Mai come in questo periodo si trovano in rete e sui giornali tanti articoli, scritti da economisti, da soli, in coppia o a gruppi, che analizzano minuziosamente le proposte di uscita dall'euro, concordata o traumatica, per farne, come si dice, "le pulci", criticando e soppesando ogni singolo punto del percorso ipotizzato, trovarne le falle e le lacune, per concludere invariabilmente che l'uscita non è possibile, se possibile non è attuabile, se attuabile le conseguenze sarebbero catastrofiche e distruttive.
Meglio lasciarsi strangolare quietamente dall'euro. Un atteggiamento molto "british" peraltro...
In tutte le analisi, ad esempio, non manca mai l'obiezione: "Eh, ma credete che gli altri Paesi ve la faranno fare? Credete che vi faranno svalutare tranquillamente senza ritorsioni, dazi, senza reagire alla loro perdita di competitività? Saremo isolati, ostracizzati, ecc. ecc.". Questo argomento, a prima vista ragionevole, nasconde parecchie falle e merita un approfondimento.
Innanzitutto è un argomento che contraddice in toto l'altro argomento principe di queste ed altre analisi, ovvero "se svalutiamo che ne sarà di noi, con la liretta dove andremo, come compreremo, i nostri redditi caleranno, i nostri risparmi si ridurranno, ecc. ecc.". Allora, mettetevi d'accordo: o la svalutazione fa male, a chi produce perché aumenta il costo delle le materie prime, ai padri di famiglia ed ai pensionati perché si impoveriscono ed al Paese perché crolla sotto i debiti, ed allora all'estero i nostri concorrenti dovrebbero stappare champagne e festeggiare la nostra stolidità e follia, oppure fa bene, tanto bene che i nostri concorrenti reagirebbero con dazi e guerre commerciali, perché perdono competitività. Tertium non datur, come dicono quelli colti.
Siccome è chiaro che l'ipotesi vera è la seconda, dato che svalutare sarà anche brutto, ma rivalutare dev'essere peggio, visto che nessuno lo vuole fare, vediamo quali sarebbero le conseguenze reali ad una nostra sacrosanta svalutazione (sacrosanta, perché riaggiusterebbe finalmente quel differenziale di inflazione cumulato in questi anni, come ben sapete).
Per saperlo utilizziamo un metodo scientifico, ovvero prendiamo l'ultimo episodio storico che ci riguarda nel quale abbiamo svalutato in maniera consistente. Anche qui bisogna chiarirsi: tutti quelli che affermano l'inutilità di vedere cosa è accaduto storicamente perché "adesso e diverso, c'è il computer per le transazioni e poi c'è la Cina" sono gli stessi che poi dicono che "senza un paper rigoroso le ipotesi non hanno fondamento, ci vuole un modello, ecc.". Ora, in generale, come si fa un modello previsionale corretto di un fenomeno che ha un andamento legato a una variabile casuale (tipo l'andamento di un titolo)? Attraverso una "random walk". E qual'è il dato più probabile in una previsione random walk? quello legato all'ultimo accadimento, che incorpora in sé tutti gli "errori" passati (se vi siete persi provate a leggere qui), ovvero all'ultimo dato storico disponibile! Come sopra...
Allora l'ultima volta che l'Italia ha svalutato in maniera significativa, 20% nello spazio di circa sei mesi, è stato nel 1992, quando siamo usciti dallo SME. Cosa è successo? E' successo che i nostri prodotti sono diventati immediatamente competitivi, come logico, e che, di converso, quelli tedeschi, ovvero quelli del nostro maggiore concorrente diretto, sono diventati più cari per noi e meno concorrenziali, sia da noi che all'estero. Perché? Ma perché da noi appunto costavano di più e quindi meno gente se li poteva permettere (legge domanda/offerta) ed all'estero, pur rimanendo il costo uguale, soffrivano la migliore appetibilità relativa dei nostri prodotti. Spiego meglio: se un francese comprava per un rivestimento mettiamo un klinker tedesco, invece che un marmo di Carrara, perché non poteva permettersi quello italiano, migliore ma più caro, dopo la svalutazione il marmo di Carrara, magari costava sempre più del klinker tedesco, ma con un differenziale minore, ed allora il francese, che ha gusto, decideva che poteva permettersi una lieve differenza in più per avere una maggiore qualità, ovvero il nuovo prezzo compensava il rapporto fra maggiore sacrificio economico e maggiore qualità, tanto da portarlo a permettersi il marmo. Questo è quello che intendevo con appetibilità relativa.
Ci sono state ritorsioni od embarghi commerciali? No, e per una semplice ragione, che però pare sfuggire a tutti gli economisti che predicono sventure in caso di nostra svalutazione: nessun produttore vuole perdere un mercato di 60 milioni di potenziali consumatori, né può permettersi di fare a meno dei prodotti di uno dei Paesi di eccellenza manufatturiera al mondo. Prima di proseguire guardate questo grafico:
Cosa vi dice? Vi dice che l'Italia dopo la Cina, è il maggiore concorrente nei mercati internazionali della Germania, che è ...
Posizione nel
mondo
|
Stato/Territorio
|
Esportazioni
Milioni US$
|
Data
Informazione
|
---|---|---|---|
—
|
Mondo (somma di tutti i paesi)
|
13,870 000
|
2006 st.
|
1
|
1,361 000
|
2007 st.
| |
—
|
Unione europea (solo scambi esterni)
|
1,330 000
|
2005
|
2
|
1,221 000
|
2007 st.
| |
3
|
1,140 000
|
2007 st.
| |
4
|
665 700
|
2007 st.
| |
5
|
558 900
|
2007 st.
| |
6
|
474 800
|
2007 st.
| |
7
|
465 300
|
2007 st.
| |
8
|
450 600
|
2007 st.
| |
9
|
440 100
|
2007 st.
| |
10
|
415 600
|
2007 st.
| |
11
|
371 500
|
2007
| |
12
|
365 000
|
2007 st.
| |
13
|
328 100
|
2007 st.
| |
14
|
267 500
|
2007 st.
| |
15
|
248 300
|
2007 st.
| |
16
|
246 700
|
2007 st.
| |
17
|
215 000
|
2007 st.
| |
18
|
201 000
|
2007 st.
| |
19
|
176 500
|
2007 st.
| |
20
|
169 900
|
2007 st.
| |
21
|
159 200
|
2007 st.
| |
22
|
158 300
|
2007 st.
| |
23
|
152 100
|
2007 st.
| |
24
|
143 100
|
2007 st.
| |
25
|
140 800
|
2007 st.
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Fonte: CIA World Factbook 2008
... prima al mondo come volume di esportazioni.
E perché siamo i primi concorrenti europei della Germania? Perché siamo degli ottimi produttori, sia di prodotti finiti, che di semilavorati, che di macchinari. D'altra parte, non avendo mai avuto materie prime nel nostro territorio, abbiamo sempre costruito il nostro successo economico sulla capacità di trasformazione e di dare valore aggiunto qualitativo alle materie lavorate.
Vediamo quindi cosa è successo l'indomani della svalutazione nel 1992: ecco il consuntivo a fine anno, come riportato da un articolo de "La Repubblica" del 30 dicembre 1992: "Le importazioni sono cresciute del 3,6% su base annua a 20.194 miliardi, mentre le esportazioni hanno raggiunto in volume i 18.180 miliardi, con un aumento del 6,3%. L' interscambio, segnala l' Istat, in sostanza ha confermato la fase congiunturale positiva delle esportazioni che hanno registrato tassi di crescita soddisfacenti in particolare per i prodotti chimici (più 14%), i mezzi di trasporto (più 6%), il tessile-abbigliamento (più 4%), i prodotti metalmeccanici (più 3%). In ripresa anche le importazioni che hanno riguardato quasi tutti i settori merceologici: prodotti chimici, tessili e dell' abbigliamento più 10%, mezzi di trasporto e minerali ferrosi e non ferrosi più 8%.". Un altro articolo ancora più entusiasta titolava: "La lira debole rilancia il made in Italy": vale la pena leggerlo. E l'inflazione? A sentire l'allora Governatore della Banca d'Italia, non andava così male: "... l' avvenuta svalutazione della lira, "qualcosa che abbiamo subìto, mica ce la siamo andati a cercare", non si sta trasferendo sui prezzi interni. Non c' è stato, in altre parole, il temuto "effetto psicologico". "Le merci, lo vedete, lo vediamo, non sono aumentate in percentuale alla svalutazione"". E perché? Ma per quello che abbiamo detto sopra, ovvero che i produttori esteri per non perdere quote di mercato avevano contenuto l'aumento dei prezzi dei loro beni, preferendo erodere una parte del margine di profitto. Sentite cosa dice il Vicedirettore generale Pianificazione e Finanza di IBM Semea, Paolo Scopazzi, ad ottobre 1992 all'intervistatore di La Repubblica: "Ritoccherete i vostri listini prezzi? "Non ora e non certo in conseguenza della tempesta, visto che la nostra struttura generale di import-export è sostanzialmente bilanciata. Un computer è poi un prodotto complesso, non certo un barile di petrolio. E prima di toccare i prezzi bisogna almeno intravedere un trend ragionevole e stabile. Interverremo sui costi. Il prezzo è l' ultima cosa da toccare se si vuol tenere il mercato".
Altro fattore importante per contenere l'inflazione ed ancora più interessante, era che l'Italia, come adesso, si trovava, a causa del cambio fisso, in una fase di crisi di domanda e cosa comporti ce lo spiega sempre Ciampi: "Siamo in una fase di bassa domanda di consumi. Ed è un fenomeno visibile: basta girare per le strade. Che però ci ha aiutato perché ha consentito di evitare la fiammata dei prezzi, quel trasferimento automatico della svalutazione sui listini dei commercianti. Fondamentale, per tenere a bada l' inflazione.". Quindi, in una fase di crisi di domanda, il c.d. "passtrough" della svalutazione è ancora più ridotto e se sommiamo questo alla bassa utilizzazione degli impianti produttivi e della forza lavoro impiegata, oltre probabilmente all'esistenza di stock di merci e materie prime non lavorate, che ha permesso un aumento della produzione, all'indomani della svalutazione, rapida e senza costi aggiuntivi per le imprese, si arriva ad annullarlo, come è successo appunto nel 1992, quando, a fronte della svalutazione, si ebbe l'anno dopo un calo dell'inflazione di un punto, dal 5% al 4%!
La situazione attuale dell'Italia è tanto diversa? No, abbiamo come allora un crollo della domanda interna a causa del cambio fisso (che strano...), una capacità produttiva sottoutilizzata in tutti i suoi fattori e una forte elasticità di prezzo degli esportatori, ovvero un calo del prezzo migliorerebbe di molto il volume di vendite all'estero. Cosa dobbiamo aspettarci quindi da una svalutazione? Esattamente, tranne un margine di errore non prevedibile, lo stesso risultato e gli stessi benefici avuti l'ultima volta.
I produttori esteri, per ovvie ragioni microeconomiche, che sfuggono a chi pensa solo con modelli astratti macroeconomici, cercheranno di non perdere quote di mercato e certamente non si priveranno di un bacino di 60 milioni di consumatori solo per ripicca; anzi, visto che ci sarebbe un benefico effetto sui redditi dalla ripresa di una produzione italiana, nessun responsabile strategico o di marketing di imprese estere sarebbe così idiota e irresponsabile da non cercare in ogni modo di essere presente in un mercato che sarebbe di nuovo in espansione e quindi con una propensione al consumo elevata, dopo le ristrettezze passate. Chiunque consigliasse di cedere quote di mercato per difendere il prezzo o per ritorsione al comportamento "non collaborativo" dell'Italia, sarebbe semplicemente cacciato a calci dagli amministratori o dagli imprenditori... Ed a ragione!
Riguardo ai nostri prodotti sui mercati esteri, esiste un solo Paese al mondo fra quelli economicamente avanzati che è capace di imporre ed attuare politiche protezionistiche sui beni esteri, con il consenso della popolazione: il Giappone. Tolti i giapponesi, nessun altro popolo si priverebbe di prodotti di qualità come i nostri e nessun produttore estero sano di mente rifiuterebbe di approfittare della relativa bassa costosità dei nostri semilavorati e della nostra componentistica per avere prodotti di qualità ad alto valore aggiunto da inserire nel proprio ciclo produttivo. Chiunque parla di isolamento ed embargo semplicemente non vive all'interno dell'economia reale.
Non facciamoci spaventare da chi sa solo giocare con i modelli: la realtà storica ci indica che la strada, non sarà facile. ma sarà comunque migliore di quella attuale.
bella e sopratutto intuitiva analisi macroeconomica, complimenti a Pecchioli.
RispondiEliminaAnalidi superficiale perché allora uscivamo da un cambio fisso ed avevamo ancora la nostra moneta,oggi si tratya di uscire da un unione monetaria con pissibili effetti finanziari disastrosi e non prevedibili,effetti a catena.E davvero le cose sono anche cambiate dal 1992:la Cina nel WTO,il peso dell'India nel commercio mondiale,le nostre banche che sono sempre sul filo del rasoio e detengono molto debito pubblico italiano.Per non parlare del fatto che la nostra domanfa interna sta crescendo in questo momento e la nostra bilancia dei pagamenti é in attivo
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