Gennaro Carotenuto, che in un suo articolo (che nel sito originale risulta sparito...) spiega: "Dal primo gennaio sono entrati in vigore alcuni dei capitoli più conflittuali del Trattato di Libero Commercio del Nord America (TLCAN o NAFTA in inglese) e sono definitivamente liberalizzati prodotti fondamentali come il frijol, il mais, la canna da zucchero e il latte in polvere. E immediatamente numerose organizzazioni contadine si sono mobilitate, per chiedere la revisione del trattato. "E' il colpo di grazia ai contadini messicani" hanno gridato in migliaia bloccando completamente il Paseo de la Reforma, una delle principali strade di Città del Messico. Alla protesta si sono uniti deputati di tutti i partiti meno il PAN del presidente Felipe Calderón, che parlano di rinegoziazione di tutta la parte agricola del trattato che in questi anni dal primo gennaio 1994 ha favorito enormemente l'agricoltura assistita statunitense e danneggiato quella messicana pienamente liberalizzata. E' molto triste il bilancio del Messico come paese pioniere nell'accettare un accordo di libero commercio con gli Stati Uniti. Oramai il 90% del commercio estero del paese è con gli Stati Uniti e tutta l'economia del paese è controllata come mai prima nella storia dal vicino del Nord. Ma l'aspetto più grave è la vera pulizia etnica agraria che ha caratterizzando l'adozione del TLC e i piani neoliberali voluti dai governi messicani in sinergia con il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale. Ogni anno dalle campagne messicane sono espulsi almeno 600.000 lavoratori (una cifra che nel 2008, con l'entrata in vigore degli ultimi capitoli si raddoppierà), quasi tutti uomini tra i 15 e i 45 anni. Il politologo John Saxe-Fernández - e non è il solo - individua un vero "disegno demografico", una precisa politica con il doppio obbiettivo di svuotare le campagne messicane, fonte di conflittualità sociale, e rifornire l'economia statunitense di milioni di lavoratori disponibili a lavori sottopagati utili a calmierare il mercato del lavoro di quel paese.".

Ma le conseguenze non si fermano qui. Vediamo cosa riferisce il giornalista e scrittore Maurizio Blondet: "In Canada, le autorità nazionali hanno revocato due brevetti di proprietà della Eli Lilly (la mega-farmaceutica statunitense) perché questa non aveva apportato prove sufficienti della effetti benefici che affermava i due farmaci avessero. Eli Lilly sta pretendendo dal governo canadese danni per 500 milioni di dollari, e pretende che le leggi canadesi sui brevetti sanitari siano cambiate. Ed avrà ragione, perché il Canada fa incautamente parte del NAFTA (accordo commerciale nordamericano di libero commercio, con Usa e Messico) che lo lega a questa normativa. Un responsabile del governo canadese, citato dal Guardian, ha detto a proposito del NAFTA: «Negli ultimi cinque anni ho visto piovere sulla mia scrivania lettere di studi di avvocati di New York e Washington, i quali intimano al governo canadese di non applicare nuove leggi o proposte di legge in materia ambientale. Dai prodotti chimici per lavaggio a secco ai farmaci, dai pesticidi alle leggi brevettuali, in pratica tutte le nuove iniziative politiche in questo campo sono state prese di mira e, per lo più, silurate». Il Canada è già stato perseguito dalla estrattiva americana Loine Pine, per aver introdotto una moratoria sul fracking: la società «danneggiata» pretende dal governo colpevole qualcosa come 250 milioni di dollari.".

Secondo un report dell'UNCTAD (qui in originale), un ente delle Nazioni Unite che è l'organo principale dell'Assemblea per gli aspetti legati al commercio ed allo sviluppo, con gli accordi per regolamentare le dispute fra Stati ed aziende, ovvero gli accordi come quelli previsti nel NAFTA o nel TTIP, gli investitori stranieri hanno intentato cause contro un largo ventaglio di misure governative, chiedendo la modifica di regolamenti interni riguardanti il gas, il nucleare, lo commercializzazione dell'oro e i cambi, le revoca di licenze ed autorizzazioni (nel settore minerario, delle telecomunicazioni e del turismo), il ritiro di sovvenzioni (per esempio nel settore dell'energia solare) e per espropri. Questo è l'incremento delle controversie sollevate contro gli Stati da multinazionali ed aziende:

Fonte: UNCTAD 2013
Il numero totale è dato dalla lunghezza complessiva della barra: la differenzazione riguarda solo le controversie presentate davanti all'ICSID (Centre for Settlement of Investment Disputes), segmento in rosso o davanti ad altri organismi di conciliazione, in grigio. Come si vede, man mano che gli accordi, bilaterali o multilaterali, prevedono questo tipo di risoluzione, l'incremento delle cause sale notevolmente. Vediamo il contenuto di qualcuna di queste, tratte sempre dall'articolo di Blondet,, tanto per farsi un'idea di quello che potrebbe accadere con il TTIP: 
"L'Argentina, durante la sua crisi finanziaria, ha congelato le bollette di acqua ed elettricità, che salivano alle stelle. Ma aveva privatizzato i settori (come raccomanda il FMI), che ora erano in mano alle multinazionali dei servizi acqua-luce-gas. Queste mega imprese hanno portato in giudizio Buenos Aires perché, appunto, aveva ridotto i loro profitti impedendo loro di rincarare le tariffe. Ebbene: l'Argentina è stata condannata a pagare un miliardi di dollari di indennità.
In Salvador, certe comunità locali sono riuscite a far rimangiare al governo la decisione di sfruttare un giacimento d'oro, con il motivo che l'industria estrattiva avrebbe inquinato le acque. Una dura lotta, che ha compreso anche l'assassinio di tre dei capi della rivolta. Ma ecco: la ditta mineraria canadese che aveva ottenuto la concessione ha trascinato in giudizio lo stato del Salvador, e pretende un risarcimento di 315 milioni di dollari - a titolo di «compensazione della perdita dei profitti futuri anticipati».
Il governo australiano, dopo dibattito parlamentare, ha obbligato i fabbricanti di sigarette a confezionare i pacchetti con colori anonimi e scritte dissuasive del tipo «Il fumo provoca cancro al polmone». Ma gli studi legali della Philip Morris, scoperto che l'Australia aveva firmato un accordo di libero scambio con Hong Kong, si sono appellati ad un tribunale «internazionale» (offshore, come i paradisi fiscali) esigendo un risarcimento miliardario per la perdita di quello che la Philip Morris chiama «la sua proprietà intellettuale», ossia il design dei suoi pacchetti di sigarette.
In Amazzonia, la Chevron (statunitense) ha imbastito una causa simile per non pagare 18 miliardi di dollari di danni per i danni ambientali che ha prodotto. Sta vincendo, perché nel nuovo «diritto internazionale» in fieri il capitale e il profitto hanno diritti assoluti e supremi sopra le leggi dei singoli Stati, e sopra la salute dei cittadini.".

In quest'ultima frase è riassunto il vero contenuto, la vera essenza e la reale ragione di questi accordi: con il TTIP, così come con il NAFTA o altri patti di libero scambio, le aziende ottengono il riconoscimento giuridico che il profitto è un diritto, e che tale diritto è pari se non superiore agli altri diritti dell'uomo, come la salute o la sicurezza, e, come ogni diritto, quando viene leso deve essere risarcito. La nascita di questo nuovo diritto, non previsto in alcuna Costituzione, è essenzialmente lo scopo della creazione di un mercato comune anche per il TTIP: le multinazionali, finora limitate dalle nostre regole severe sulla qualità dei prodotti, sulle modalità di fabbricazione o di sfruttamento delle risorse, fremono e spingono per un'approvazione rapida dell'accordo, che comprende naturalmente l'ISDS, per poter finalmente esportare legalmente, sementi OGM, carni trattate con antibiotici non terapeutici, preparazioni con ingredienti meno pregiati, senza che si possano più opporre regole sanitarie, di provenienza o lavorazione certificata o limiti ambientali e di sicurezza più restrittive di quelle in vigore negli USA. Per fare un esempio tipicamente italiano, il Parmigiano non sarà più indicato come DOCG poiché ciò discriminerebbe altre produzioni simili e tale denominazione non è riconosciuta dalla legislazione USA...

Naturalmente i sostenitori di tale accordo fanno leva sul consistente aumento del volume degli scambi che una tale standardizzazione (al ribasso) delle regole del commercio dovrebbe portare: secondo uno studio che si fregia del titolo di "indipendente", commissionato dall'Unione Europea, il beneficio sarebbe un guadagno di 119 miliardi di euro all'anno per l'Unione Europea, con una media di 545 euro in più per ogni famiglia di quattro persone (L'indicazione è suggestiva, ma ricorda quella dei polli di Trilussa...). Le esportazioni di imprese europee verso gli USA salirebbero del 28%, con benefici che non peserebbero sul resto del mondo.
Se ci fate caso questi vantaggi tanto sbandierati sono identici a quelli che altri studi "indipendenti" indicarono come conseguenza dell'UEM, ovvero della creazione dell'area di applicazione dell'euro, prima della sua realizzazione: addirittura si parlò in quel caso di un aumento fino al 300% del volume degli scambi, una volta che ci fossimo liberati delle diverse monete e di un conseguente consistente aumento del reddito pro-capite: la realtà è sotto gli occhi di tutti... Se vi volete divertire a leggere gli altri meriti che avrebbe il TTIP secondo uno studio dell'Istituto Aspen qui trovate l'articolo.

Fortunatamente a questo accordo si oppongono vari Enti, associazioni e qualche politico più avveduto: ad esempio un senatore francese centrista, tal Jean Arthuis ha stilato sette punti che ha chiamato "7 buone ragioni per opporsi al trattato transatlantico" e che ha pubblicato su Le Figaro (per chi mastica il francese qui l'articolo originale): le ragioni sono più o meno quelle dette, dall'arbitrato privato per le controversie fra Stati ed aziende, alla sparizione dei registri di certificazione qualitativa, dalla regolamentazione finanziaria che gli USA vogliono mantenere com'è (rifiutando evidentemente qualsiasi controllo o limitazione), all'abbassamento degli standard sanitari e di produzione (una traduzione del testo di questi punti lo ha fatto La Stampa in un suo articolo critico sul TTIP). Anche il Parlamento Europeo, pur dichiarando che l'accordo deve procedere come programmato ha manifestato qualche perplessità: in un discorso del 16 ottobre 2013 l'allora Presidente Martin Schulz ha dichiarato: "To be clear: the goal of the Free Trade Agreement can’t be that one side takes over the rules of the other side; nor can the goal be a race-to-the-bottom – we do not and will not end up with lower social, health or environmental protection standards.
This Agreement must mean safer consumer goods and improved public health. And the European Parliament will ensure that our citizens’ interests will be well protected and that there will be no unnecessary haste." ("Per essere chiari: l'obiettivo del Free Trade Agreement non può consistere nel fatto che una parte travolge le regole dell'altra; né può essere una corsa al ribasso - noi decisamente non ci ritroveremo con degli standard più bassi in materia di  tutela sociale, salute o protezione ambientale.
Questo Accordo deve significare prodotti più sicuri per il consumatore e un miglioramento della salute pubblica. Ed il Parlamento Europeo dovrà assicurare che gli interessi dei nostri cittadini saranno ben protetti e che non verrà fatta immotivatamente fretta" (alla conclusione dell'accordo)).

Voci nettamente contrarie sono state quelle di Jos Dings e Pieter de Pous, due membri del gruppo di esperti chiamato a studiare l'accordo con funzione consultiva (trovate la loro dichiarazione inviata al Financial Times tradotta sul sito di Voci dall'Estero qui) e quella di Lori M. Wallach, giornalista di Le Monde Diplomatique, che ha scritto un articolo dal titolo "Il trattato transatlantico, un tifone che minaccia gli europei", concentrandosi sui problemi di una giustizia privata ed opaca, come quella prevista dal TTIP, oltre che dei pericoli sanitari e finanziari dell'accordo. Da segnalare anche un articolo molto duro del Guardian "This transatlantic trade deal is a full-frontal assault on democracy", che trovate qui tradotto dal solito meritorio Voci dall'Estero.

In Italia invece, tranne un articolo di Giorgio Barba Navaretti, professore di Economia Politica laureato alla Bocconi, dall'eloquente titolo "Un accordo utile anche all'Italia" sul Sole 24 Ore e uno di Limes di uguale indirizzo "La Ttip tra Usa e Ue: un’opportunità per tutti", sulla stampa nazionale si è per lo più ignorato l'argomento; solo La Stampa (che riporta il contenuto dell'articolo de Le Figaro), e recentemente Il Fatto Quotidiano con un pezzo asettico che riporta blandamente le opinioni contrarie, hanno dato voce al dibattito in corso.

Adesso voi siete tra i pochi eletti in Italia che possono dire di essersi fatta un'idea precisa di cosa sia il TTIP e cosa comporti: fate sentire la vostra voce se non volete che il vostro futuro sia governato dalle multinazionali e se volete che Elysium ed il suo mondo rimangano solo un inquietante film...